409 resultados para MUSEOLOGIA


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

“Il museo sta cambiando. In passato, era un luogo di certezze assolute, fonte di definizioni, di valori e di dottrina in materia d'arte, a tutto campo; era il luogo in cui non ci si ponevano interrogativi ma si davano autorevoli risposte.[...]“ 1 Il collezionismo d'arte comincia con il Rinascimento italiano, che sviluppa un particolare senso della storia, un entusiasmo per i prodotti dell'Antichità classica e per tutti i generi dell'arte contemporanea, pensati per la residenza privata, e in realtà, per esse fabbricati: dipinti di soggetto mitologico, quadri di artisti fiamminghi, piccoli bronzi e, al nord arte grafica. Il collezionismo in senso stretto fu agli inizi del secolo connesso solo con le antichità. Verso la fine del Cinquecento, vanno manifestandosi parecchie innovazioni. Per la prima volta compare la parola museo, che era già stata adottata in Alessandria durante il periodo Ellenistico per designare tutto l'ambito degli edifici per la cultura in cui era compresa la biblioteca. Inizialmente tutte le collezioni erano private, ma potevano essere visitate dalle élite sociali. L‟istituzione del museo che noi oggi conosciamo, nasce dall‟ Europa illuminista del XVIII secolo: infatti in questo periodo fu deliberatamente progettato uno spazio architettonico appropriato che desse forma universalmente riconoscibile all‟idea di museo. Poniamo gli esempi del Museo di Villa Albani nel 1746 e il Museo Pio Clementino in Vaticano nel 1775, che per primi si pongono il problema della progettazione architettonica, dell‟allestimento e ordinamento adeguati a un museo aperto al pubblico. Mentre per Villa Albani si trattava pur sempre di una raccolta privata visitabile, il museo voluto dai papi Clemente XIV e Pio VI per le collezioni archeologiche era già pensato come un‟istituzione di interesse pubblico. Gli ultimi tre secoli del secondo millennio hanno visto la crescita dell‟istituzione del museo, diventata esponenziale negli ultimi decenni del XX secolo. I tempi hanno coinciso con la nascita, l‟affermazione rivoluzionaria, il trionfo e il consolidamento della cultura nell‟età della borghesia. 2 “Mentre prima il museo non era che un luogo pieno di oggetti, oggi è diventato un luogo pieno di idee, che vengono suggerite dalle indicazioni e dalle descrizioni accompagnanti gli oggetti esposti, dato che il museo è come un libro aperto che si offre allo studioso e a chi desidera formarsi una coltura.[...]3 1 Karsten Schubert, Museo. Storia di un'idea - dalla Rivoluzione francese ad oggi, il Saggiatore, Milano 2004, p.17. 2 Alessandra Mottola Molfino, Il libro dei musei, Umberto Alemandi & C., Torino 1991, pp. 11-22 3 Daniele Donghi, Manuale dell'architetto Volume II, Unione Tipografico Editrice Torinese, Torino 1935, p. 11. 8 Un museo non è definito solo in base all'importanza e alla qualità delle sue raccolte, ma soprattutto da come vengono recepite da chi le esamina, sia per motivi di studio che per interesse personale. Per questo motivo si deve mettere in grado le diverse categorie di fruitori, di accedere al museo con il minor spreco di tempo possibile e con il maggior profitto. L'effetto che si vuole ottenere deriva sia dal metodo di esposizione degli oggetti, sia da una buona soluzione tecnica relativa alle dimensioni, alla forma, alla distribuzione, riscaldamento e ventilazione dei locali, all'illuminazione degli oggetti e ai mezzi di loro conservazione e sicurezza. Il museo moderno dovrà coniugare al suo interno museografia e museologia. Dove“[...]per museografia si intende l'insieme delle azioni progettuali, scientifiche e tecniche, tendenti alla sistemazione organizzativa del museo (distributiva, impiantistica, tecnica, architettonica, allestitiva, informatica); appartiene in genere all'opera dell'architetto, con la collaborazione di strutturisti, impiantisti e informatici. Al contrario per museologia si intende l'insieme delle azioni di ricerca storica, filologica, di comparazione critica che presiede all'ordinamento dell'esposizione delle opere; generalmente appartiene allo storico dell'arte, allo storico della scienza, all'archeologo, all'antropologo [...].”4 Confrontando progetti museografici e museali dei primi musei con esempi moderni e contemporanei, si intendono ricavare i caratteri fondamentali che permettano di presentare un progetto per museo coerente all'area di studio, e che riesca a rivelare la vera natura degli oggetti che andrà a ospitare attraverso uno studio specifico dei percorsi e degli allestimenti.