403 resultados para Hannikainen, Väinö


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Introduzione: Il cervico-carcinoma è la seconda neoplasia maligna per incidenza e mortalità nelle donne in tutto il mondo dopo il cancro al seno. L’infezione persistente da Papillomavirus Umani (HPV) è causa necessaria dell’insorgenza del cervico-carcinoma e delle sue lesioni pre-cancerose. L’infezione da HPV si associa anche ad altri carcinomi del distretto ano-genitale (a livello anale, vulvare, vaginale e del pene) e a circa il 25% dei carcinomi squamosi dell’orofaringe. I circa 40 genotipi di HPV che infettano la mucosa genitale vengono suddivisi in alto rischio (HR-HPV) e basso rischio (LR-HPV) oncogeno a seconda della alta e bassa associazione con la neoplasia cervicale. I 13 genotipi a più alto rischio oncogeno sono 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59 e 68. Di questi, otto (16, 18, 31, 33, 35, 45, 52 e 58) sono associati alla maggior parte dei carcinomi cervicali (circa 89%) e i genotipi 16 e 18 da soli sono riscontrati nel 70% circa delle neoplasie. L’insorgenza e progressione delle lesioni preneoplastiche cervicali è, però, associata non solo alla presenza di HPV ad alto rischio, ma, soprattutto, alla persistenza virale (> 18 mesi), alla capacità di integrazione degli HPV ad alto rischio e alla conseguente sovraespressione delle oncoproteine E6/E7. Inoltre, l’integrazione è spesso favorita da un’alta carica virale soprattutto per quanto riguarda alcuni genotipi (HPV16 e 18). L’infezione da HPV non interessa solo la cervice uterina ma tutto il distretto ano-genitale e quello testa-collo. L’HPV, in particolare il genotipo 16, è implicato, infatti, nell’insorgenza delle lesioni preneoplastiche della vulva (VIN) classificate come VIN classiche e nei carcinomi ad esse associati. L’incidenza del carcinoma vulvare in Europa è di 1.5/100.000 di cui circa il 45% è dovuto a HR-HPV (80% ad HPV16). Nonostante l’associazione tra HPV16 e carcinoma vulvare sia alta, ancora poco si conosce sul ruolo della carica virale e dell’integrazione in tali lesioni. Le lesioni che possono presentarsi nella regione testa-collo possono essere sia di natura benigna che maligna. I genotipi più frequentemente riscontrati in associazione a lesioni benigne (papillomi) sono HPV 6 e 11, quelli associati a forme tumorali (HNSCC) sono il genotipo 18 ma soprattutto il 16. Molti aspetti del coinvolgimento di HPV in queste patologie non sono ancora perfettamente conosciuti e spesso studi su tale argomento hanno mostrato risultati contraddittori, soprattutto perché vengono utilizzate metodiche con gradi diversi di sensibilità e specificità. Recenti dati di letteratura hanno tuttavia messo in evidenza che i pazienti affetti da HNSCC positivi ad HPV hanno una elevata risposta al trattamento chemioradioterapico rispetto ai pazienti HPV-negativi con un notevole impatto sul controllo locale e sulla sopravvivenza ma soprattutto sulla qualità di vita di tali pazienti, evitando di sottoporli a chirurgia sicuramente demolitiva. Scopo del lavoro: Sulla base di queste premesse, scopo di questo lavoro è stato quello di valutare l’importanza di marker quali la presenza/persistenza di HPV, la carica virale, la valutazione dello stato fisico del genoma virale e l’espressione degli mRNA oncogeni nella gestione di pazienti con lesioni preneoplastiche e neoplastiche di diverso grado, associate a papillomavirus mucosi. Per la valutazione dei markers virologici di progressione neoplastica abbiamo sviluppato dei saggi di real time PCR qualitativi e quantitativi studiati in modo da poter fornire, contemporaneamente e a seconda delle esigenze, risposte specifiche non solo sulla presenza e persistenza dei diversi genotipi di HPV, ma anche sul rischio di insorgenza, progressione e recidiva delle lesioni mediante lo studio di markers virologici quali carica virale, integrazione ed espressione degli mRNA. Abbiamo pertanto indirizzato la nostra attenzione verso tre popolazioni specifiche di pazienti: - donne con lesioni vulvari preneoplastiche (VIN) e neoplastiche, allo scopo di comprendere i complessi meccanismi patogenetici di tali patologie non sempre associate ad infezione da HPV; - pazienti con lesioni maligne a livello della regione testa-collo allo scopo di fornire informazioni utili all’elaborazione di un percorso terapeutico mirato (radiochemioterapico o chirurgico) a seconda o meno della presenza di infezione virale; - donne con lesioni cervicali di alto grado, trattate chirurgicamente per la rimozione delle lesioni e seguite nel follow-up, per stabilire l’importanza di tali marker nella valutazione della persistenza virale al fine di prevenire recidive di malattia.

