433 resultados para Impatti, CFRP, CLC, compressione


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The ciliary neurotrophic factor alpha-receptor(CNTFRalpha) is required for motoneuron survival during development, but the relevant ligand(s) has not been determined. One candidate is the heterodimer formed by cardiotrophin-like cytokine (CLC) and cytokine-like factor 1 (CLF). CLC/CLF binds to CNTFRalpha and enhances the survival of developing motoneurons in vitro; whether this novel trophic factor plays a role in neural development in vivo has not been tested. We examined motor and sensory neurons in embryonic chicks treated with CLC and in mice with a targeted deletion of the clf gene. Treatment with CLC increased the number of lumbar spinal cord motoneurons that survived the cell death period in chicks. However, this effect was regionally specific, because brachial and thoracic motoneurons were unaffected. Similarly, newborn clf -/- mice exhibited a significant reduction in lumbar motoneurons, with no change in the brachial or thoracic cord. Clf deletion also affected brainstem motor nuclei in a regionally specific manner; the number of motoneurons in the facial but not hypoglossal nucleus was significantly reduced. Sensory neurons of the dorsal root ganglia were not affected by either CLC treatment or clf gene deletion. Finally, mRNA for both clc and clf was found in skeletal muscle fibers of embryonic mice during the motoneuron cell death period. These findings support the view that CLC/CLF is a target-derived factor required for the survival of specific pools of motoneurons. The in vivo actions of CLC and CLF can account for many of the effects of CNTFRalpha on developing motoneurons.

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Purpose: Classic lobular carcinomas (CLC) account for 10% to 15% of all breast cancers. At the genetic level, CLCs show recurrent physical loss of chromosome16q coupled with the lack of E-cadherin (CDH1 gene) expression. However, little is known about the putative therapeutic targets for these tumors. The aim of this study was to characterize CLCs at the molecular genetic level and identify putative therapeutic targets. Experimental Design: We subjected 13 cases of CLC to a comprehensive molecular analysis including immunohistochemistry for E-cadherin, estrogen and progesterone receptors, HER2/ neu and p53; high-resolution comparative genomic hybridization (HR-CGH); microarray-based CGH (aCGH); and fluorescent and chromogenic in situ hybridization for CCND1 and FGFR1. Results: All cases lacked the expression of E-cadherin, p53, and HER2, and all but one case was positive for estrogen receptors. HR-CGH revealed recurrent gains on 1q and losses on 16q (both, 85%). aCGH showed a good agreement with but higher resolution and sensitivity than HR-CGH. Recurrent, high level gains at 11q13 (CCND1) and 8p12-p11.2 were identified in seven and six cases, respectively, and were validated with in situ hybridization. Examination of aCGH and the gene expression profile data of the cell lines, MDA-MB-134 and ZR-75-1, which harbor distinct gains of 8p12-p11.2, identified FGFR1 as a putative amplicon driver of 8p12-p11.2 amplification in MDA-MB-134. Inhibition of FGFR1 expression using small interfering RNA or a small-molecule chemical inhibitor showed that FGFR1 signaling contributes to the survival of MDA-MB-134 cells. Conclusions: Our findings suggest that receptor FGFR1 inhibitors may be useful as therapeutics in a subset of CLCs.

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CIC-5 is a chloride (Cl-) channel expressed in renal tubules and is critical for normal tubular function. Loss of function nonsense or missense mutations in CIC-5 are associated with Dent's disease, a condition in which patients present with low molecular weight (LMW) proteinuria (including albuminuria), hypercalciuria and nephrolithiasis. Several key studies in CIC-5 knockout mice have shown that the proteinuria results from defective tubular reabsorption of proteins. CIC-5 is typically regarded as an intracellular Cl- channel and thus the defect in this receptor-mediated uptake pathway was initially attributed to the failure of the early endosomes to acidify correctly. CIC-5 was postulated to play a key role in transporting the Cl- ions required to compensate for the movement of H+ during endosomal acidification. However, more recent studies suggest additional roles for CIC-5 in the endocytosis of albumin. CIC-5 is now known to be expressed at low levels at the cell surface and appears to be a key component in the assembly of the macromolecular complex involved in protein endocytosis. Furthermore, mutations in CIC-5 affect the trafficking of v-H+-ATPase and result in decreased expression of the albumin receptor megalin/cubulin. Thus, the expression of CIC-5 at the cell surface as well as its presence in endosomes appears to be essential for normal protein uptake by the renal proximal tubule. (c) 2005 Elsevier Ltd. All rights reserved.