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Alla luce della vasta letteratura storico-artistica sorta, negli ultimi anni, sul paesaggio dipinto, sulla sua storia e sui suoi protagonisti, sulla filiera delle influenze e sulle varie declinazioni stilistiche che lo caratterizzano, uno studio sulle Origini del genere all’alba della modernità può sembrare destinato, non tanto ad aggiungere nuove informazioni, quanto a sistematizzare quelle sinora emerse. Eppure, il problema del paesaggio come oggetto semiotico deve ancora essere chiarito. Gli storici dell’arte si sono sostanzialmente limitati a rimuovere la questione, dietro l’idea che i quadri della natura siano rappresentazioni votate alla massima trasparenza, dove ha luogo “una transizione diretta dai motivi al contenuto” (Panofsky 1939, p. 9). Questo studio recupera e fa riemergere la domanda sul senso della pittura di paesaggio. Il suo scopo è proporre un’analisi del paesaggio in quanto produzione discorsiva moderna. Tra XVI e XVII secolo, quando il genere nasce, questa produzione si manifesta in quattro diverse forme semiotiche: l’ornamento o paraergon (cap. II), la macchia cromatica (cap. III), l’assiologia orizzontale del dispositivo topologico (cap. IV) e il regime di visibilità del “vedere attraverso” (cap. V). La prima di queste forme appartiene alla continuità storica, e la sua analisi offre l’occasione di dimostrare che, anche in qualità di paraergon, il paesaggio non è mai l’abbellimento estetico di un contenuto invariante, ma interviene attivamente, e in vario modo, nella costruzione del senso dell’opera. Le altre forme marcano invece una forte discontinuità storica. In esse, il genere moderno si rivela un operatore di grandi trasformazioni, i cui significati emergono nell’opposizione con il paradigma artistico classico. Contro il predominio del disegno e della figuratività, proprio della tradizionale “concezione strumentale dell’arte” (Gombrich 1971), il paesaggio si attualizza come macchia cromatica, facendosi portavoce di un discorso moderno sul valore plastico della pittura. Contro la “tirannia del formato quadrangolare” (Burckhardt 1898), strumento della tradizionale concezione liturgica e celebrativa dell’arte, il paesaggio si distende su formati oblunghi orizzontali, articolando un discorso laico della pittura. Infine, attraverso la messa in cornice della visione, propria del regime di visibilità del “vedere attraverso” (Stoichita 1993), il paesaggio trasforma la contemplazione del mondo in contemplazione dell’immagine del mondo. Il dispositivo cognitivo che soggiace a questo tipo di messa in discorso fa del paesaggio il preludio (simbolico) alla nascita del sapere cartografico moderno, che farà della riduzione del mondo a sua immagine il fondamento del metodo di conoscenza scientifica della Terra.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La ricerca ha mirato a ricostruire storicamente quali furono le motivazioni che, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, portarono gli amministratori della Cassa Risparmio in Bologna a progettare la creazione di un Museo d’arte e di Storia della città, delineandone quelli che furono i principali responsabili e protagonisti. Dall’analisi dei documenti conservati presso l’Archivio della Cassa di Risparmio è emerso uno studio approfondito dei protagonisti della politica artistica e culturale dell’Istituto, oltre che dei legami e delle relazioni intessute con le principali istituzioni cittadine. Lo studio si è progressivamente focalizzato su un particolare momento della storia di Bologna, quando, in seguito all’approvazione del Piano Regolatore del 1889, la città fu per oltre un trentennio sottoposta a radicali trasformazioni urbanistiche che ne cambiarono completamente l’aspetto. Tra i personaggi finora ignoti di questa storia è emerso il nome dell’ingegnere Giambattista Comelli, consigliere e vice segretario della banca alla fine del XIX secolo, che per primo, nel 1896, avanzò la proposta di creare un museo dell’Istituto. A differenza di quanto ritenuto sino ad oggi, questo avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni originarie, esclusivamente funzione di riunire e mostrare oggetti e documenti inerenti la nascita e lo sviluppo della Cassa di Risparmio. Un museo, dunque, che ne celebrasse l’attività, mostrando alla città come la banca avesse saputo rispondere prontamente e efficacemente, anche nei momenti più critici, alle esigenze dei bolognesi. Personaggio oggi dimenticato, Comelli fu in realtà figura piuttosto nota in ambito cittadino, inserita nei principali sodalizi culturali dell’epoca, tra cui la Regia Deputazione di Storia Patria e il Comitato per Bologna Storico Artistica, assieme a quei Rubbiani, Cavazza e Zucchini, che tanta influenza ebbero, come vedremo in seguito, sugli orientamenti Si dovettero tuttavia aspettare almeno due decenni, affinché l’idea originaria di fondare un Museo della Cassa di Risparmio si evolvesse in un senso più complesso e programmatico. Le ricerche hanno infatti evidenziato che le Raccolte d’Arte della Cassa di Risparmio non avrebbero acquistato l’importanza e la consistenza che oggi ci è dato constatare senza l’intervento decisivo di un personaggio noto fino ad oggi soltanto per i suoi indubbi meriti artistici: Alfredo Baruffi. Impiegato come ragioniere della Cassa fin dai diciotto anni, il Baruffi divenne, una volta pensionato, il “conservatore” delle Collezioni della Cassa di Risparmio. Fu lui a imprimere un nuovo corso all’originaria idea di Comelli, investendo tutte le proprie energie nella raccolta di dipinti, disegni, incisioni, libri, incunaboli, autografi, fotografie e oggetti d’uso quotidiano, col proposito di creare un museo che raccontasse la storia di Bologna e delle sue ultime grandi trasformazioni urbanistiche. Attraverso l’attenta analisi dei documenti cartacei e il raffronto con le opere in collezione è stato quindi possibile ricostruire passo dopo passo la nascita di un progetto culturale di ampia portata. La formazione della raccolta fu fortemente influenzata dalle teorie neomedievaliste di Alfonso Rubbiani, oltre che dalla volontà di salvaguardare, almeno a livello documentario, la memoria storica della Bologna medievale che in quegli anni stava per essere irrimediabilmente cancellata. Le scelte che orientarono la raccolta dei materiali, recentemente confluiti per la maggior parte nelle Collezioni della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna, acquistano, con questo studio una nuova valenza grazie alla scoperta degli stretti rapporti che Baruffi intrattenne coi principali rappresentanti della cerchia rubbianesca, tra cui Francesco Cavazza, Guido Zucchini e Albano Sorbelli. Con essi Baruffi partecipò infatti a numerosi sodalizi e iniziative quali il Comitato per Bologna Storico Artistica, la “Mostra Bologna che fu” e la società Francesco Francia, che segnarono profondamente l’ambiente culturale cittadino. La portata e la qualità delle scelte condotte da Baruffi nell’acquisto e raccolta dei materiali si rivela ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, attenta e mirata per il ruolo documentario che le Raccolte avevano e hanno assunto quali preziose e spesso uniche testimonianze del recente passato cittadino. Esaminata tutta la documentazione inerente la nascita delle Raccolte, la ricerca si è ha successivamente concentrata sulla vicenda di acquisto del fondo delle incisioni carraccesche della collezione Casati. La prima parte del lavoro è consistita nel repertoriare e trascrivere tutti i documenti relativi alla transazione d’acquisto, avvenuta nel 1937, vicenda che per la sua complessità impegnò per molti mesi, in un fitto carteggio, Baruffi, la direzione della Cassa e l’antiquario milanese Cesare Fasella. Il raffronto tra documenti d’archivio, inventari e materiale grafico ha permesso di ricostituire, seppur con qualche margine di incertezza, l’intera collezione Casati, individuando quasi 700 incisioni e 22 dei 23 disegni che la componevano. L’ultima fase di studio ha visto l’inventariazione e la catalogazione delle 700 incisioni. Il catalogo è stato suddiviso per autori, partendo dalle incisioni attribuite con certezza ad Agostino e ai suoi copisti, per poi passare ad Annibale e a Ludovico e ai loro copisti. Le incisioni studiate si sono rivelate tutte di grande qualità. Alcuni esemplari sono inoltre particolarmente significativi dal punto