386 resultados para Geomorfologia do Quaternário


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ACQUE E NAVIGAZIONE UN NUOVO MUSEO DELLE ACQUE E DELLA NAVIGAZIONE A RAVENNA L’immagine dell’acqua a Ravenna fa riscoprire una storia della città fatta di corsi e specchi d’acqua. Questi, a causa del tempo e dell’opera dell’uomo scomparvero o mutarono profondamente la loro conformazione. L’importanza quindi dello studio di come questa città abbia convissuto negli anni con l’acqua e come l’uomo si sia adattato a queste condizioni è notevole. Ora Ravenna è una citta di “terra”, collegata al mare solo tramite il canale Candiano, le attività e la vita dell’uomo si sono staccate dall’acqua e nel tempo il mare è diventato solo una “vicinanza” perdendo tutto quel fascino e quell’importanza che possedeva nei secoli precedenti. Tra i tanti aspetti del legame passato tra l’uomo e l’acqua, l’imbarcazione risulta il mezzo più tipico e caratterizzante. Grazie a tanti studi fino ad ora compiuti è possibile ricostruire una catalogazione delle imbarcazioni che hanno fatto parte della storia acquatica di Ravenna e che quindi hanno composto la sua storia. L’imbarcazione costituisce una memoria storica e tecnica, essa riflette i cambiamenti storici e tecnico-evolutivi della civiltà delle acque. L’evoluzione delle barche è delle navi è progredita di pari passo con i cambiamenti delle esigenze dell’uomo, fin dall’antichità. Una rappresentazione tra imbarcazione, storia dell'uomo e geomorfologia della acque a Ravenna fa sì che l’argomento ricopra ambiti generali sull’intera civiltà che ha popolato il ravennate. Il museo delle acque a Ravenna vuole essere perciò un percorso nel passato della città, alla scoperta dell’antico legame con l’acqua, legame che forse ormai è stato dimenticato e di cui a volte si ignora l’esistenza. Questo non comporta il forzare un legame ormai abbandonato, ma un rivivere i momenti che hanno caratterizzato la crescita della città fino allo stato attuale. Questo museo mira a integrare il cospicuo patrimonio storico museale di Ravenna andando a colmare una mancanza da me ritenuta importante, appunto una memoria storica delle vita acquatica della città e dei propri abitanti nel tempo. Il tema museale studiato e analizzato verterà su un percorso nella storia della navigazione e del legame che Ravenna ebbe con l’acqua fin dalle sue origini. Questo importante tema prevederà l’esposizione di importanti relitti navali e ritrovamenti storici per i quali sarà obbligatoria l’organizzazione di appositi spazi espositivi per un’ottima conservazione. L’edificio appare come un rigido corpo all’esterno, rivestito in pietra basaltica grigia con tonalità diverse, mentre dal lato del canale risulta notevolmente più aperto, con un lungo porticato in affaccio diretto sull’acqua che segue tutta la forma del l’edificio stesso e che si interrompe solo in prossimità della grande hall d’ingresso in vetro e acciaio. Queste caratteristiche permettono di creare due facce completamente diverse, una molto chiusa e una invece molto aperta, per enfatizzare il senso di scoperta del “mondo acqua” al momento dell’ingresso nell’edificio. Due realtà molto diverse tra loro. Il lato, che affaccia sulla nuova piazza creata all’interno dell’area, rivestito in pietra basaltica grigia, rende una sensazione di chiusura fisica, creata appositamente per stimolare la scoperta dell’acqua sul lato opposto. La facciata è rotta in maniera irregolare da feritoie, quasi come una enorme roccia sull’acqua, sul riferimento del MuMok, il Museo di Arte Moderna Fondazione Ludwig di Ortner & Ortner aVienna.