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Die vorliegende Arbeit widmet sich der Spektraltheorie von Differentialoperatoren auf metrischen Graphen und von indefiniten Differentialoperatoren auf beschränkten Gebieten. Sie besteht aus zwei Teilen. Im Ersten werden endliche, nicht notwendigerweise kompakte, metrische Graphen und die Hilberträume von quadratintegrierbaren Funktionen auf diesen betrachtet. Alle quasi-m-akkretiven Laplaceoperatoren auf solchen Graphen werden charakterisiert, und Abschätzungen an die negativen Eigenwerte selbstadjungierter Laplaceoperatoren werden hergeleitet. Weiterhin wird die Wohlgestelltheit eines gemischten Diffusions- und Transportproblems auf kompakten Graphen durch die Anwendung von Halbgruppenmethoden untersucht. Eine Verallgemeinerung des indefiniten Operators $-tfrac{d}{dx}sgn(x)tfrac{d}{dx}$ von Intervallen auf metrische Graphen wird eingeführt. Die Spektral- und Streutheorie der selbstadjungierten Realisierungen wird detailliert besprochen. Im zweiten Teil der Arbeit werden Operatoren untersucht, die mit indefiniten Formen der Art $langlegrad v, A(cdot)grad urangle$ mit $u,vin H_0^1(Omega)subset L^2(Omega)$ und $OmegasubsetR^d$ beschränkt, assoziiert sind. Das Eigenwertverhalten entspricht in Dimension $d=1$ einer verallgemeinerten Weylschen Asymptotik und für $dgeq 2$ werden Abschätzungen an die Eigenwerte bewiesen. Die Frage, wann indefinite Formmethoden für Dimensionen $dgeq 2$ anwendbar sind, bleibt offen und wird diskutiert.

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Der Fokus dieser Dissertation ist die populationsgenetische Analyse der neolithischen Bevölkerungswechsel in den 6.-5. Jahrtausende vor Christus, die im westlichen Karpatenbecken stattfanden. Die Zielsetzung der Studie war, mittels der Analyse von mitochondrialer und Y-chromosomaler aDNA, den Genpool der sechs neolithischen und kupferzeitlichen Populationen zu untersuchen und die daraus resultierenden Ergebnisse mit anderen prähistorischen und modernen genetischen Daten zu vergleichen.rnInsgesamt wurden 323 Individuen aus 32 ungarischen, kroatischen und slowakischen Fundplätzen beprobt und bearbeitet in den archäogenetischen Laboren der Johannes Gutenberg-Universität in Mainz. Die DNA Ergebnisse wurden mit verschiedenen populationsgenetischen Methoden ausgewertet. Vergleichsdaten von prähistorischen und modernen eurasiatischen Populationen wurden dazu gesammelt.rnDie HVS-I Region der mitochondrialen DNA konnten bei 256 Individuen reproduziert und authentifiziert werden (mit einer Erfolgsrate von 85.9%). Die Typisierung der HVS-II Region war in 80 Fällen erfolgreich. Testend alle gut erhaltene Proben, die Y-chromosomale Haplogruppe konnte in 33 männlichen Individuen typisiert werden.rnDie neolithischen, mitochondrialen Haplogruppen deuten auf eine hohe Variabilität des maternalen Genpools hin. Sowohl die mitochondrialen als auch die Y-chromosomalen Daten lassen Rückschlüsse auf eine nah-östliche bzw. südwestasiatische Herkunft der frühen Bauern zu. Die Starčevo- und linearbandkermaischen-Populationen in westlichem Karpatenbecken (letztere abgekürzt als LBKT) und die linearbandkermaischen-Population in Mitteleuropa (LBK) haben so starke genetische Ähnlichkeit, dass die Verbreitung der LBK nach Mitteleuropa mit vorangegangenen Wanderungsereignissen zu erklären ist. Die Transdanubische aDNA Daten zeigen hohe Affinität zu den publizierten prähistorischen aDNA Datensätzen von Mitteleuropa aus den 6.-4. Jahrtausende vor Chr. Die maternal-genetische Variabilität der Starčevo-Population konnte auch innerhalb der nachfolgenden Populationen Transdanubiens festgestellt werden. Nur kleinere Infiltrationen und Immigrationsereignissen konnten während der Vinča-, LBKT-, Sopot- und Balaton-Lasinja-Kultur in Transdanubien identifiziert werden. Zwischen den transdanubischen Regionen konnten mögliche genetische Unterschiede nur in der LBKT und in der Lengyel-Periode beobachtet werden, als sich die nördlichen Gruppen von den südlichen Populationen trennten. rnDie festgestellte Heterogenität der mtDNA in Zusammenhang mit der Y-chromosomalen Homogenität in den Starčevo- und LBK-Populationen, weisen auf patrilokale Residenzregeln und patrilineare Abstammungsregeln in den ersten Bauergemeinschaften hin. rnObwohl die hier präsentierten Daten einen großen Fortschritt in der Forschung von aDNA und Neolithikum des Karpatenbeckens und Mitteleuropas bedeuten, werfen sie auch mehrere Fragen auf, deren Beantwortung durch zukünftige Genomforschungen erbracht werden könnte.