di vista storico-critico, perché mai citati nei tre principali e più recenti repertori di stampe carraccesche. Lo studio si conclude con l’individuazione di una stretta correlazione tra il pensiero e della pratica operatività in qualità di archivista, museografo e opinionista, di un altrettanto decisivo protagonista della ricerca, lo storico dell’arte Corrado Ricci, la cui influenza esercitata nell’ambiente culturale bolognese di quegli anni è già sottolineata nel primo capitolo. La conclusione approfondisce i possibili raporti e legami tra Baruffi e Corrado Ricci i cui interventi attorno alla questione della tutela e della salvaguardia del patrimonio storico, artistico, e paesaggistico italiano furono fondamentali per la nascita di una coscienza artistica e ambientale comune e per il conseguente sviluppo di leggi ad hoc. Numerose furono infatti le occasioni d’incontro tra Baruffi e Ricci. Qesti fu socio onorario del Comitato per Bologna Storico Artistica, nonché, quando era già Direttore Generale delle Belle Arti, presidente della storica mostra “Bologna che fu”. Sia Ricci che Baruffi fecero inoltre parte di quelle iniziative volte alla difesa e alla valorizzazione del paesaggio naturale, inteso anche in un ottica di promozione turistica, che videro la nascita proprio in Emilia Romagna: nel 1889 nasce l’Associazione Pro Montibus et silvis, del 1906 è l’Associazione nazionale per i paesaggi e monumenti pittoreschi, del 1912 è la Lega Nazionale per la protezione dei monumenti naturali. Queste iniziative si concretizzarono con la fondazione a Milano nel 1913 del Comitato Nazionale per la difesa del paesaggio e i monumenti italici, costituitosi presso la sede del Touring Club Italiano. Quelle occasioni d’incontro, come pure gli scritti di Ricci, trovarono certamente un terreno fertile in Baruffi conservatore, che nella formazione delle Collezioni, come pure nelle sua attività di “promotore culturale”, ci appare oggi guidato dalle teorie e dall’esempio pratico dei due numi tutelari: Alfonso Rubbiani e Corrado Ricci. La ricerca di documentazione all’interno di archivi e biblioteche cittadine, ha infine rivelato che il ruolo svolto da Baruffi come “operatore culturale” non fu quello di semplice sodale, ma di vero protagonista della scena bolognese. Soprattutto a partire dal secondo decennio del Novecento, quando fors’anche a seguito della morte del “maestro” Rubbiani, egli divenne uno tra i personaggi più impegnati in iniziative di tutela e promozione del patrimonio artistico cittadino, antico e moderno che fosse, intese a condizionare la progettualità politica e culturale della città. In tale contesto si può ben arguire il ruolo che avrebbero assunto le Collezioni storico artistiche numismatiche, popolaresche, della Cassa di Risparmio, cui Baruffi dedicò tutta la sua carriera successiva.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Lo studio analizza il modo in cui la storia dell’arte e la visual culture vengono utilizzate all’interno delle medical humanities, e cerca di suggerire un metodo più utile rispetto a quelli fin qui proposti. Lo scritto è organizzato in due parti. Nella prima parte sono analizzate alcune teorie e pratiche delle scienze umane in medicina. In particolare, ci concentriamo sulla medicina narrativa e sugli approcci con cui la storia dell’arte viene inclusa nella maggioranza dei programmi di medical humanities. Dopodiché, proponiamo di riconsiderare questi metodi e di implementare il ruolo di un pensiero storico e visivo all’interno di tali insegnamenti. Nella seconda parte, alla luce di quanto emerso nella prima, ci dedichiamo a uno studio di caso: la rappresentazione della melanconia amorosa, o mal d’amore, in una serie di dipinti olandesi del Secolo d’Oro. Colleghiamo queste opere a trattati medico-filosofici dell’epoca che permettano di inquadrare il mal d’amore in un contesto storico; in seguito, analizziamo alcune interpretazioni fornite da studiosi e storici dell’arte a noi contemporanei. In particolare, esaminiamo lo studio pionieristico di Henry Meige, pubblicato sulla “Nouvelle iconographie de la Salpêtrière” nel 1899, da cui emerge la possibilità di un confronto critico sia con le posizioni iconodiagnostiche di Charcot e Richer sia con quelle della prima psicoanalisi.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