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The Northern Apennines (NA) chain is the expression of the active plate margin between Europe and Adria. Given the low convergence rates and the moderate seismic activity, ambiguities still occur in defining a seismotectonic framework and many different scenarios have been proposed for the mountain front evolution. Differently from older models that indicate the mountain front as an active thrust at the surface, a recently proposed scenario describes the latter as the frontal limb of a long-wavelength fold (> 150 km) formed by a thrust fault tipped around 17 km at depth, and considered as the active subduction boundary. East of Bologna, this frontal limb is remarkably very straight and its surface is riddled with small, but pervasive high- angle normal faults. However, west of Bologna, some recesses are visible along strike of the mountain front: these perturbations seem due to the presence of shorter wavelength (15 to 25 km along strike) structures showing both NE and NW-vergence. The Pleistocene activity of these structures was already suggested, but not quantitative reconstructions are available in literature. This research investigates the tectonic geomorphology of the NA mountain front with the specific aim to quantify active deformations and infer possible deep causes of both short- and long-wavelength structures. This study documents the presence of a network of active extensional faults, in the foothills south and east of Bologna. For these structures, the strain rate has been measured to find a constant throw-to-length relationship and the slip rates have been compared with measured rates of erosion. Fluvial geomorphology and quantitative analysis of the topography document in detail the active tectonics of two growing domal structures (Castelvetro - Vignola foothills and the Ghiardo plateau) embedded in the mountain front west of Bologna. Here, tilting and river incision rates (interpreted as that long-term uplift rates) have been measured respectively at the mountain front and in the Enza and Panaro valleys, using a well defined stratigraphy of Pleistocene to Holocene river terraces and alluvial fan deposits as growth strata, and seismic reflection profiles relationships. The geometry and uplift rates of the anticlines constrain a simple trishear fault propagation folding model that inverts for blind thrust ramp depth, dip, and slip. Topographic swath profiles and the steepness index of river longitudinal profiles that traverse the anti- clines are consistent with stratigraphy, structures, aquifer geometry, and seismic reflection profiles. Available focal mechanisms of earthquakes with magnitude between Mw 4.1 to 5.4, obtained from a dataset of the instrumental seismicity for the last 30 years, evidence a clear vertical separation at around 15 km between shallow extensional and deeper compressional hypocenters along the mountain front and adjacent foothills. In summary, the studied anticlines appear to grow at rates slower than the growing rate of the longer- wavelength structure that defines the mountain front of the NA. The domal structures show evidences of NW-verging deformation and reactivations of older (late Neogene) thrusts. The reconstructed river incision rates together with rates coming from several other rivers along a 250 km wide stretch of the NA mountain front and recently available in the literature, all indicate a general increase from Middle to Late Pleistocene. This suggests focusing of deformation along a deep structure, as confirmed by the deep compressional seismicity. The maximum rate is however not constant along the mountain front, but varies from 0.2 mm/yr in the west to more than 2.2 mm/yr in the eastern sector, suggesting a similar (eastward-increasing) trend of the apenninic subduction.

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Questa tesi di dottorato è inserita nell’ambito della convenzione tra ARPA_SIMC (che è l’Ente finanziatore), l’Agenzia Regionale di Protezione Civile ed il Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali dell’Ateneo di Bologna. L’obiettivo principale è la determinazione di possibili soglie pluviometriche di innesco per i fenomeni franosi in Emilia Romagna che possano essere utilizzate come strumento di supporto previsionale in sala operativa di Protezione Civile. In un contesto geologico così complesso, un approccio empirico tradizionale non è sufficiente per discriminare in modo univoco tra eventi meteo innescanti e non, ed in generale la distribuzione dei dati appare troppo dispersa per poter tracciare una soglia statisticamente significativa. È stato quindi deciso di applicare il rigoroso approccio statistico Bayesiano, innovativo poiché calcola la probabilità di frana dato un certo evento di pioggia (P(A|B)) , considerando non solo le precipitazioni innescanti frane (quindi la probabilità condizionata di avere un certo evento di precipitazione data l’occorrenza di frana, P(B|A)), ma anche le precipitazioni non innescanti (quindi la probabilità a priori di un evento di pioggia, P(A)). L’approccio Bayesiano è stato applicato all’intervallo temporale compreso tra il 1939 ed il 2009. Le isolinee di probabilità ottenute minimizzano i falsi allarmi e sono facilmente implementabili in un sistema di allertamento regionale, ma possono presentare limiti previsionali per fenomeni non rappresentati nel dataset storico o che avvengono in condizioni anomale. Ne sono esempio le frane superficiali con evoluzione in debris flows, estremamente rare negli ultimi 70 anni, ma con frequenza recentemente in aumento. Si è cercato di affrontare questo problema testando la variabilità previsionale di alcuni modelli fisicamente basati appositamente sviluppati a questo scopo, tra cui X – SLIP (Montrasio et al., 1998), SHALSTAB (SHALlow STABility model, Montgomery & Dietrich, 1994), Iverson (2000), TRIGRS 1.0 (Baum et al., 2002), TRIGRS 2.0 (Baum et al., 2008).