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OBJECTIVE: To determine characteristics and clinical course of high-grade anogenital intraepithelial neoplasia (AIN) in human immunodeficiency virus (HIV)-infected women. STUDY DESIGN: HIV-positive women with biopsy-proven high-grade (II and III) vulvar (VIN), vaginal (VAIN) or perianal intraepithelial neoplasia (PAIN) were identified in the electronic databases of 2 colposcopy clinics. RESULTS: A total of 31 patients were identified from 1992 to 2007, of which 30 had a mean follow-up of 47.7 months (SD = 46.0; range, 2.6-166.2). Of the patients, 77.4% had VIN, 12.9% VAIN and 9.7% PAIN at first diagnosis. Age at diagnosis of IN was 36.2 years (SD +/- 5.2; range, 23.5-47.0). Ninety percent of patients received antiretroviral therapy at first diagnosis of IN; 65% (13 of 20) of patients with a follow-up of > 2 years required a second treatment, and 2 developed invasive vulvar cancer (10%). CONCLUSION: AIN among HIV-positive women shows a high relapse rate despite treatment modality used and a substantial invasive potential.

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Explosive volcanic eruptions can inject large quantities of sulphur dioxide into the stratosphere. The aerosols that result from oxidation of the sulphur dioxide can produce significant cooling of the troposphere by reflecting or absorbing solar radiation. It is possible to obtain an estimate of the relative stratospheric sulphur aerosol concentration produced by different volcanoes by comparing sulphuric acid fluxes determined by analysis of polar ice cores. Here, we use a non-sea-salt sulphate time series derived from three well-dated Law Dome ice cores to investigate sulphuric acid flux ratios for major eruptions over the period AD 1301-1995. We use additional data from other cores to investigate systematic spatial variability in the ratios. Only for the Kuwae eruption (Law Dome ice date AD 1459.5) was the H2SO4 flux larger than that deposited by Tambora (Law Dome ice date AD 1816.7).

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We present highly resolved, annually dated, calibrated proxies for atmospheric circulation from several Antarctic ice cores (ITASE (International Trans-Antarctic Scientific Expedition), Siple Dome, Law Dome) that reveal decadal-scale associations with a South Pole ice-core Be-10 proxy for solar variability over the last 600 years and annual-scale associations with solar variability since AD 1720. We show that increased (decreased) solar irradiance is associated with increased (decreased) zonal wind strength near the edge of the Antarctic polar vortex. The association is particularly strong in the Indian and Pacific Oceans and as such may contribute to understanding climate forcing that controls drought in Australia and other Southern Hemisphere climate events. We also include evidence suggestive of solar forcing of atmospheric circulation near the edge of the Arctic polar vortex based on ice-core records from Mount Logan, Yukon Territory, Canada, and both central and south Greenland as enticement for future investigations. Our identification of solar forcing of the polar atmosphere and its impact on lower latitudes offers a mechanism for better understanding modern climate variability and potentially the initiation of abrupt climate-change events that operate on decadal and faster scales.

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A series of ice cores from sites with different snow-accumulation rates across Law Dome, East Antarctica, was investigated for methanesulphonic acid (MSA) movement. The precipitation at these sites (up to 35 km apart) is influenced by the same air masses, the principal difference being the accumulation rate. At the low-accumulation-rate W20k site (0.17 in ice equivalent), MSA was completely relocated from the summer to winter layer. Moderate movement was observed at the intermediate-accumulation-rate site (0.7 in ice equivalent), Dome Summit South (DSS), while there was no evidence of movement at the high-accumulation-rate DE08 site (1.4 in ice equivalent). The main DSS record of MSA covered the epoch AD 1727-2000 and was used to investigate temporal post-depositional changes. Co-deposition of MSA and sea-salt ions was observed of the surface layers, outside of the main summer MSA peak, which complicates interpretation of these peaks as evidence of movement in deeper layers. A seasonal study of the 273 year DSS record revealed MSA migration predominantly from summer into autumn (in the up-core direction), but this migration was suppressed during the Tambora (1815) and unknown (1809) volcanic eruption period, and enhanced during an epoch (1770-1800) with high summer nitrate levels. A complex interaction between the gradients in nss-sulphate, nitrate and sea salts (which are influenced by accumulation rate) is believed to control the rate and extent of movement of MSA.

