821 resultados para PEDOT PEDOT:PSS polimeri biocompatibili colture cellulari


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Il carcinoma epatocellulare (HCC) è il più frequente tumore maligno del fegato e rappresenta il sesto tipo di tumore più comune nel mondo. Spesso i pazienti con HCC vengono diagnosticati a stadi piuttosto avanzati, quando le uniche opzioni terapeutiche in grado di migliorarne la sopravvivenza sono la chemoembolizzazione dell'arteria epatica ed il trattamento con l'inibitore multi-cinasico, Sorafenib. In questo contesto, la scoperta del ruolo centrale dei microRNA (miRNA) nella tumorigenesi umana risulta di fondamentale importanza per lo sviluppo di nuovi marcatori diagnostici e bersagli terapeutici. I microRNA (miRNA) sono delle piccole molecole di RNA non codificante, della lunghezza di 19-22 nucleotidi, filogeneticamente molto conservati, ed esercitano un ruolo cruciale nella regolazione di importanti processi fisiologici, quali sviluppo, proliferazione, differenziamento, apoptosi e risposta a numerosi segnali extracellulari e di stress. I miRNA sono inoltre responsabile della fine regolazione dell'espressione di centinaia di geni bersaglio attraverso il blocco della traduzione o la degradazione dell'mRNA target. Studi di profiling hanno evidenziato l'espressione aberrante di specifici miRNA in numerosi tipi di tumore umano. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di individuare un pannello di miRNA deregolati nell'epatocarcinoma umano e di caratterizzare il ruolo biologico di tre miRNA deregolati nell'HCC, al fine di individuare alcuni dei meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna miRNA-associata. La nostra ricerca è stata inoltre focalizzata nell'individuazione di nuovi bersagli e strumenti terapeutici, quali i microRNA, per il trattamento combinato di HCC in stadio intermedio-avanzato.

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Con il termine Smart Grid si intende una rete urbana capillare che trasporta energia, informazione e controllo, composta da dispositivi e sistemi altamente distribuiti e cooperanti. Essa deve essere in grado di orchestrare in modo intelligente le azioni di tutti gli utenti e dispositivi connessi al fine di distribuire energia in modo sicuro, efficiente e sostenibile. Questo connubio fra ICT ed Energia viene comunemente identificato anche con il termine Smart Metering, o Internet of Energy. La crescente domanda di energia e l’assoluta necessità di ridurre gli impatti ambientali (pacchetto clima energia 20-20-20 [9]), ha creato una convergenza di interessi scientifici, industriali e politici sul tema di come le tecnologie ICT possano abilitare un processo di trasformazione strutturale di ogni fase del ciclo energetico: dalla generazione fino all’accumulo, al trasporto, alla distribuzione, alla vendita e, non ultimo, il consumo intelligente di energia. Tutti i dispositivi connessi, diventeranno parte attiva di un ciclo di controllo esteso alle grandi centrali di generazione così come ai comportamenti dei singoli utenti, agli elettrodomestici di casa, alle auto elettriche e ai sistemi di micro-generazione diffusa. La Smart Grid dovrà quindi appoggiarsi su una rete capillare di comunicazione che fornisca non solo la connettività fra i dispositivi, ma anche l’abilitazione di nuovi servizi energetici a valore aggiunto. In questo scenario, la strategia di comunicazione sviluppata per lo Smart Metering dell’energia elettrica, può essere estesa anche a tutte le applicazioni di telerilevamento e gestione, come nuovi contatori dell’acqua e del gas intelligenti, gestione dei rifiuti, monitoraggio dell’inquinamento dell’aria, monitoraggio del rumore acustico stradale, controllo continuo del sistema di illuminazione pubblico, sistemi di gestione dei parcheggi cittadini, monitoraggio del servizio di noleggio delle biciclette, ecc. Tutto ciò si prevede possa contribuire alla progettazione di un unico sistema connesso, dove differenti dispositivi eterogenei saranno collegati per mettere a disposizione un’adeguata struttura a basso costo e bassa potenza, chiamata Metropolitan Mesh Machine Network (M3N) o ancora meglio Smart City. Le Smart Cities dovranno a loro volta diventare reti attive, in grado di reagire agli eventi esterni e perseguire obiettivi di efficienza in modo autonomo e in tempo reale. Anche per esse è richiesta l’introduzione di smart meter, connessi ad una rete di comunicazione broadband e in grado di gestire un flusso di monitoraggio e controllo bi-direzionale esteso a tutti gli apparati connessi alla rete elettrica (ma anche del gas, acqua, ecc). La M3N, è un’estensione delle wireless mesh network (WMN). Esse rappresentano una tecnologia fortemente attesa che giocherà un ruolo molto importante nelle futura generazione di reti wireless. Una WMN è una rete di telecomunicazione basata su nodi radio in cui ci sono minimo due percorsi che mettono in comunicazione due nodi. E’ un tipo di rete robusta e che offre ridondanza. Quando un nodo non è più attivo, tutti i rimanenti possono ancora comunicare tra di loro, direttamente o passando da uno o più nodi intermedi. Le WMN rappresentano una tipologia di rete fondamentale nel continuo sviluppo delle reti radio che denota la divergenza dalle tradizionali reti wireless basate su un sistema centralizzato come le reti cellulari e le WLAN (Wireless Local Area Network). Analogamente a quanto successo per le reti di telecomunicazione fisse, in cui si è passati, dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’70, ad introdurre schemi di rete distribuite che si sono evolute e man mano preso campo come Internet, le M3N promettono di essere il futuro delle reti wireless “smart”. Il primo vantaggio che una WMN presenta è inerente alla tolleranza alla caduta di nodi della rete stessa. Diversamente da quanto accade per una rete cellulare, in cui la caduta di una Base Station significa la perdita di servizio per una vasta area geografica, le WMN sono provviste di un’alta tolleranza alle cadute, anche quando i nodi a cadere sono più di uno. L'obbiettivo di questa tesi è quello di valutare le prestazioni, in termini di connettività e throughput, di una M3N al variare di alcuni parametri, quali l’architettura di rete, le tecnologie utilizzabili (quindi al variare della potenza, frequenza, Building Penetration Loss…ecc) e per diverse condizioni di connettività (cioè per diversi casi di propagazione e densità abitativa). Attraverso l’uso di Matlab, è stato quindi progettato e sviluppato un simulatore, che riproduce le caratteristiche di una generica M3N e funge da strumento di valutazione delle performance della stessa. Il lavoro è stato svolto presso i laboratori del DEIS di Villa Grifone in collaborazione con la FUB (Fondazione Ugo Bordoni).