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The main objective of this research is to improve the comprehension of the processes controlling the formation of caves and karst-like morphologies in quartz-rich lithologies (more than 90% quartz), like quartz-sandstones and metamorphic quartzites. In the scientific community the processes actually most retained to be responsible of these formations are explained in the “Arenisation Theory”. This implies a slow but pervasive dissolution of the quartz grain/mineral boundaries increasing the general porosity until the rock becomes incohesive and can be easily eroded by running waters. The loose sands produced by the weathering processes are then evacuated to the surface through processes of piping due to the infiltration of waters from the fracture network or the bedding planes. To deal with these problems we adopted a multidisciplinary approach through the exploration and the study of several cave systems in different tepuis. The first step was to build a theoretical model of the arenisation process, considering the most recent knowledge about the dissolution kinetics of quartz, the intergranular/grain boundaries diffusion processes, the primary diffusion porosity, in the simplified conditions of an open fracture crossed by a continuous flow of undersatured water. The results of the model were then compared with the world’s widest dataset (more than 150 analyses) of water geochemistry collected till now on the tepui, in superficial and cave settings. All these studies allowed verifying the importance and the effectiveness of the arenisation process that is confirmed to be the main process responsible of the primary formation of these caves and of the karst-like superficial morphologies. The numerical modelling and the field observations allowed evaluating a possible age of the cave systems around 20-30 million of years.

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L’Arco d’Augusto di Rimini rappresenta da sempre il monumento simbolo della città; ha visto ogni periodo storico, dei quali riporta tuttora i segni in modo visibile. L’alto valore storico, culturale ed artistico che l’Arco porta con se merita di essere valorizzato, conservato e studiato. E’ stato realizzato un rilievo fotogrammetrico del monumento romano e una successiva analisi strutturale mediante la tecnica F.E.M. Il rilievo è stato eseguito con la moderna tecnica digitale non convenzionale, la quale ha permesso di comprendere quanto essa sia in grado di soddisfare le varie esigenze di rilievo nell’ambito dei Beni Culturali. Nel primo capitolo si affrontano le tematiche relative al rilievo dei Beni Culturali, si concentra poi l’attenzione sul settore della fotogrammetria digitale. Il secondo capitolo è dedicato interamente alla storia dell’Arco d’Augusto, riportando tutti i rilievi dell’Arco realizzati dal Medioevo ad oggi. Il terzo capitolo riporta la serie di restauri che l’Arco riminese ha subito nel corso dei secoli, fra cui i due grandi interventi di restauro: il primo eseguito nel 1947 dall’Ing. Rinaldi G., il secondo nel 1996-98 per opera dell’Arch. Foschi P.L. Nel quarto capitolo si parla di come la tecnica fotogrammetrica si presti molto bene all’analisi e al controllo delle deformazioni strutturali. Il capitolo cinque è dedicato al rilievo topo-fotogrammetrico dell’oggetto, affrontato in tutte le sue fasi: ricognizione preliminare,progettazione ed esecuzione delle prese. Il sesto capitolo affronta l’elaborazione dei dati mediante il software PhotoModeler Pro 5. Nel settimo capitolo si confronta il presente rilievo con l’ortofoto realizzata nel 1982 dall’Arch. Angelini R. Il capitolo otto riporta alcune informazioni al riguardo della geomorfologia della zona limitrofa all’Arco. Nell’ultimo capitolo si descrive l’impiego del software agli elementi finiti Straus7 per creare ed elaborare il modello numerico dell’Arco.

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Il presente lavoro affronta la tematica delle morfologie calanchive, forme ardite ed affascinanti, ma anche associate ad un certo grado di rischio idrogeologico per le infrastrutture, e si pone l'obiettivo di caratterizzare i bacini all'interno dell'area di studio per individuarne differenze che possano contribuire a spiegare la genesi e l'evoluzione dei fenomeni di evoluzione delle forme e del paesaggio