O presente estudo foi desenvolvido com o objetivo de refletir a relevância do Ensino de Filosofia no contexto histórico brasileiro em consonância conjectural paulistana. Apontamos através do Decreto nro. 6.283 de 25 de janeiro de 1934, o qual instituiu-se sendo a primeira Universidade brasileira (Universidade de São Paulo) nas palavras de Vita “iniciativa pioneira no Brasil” (1969, p.16). Inspirada no modelo universitário tradicional da cultura filosófica francesa, a Faculdade de Filosofia, Ciências e Letras adotou desde os seus contíguos metodológicos aos procedimentos intelectivos, favorecendo o desenvolvimento da interdisciplinaridade da formação cultural. Uma confluência marcada por intensos envolvimentos ideológicos estruturados do progresso moderno, infundindo competências científicas na faculdade profissional incorporada à universidade, bem como formar professores para o ensino secundário (SCHWARTZMAN, 2006, p.163). Sendo assim, a Faculdade de Filosofia seria o núcleo propulsor. Porém, o modelo centralizador de pensar o Ensino da Filosofia, a atribui uma superioridade técnica intelectual e saber acumulado, pouco distingue da competência escolar conquistada em outros países, pelo potencial formativo dos professores filósofos Jean Maugüé (1955,1982) e João da Cruz Costa (1945, 1960, 1961,1967). Mauguë aponta-nos quão a formação em Filosofia está diretamente atribuída ao docente e ao aluno, que a ela se dedica. Pela obra Ensino de Filosofia e Diretrizes, ele apresenta-nos também a concepção de docência: o docente-intelectual, comprometido com a (re) construção dos significados epistemológicos, legitimados por uma prática pedagógica entre o já conhecido e ao conhecer, ou seja, entre o ensinado e ao ensinar. Nesse sentido, é notável que os argumentos do docente e do filósofo se imbricam, ao ponto de serem confundidos e potencializados durante a formação. Assim, Cruz Costa, também trabalha, quando assume a cátedra, porém ressalta que o processo formativo adquire sentido pela História das Ideias como construção do pensamento filosófico e, portanto, o ensino se faz quando se toma consciência da concentricidade histórica, ideias que lhe concede significado conjugado às técnicas de erudição, o que fez advertir aos seus alunos para as vicissitudes pelas quais passaram em nossa terra, as correntes filosóficas estrangeiras, e, sobretudo, para a curiosa significação que elas têm apresentado no envolver de nossa história (VITA, 1950, p.22). O conhecimento histórico é o caminho norteador a ser percorrido, necessário ao devir humano, isto é, a conciliação entre o conhecimento teórico e as condições históricas.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