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The vulvar intraepithelial neoplasia (VIN) is a rare chronic skin condition that may progress to an invasive carcinoma of the vulva. Major issues affecting women's health were occurring symptoms, negative influences on sexuality, uncertainty concerning the illness progression and changes in the body image. Despite this, there is little known about the lived experiences of the illness trajectory. Therefore, the aim of this study was to describe the experiences of women with VIN during the illness trajectory. In a secondary data analysis of the foregoing qualitative study we analysed eight narrative interviews with women with VIN by using thematic analysis in combination with critical hermeneutics. Central for these women during their course of illness was a sense of "Hope and Fear". This constitutive pattern reflects the fear of recurrence but also the trust in healing. The eight narratives showed women's experiences during their course of illness occurred in five phases: "there is something unknown"; "one knows, what IT is"; "IT is treated and should heal"; "IT has effects on daily life"; "meanwhile it works". Women's experiences were particularly influenced by the feeling of "embarrassment" and by "dealing with professionals". Current care seems to lack adequate support for women with VIN to manage these phases. We suggest, based on our study and the international literature, that new models of counselling and providing information need to be developed and evaluated.

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El objetivo del trabajo fue estudiar el efecto del tiempo de maceración sobre la composición tánica, el color y la astringencia de vinos Cabernet Sauvignon y Malbec, provenientes de la Zona Alta del Río Mendoza y saber qué tiempo de maceración permite una mayor expresión del color y del cuerpo del vino. A partir de dos vinificaciones industriales, se realizaron muestreos para determinar las curvas de extracción de los componentes fenólicos y del color. Además, se llevaron a cabo dos experimentos probando un tiempo de maceración corto, de 5 días, uno “clásico" en la región, de 10 días, y uno largo, de 20 días. En los vinos resultantes se determinó el perfil fenólico, discriminando los componentes tánicos y del color, durante el primer año de conservación en vasijas de vidrio. Se utilizaron técnicas de espectrometría VIS y UV y los vinos fueron evaluados por un panel de expertos degustadores. La variedad Cabernet S. siguió un patrón de extracción de antocianos y taninos durante la maceración acorde con lo que indica la bibliografía. La magnitud del color rojo alcanzó un máximo cerca del 10º día y luego sufrió una caída que, en la maceración de 20 días, significó una pérdida de alrededor de un 10%. Los taninos aumentaron rápidamente hasta el 10º día y luego continuaron creciendo muy lentamente. Los vinos Cabernet S. obtenidos con maceración de 10 días y de 20 días resultaron muy superiores en cuanto a los contenidos de antocianos, color polimérico y taninos. También provocaron sensaciones de concentración y untuosidad mayores. Además resultaron más ásperos, astringentes y secantes que los de 5 días, pero estas sensaciones fueron moderadas. Los vinos de 20 días fueron similares a los de 10 días salvo en que alcanzaron un contenido mayor de polifenoles totales y de taninos no astringentes. La variedad Malbec siguió un patrón de extracción de antocianos y taninos similar al Cabernet S. hasta el 10º día, pero luego ambos mostraron una caída pronunciada, como consecuencia de un deterioro oxidativo. La maceración de 10 días resultó óptima y los vinos se destacaron por su mayor contenido en polifenoles totales, antocianos, color polimérico y taninos. Estos atributos provocaron sensaciones de concentración y untuosidad destacadas y similares a las de los Cabernet S. de 10 y 20 días. Las sensaciones de secante, áspero y astringente fueron menores que en los Cabernet. Los Malbec de 5 días resultaron muy pobres en atributos y los de 20 días con característics intermedias entre los de 5 y los de 10 días. En ambas variedades la pérdida en los contenidos de antocianos copigmentados se acompañó de un aumento proporcional en los contenidos de antocianos polimerizados. Durante el estacionamiento todos los vinos Cabernet S. y Malbec sufrieron una degradación de polifenoles totales, antocianos y taninos. El ritmo de degradación de cada compuesto fue similar para los distintos vinos, sin importar las concentraciones iniciales del compuesto. En ambas variedades los polifenoles totales y los taninos se correlacionaron positivamente con la aspereza, la astringencia, lo secante, la untuosidad y la concentración. Lo secante se asoció negativamente con la proporción de taninos no precipitables con gelatina. La espectrometría VIS y UV, como método instrumental de análisis, resultó suficientemente potente como para permitir una la apreciación del perfil fenólico y diferenciar los vinos Cabernet S. de los Malbec, independientemente del tiempo de maceración con que fueron elaborados.