999 resultados para Filosofia de la ciència
Resumo:
Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Organizado por Ana Maria de Andrade Caldeira, este livro é composto por 16 capítulos escritos por professores e pós-graduandos de diversas especialidades científicas. Eles procuram problematizar questões fundamentais para o ensino de disciplinas como Biologia, Física e Matemática. Os autores apresentam estudos teóricos e empíricos com conteúdos extraídos da História e Filosofia das Ciências, tentando, ao mesmo tempo, lançar um olhar para a sala de aula, localizando e criticando conceitos que, eventualmente, são trabalhados de forma distorcida ou inadequada, com reflexos diretos e negativos na prática docente e na disseminação do conhecimento científico. Organizado de forma didática, o livro se divide em quatro grandes subáreas, cada uma delas agrupando estudos sobre diversos temas afins da Matemática, Física, Química e Biologia, respectivamente. O fio condutor da obra está na interface que todos os autores constroem entre o tema discutido e a História ou a Filosofia referentes aos quatro grandes blocos que o livro aborda. Embora denso e bastante específico, trata-se de um trabalho de leitura agradável.
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This article integrates results from reflections on the importance of history and philosophy of science for science education and teacher training. Centrally, was based on results from reflections on the importance of this knowledge for teacher training and action planning of science teaching by the teacher, through a thematic approach. To address this latter topic, we attempted to do so by considering the action planning of science teaching in elementary schools. This option is due to the fact that in the discipline, be clearly stated the broad reach of its area, to integrate knowledge about nature, human beings and technology, among others, in a historical and philosophical perspective.
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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
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In base ad una recensione esaustiva dei riferimenti alla musica e al sonoro nella produzione filosofica di Gilles Deleuze e Félix Guattari, la presente ricerca s’incentra sulla posizione che il pensiero musicale di John Cage occupa in alcuni testi deleuziani. Il primo capitolo tratta del periodo creativo di Cage fra il 1939 e il 1952, focalizzandosi su due aspetti principali: la struttura micro-macrocosmica che contraddistingue i suoi primi lavori, e i quattro elementi che in questo momento sintetizzano per Cage la composizione musicale. Questi ultimi sono considerati in riferimento alla teoria della doppia articolazione che Deleuze e Guattari riprendono da Hjelmslev; entrambi gli aspetti rimandano al sistema degli strati e della stratificazione esposta su Mille piani. Il secondo capitolo analizza la musica dei decenni centrali della produzione cagiana alla luce del luogo in Mille piani dove Cage è messo in rapporto al concetto di “piano fisso sonoro”. Un’attenzione particolare è posta al modo in cui Cage concepisce il rapporto fra durata e materiali sonori, e al grado variabile in cui sono presenti il caso e l’indeterminazione. Le composizioni del periodo in questione sono inoltre viste in riferimento al concetto deleuzo-guattariano di cartografia, e nelle loro implicazioni per il tempo musicale. L’ultimo quindicennio della produzione di Cage è considerata attraverso il concetto di rizoma inteso come teoria delle molteplicità. In primo luogo è esaminata la partitura di Sylvano Bussotti che figura all’inizio di Mille piani; in seguito, i lavori testuali e musicali di Cage sono considerati secondo le procedure compositive cagiane del mesostico, delle parentesi di tempo che concorrono a formare una struttura variabile, e dell’armonia anarchica dell’ultimo Cage.