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I RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) costituiscono un problema prioritario a livello europeo per quanto riguarda la loro raccolta, stoccaggio, trattamento, recupero e smaltimento, essenzialmente per i seguenti tre motivi: Il primo riguarda le sostanze pericolose contenute nei RAEE. Tali sostanze, nel caso non siano trattate in modo opportuno, possono provocare danni alla salute dell’uomo e all’ambiente. Il secondo è relativo alla vertiginosa crescita relativa al volume di RAEE prodotti annualmente. La crescita è dovuta alla continua e inesorabile commercializzazione di prodotti elettronici nuovi (è sufficiente pensare alle televisioni, ai cellulari, ai computer, …) e con caratteristiche performanti sempre migliori oltre all’accorciamento del ciclo di vita di queste apparecchiature elettriche ed elettroniche (che sempre più spesso vengono sostituiti non a causa del loro malfunzionamento, ma per il limitato livello di performance garantito). Il terzo (ed ultimo) motivo è legato all’ambito economico in quanto, un corretto trattamento dei RAEE, può portare al recupero di materie prime secondarie (alluminio, ferro, acciaio, plastiche, …) da utilizzare per la realizzazione di nuove apparecchiature. Queste materie prime secondarie possono anche essere vendute generando profitti considerevoli in ragione del valore di mercato di esse che risulta essere in costante crescita. Questo meccanismo ha portato a sviluppare un vasto quadro normativo che regolamenta tutto l’ambito dei RAEE dalla raccolta fino al recupero di materiali o al loro smaltimento in discarica. È importante inoltre sottolineare come lo smaltimento in discarica sia da considerarsi come una sorta di ‘ultima spiaggia’, in quanto è una pratica piuttosto inquinante. Per soddisfare le richieste della direttiva l’obiettivo dev’essere quello di commercializzare prodotti che garantiscano un minor impatto ambientale concentrandosi sul processo produttivo, sull’utilizzo di materiali ‘environmentally friendly’ e sulla gestione consona del fine vita. La Direttiva a livello europeo (emanata nel 2002) ha imposto ai Paesi la raccolta differenziata dei RAEE e ha definito anche un obiettivo di raccolta per tutti i suoi Stati Membri, ovvero 4 kg di RAEE raccolti annualmente da ogni abitante. Come riportato di seguito diversi paesi hanno raggiunto l’obiettivo sopra menzionato (l’Italia vi è riuscita nel 2010), ma esistono anche casi di paesi che devono necessariamente migliorare il proprio sistema di raccolta e gestione dei RAEE. Più precisamente in Italia la gestione dei RAEE è regolamentata dal Decreto Legislativo 151/2005 discusso approfonditamente in seguito ed entrato in funzione a partire dal 1° Gennaio 2008. Il sistema italiano è basato sulla ‘multi consortilità’, ovvero esistono diversi Sistemi Collettivi che sono responsabili della gestione dei RAEE per conto dei produttori che aderiscono ad essi. Un altro punto chiave è la responsabilità dei produttori, che si devono impegnare a realizzare prodotti durevoli e che possano essere recuperati o riciclati facilmente. I produttori sono coordinati dal Centro di Coordinamento RAEE (CDC RAEE) che applica e fa rispettare le regole in modo da rendere uniforme la gestione dei RAEE su tutto il territorio italiano. Il documento che segue sarà strutturato in quattro parti. La prima parte è relativa all’inquadramento normativo della tematica dei RAEE sia a livello europeo (con l’analisi della direttiva ROHS 2 sulle sostanze pericolose contenute nei RAEE e la Direttiva RAEE), sia a livello italiano (con un’ampia discussione sul Decreto Legislativo 151/2005 e Accordi di Programma realizzati fra i soggetti coinvolti). La seconda parte tratta invece il sistema di gestione dei RAEE descrivendo tutte le fasi principali come la raccolta, il trasporto e raggruppamento, il trattamento preliminare, lo smontaggio, il riciclaggio e il recupero, il ricondizionamento, il reimpiego e la riparazione. La terza definisce una panoramica delle principali metodologie di smaltimento dei 5 raggruppamenti di RAEE (R1, R2, R3, R4, R5). La quarta ed ultima parte riporta i risultati a livello italiano, europeo ed extra-europeo nella raccolta dei RAEE, avvalendosi dei report annuali redatti dai principali sistemi di gestione dei vari paesi considerati.