O cartaz como objecto de valor cultural e museal perspectiva-se em duas narrativas históricas: contexto comunicacional e contexto técnico-artístico. Realizar a apreciação crítica do ciclo de vida do cartaz é enquadrá-lo no contexto social e histórico do novo ciclo de vida do objecto gráfico como objecto de Design de valor patrimonial. Neste quadro, o objecto adquire o estatuto de objecto de museu com função de documento e obra de arte, integrado nos princípios e processos de musealização da Nova Museologia e das Novas Museografias.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

This thesis presents the process of conducting the inventory of the old tiles collection of the Faculty of Fine Arts, University of Lisbon (FBAUL). This set can be divided into two major groups: the first is integrated in the building, the second consists of a set 2036 loose tiles with a pattern of decorative, ornamental and figuratively, some of which form panels of great value. Due to the existence of a wide variety of unknown provenance tile, stored at random, we feel the need to develop an inventory process, intended to safeguard and preserve these he-ritage objects whose existence was virtually unknown until the beginning of this work. This process continued working methodology started with the identification, photographic survey and labeling, with subsequent filling an inventory sheet. To obtain information about the loose tiles, it was essential to have a previous cleaning the mortar that prevented the reading of existing information in masonry, a process developed with the support of un-dergraduate students. After completion of the above process, we make the assembly of panels existing mostly very fragmented to give some iconographic references. In this process we identified 21 types of patterns belonging to the seventeenth and eighteenth centuries and 30 figurative and orna-mental panels. We realized then interconnections between them and the sets placed in situ around the building, and some of its tiles have been used to fill spaces or gaps. At the same time, we have created the inventory records, diagnosis and intervention, as well as a database for internal consultation - Excel - organized by a filtering system to allow quick search of all the tiles present in FBAUL. Finally, we will show a room to house the collection of loose tiles, making references to the ideal conditions of the outdoor environment and its packaging. Also we propose a very punc-tual removing some tiles embedded in the walls of the building which form part of panels composed of loose tiles, indicating a proposal to replace the other coherent and complete element belonging to the collection, preferably with a standard reason

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

With the emergence and growing supply of mobile apps for museums it becomes relevant to study the importance of all the design aspects of those apps in order to provide users/visitors with a better museum experience. One of these aspects is User Interface (UI) which may condition the quality of the application experience as well as the museum experience, serving the function of intermediary. Since interface design must combine usability with appearance (Schlatter e Levinson, 2013) the design must always appeal to the user, representing also a potential source of distraction. Hence the concern of this dissertation is to understand how we can distribute the user's attention in a balanced way, between the application and the exhibition via the User Interface design. For better understanding of the issue – sharing the attention between the physical experience and the application - questions are addressed as: what represents a distraction during a visit to a museum and what comprises the attention process. Thus, it was possible to find some good and bad practice to design a good mobile UI which suits the visual criteria and does not require too much visitor’s attention, serving as a complement to the visit

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

The central theme of this dissertation encompasses the importance of space, particularly the exhibition space, and how it has become part of the subject matter, as well as a medium in art. Some artistic practices of the 20th century, mainly in the 20s and 60s, both in Europe and the United States of America have provided the contextual foundation. The close relation between the architectural and exhibition spaces has become an intrinsic link to establish the existence of the three-dimensional work of art. The overarching importance of space in the contemporary artistic practice is visible through the creative and exhibition installation process, most notably in the artistic movements of Installation art and Site-specific. By carrying over the transformative contemporary art scene concepts to an institutional and museological context, paired with the inherent evolution of its practices, these have allowed for a convergence of the museological fields. With the intention of providing audiences a unique experience, curators and museologists have relied on site-specific practices. By inviting artists (typically featured in the current artistic scene) to develop projects specially thought for a specific museum space, this simultaneously allows for a dialogue between the work of art and the space. These temporary exhibitions have garnered the attention a more diverse audience. As a result sustainability and independence of the museums are a constant source of debate. The result of which has allowed for the broadening of the notions of how museums function and have integrated the audience as a main element of the strategies of the museum programming. The principles of the cultural marketing provide museums a clearer vision of the understanding of the different audience and their needs. Thus, the main goal of this study is to perceive the importance of the museum space in the relation to the artistic practice. While existing as a strategic resource of the museological program, insofar as having the ability to lure new audiences. It also matters to notice, if the fact of the artist working directly inside the museum, contribute to a narrowing of the artist/audience relationship, being the museum the mediation element