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1. Nuestra investigación se centra en el estudio de los “ámbitos o espacios intermedios” en momentos de la arquitectura contemporánea, en un período de transición entre finales de los años 80 y nuestros días. Pretendemos analizar cómo se presenta el ámbito intermedio en el objeto o lugar arquitectónico y su función o relación con el entorno cercano, desde el proyecto hasta su repercusión en la experiencia vivida. 2. El concepto de intermedio entendido como ámbito o espacio intersticial, fronterizo y ambivalente (o multivalente), atraviesa en la presente investigación el campo de la etimología, de la ciencia, del pensamiento y del arte, para detenerse en la arquitectura actual, llevándose a cabo una indagación concreta en el proceso de concepción, en la propuesta formal, espacial y funcional, así como en la percepción y demás experiencias o vivencias en el lugar arquitectónico. 3. En primer lugar nos proponemos estudiar y explorar el concepto de “intermedio” en sus características, funciones y ubicaciones dentro de la cultura contemporánea, detectando sus antecedentes culturales más importantes, para a continuación aplicarlo reflexivamente a obras significativas de arquitectura. La investigación se enfoca en la modalidad figural (imprecisa) de lo intermedio (en alusión al “figural” deleuziano), cuyas metáforas base son lo translúcido, la penumbra y la espuma, vinculadas al actual paradigma cultural de la complejidad (C. Jencks). A continuación se analizan las relaciones o implicaciones de dicha modalidad figural en obras de arquitectos como Eisenman, Holl, Tschumi, Ito, Fujimoto, Van Berkel y Bos, y Siza, comprobando su valor operativo y poniendo de manifiesto su sentido e importancia en la actualidad y en la disciplina. El estudio tiene como trasfondo el concepto de in-between de la obra de Eisenman, y utiliza conceptos de la filosofía del límite de Trías como algunos de sus principales fundamentos. 4. En cada una de las obras de arquitectura presentadas esta modalidad imprecisa se traduce en un ámbito o espacio intermedio figural específico. Son obras en las que real y virtual, matricial y objetual, arquitectura y territorio, existente y nuevo, colectivo e individual, social e íntimo, interior y exterior, y demás usos y funciones se entrelazan o funden. Son arquitecturas cuya geometría ya no se encuentra tan determinada por aspectos bi o tridimensionales del dibujo o de la construcción. A través de la manipulación de estas geometrías más o menos complejas, dinámicas e intersticiales, estas obras reflejan (o intuyen) las premisas del actual Zeitgeist: un cambio de esquemas de objetos a relaciones basado en un pensamiento más holístico, transdisciplinar, sistémico o complejo (E. Morin), y una nueva conciencia colectiva sobre la realidad que anuncia la crisis de la percepción, el cambio de paradigma y nuevos valores (F. Capra). Emerge otra forma de sentir y percibir el mundo, los lugares y los espacios, que poco a poco está cambiando el modo de pensar y dibujar la arquitectura, y consecuentemente de interaccionar con ella. 5. El sentido del espacio intermedio figural, emerge en las cada vez más complejas cualidades morfológico-espaciales y funcionales de una parte importante de la arquitectura actual. Arquitectura, geometría y tecnología informática están más entrelazadas que nunca, y de un modo más libre, para así poder indagar en nuevas formas de pensar y crear lugares en que los “espacios intermedios” que investigamos son un testimonio. El espacio arquitectónico se vuelve afectivo e interactivo, un lugar intermedio figural, formalizado por espacialidades intersticiales que parecen aludir a lo líquido, donde la forma es más matriz que configuración, el espacio más espacialidad que compartimiento, la función más versátil y multivalente que específica o autónoma, y la perplejidad, la imaginación y la evocación se entrecruzan y vuelven patentes. 6. La arquitectura de los lugares intermedios valora no solamente el “plano”, la “configuración” y la “transparencia”, sino sobre todo el “espacio” y la “relación” en sus interrelaciones con los usuarios y demás contextos. De la identidad a la relacionalidad, de la representación a la presentación, es una arquitectura que propone “otros espacios” que más que espacios son topografías y espacialidades intersticiales, de tensión, transición, transformación, relación, intercambio e interacción. Son lugares intermedios reales y virtuales, que se sirven tanto de la morfología como de la topología para conquistar nuevas espacialidades, pretendiendo salir de la estricta operación de “forming”/”morphing”/formación/”conformación” para explorar la de “spacing”/espaciamiento. Son lugares que se basan en conceptos como la zona de indiscernibilidad de Deleuze, la imagen- flujo de Buci-Glucksmann, la suspensión-entre de Sloterdijk, o el espacio no-objetivo al que se refiere José Gil, plasmándose en la arquitectura contemporánea como tropos de lo intersticial. 