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The use of agents targeting EGFR represents a new frontier in colon cancer therapy. Among these, monoclonal antibodies (mAbs) and EGFR tyrosine kinase inhibitors (TKIs) seemed to be the most promising. However they have demonstrated low utility in therapy, the former being effective at toxic doses, the latter resulting inefficient in colon cancer. This thesis work presents studies on a new EGFR inhibitor, FR18, a molecule containing the same naphtoquinone core as shikonin, an agent with great anti-tumor potential. In HT-29, a human colon carcinoma cell line, flow cytometry, immunoprecipitation, and Western blot analysis, confocal spectral microscopy have demonstrated that FR18 is active at concentrations as low as 10 nM, inhibits EGF binding to EGFR while leaving unperturbed the receptor kinase activity. At concentration ranging from 30 nM to 5 μM, it activates apoptosis. FR18 seems therefore to have possible therapeutic applications in colon cancer. In addition, surface plasmon resonance (SPR) investigation of the direct EGF/EGFR complex interaction using different experimental approaches is presented. A commercially available purified EGFR was immobilised by amine coupling chemistry on SPR sensor chip and its interaction to EGF resulted to have a KD = 368 ± 0.65 nM. SPR technology allows the study of biomolecular interactions in real-time and label-free with a high degree of sensitivity and specificity and thus represents an important tool for drug discovery studies. On the other hand EGF/EGFR complex interaction represents a challenging but important system that can lead to significant general knowledge about receptor-ligand interactions, and the design of new drugs intended to interfere with EGFR binding activity.

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Analysis of publicly available genomes of Streptococcus pneumoniae has led to the identification of a new genomic element resembling gram-positive pilus islets (PIs). Here, we demonstrate that this genomic region, herein referred to as PI-2 (containing the genes pitA, sipA, pitB, srtG1, and srtG2) codes for a novel functional pilus in pneumococcus. Therefore, there are two pilus islets identified so far in this pathogen (PI-1 and PI-2). Polymerization of the PI-2 pilus requires the backbone protein PitB as well as the sortase SrtG1 and the signal peptidase-like protein SipA. PI-2 is associated with serotypes 1, 2, 7F, 19A, and 19F, considered to be emerging in both industrialized and developing countries. Interestingly, strains belonging to clonal complex 271 (CC271) contain both PI-1 and PI-2, as revealed by genome analyses. In these strains both pili are surface exposed and independently assembled. Furthermore, in vitro experiments provide evidence that the pilus encoded by PI-2 of S. pneumoniae is involved in adherence. Thus, pneumococci encode at least two types of pili that may play a role in the initial host cell contact to the respiratory tract. In addition, the pilus proteins are potential antigens for inclusion in a new generation of pneumococcal vaccines. Adherence by pili could represent important factor in bacterial community formation, since it has been demonstrated that bacterial community formation plays an important role in pneumococcal otitis media. In vitro quantification of bacterial community formation by S. pneumoniae was performed in order to investigate the possible role of pneumococcal pili to form communities. By using different growth media we were not able to see clear association between pili and community formation. But our findings revealed that strains belonging to MLST clonal complex CC15 efficiently form bacterial communities in vitro in a glucose dependent manner. We compared the genome of forty-four pneumococcal isolates discovering four open reading frames specifically associated with CC15. These four genes are annotated as members of an operon responsible for the biosynthesis of a putative lanctibiotic peptide, described to be involved in bacterial community formation. Our experiments show that the lanctibiotic operon deletion affects glucose mediated community formation in CC 15 strain INV200. Moreover, since glucose consumption during bacterial growth produce an acidic environment, we tested bacterial community formation at different pH and we showed that the lanctibiotic operon deletion affected pH mediated community formation in CC 15 strain INV200. In conclusion, these data demonstrate that the putative lanctibiotic operon is associated with pneumococcal CC 15 strains in vitro bacterial community formation.