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

En la actualidad, museos y galerías de todo el mundo realizan exposiciones de un arte que tiene sus orígenes en el espacio urbano. El presente estudio muestra las estrategias posibles que tanto los artistas como las instituciones museológicas y comisarios han adoptado para mostrar el arte urbano en el espacio expositivo. Los objetivos son analizar a través de seis exposiciones llevadas a cabo en Europa, en el transcurso del siglo XXI, las características conceptuales, técnicas y formales para realizar una exposición de arte urbano, buscando la interconexión existente entre el lenguaje artístico propio de este arte y el lenguaje expositivo. Para ello se muestra un contexto histórico en el que se abordan los principales casos desarrollados a lo largo de la historia, orientado a crear una base a un movimiento que actualmente está en pleno auge. Se analiza también el papel adyacente del graffiti con el arte urbano, encontrando tanto grandes similitudes como diferencias, que han coexistido a lo largo de los años complementándose unas con otras, sea entre los artistas, en el espacio urbano y en el espacio expositivo. Bajo la emergencia de muestras de arte urbano en la actualidad, este estudio selecciona seis exposiciones que tuvieron lugar en instituciones europeas desde el 2008. La variedad entre ellas permite realizar un análisis rico en posibilidades, como en Street Art en la Tate Modern, una institución de gran relevancia a nivel internacional y con artistas referentes dentro del movimiento; en Banksy versus Bristol Museum, en la que el mediático y anónimo Banksy crea una muestra heterogénea; con Os Gêmeos en el Museu Berardo en Lisboa se presenta una exposición de uno de los grandes referentes del arte urbano en el mundo, o el Palais de Tokyo que presenta unos espacios propicios para la muestra de este tipo de arte bajo una serie de eventos desarrollados en una amplia línea temporal con una gran variedad de artistas; Lisboa, ciudad distinguida por su implicación con el arte urbano, presenta dos muestras importantes, una en la Fundação EDP-Museu da Electricidade con la figura emergente de Alexandre Farto, y otra en el MUDE con el significativo André Saraiva. Bajo la premisa de que todos estos artistas han desenvuelto o desenvuelven su trabajo en la calle, se estudia su relación con el lenguaje adaptado para el espacio expositivo. El objetivo desarrollado es la búsqueda de una esencia que permita sentir y apreciar el arte urbano en todos sus contenidos, sea formal, técnica o conceptualmente, reflexionando acerca de la naturaleza del mismo para así realizar la complicada descontextualización de presentar un arte en un espacio ajeno a sus raíces. Tras el análisis de las exposiciones, se observan varias formas de abordar la inclusión en el museo, categorizándolas en exposiciones individuales, colectivas, históricas y temáticas, creando cuatro líneas curatoriales. Desde la perspectiva de las estrategias creativas analizadas en las exposiciones, se observan diferentes recursos tanto por parte de los artistas como de las instituciones para introducir el arte urbano en el contexto museológico, encontrando aspectos que coexisten dentro y fuera del espacio expositivo. Además, el estudio examina cómo a lo largo de la historia hubo un intento de aproximación e inclusión del arte popular al espacio expositivo, lo cual desenvolvió un camino para la institución museológica actual, que debe defender un servicio y un compromiso con la sociedad bajo la actual demanda de un público interesado en el arte urbano

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El trabajo analiza el uso del campus virtual bajo la plataforma Moodle que se ha instituido en el marco de la Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación de la Universidad Nacional de La Plata, Argentina. El mismo se emplea desde el año 2007 en el Departamento de Bibliotecología como apoyo a la enseñanza presencial de la disciplina. También se ha ido adoptando en otras carreras y departamento docentes dependientes de la institución. Se delinean cuatro modelos en base a los usos didácticos que se implementan desde las distintas cátedras: tradicional, de aplicación práctica, participativo e híbrido. Se realiza un balance sobre la experiencia pedagógica y didáctica, indicando las innovaciones y limitaciones de la misma

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El trabajo analiza el uso del campus virtual bajo la plataforma Moodle que se ha instituido en el marco de la Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación de la Universidad Nacional de La Plata, Argentina. El mismo se emplea desde el año 2007 en el Departamento de Bibliotecología como apoyo a la enseñanza presencial de la disciplina. También se ha ido adoptando en otras carreras y departamento docentes dependientes de la institución. Se delinean cuatro modelos en base a los usos didácticos que se implementan desde las distintas cátedras: tradicional, de aplicación práctica, participativo e híbrido. Se realiza un balance sobre la experiencia pedagógica y didáctica, indicando las innovaciones y limitaciones de la misma

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El trabajo analiza el uso del campus virtual bajo la plataforma Moodle que se ha instituido en el marco de la Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación de la Universidad Nacional de La Plata, Argentina. El mismo se emplea desde el año 2007 en el Departamento de Bibliotecología como apoyo a la enseñanza presencial de la disciplina. También se ha ido adoptando en otras carreras y departamento docentes dependientes de la institución. Se delinean cuatro modelos en base a los usos didácticos que se implementan desde las distintas cátedras: tradicional, de aplicación práctica, participativo e híbrido. Se realiza un balance sobre la experiencia pedagógica y didáctica, indicando las innovaciones y limitaciones de la misma