7. Son los lugares intermedios de la arquitectura actual, de espacialidad háptica, más “afectiva”, generativa e interactiva, donde ese ámbito intermedio transforma y es transformado, “afecta”, “con-mueve” (nos hace mover/accionar) y evoca otros lugares, otras posibilidades de espacio habitable u ocupable. Emerge lo intermedio como lugar, algo que anuncia y exhibe, de manera paradigmática y manifiesta, el monumento de Eisenman en Berlín. ABSTRACT 1. Our research focuses on the study of “in-between spaces or environments” at particular times in contemporary architecture, in a transition period from the end of the 1980’s through to today. We aim to analyse how in-between environments are presented in the architectural object or place and their function or their relationship with the nearby surroundings, from the project through to the experience had. 2. In this research, the in-between concept, understood as an interstitial, border and ambivalent (or multi-purpose) environment or space, is assessed from the viewpoint of etymology, science, thought and art, to conclude in current architecture, with specific exploration of the conception process, of the formal, spatial and functional proposal, together with the perception and other experiences in the architectural place. 3. Firstly, we aim to study and explore the “in-between” concept as regards its features, functions and locations within contemporary culture, revealing its most important cultural background, to then apply it reflexively to important works of architecture. The research focuses on the figural (imprecise) mode of in-between (in allusion to Deleuze’s “figural” approach) whose base metaphors are the translucent, semi-darkness and foam, linked to the current cultural paradigm of complexity (C. Jenks). We then go on to assess the relationships or implications of said figural mode in architectural works by Eisenman, Holl, Tschumi, Ito, Fujimoto, Van Berkel and Bos, and Siza, verifying their operational worth and revealing their meaning and importance today and in this discipline. The backdrop of the study is the in-between concept of Eisenman’s work and it also uses concepts from the philosophy of the limit of Trías as its main underpinnings. 4. In each of the architectural works presented, this imprecise mode is translated into a specific in-between environment or space. They are works in which real and virtual, matricial and objectual, architecture and territory, existing and new, collective and individual, social and intimate, interior and exterior and other uses and functions all intertwine or blend together. They are architectures the geometry of which is not so much determined by bi- or tri-dimensional aspects of the drawing or construction. Through the manipulation of these more or less complex, dynamic and interstitial geometries, these works reflect (or insinuate) the premises of the current Zeitgeist: A change in the scheme of objects to relationships towards a more holistic, transdisciplinary, systemic or complex thought (E. Morin), and a new collective conscience about the reality which announces the crisis of perception, the change in paradigm and new values (F. Capra). Another way of feeling and perceiving the world, places and spaces, which little by little is changing the way of thinking and drawing architecture and hence of interacting with it. 5. The meaning of figural in-between space emerges in the increasingly complex, morphological-spatial and functional qualities of a large part of architecture today. Architecture, geometry and computer technology are more than ever intertwined in a freer way to inquire into other ways of thinking and making places, where the “in-between” spaces we research are a testimony. Architectural space becomes affective and interactive, a figural in-between place, formed by interstitial spatiality which seems to allude to something liquid, where shape is more matrix than configuration, space more spatiality than compartment, its function more versatile and multi-purpose than specific or autonomous, and perplexity, imagination and evocation criss-cross each other, becoming obvious. 6. The architecture of in-between places values not only “flat”, “configuration” and “transparency”, but above all “space” and the “relationship” in its interrelations with users and other contexts. From identity to relationality, from representation to presentation, it is an architecture that proposes “other spaces”, which more than spaces are topographies and interstitial spatialities, of tension, transition, transformation, relation, exchange and interaction. They are real and virtual in-between places, that take in both morphology and topology to conquer new spatialities, aiming to depart from the strict “forming”/”morphing” operation in order to explore “spacing”. They are places that derive both from Deleuze’s indiscernibility zone concept, from Buci-Glucksmann´s image-flow concept, from Sloterdijk’s suspension-between, and from the non-objective space referred to by José Gil, and they are embodied in contemporary architecture as tropes of the interstitial. 