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La depurazione è un processo finalizzato a ridurre in modo significativo le sostanze inquinanti presenti nelle acque reflue prima del loro rilascio in ambiente. L’uso delle alghe in impianti di depurazione di acque reflue prende il nome di ficorimedio e potrebbe rappresentare un’alternativa o una integrazione alla depurazione tradizionale dei reflui per il fatto che le alghe operano la rimozione di nutrienti e metalli pesanti dalle acque e al tempo stesso possono fornire biomassa utilizzabile come nuova fonte di energia. Lo scopo principale di questo lavoro è stato di saggiare la capacità depurativa di microalghe idonee per la depurazione dei reflui, questo è stato fatto tramite due esperimenti. Il primo esperimento è stato realizzato in modo tale da simulare un sistema continuo di crescita di Scenedesmus sp. andando a ricreare le stesse condizioni di un sistema all’aperto come negli open ponds, in particolare prelevando periodicamente una parte di biomassa e sostituendola con terreno nuovo. Sono state applicate tre diverse condizioni per analizzare quale metodo permetteva di ottenere maggiori valori di produttività di biomassa e per valutare come questa si diversifica nel tempo nella sua componente biochimica, inoltre si è valutata anche la componente fisiologica, attraverso la misura dell’efficienza fotosintetica. Nel successivo esperimento è stata utilizzata una popolazione algale naturale, proveniente dalla vasca di sedimentazione terziaria del depuratore di Ravenna, e fatta crescere nell’effluente primario. L’esperimento era volto a comprendere i processi di successione delle microalghe in un sistema aperto attraverso uno studio della composizione delle specie nel tempo e a confrontare la crescita e l’efficienza di fitodepurazione della popolazione mista con quelle di Scenedesmus sp. Nelle colture di Scenedesmus sp. in semicontinuo si è visto che il tempo di residenza idraulica minore determina una concentrazione di biomassa inferiore a quella che si ottiene nelle colture con tempi di residenza idraulica maggiori. La produttività dei polisaccaridi (g/L/day) risulta più elevata all’aumentare dei tempi di residenza idraulica, mentre per le proteine l’andamento è inverso. I valori di efficienza fotosintetica evidenziano fenomeni di fotoinibizione nella coltura con minor tempo di residenza idraulica senza che vi sia un danno dell’apparato fotosintetico. L’esperimento basato sulla crescita di una popolazione naturale in coltura batch ha mostrato che la velocità di crescita e la densità di biomassa raggiunta sono di poco inferiori a quelle della monocoltura di Scenedesmus sp. La popolazione è in grado di rimuovere i nutrienti presenti nell’effluente primario dopo 7 giorni, in un tempo maggiore rispetto a quello impiegato da Scenedesmus sp. Questo esperimento ha evidenziato che, sebbene Scenedesmus sp. fosse presente in scarsa quantità all’inizio dell’esperimento, la sua concentrazione aumenta nel tempo dimostrando così di essere maggiormente competitiva rispetto alle altre microalghe presenti nella coltura e di resistere a grazers e patogeni. I risultati ottenuti in questo studio sono importanti per la conduzione di esperimenti di ficodepurazione su scala più ampia e ha permesso di comprendere come la biomassa algale si caratterizza nel tempo andando a simulare le condizioni di crescita in un sistema continuo.

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Apple consumption is highly recomended for a healthy diet and is the most important fruit produced in temperate climate regions. Unfortunately, it is also one of the fruit that most ofthen provoks allergy in atopic patients and the only treatment available up to date for these apple allergic patients is the avoidance. Apple allergy is due to the presence of four major classes of allergens: Mal d 1 (PR-10/Bet v 1-like proteins), Mal d 2 (Thaumatine-like proteins), Mal d 3 (Lipid transfer protein) and Mal d 4 (profilin). In this work new advances in the characterization of apple allergen gene families have been reached using a multidisciplinary approach. First of all, a genomic approach was used for the characterization of the allergen gene families of Mal d 1 (task of Chapter 1), Mal d 2 and Mal d 4 (task of Chapter 5). In particular, in Chapter 1 the study of two large contiguos blocks of DNA sequences containing the Mal d 1 gene cluster on LG16 allowed to acquire many new findings on number and orientation of genes in the cluster, their physical distances, their regulatory sequences and the presence of other genes or pseudogenes in this genomic region. Three new members were discovered co-localizing with the other Mal d 1 genes of LG16 suggesting that the complexity of the genetic base of allergenicity will increase with new advances. Many retrotranspon elements were also retrieved in this cluster. Due to the developement of molecular markers on the two sequences, the anchoring of the physical and the genetic map of the region has been successfully achieved. Moreover, in Chapter 5 the existence of other loci for the Thaumatine-like protein family in apple (Mal d 2.03 on LG4 and Mal d 2.02 on LG17) respect the one reported up to now was demonstred for the first time. Also one new locus for profilins (Mal d 4.04) was mapped on LG2, close to the Mal d 4.02 locus, suggesting a cluster organization for this gene family, as is well reported for Mal d 1 family. Secondly, a methodological approach was used to set up an highly specific tool to discriminate and quantify the expression of each Mal d 1 allergen gene (task of Chapter 2). In aprticular, a set of 20 Mal d 1 gene specific primer pairs for the quantitative Real time PCR technique was validated and optimized. As a first application, this tool was used on leaves and fruit tissues of the cultivar Florina in order to identify the Mal d 1 allergen genes that are expressed in different tissues. The differential expression retrieved in this study revealed a tissue-specificity for some Mal d 1 genes: 10/20 Mal d 1 genes were expressed in fruits and, indeed, probably more involved in the allergic reactions; while 17/20 Mal d 1 genes were expressed in leaves challenged with the fungus Venturia inaequalis and therefore probably interesting in the study of the plant defense mechanism. In Chapter 3 the specific expression levels of the 10 Mal d 1 isoallergen genes, found to be expressed in fruits, were studied for the first time in skin and flesh of apples of different genotypes. A complex gene expression profile was obtained due to the high gene-, tissue- and genotype-variability. Despite this, Mal d 1.06A and Mal d 1.07 expression patterns resulted particularly associated with the degree of allergenicity of the different cultivars. They were not the most expressed Mal d 1 genes in apple but here it was hypotized a relevant importance in the determination of allergenicity for both qualitative