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Il presente lavoro ha lo scopo di comprendere i processi sottesi ai pattern di coesistenza tra le specie di invertebrati sorgentizi, distinguendo tra dinamiche stocastiche e deterministiche. Le sorgenti sono ecosistemi complessi e alcune loro caratteristiche (ad esempio l’insularità, la stabilità termica, la struttura ecotonale “a mosaico”, la frequente presenza di specie rare ed endemiche, o l’elevata diversità in taxa) le rendono laboratori naturali utili allo studio dei processi ecologici, tra cui i processi di assembly. Al fine di studiare queste dinamiche è necessario un approccio multi-scala, per questo motivi sono state prese in considerazione tre scale spaziali. A scala locale è stato compiuto un campionamento stagionale su sette sorgenti (quattro temporanee e tre permanenti) del Monte Prinzera, un affioramento ofiolitico vicino alla città di Parma. In questa area sono stati valutati l’efficacia e l’impatto ambientale di diversi metodi di campionamento e sono stati analizzati i drivers ecologici che influenzano le comunità. A scala più ampia sono state campionate per due volte 15 sorgenti della regione Emilia Romagna, al fine di identificare il ruolo della dispersione e la possibile presenza di un effetto di niche-filtering. A scala continentale sono state raccolte informazioni di letteratura riguardanti sorgenti dell’area Paleartica occidentale, e sono stati studiati i pattern biogeografici e l’influenza dei fattori climatici sulle comunità. Sono stati presi in considerazione differenti taxa di invertebrati (macroinvertebrati, ostracodi, acari acquatici e copepodi), scegliendo tra quelli che si prestavano meglio allo studio dei diversi processi in base alle loro caratteristiche biologiche e all’approfondimento tassonomico raggiungibile. I campionamenti biologici in sorgente sono caratterizzati da diversi problemi metodologici e possono causare impatti sugli ambienti. In questo lavoro sono stati paragonati due diversi metodi: l’utilizzo del retino con un approccio multi-habitat proporzionale e l’uso combinato di trappole e lavaggio di campioni di vegetazione. Il retino fornisce dati più accurati e completi, ma anche significativi disturbi sulle componenti biotiche e abiotiche delle sorgenti. Questo metodo è quindi raccomandato solo se il campionamento ha come scopo un’approfondita analisi della biodiversità. D’altra parte l’uso delle trappole e il lavaggio della vegetazione sono metodi affidabili che presentano minori impatti sull’ecosistema, quindi sono adatti a studi ecologici finalizzati all’analisi della struttura delle comunità. Questo lavoro ha confermato che i processi niche-based sono determinanti nello strutturare le comunità di ambienti sorgentizi, e che i driver ambientali spiegano una rilevante percentuale della variabilità delle comunità. Infatti le comunità di invertebrati del Monte Prinzera sono influenzate da fattori legati al chimismo delle acque, alla composizione e all’eterogeneità dell’habitat, all’idroperiodo e alle fluttuazioni della portata. Le sorgenti permanenti mostrano variazioni stagionali per quanto riguarda le concentrazioni dei principali ioni, mentre la conduttività, il pH e la temperatura dell’acqua sono più stabili. È probabile che sia la stabilità termica di questi ambienti a spiegare l’assenza di variazioni stagionali nella struttura delle comunità di macroinvertebrati. L’azione di niche-filtering delle sorgenti è stata analizzata tramite lo studio della diversità funzionale delle comunità di ostracodi dell’Emilia-Romagna. Le sorgenti ospitano più del 50% del pool di specie regionale, e numerose specie sono state rinvenute esclusivamente in questi habitat. Questo è il primo studio che analizza la diversità funzionale degli ostracodi, è stato quindi necessario stilare una lista di tratti funzionali. Analizzando il pool di specie regionale, la diversità funzionale nelle sorgenti non è significativamente diversa da quella misurata in comunità assemblate in maniera casuale. Le sorgenti non limitano quindi la diversità funzionale tra specie coesistenti, ma si può concludere che, data la soddisfazione delle esigenze ecologiche delle diverse specie, i processi di assembly in sorgente potrebbero essere influenzati da fattori stocastici come la dispersione, la speciazione e le estinzioni locali. In aggiunta, tutte le comunità studiate presentano pattern spaziali riconoscibili, rivelando una limitazione della dispersione tra le sorgenti, almeno per alcuni taxa. Il caratteristico isolamento delle sorgenti potrebbe essere la causa di questa limitazione, influenzando maggiormente i taxa a dispersione passiva rispetto a quelli a dispersione attiva. In ogni caso nelle comunità emiliano-romagnole i fattori spaziali spiegano solo una ridotta percentuale della variabilità biologica totale, mentre tutte le comunità risultano influenzate maggiormente dalle variabili ambientali. Il controllo ambientale è quindi prevalente rispetto a quello attuato dai fattori spaziali. Questo risultato dimostra che, nonostante le dinamiche stocastiche siano importanti in tutte le comunità studiate, a questa scala spaziale i fattori deterministici ricoprono un ruolo prevalente. I processi stocastici diventano più influenti invece nei climi aridi, dove il disturbo collegato ai frequenti eventi di disseccamento delle sorgenti provoca una dinamica source-sink tra le diverse comunità. Si è infatti notato che la variabilità spiegata dai fattori ambientali diminuisce all’aumentare dell’aridità del clima. Disturbi frequenti potrebbero provocare estinzioni locali seguite da ricolonizzazioni di specie provenienti dai siti vicini, riducendo la corrispondenza tra gli organismi e le loro richieste ambientali e quindi diminuendo la quantità di variabilità spiegata dai fattori ambientali. Si può quindi concludere che processi deterministici e stocastici non si escludono mutualmente, ma contribuiscono contemporaneamente a strutturare le comunità di invertebrati sorgentizi. Infine, a scala continentale, le comunità di ostracodi sorgentizi mostrano chiari pattern biogeografici e sono organizzate lungo gradienti ambientali principalmente collegati altitudine, latitudine, temperatura dell’acqua e conducibilità. Anche la tipologia di sorgente (elocrena, reocrena o limnocrena) è influente sulla composizione delle comunità. La presenza di specie rare ed endemiche inoltre caratterizza specifiche regioni geografiche.