7. They are the in-between places in architecture today, of haptic spatiality, more “affective”, generative and interactive, where that in-between environment transforms and is transformed, “affects”, “moves” (it makes us move/act) and evokes other places, other possibilities of habitable or occupiable space. The in-between emerges as a place, which paradigmatically and declaredly, Eisenman´s monument in Berlin announces and exhibits. RESUMO 1. A investigação centra-se no estudo dos “âmbitos ou espaços intermédios” em momentos da arquitectura contemporânea, no período de transição entre os finais dos anos 80 e os nossos dias. Pretende-se analisar como se apresenta o âmbito intermédio no objecto ou lugar arquitectónico e sua função ou relação com o meio envolvente, desde o projecto até à sua repercussão na experiencia vivenciada. 2. O conceito de intermédio entendido como âmbito ou espaço intersticial, fronteiriço e ambivalente (ou multivalente), atravessa na presente investigação o campo da etimologia, da ciência, do pensamento e da arte, para deter-se na arquitectura actual, realizando-se uma indagação concreta no processo de concepção, na proposta formal, espacial e funcional, assim como na percepção e demais experiencias ou vivencias no lugar arquitectónico. 3. Em primeiro lugar, explora-se o conceito de “intermédio” nas suas características, funções e concretizações na cultura contemporânea, detectando os seus antecedentes culturais mais importantes, para em seguida aplicá-lo reflexivamente a obras significativas de arquitectura. A investigação centra-se na modalidade figural (imprecisa) do intermédio (alusão ao figural deleuziano) cujas metáforas base são o translúcido, a penumbra e a espuma, relacionadas com o actual paradigma da complexidade (C. Jencks). Em seguida analisam-se as relações ou implicações da referida modalidade figural em obras de arquitectos como Eisenman, Holl, Tschumi, Ito, Fujimoto, Van Berkel e Bos, e Siza, como modo de comprovar o seu valor operativo e revelar o seu sentido e importância na actualidade e na disciplina. O estudo tem como referencia o conceito de in-between da obra de Eisenman, e utiliza conceitos da filosofia do limite de Trias como alguns dos seus principais fundamentos. 4. Em cada uma das obras de arquitectura apresentadas esta modalidade imprecisa traduz-se num âmbito ou espaço intermédia figural especifico. São obras nas quais real e virtual, matricial e objectual, arquitectura e território, existente e novo, colectivo e individual, social e intimo, interior e exterior, e outros usos e funções se entrelaçam ou fundem. São arquitecturas cuja geometria já não está tão determinada por aspectos bi ou tridimensionais do desenho ou da construção. Através do uso destas geometrias mais ou menos complexas, dinâmicas e intersticiais, estas obras reflectem (ou intuem) as premissas do actual zeitgeist: uma mudança de esquemas de objectos a relações para um pensamento mais holístico, transdisciplinar, sistémico ou complexo (E. Morin) e uma nova consciência colectiva sobre a realidade, que anuncia a crise da percepção, a mudança de paradigma e novos valores (F. Capra). Emerge uma outra forma de sentir e perceber o mundo, os lugares e os espaços, que gradualmente vai alterando o modo de pensar e desenhar a arquitectura, e consequentemente de interagir com ela. 5. O sentido do espaço intermédio figural, emerge nas cada vez mais complexas qualidades morfológico-espaciais e funcionais de uma parte importante da arquitectura actual. Cada vez mais, arquitectura, geometria e tecnologia informática, relacionam-se de um modo mais livre para indagar outras formas de pensar e fazer lugares, onde os espaços intermédios que investigamos são um testemunho. O espaço arquitectónico torna-se afectivo e interactivo, um lugar intermédio figural, formalizado por espacialidades intersticiais que parecem aludir ao estado liquido, onde a forma é mais matriz que configuração, o espaço mais espacialidade que compartimento, a função mais versátil e multivalente que especifica ou autónoma, e a perplexidade, a imaginação e a evocação entrecruzam-se e tornam-se patentes. 6. A arquitectura dos lugares intermédios valoriza não só o “plano”, a “configuração” e a “transparência”, mas sobretudo o” espaço” e a ”relação” nas suas inter-relações com os utentes e restante contextos. Da identidade à relacionalidade, da representação à apresentação, é uma arquitectura que propõe “outros espaços”, que além de espaços são topografias e espacialidades intersticiais, de tensão, transição, transformação, relação, intercambio e interacção. São lugares intermédios reais e virtuais que utilizam tanto a morfologia como a topologia para conquistar novas espacialidades, pretendendo ultrapassar a estrita operação de “forming”/“morphing”/formação para explorar a de “spacing”/espaçamento. São lugares que se apoiam tanto no conceito de zona de indescernibilidade de Deleuze, como na de imagem-fluxo de Buci-Glucksmann como no de suspensão–entre de Sloterdijk ou de espaço-não objectivo que refere José Gil, e se plasmam na arquitectura contemporânea como tropos do intersticial. 7. São os lugares intermédios da arquitectura actual, de espacialidade háptica, mais “afectiva”, generativa e interactiva, onde esse âmbito intermédio transforma e é transformado, “afecta”, ”co-move “(nos faz mover/agir) e evoca outros lugares, outras possibilidades de espaço habitável ou ocupável. Emerge o intermédio como lugar que, paradigmática e manifestamente, o monumento de Eisenmann em Berlim, anuncia e exibe.