and quantitative aspects of the Mal d 1 gene expression levels. In Chapter 4 a clear modulation for all the 17 PR-10 genes tested in young leaves of Florina after challenging with the fungus V. inaequalis have been reported but with a peculiar expression profile for each gene. Interestingly, all the Mal d 1 genes resulted up-regulated except Mal d 1.10 that was down-regulated after the challenging with the fungus. The differences in direction, timing and magnitude of induction seem to confirm the hypothesis of a subfunctionalization inside the gene family despite an high sequencce and structure similarity. Moreover, a modulation of PR-10 genes was showed both in compatible (Gala-V. inaequalis) and incompatible (Florina-V. inaequalis) interactions contribute to validate the hypothesis of an indirect role for at least some of these proteins in the induced defense responses. Finally, a certain modulation of PR-10 transcripts retrieved also in leaves treated with water confirm their abilty to respond also to abiotic stress. To conclude, the genomic approach used here allowed to create a comprehensive inventory of all the genes of allergen families, especially in the case of extended gene families like Mal d 1. This knowledge can be considered a basal prerequisite for many further studies. On the other hand, the specific transcriptional approach make it possible to evaluate the Mal d 1 genes behavior on different samples and conditions and therefore, to speculate on their involvement on apple allergenicity process. Considering the double nature of Mal d 1 proteins, as apple allergens and as PR-10 proteins, the gene expression analysis upon the attack of the fungus created the base for unravel the Mal d 1 biological functions. In particular, the knowledge acquired in this work about the PR-10 genes putatively more involved in the specific Malus-V. inaequalis interaction will be helpful, in the future, to drive the apple breeding for hypo-allergenicity genotype without compromise the mechanism of response of the plants to stress conditions. For the future, the survey of the differences in allergenicity among cultivars has to be be thorough including other genotypes and allergic patients in the tests. After this, the allelic diversity analysis with the high and low allergenic cultivars on all the allergen genes, in particular on the ones with transcription levels correlated to allergencity, will provide the genetic background of the low ones. This step from genes to alleles will allow the develop of molecular markers for them that might be used to effectively addressed the apple breeding for hypo-allergenicity. Another important step forward for the study of apple allergens will be the use of a specific proteomic approach since apple allergy is a multifactor-determined disease and only an interdisciplinary and integrated approach can be effective for its prevention and treatment.

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Nell’ambito di questa Tesi sono state affrontate le fasi di progettazione, sviluppo e caratterizzazione di materiali biomimetici innovativi per la realizzazione di membrane e/o costrutti 3D polimerici, come supporti che mimano la matrice extracellulare, finalizzati alla rigenerazione dei tessuti. Partendo dall’esperienza di ISTEC-CNR e da un’approfondita conoscenza chimica su polimeri naturali quali il collagene, è stata affrontata la progettazione di miscele polimeriche (blends) a base di collagene, addizionato con altri biopolimeri al fine di ottimizzarne i parametri meccanici e la stabilità chimica in condizioni fisiologiche. I polimeri naturali chitosano ed alginato, di natura polisaccaridica, già noti per la loro biocompatibilità e selezionati come additivi rinforzanti per il collagene, si sono dimostrati idonei ad interagire con le catene proteiche di quest’ultimo formando blends omogenei e stabili. Al fine di ottimizzare l’interazione chimica tra i polimeri selezionati, sono stati investigati diversi processi di blending alla base dei quali è stato applicato un processo complesso di co-fibrazione-precipitazione: sono state valutate diverse concentrazioni dei due polimeri coinvolti e ottimizzato il pH dell’ambiente di reazione. A seguito dei processi di blending, non sono state registrate alterazioni sostanziali nelle caratteristiche chimiche e nella morfologia fibrosa del collagene, a riprova del fatto che non hanno avuto luogo fenomeni di denaturazione della sua struttura nativa. D’altro canto entrambe le tipologie di compositi realizzati, possiedano proprietà chimico-fisiche peculiari, simili ma non identiche a quelle dei polimeri di partenza, risultanti di una reale interazione chimica tra le due molecole costituenti il blending. Per entrambi i compositi, è stato osservato un incremento della resistenza all’attacco dell’enzima collagenasi ed elevato grado di swelling, quest’ultimo lievemente inferiore per il dispositivo contenente chitosano. Questo aspetto, negativo in generale per quanto concerne la progettazione di impianti per la rigenerazione dei tessuti, può avere aspetti positivi poiché la minore permeabilità nei confronti dei fluidi corporei implica una maggiore resistenza verso enzimi responsabili della degradazione in vivo. Studi morfologici al SEM hanno consentito di visualizzare le porosità e le caratteristiche topografiche delle superfici evidenziando in molti casi morfologie ibride che confermano il buon livello d’interazione tra le fasi; una più bassa omogeneità morfologica si è osservata nel caso dei composti collagene-alginato e solo dopo reidratazione dello scaffold. Per quanto riguarda le proprietà meccaniche, valutate in termini di elasticità e resistenza a trazione, sono state rilevate variazioni molto basse e spesso dentro l’errore sperimentale per quanto riguarda il modulo di Young; discorso diverso per la resistenza a trazione, che è risultata inferiore per i campione di collagene-alginato. Entrambi i composti hanno comunque mostrato un comportamento elastico con un minore pre-tensionamento iniziale, che li rendono promettenti nelle applicazioni come impianti per la rigenerazione di miocardio e tendini. I processi di blending messi a punto nel corso della ricerca hanno permesso di ottenere gel omogenei e stabili per mezzo dei quali è stato possibile realizzare dispositivi con diverse morfologie per diversi ambiti applicativi: dispositivi 2D compatti dall’aspetto di membrane semitrasparenti idonei per rigenerazione del miocardio e ligamenti/tendini e 3D porosi, ottenuti attraverso processi di liofilizzazione, con l’aspetto di spugne, idonei alla riparazione/rigenerazione osteo-cartilaginea. I test di compatibilità cellulare con cardiomioblasti, hanno dimostrato come entrambi i materiali compositi realizzati risultino idonei a processi di semina di cellule differenziate ed in grado di promuovere processi di proliferazione cellulare, analogamente a quanto avviene per il collagene puro.