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Il problema dell'acidificazione degli oceani, conseguente ai cambiamenti climatici, è un processo ancora poco conosciuto. Per comprendere questo fenomeno, possono essere utilizzati degli ambienti naturalmente acidificati, considerati laboratori a cielo aperto. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di utilizzare le fumarole presenti nell'isola di Ischia, per approfondire le dinamiche dei processi di acidificazione e per analizzare l'eventuale interazione tra pH e condizioni meteorologiche. I dati utilizzati, forniti dalla Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli, erano serie di pH e di vento rilevate in continuo, in due aree, nord e sud rispetto all'isolotto del Castello Aragonese, e in tre stazioni lungo un gradiente di acidificazione. Tutto il lavoro è stato svolto a step, dove il risultato di un'analisi suggeriva il tipo e il metodo analitico da utilizzare nelle analisi successive. Inizialmente i dati delle due serie sono stati analizzati singolarmente per ottenere i parametri più salienti delle due serie. In seguito i dati sono stati correlati fra loro per stimare l'influenza del vento sul pH. Globalmente è stato possibile evidenziare come il fenomeno dell'acidificazione sia correlato con il vento, ma la risposta sembra essere sito-specifica, essendo risultato dipendente da altri fattori interagenti a scala locale, come la geomorfologia del territorio, le correnti marine e la batimetria del fondale. È però emersa anche la difficoltà nel trovare chiare correlazioni fra le due serie indagate, perché molto complesse, a causa sia della numerosa quantità di zeri nella serie del vento, sia da una forte variabilità naturale del pH, nelle varie stazioni esaminate. In generale, con questo lavoro si è dimostrato come utilizzare tecniche di analisi delle serie storiche, e come poter utilizzare metodi di regressione, autocorrelazione, cross-correlation e smoothing che possono integrare i modelli che prendono in considerazione variabili esogene rispetto alla variabile di interesse.

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Para dar suporte ao atual debate sobre as consequências climáticas da liberação antropogênica de CO2 na atmosfera, o refinamento do conhecimento sobre mudanças climáticas e oceanográficas no passado é necessário. A Circulação de Revolvimento Meridional do Atlântico (CRMA) tem papel fundamental na oceanografia e clima das áreas sob influência do Oceano Atlântico, controlando diretamente a estratificação e distribuição de massas d\'água, a quantidade de calor transportada pelo oceano e os ciclo e armazenamento de compostos químicos, como o CO2 em mar profundo. A formação e circulação da Água Intermediária Antártica (AIA), envolvida no transporte de calor e sal para o giro subtropical do Hemisfério Sul e nas teleconexões climáticas entre altas e baixas latitudes, é componente importante do ramo superior da CRMA. A reconstrução de propriedades de massas de água intermediárias é, portanto, importante para a compreensão dos sistemas de retroalimentação entre oceano-clima. No entanto, informações quanto a evolução da AIA continuam limitadas. Oscilações da CRMA e consequentes mudanças na distribuição de calor tem implicações importantes para o clima Sul Americano, influenciando a disponibilidade de umidade para o Sistema de Monções Sul Americano (SMSA), via temperatura da superfície marinha e posicionamento da Zona de Convergência Intertropical. Neste trabalho nós reconstruímos a assinatura isotópica da AIA durante os estágios isotópicos marinhos 2 e 3 (41-12 cal ka AP) usando isótopos de carbono e oxigênio de foraminíferos bentônicos (gêneros Cibicidoides e Uvigerina) de um testemunho de sedimentos marinhos datados por radiocarbono (1100 m de profundidade e a 20°S na costa do Brasil). Concluímos que propriedades físicas e químicas da AIA mudaram durante os estadiais Heinrich 3 e 4, provavelmente como consequência de enfraquecimento da CRMA durante estes períodos. Também reconstruímos as condições continentais do leste brasileiro entre o último máximo glacial e a deglaciação (23-12 cal ka AP) baseadas em razões Ti/Ca de nosso testemunho de sedimentos marinhos como indicadoras de aporte terrígeno do Rio Doce. A maior parte da chuva que cai na Bacia do Rio Doce está relacionada a atividade do SMAS. Nosso registro de Ti/Ca em conjunto com \'\'delta\' POT.18\'O de espeleotemas da Caverna Lapa Sem Fim, também no leste do Brasil, sugere diminuição marcante da chuva durante o interestadial Bølling-Allerød, provavelmente relacionada a enfraquecimento do SMAS. Ademais comparamos as razões de Ti/Ca com dados de saída da rodada SYNTRACE do modelo climático CCSM3 com forçantes transientes para a última deglaciação. Os registros geoquímicos e a saída do modelo mostram resultados consistentes entre si e sugerem que o leste da América do Sul passou pelo seu período mais seco de toda a última deglaciação durante o interestadial Bølling-Allerød, provavelmente relacionado ao enfraquecimento do SMAS.