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L'Italia è spesso sede di eventi d'intensa precipitazione, frequentemente associati ad alluvioni con conseguente perdita di vite umane e gravi danni economici. È quindi di fondamentale importanza poter prevedere questi eventi con un adeguato anticipo. Allo stato attuale, i modelli meteorologici non permettono sempre di raggiungere tale obbiettivo e, di conseguenza, è in atto un'intensa attività di ricerca al fine di di renderne più accurata la previsione, sia attraverso il miglioramento dei modelli stessi, sia sviluppando l'assimilazione dati, la quale riduce l'incertezza della condizione iniziale da cui parte la previsione. All'interno di questo contesto, la tesi si prefigge l'obiettivo di studiare gli effetti dell'assimilazione di dati di precipitazione, effettuata mediante uno schema di nudging, nel modello non idrostatico MOLOCH. Al fine di ottimizzare lo schema e di valutarne l'impatto, sono stati simulati tutti gli eventi di maltempo di ottobre e novembre del 2014 che hanno interessato la Liguria, area frequentemente soggetta ad alluvioni. Dalla sistematica verifica dei risultati, effettuata sia qualitativamente che mediante numerosi metodi statistici (tra cui la tecnica SAL basata sull'individuazione dei nuclei di precipitazione), si riscontra un generale miglioramento della previsione della precipitazione anche se limitato alle prime ore dopo la fine del periodo di assimilazione. L'impatto dello schema di nudging varia a seconda dell'evento e, in particolare, si osserva una certa correlazione tra il miglioramento ottenuto e la tipologia di evento, come descritto dalla teoria dell'equilibrio convettivo e come riportato in alcuni studi analoghi recentemente comparsi in letteratura. La ricaduta del miglioramento della previsione meteorologica è stata valutata anche in termini di impatti al suolo accoppiando il modello meteorologico con il modello idrologico utilizzato dal Centro Funzionale della Regione Liguria, con risultati abbastanza positivi.