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Questo lavoro di tesi rientra nel progetto europeo SaveMe, al quale partecipa il gruppo di ricerca del dipartimento di chimica organica nel quale ho svolto l’attività di tirocinio. Obiettivo finale di tale progetto è la sintesi di nanoparticelle a base di PLGA (acido poli(D,L-lattico-co-glicolico)) superficialmente funzionalizzate con biomolecole, per l’impiego nel trattamento e nella diagnosi del cancro al pancreas. L’obiettivo da raggiungere nel primo anno di ricerca per il mio gruppo era la sintesi delle nanoparticelle centrali (core nanosystems). Nel presente lavoro sono quindi riportati i metodi di sintesi di polimeri derivati da PLGA e suoi copolimeri con PEG (polietilenglicole) aventi vari gruppi funzionali terminali: acidi idrossamici, amminici e acidi carbossilici. I polimeri sintetizzati sono stati caratterizzati tramite test colorimetrici qualitativi, 1H-NMR, 13C-NMR, spettrometria IR e TGA. Sono state sintetizzate nanoparticelle polimeriche (PNPs), con le tecniche Oil/Water (O/W) e nanoprecipitazione (NP), basate sui polimeri ottenuti, aventi quindi funzioni acide, idrossamiche ed amminiche sulla superficie. Su queste PNPs è stato effettuata una decorazione superficiale con nanoparticelle metalliche di maghemite (CAN-Maghemite). Le nanoparticelle polimeriche sono state caratterizzate tramite DLS e delle PNPs decorate sono state ottenute immagini TEM. Sono riportati inoltre i test di viabilità cellulare delle nanoparticelle ottenute.

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Il Protocollo di Montreal, che succede alla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono richiede l’eliminazione di idrocarburi contenenti cloro (CFC). Nel corso degli ultimi decenni ha quindi assunto importanza la reazione di idrodeclorurazione di clorofluorocarburi, in particolare rivolta alla produzione di idrocarburi fluorurati che sono risultati interessanti per la produzione di polimeri con specifiche caratteristiche di resistenza meccanica, termica e chimica. In questo lavoro di tesi, svolto in collaborazione con SOLVAY SPECIALTY POLYMERS ITALY, sono stati studiati catalizzatori innovativi per la produzione di perfluorometilviniletere (MVE), mediante idrodeclorurazione di perfluorometilcloroviniletere (AM). Attualmente la reazione di produzione industriale dell’MVE, condotta con l'utilizzo di quantità stechiometriche di Zn e dimetilformammide (DMF), presenta il notevole problema dello smaltimento di grandi quantità di zinco cloruro e di DMF. La reazione studiata, condotta in catalisi eterogenea, in presenta di H2, presenta una forte dipendenza dalla natura dei metalli utilizzati oltre che dal tipo di sintesi dei catalizzatori impiegati. Nell'ambito di questo lavoro è stato sviluppato un metodo, a basso impatto ambientale, per la sintesi si nanoparticelle preformate da utilizzare per la preparazione di catalizzatori supportati si TiO2 e SiO2. Le nanosospensioni ed i sistemi catalitici prodotti sono stati caratterizzati utilizzando diverse metodologie di analisi quali: XRD, XRF, TEM, TPR-MS, che hanno permesso di ottimizzare le diverse fasi della preparazione. Allo scopo di osservare effetti sinergici tra le specie utilizzate sono stati confrontati sistemi catalitici monometallici con sistemi bimetallici, rivelando interessanti implicazioni derivanti dall’utilizzo di fasi attive nanoparticellari a base di Pd e Cu. In particolare, è stato possibile apprezzare miglioramenti significativi nelle prestazioni catalitiche in termini di selettività a perfluorometilviniletere all’aumentare del contenuto di Cu. La via di sintesi ottimizzata e impiegata per la produzione di nanoparticelle bimetalliche è risultata una valida alternativa, a basso impatto ambientale, ai metodi di sintesi normalmente usati, portando alla preparazione di catalizzatori maggiormente attivi di quelli preparati con i metalli standard.

