937 resultados para Archeologia, paesaggio, Verucchio, Museo
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Experiencia didáctica realizada con alumnado preuniversitario para investigar en la práctica docente. El alumnado prepara un Taller sobre cuatro protagonistas literarias galdosianas y lo pone en práctica en las dependencias de la Casa-Museo del novelista en Las Palmas de Gran Canaria.
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[ES] El Museo de Arte Sacro de Santiago de los Caballeros, inaugurado en 1969 y remodelado en 1999, es el museo más antiguo de Gáldar (Gran Canaria, España). Está ubicado en la iglesia del mismo patrón y, actualmente, está cerrado al público, por lo que se necesita un plan de acción para recuperarlo. En este proyecto, se pretende aportar propuestas de gestión y acondicionamiento para que en un futuro vuelva a estar abierto al público. El museo es poco conocido y la juventud muestra poco interés en él. La revalorización del museo es necesaria, ya que contiene algunas de las piezas y documentos más importantes de Canarias. Asimismo, alberga obras que han sido exhibidas fuera de las islas, en ciudades como Valladolid, San Sebastián o Manila. También veremos que la utilización de internet y el aprovechamiento de la infraestructura disponible son fundamentales para la realización de las propuestas.
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[ES] En el año 2009, desde la iniciativa privada se pone en marcha esta plataforma web con el objetivo de fomentar la protección del patrimonio cultural subacuático de Canarias, y aprovechar las TICs para poner en conocimiento del público, de todos los ciudadanos, la riqueza y el valor de la historia y cultura sumergida, junto con el rico y variado patrimonio natural submarino, su flora y su fauna. Difundir el conocimiento y ponerlo en valor como un recurso turístico y didáctico, especialmente en el mundo del buceo en las islas, y ponerlo al servicio de la promoción turística de las islas en Europa, aprovechando las excelentes condiciones climáticas y marítimas que tiene el Archipiélago Canario.
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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.
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Presentación del proyecto realizada en el Museo Nacional de Arte Romano, Mérida (Badajoz), el 29 de marzo de 2016.
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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali;per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.
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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali; per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.
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La tesi si pone come finalità quella di analizzare un comprensorio territoriale dal punto di vista insediativo, cercando di coglierne le peculiarità e i mutamenti nel lungo periodo attraverso un uso incrociato di fonti scritte e archeologiche. La ricerca ha preso avvio dall’analisi del Saltopiano, uno dei distretti di ambito rurale che si ritrova nelle fonti tra IX-XII secolo, in passato già affrontato dalla storiografia specialmente in relazione all’organizzazione istituzionale delle aree rurali tra Longobardia e Romania durante i secoli altomedievali. Attraverso l’esame delle fonti scritte edite si è cercato di ricostruire il quadro dell’organizzazione territoriale, partendo dalla disamina dei centri di potere laici ed ecclesiastici che a questa area avevano rivolto il proprio interesse patrimoniale e politico, ma proponendo in modo analitico i dati che forniscono indicazioni dirette in relazione all’organizzazione insediativa e quindi alla gestione del territorio dal punto di vista socioeconomico. E’ stato posto in risalto il carattere di un insediamento rurale a maglie larghe, secondo la scansione in fundi e la presenza di poli di accentramento importanti come pievi, castra, vici e con una compresenza, per quanto ristretta a pochi esempi significativi, di altre forme di organizzazione come la curtis e la massa. Con la prosecuzione dello studio del territorio in senso diacronico, prima la scomparsa del riferimento al Saltopiano, poi la progressiva conquista del contado da parte del Comune di Bologna ha determinato un vero e proprio mutamento nell’approccio di analisi. E’ stato dato spazio all’analisi di fondi inediti (conservati principalmente all’Archivio di Stato di Bologna) e specificamente legati alla realtà territoriale studiata. In primo luogo, sono stati esaminati gli estimi del contado (Galliera e Massumatico), una fonte già frequentata in passato da altri studiosi, soprattutto con un interesse dal punto di vista demografico e economico. Nel caso specifico, sono stati estrapolati dalle prime rilevazioni fiscali del 1235 e del 1245 e poi da quelle di primo Trecento i dati che restituiscono l’organizzazione del territorio in modo concreto. Partendo dalle riflessioni di studi svolti in passato, che avevano considerato il fondamentale inserimento di importanti famiglie cittadine nella gestione sempre più ampia dei beni agricoli nel contado è stata avviata l’analisi di un altro fondo inedito, quello dei registri del Vicariato di Galliera (in particolare quelli concernenti la denuncia dei “danni dati” sulle proprietà agricole), da cui emerge in modo evidente la presenza di famiglie come i Guastavillani, i Caccianemici, i Lambertini. Tali dati, in associazione a quelli tratti dagli estimi, hanno fornito elementi essenziali per la comprensione del territorio rurale nel suo complesso e nei rapporti di interdipendenza tra le diverse componenti sociali. Una terza parte della tesi è dedicata nella sua totalità all’analisi delle fonti materiali che forniscono dati per lo studio dell’insediamento medievale nel territorio compreso tra gli attuali comuni di S. Pietro in Casale e Galliera. Partendo da alcune ricerche preliminari compiute negli anni ’90 del secolo scorso, è stato impostato un progetto di ricerca archeologica articolatosi in due campagne di ricognizione di superficie e in una prima campagna di scavo tramite sondaggio presso la torre di Galliera, al fine di ricavare dati di prima mano in un’area pressoché inesplorata dal punto di vista archeologico. Nonostante i limiti riscontrati dal punto di vista pratico, a causa del terreno fortemente alluvionato, si sono raccolti dati specifici che aiutano a inquadrare questo comprensorio e a confrontarlo con altre aree della regione e in particolare del comitato bolognese studiate in ricerche analoghe, mettendone in evidenza le specificità e le caratterizzazioni. Inoltre, alcune importanti persistenze materiali (un sistema di torri di cui rimangono alcuni esempi ancora conservati in alzato) hanno permesso di gettare luce sul valore commerciale e quindi strategico dell’area, soprattutto in funzione del passaggio delle merci lungo una via fluviale fondamentale tra XIII-XIV secolo nel collegare Ferrara a Bologna.