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Il presente lavoro di tesi è finalizzato all'ottimizzazione della formulazione iniziale e delle condizioni di stagionatura per ottenere un materiale utilizzabile come refrattario in applicazioni che richiedono elevate temperature di esposizione. L’interesse della ricerca scientifica verso questa nuova classe di materiali nasce dai vantaggi ambientali ed economici che essi possono fornire. Inoltre, le buone proprietà di resistenza e stabilità termica evidenziate dagli studi condotti negli ultimi anni inducono a sperimentare l’impiego dei materiali geopolimerici in sostituzione dei materiali refrattari o cementiferi attualmente in commercio. A tal fine sono state determinate le caratteristiche fisico-meccaniche, microstrutturali e termiche di matrici geopolimeriche additivate con scarti refrattari. Lo studio svolto, si può suddividere in tre fasi successive. Inizialmente sono state ottimizzazione le formulazioni geopolimeriche. Successivamente i prodotti ottenuti sono stati oggetto di caratterizzazione fisico-meccanica, microstrutturale e termica. Tali caratterizzazioni sono state eseguite attraverso: analisi al microscopio ottico, assorbimento di acqua, determinazione della densità geometrica, prove ultrasoniche per la determinazione dell’omogeneità del materiale, resistenza meccanica a compressione, diffrattometria ai raggi X (XRD), microscopio riscaldante, ciclo termico in muffola e analisi dilatometriche. Nella terza fase sono stati analizzati ed elaborati i risultati ottenuti, evidenziando le soddisfacenti proprietà di stabilità e resistenza termica. È stata inoltre effettuata una analisi economica preliminare evidenziando la competitività nel marcato del sistema geopolimerico studiato. Se a questo si aggiungono i considerevoli benefici ambientali dovuti al fatto che il prodotto è ottenuto con sostanze di recupero, non sarebbe sorprendente che in un futuro prossimo i geopolimeri possano essere largamente prodotti e commercializzati.

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Thèse numérisée par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Thèse numérisée par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Carbon fibre reinforced polymers (CFRP) are increasingly being used in the aerospace, automotive and defence industry due to their high specific stiffness and good corrosion resistance. In a modern aircraft, 50-60% of its structure is made up of CFRP material while the remainder is mostly a combination of metallic alloys (typically aluminium or titanium alloys). Mechanical fastening (bolting or riveting) of CFRP and metallic components has thus created a pressing requirement of drilling several thousand holes per aircraft. Drilling of stacks in a single-shot not only saves time, but also ensures proper alignment when fasteners are inserted, achieving tighter geometric tolerances. However, this requirement poses formidable manufacturing challenges due to the fundamental differences in the material properties of CFRP and metals e.g. a drill bit entering into the stack encounters brittle and abrasive CFRP material as well as the plastic behaviour of the metallic alloy, making the drilling process highly non-linear.

Over the past few years substantial efforts have been made in this direction and majority of the research has tried to establish links between how the process parameters (feed, depth of cut, cutting speed), tooling (geometry, material and coating) and the wear of the cutting tool affect the hole quality. Similarly, multitudes of investigations have been conducted to determine the effects of non-traditional drilling methods (orbital, helical and vibration assisted drilling), cutting zone temperatures and efficiency of chip extraction on the hole quality and rate of tool wear during single shot drilling of CFRP/alloy stacks.