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It is well known that the best grape quality can occur only through the achievement of optimal source/sink ratio. Vine balance is in fact a key parameter in controlling berry sugar, acidity and secondary metabolites content (Howell, 2001; Vanden Heuvel et al., 2004). Despite yield reduction and quality improvement are not always strictly related, cluster thinning is considered a technique which could lead to improvement in grape sugar and anthocyanin composition (Dokoozlian and Hirschfelt, 1995; Guidoni et al., 2002). Among several microclimatic variables which may impact grape composition, the effect of cluster light exposure and temperature, which probably act in synergistic and complex way, has been widely explored showing positive even sometimes contradictory results (Spayd et al., 2001; Tarara et al., 2008). Pre-bloom and véraison defoliation are very efficient techniques in inducing cluster microclimatic modification. Furthermore pre-bloom defoliation inducing a lower berry set percentage On these basis the aim of the first experiment of the thesis was to verify in cv Sangiovese the effects on ripening and berry composition of management techniques which may increase source/sink ratio and /or promote light incidence on berries throughout grape ripening. An integrated agronomic, biochemical and microarray approach, aims to understand which mechanisms are involved in berry composition and may be conditioned in the berries during ripening in vines submitted to three treatments. In particular the treatments compared were: a) cluster thinning (increasing in source/sink ratio) b) leaf removal at véraison (increasing cluster light exposure) c) pre-bloom defoliation (increasing source sink ratio and cluster light exposure). Vine response to leaf removal at véraison was further evaluated in the second experiment on three different varieties (Cabernet Sauvignon, Nero d’Avola, Raboso Piave) chosen for their different genetic traits in terms of anthocyanin amount and composition. The integrated agronomic, biochemical and microarray approach, employed in order to understand those mechanisms involved in berry composition of Sangiovese vines submitted to management techniques which may increase source/sink ratio and induce microclimatic changes, bring to interesting results. This research confirmed the main role of source/sink ratio in conditioning sugars metabolism and revealed also that carbohydrates availability is a crucial issue in triggering anthocyanin biosynthesis. More complex is the situation of pre-bloom defoliation, where source/sink and cluster light increase effects are associated to determine final berry composition. It results that the application of pre-bloom defoliation may be risky, as too much dependent on seasonal conditions (rain and temperature) and physiological vine response (leaf area recovery, photosynthetic compensation, laterals regrowth). Early induced stress conditions could bring cluster at véraison in disadvantage to trigger optimal berry ripening processes compared to untreated vines. This conditions could be maintained until harvest, if no previously described physiological recovery occurs. Certainly, light exposure increase linked to defoliation treatments, showed a positive and solid effect on flavonol biosynthesis, as in our conditions temperature was not so different among treatments. Except the last aspects, that could be confirmed also for véraison defoliation, microclimatic changes by themselves seemed not able to induce any modification in berry composition. Further studies are necessary to understand if the peculiar anthocyanic and flavonols composition detected in véraison defoliation could play important role in both color intensity and stability of wines.

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Phenolic compounds play a central role in peach fruit colour, flavour and health attributes. Phenolic profiles of several peaches and nectarines and most of the structural genes leading to the anthocyanin synthesis in peach fruit have been studied. Moreover, crosses of red and non-red peaches suggested that a major gene controls skin colour of the extreme phenotypes ‘highlighter’ and ‘full-red’. However, there is no data about either the ‘flavan-3-ols specific genes’ (ANR and LAR) or the regulation of the flavonoid metabolism in this crop. In the present study, we determined the concentration of phenolic compounds in the yellowfleshed nectarine Prunus persica cv. ‘Stark Red Gold’ during fruit growth and ripening. We examined the transcript levels of the main structural genes of the flavonoid pathway. Gene expression of the biosynthetic genes correlated well with the concentration of flavan-3-ols, which was very low at the beginning of fruit development, strongly increased at mid-development and finally decreased again during ripening. In contrast, the only gene transcript which correlated with anthocyanin concentration was PpUFGT, which was high at the beginning and end of fruit growth, remaining low during the other developmental stages. These patterns of gene expression could be explained by the involvement of different transcription factors, which up-regulate anthocyanin biosynthesis (PpMYB10 and PpbHLH3), or repress (PpMYBL2) the transcription of the structural genes. These transcription factors appeared to be involved also in the regulation of the lightinduced anthocyanin accumulation in ‘Stark Red Gold’ nectarines, suggesting that they play a critical role in the regulation of flavonoid biosynthesis in peaches and nectarines in response to both developmental and environmental stimuli. Phenolic profiles and expression patterns of the main flavonoid structural and regulatory genes were also determined for the extreme phenotypes denominated ‘highlighter’ and ‘full-red’ and hypotheses about the control of phenolic compounds content in these fruit are discussed.

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Members of the genera Campylobacter and Helicobacter have been in the spotlight in recent decades because of their status as animals and/or humans pathogens, both confirmed and emerging, and because of their association with food-borne and zoonotic diseases. First observations of spiral shaped bacteria or Campylobacter-like organisms (CLO) date back to the end of the 19th century, however the lack of adequate isolation methods hampered further research. With the introduction of methods such as selective media and a filtration procedure during the 1970s led to a renewed interest in Campylobacter, especially as this enabled elucidation of their role in human hosts. On the other hand the classification and identification of these bacteria was troublesome, mainly because of the biochemical inertness and fastidious growth requirements. In 1991, the taxonomy of Campylobacter and related organisms was thoroughly revised, since this revision several new Campylobacter and Helicobacter species have been described. Moreover, thanks to the introduction of a polyphasic taxonomic practice, the classification of these novel species is well-founded. Indeed, a polyphasic approach was here followed for characterizing eight isolates obtained from rabbits epidemiologically not correlated and as a result a new Campylobacter species was proposed: Campylobacter cuniculorum (Chapter 1). Furthermore, there is a paucity of data regarding the occurrence of spiral shaped enteric flora in leporids. In order to define the prevalence both of this new species and other CLO in leporids (chapter 2), a total of 85 whole intestinal tracts of rabbits reared in 32 farms and 29 capture hares, epidemiologically not correlated, were collected just after evisceration at the slaughterhouse or during necroscopy. Examination and isolation methods were varied in order to increase the sensibility level of detection, and 100% of rabbit farms resulted positive for C. cuniculorum in high concentrations. Moreover, in 3.53% of the total rabbits examined, a Helicobacter species was detected. Nevertheless, all hares resulted negative both for Campylobacter or Helicobacter species. High prevalence of C. cuniculorum were found in rabbits, and in order to understand if this new species could play a pathological role, a study on some virulence determinants of C. cuniculorum was conducted (Chapter 3). Although this new species were able to adhere and invade, exert cytolethal distending toxin-like effects although at a low titre, a cdtB was not detected. There was no clear relationship between source of isolation or disease manifestation and possession of statistically significantly levels of particular virulence-associated factors although, cell adhesion and invasion occurred. Furthermore, antibiotic susceptibility was studied (chapter 4) in Campylobacter and in Escherichia coli strains, isolated from rabbits. It was possible to find acquired resistance of C. cuniculorum to enrofloxacin, ciprofloxacin and erytromycin. C. coli isolate was susceptible to all antimicrobial tested and moreover it is considered as a wild-type strain. Moreover, E. coli was found at low caecal concentration in rabbits and 30 phenotypes of antibiotic resistance were founded as well as the high rate of resistances to at least one antibiotic (98.1%). The majority of resistances were found from strains belonging to intensive farming system. In conclusion, in the course of the present study a new species isolated from rabbits was described, C. cuniculorum, and its high prevalence was established. Nevertheless, in hare samples no Campylobacter and Helicobacter species were detected. Some virulence determinants were further analyzed, however further studied are needed to understand the potential pathogenicity of this new species. On the other hand, antimicrobial susceptibility was monitored both in C. cuniculorum and indicator bacteria and acquired resistance was observed towards some antibiotics, indicating a possible role of rabbitries in the diffusion of antibiotic resistance. Further studies are necessary to describe and evaluate the eventual zoonotic role of Campylobacter cuniculorum.

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The ferric uptake regulator protein Fur regulates iron-dependent gene expression in bacteria. In the human pathogen Helicobacter pylori, Fur has been shown to regulate iron-induced and iron-repressed genes. Herein we investigate the molecular mechanisms that control this differential iron-responsive Fur regulation. Hydroxyl radical footprinting showed that Fur has different binding architectures, which characterize distinct operator typologies. On operators recognized with higher affinity by holo-Fur, the protein binds to a continuous AT-rich stretch of about 20 bp, displaying an extended protection pattern. This is indicative of protein wrapping around the DNA helix. DNA binding interference assays with the minor groove binding drug distamycin A, point out that the recognition of the holo-operators occurs through the minor groove of the DNA. By contrast, on the apo-operators, Fur binds primarily to thymine dimers within a newly identified TCATTn10TT consensus element, indicative of Fur binding to one side of the DNA, in the major groove of the double helix. Reconstitution of the TCATTn10TT motif within a holo-operator results in a feature binding swap from an holo-Fur- to an apo-Fur-recognized operator, affecting both affinity and binding architecture of Fur, and conferring apo-Fur repression features in vivo. Size exclusion chromatography indicated that Fur is a dimer in solution. However, in the presence of divalent metal ions the protein is able to multimerize. Accordingly, apo-Fur binds DNA as a dimer in gel shift assays, while in presence of iron, higher order complexes are formed. Stoichiometric Ferguson analysis indicates that these complexes correspond to one or two Fur tetramers, each bound to an operator element. Together these data suggest that the apo- and holo-Fur repression mechanisms apparently rely on two distinctive modes of operator-recognition, involving respectively the readout of a specific nucleotide consensus motif in the major groove for apo-operators, and the recognition of AT-rich stretches in the minor groove for holo-operators, whereas the iron-responsive binding affinity is controlled through metal-dependent shaping of the protein structure in order to match preferentially the major or the minor groove.