In a timely effort, this paper aims at reviewing the manufacturing challenges and barriers faced when drilling CFRP/alloy stacks and to summarise various factors influencing the drilling process while detailing the advances made in this fertile research area of single-shot drilling of stack materials. A survey of the key challenges associated with avoiding workpiece damage and the effect these challenges have on tool design and process optimisation is presented. An in depth critique of suitable hole making methods and their aptness for commercialisation follows. The paper concludes by summarising the future work required to achieve repeatable, high quality single shot drilled holes in CFRP/alloy stacks.

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With ever increasing demands to strengthen existing reinforced concrete structures to facilitate higher loading due to change of use and to extend service lifetime, the use of fibre reinforced polymers (FRPs) in structural retrofitting offers an opportunity to achieve these aims. To date, most research in this area has focussed on the use of glass fibre reinforced polymer (GFRP) and carbon fibre reinforced polymer (CFRP), with relatively little on the use of basalt fibre reinforced polymer (BFRP) as a suitable strengthening material. In addition, most previous research has been carried out using simply supported elements, which have not considered the beneficial influence of in-plane lateral restraint, as experienced within a framed building structure. Furthermore, by installing FRPs using the near surface mounted (NSM) technique, disturbance to the existing structure can be minimised.
This paper outlines BFRP NSM strengthening of one third scale laterally restrained floor slabs which reflect the inherent insitu compressive membrane action (CMA) in such slabs. The span-to-depth ratios of the test slabs were 20 and 15 and all were constructed with normal strength concrete (~40N/mm2) and 0.15% steel reinforcement. 0.10% BFRP was used in the retrofitted samples, which were compared with unretrofitted control samples. In addition, the bond strength of BFRP bars bonded into concrete was investigated over a range of bond lengths with two different adhesive thicknesses. This involved using an articulated beam arrangement in order to establish optimum bond characteristics for use in strengthening slab samples.

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A presente dissertação incide sobre o estudo dos efeitos do confinamento com materiais compósitos de polímeros reforçados com fibras de carbono (CFRP) em pilares de estruturas de betão armado. A motivação para este estudo surge da necessidade de aprofundar conhecimentos acerca do comportamento dos pilares de betão reforçados por confinamento com CFRP, uma vez que a sua aplicação apresenta uma crescente importância, por exemplo, para aumento da resistência e da ductilidade de estruturas de betão armado. Fez-se, inicialmente, uma breve revisão das técnicas de reforço convencionais utilizadas em pilares de betão armado, com ênfase no reforço exterior com polímeros reforçados com fibras. A elevada resistência à tração, à corrosão e à fadiga, o baixo peso volúmico, a versatilidade e a diversidade dos sistemas comercializados com CFRP tornam este material muito competitivo para este tipo de aplicação. Na sequência desse estudo, realizou-se uma revisão bibliográfica acerca dos modelos de comportamento que permitem prever o desempenho de pilares de betão confinados com CFRP, sujeitos a esforços de compressão. Como forma de análise desses modelos, desenvolveu-se uma ferramenta numérica em ambiente Mathworks - Matlab R2015a, que permitiu a obtenção e posterior comparação dos diagramas de tensão-extensão descritos pelos modelos desenvolvidos por Manfredi e Realfonzo (2001), Ferreira (2007) e Wei e Wu (2011). Por fim, comparam-se os resultados experimentais de Paula (2003) e de Rocca (2007) com os dos modelos constitutivos referidos anteriormente, analisando-se também a influência de vários fatores na eficácia do confinamento, tais como o boleamento, o número de camadas de CFRP e a geometria da secção transversal. Foram ainda comparados e discutidos resultados relativos ao confinamento parcial de pilares. Os resultados obtidos indicam que os modelos analíticos representam relativamente bem o andamento das curvas do betão confinado para secções circulares, quadradas e retangulares, verificando-se as principais discrepâncias nestas duas últimas tipologias de secção transversal, dada a dificuldade associada à quantificação de parâmetros associados ao seu comportamento (por exemplo, boleamento de arestas). No entanto, verificou-se igualmente que com um adequado boleamento de arestas (e consequente aumento da relação entre o raio de canto e a largura da secção de betão), bem como com um aumento do número de camadas de material compósito, é possível aumentar a tensão resistente e a extensão axial na rotura do betão à compressão.