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Registros isotópicos de oxigênio obtidos em alta resolução das estalagmites CL2 e MAG das cavernas Calixto e Marota, região da Chapada Diamantina (CD) (12ºS), Estado da Bahia, sul do Nordeste brasileiro (sNEB), permitiram reconstituir as mudanças passadas da precipitação entre 165-128 e 59-39 mil anos A.P. Para a reconstituição paleoclimática considerou-se resultados de um estudo de calibração realizado em duas cavernas da CD o qual demonstrou uma relação entre composição isotópica da água meteórica e de gotejamento e sugeriu um ambiente adequado para a deposição do espeleotema em condições equilíbrio e/ou próximas com a água de gotejamento. A interpretação da paleoprecipitação através dos registros isotópicos \'\'delta\' POT.18\'O das estalagmites também foi baseada na relação entre composição isotópica da água da precipitação e a quantidade de chuva obtidos em estações da IAEA-GNIP no Brasil e de simulações das variações do \'\'delta\' POT.18\'O da chuva através do modelo climático ECHAM-4. Esses dados indicaram o efeito quantidade (amount effect) como fator preponderante de controle isotópico da água da chuva que formam os espeleotemas na CD, significando que a diminuição dos valores de \'\'delta\' POT.18\'O está associada ao aumento do volume de chuvas e vice-versa. Os registros de \'\'delta\' POT.18\'O dos espeleotemas permitiram reconstituir a variação da paleoprecipitação na escala orbital e milenar durante o penúltimo glacial bem como correlacionar mudanças na paleoprecipitação no sNEB com eventos milenares registrados na Groelândia no último glacial. Os registros da CD indicaram um aumento (diminuição) da paleoprecipitação na Bahia relacionado a diminuição (aumento) da insolação austral de verão a 10ºS durante o penúltimo glacial, similar ao observado no último ciclo precessional. Na escala orbital os registros da CD estiveram em antifase com os paleoindicadores isotópicos do Sudeste brasileiro e em fase com os valores de\'\'delta\' POT.18\'O dos espeleotemas do leste da China. Esse padrão de precipitação é similar ao observado na última glaciação e sugere que a variação na insolação de verão afetou as monções sul-americanas (MSA) promovendo mudanças na precipitação no sNEB no penúltimo glacial. Condições áridas no sNEB durante o aumento da insolação de verão estariam provavelmente associadas ao aprofundamento da subsidência de ar provocado pelo fortalecimento da circulação leste-oeste da MSA devido ao aumento das atividades convectivas na Amazônia o que teria, favorecido um posicionamento mais a sul da Zona de Convergência do Atlântico Sul (ZCAS). O oposto também ocorreria durante as fases de baixa insolação de verão quando a MSA estaria provavelmente mais desintensificada. Durante o penúltimo glacial (Terminação Glacial II) abruptas oscilações nos registros da CD para valores mais baixos de \'\'delta\' POT.18\'O indicaram um profundo aumento da precipitação coincidente com o evento Heinrich (H11). Nesse período a paleoprecipitação no sNEB esteve correlacionada negativamente com as mudanças climáticas na China e no oeste amazônico (Peru) e positivamente com o Sudeste brasileiro. Interpretou-se que as anomalias positivas da precipitação no sNEB podem ter estado relacionadas ao deslocamento para sul da Zona de Convergência Intertropical (ZCIT) bem como com a intensificação da MSA e ZCAS nesse período. Finalmente, oscilações isotópicas abruptas para valores mais altos observadas durante o estágio marinho isotópico 3 coincidentes com os eventos quentes registrados na Groelândia, denominados de eventos Dansgaard-Oeschger (DO), foram interpretados como a ocorrência de eventos muito secos no sNEB. Essas variações da precipitação na escala milenar, que estão em fase com os registros no Peru, podem ter estado relacionadas ao deslocamento para norte da ZCIT o que teria promovido uma profunda desintensificação da MSA.

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A ilha de São Sebastião consta principalmente de rochas alcalinas que formam um maciço de 300 km2 aproximadamente, constituindo o terceiro em área no Brasil. Apresenta-se em um "stock" alongado segundo NE-SW, encaixado em estruturas de gnais. As formações geológicas encontradas consistem em 1 - Granitos e Gnais (ARQUEANO), 2 - Eruptivas básicas (RÉTICO), 3 - Eruptivas alcalinas (JURÁSSICO) e 4 - Depósitos recentes (HOLOCENO). O método de estudo empregado foi o petrográfico e a coluna geológica estabelecida em base de dados petrográficos, tectônicos e fisiográficos. O arqueano é determinado por definição dos seus tipos petrográficos (1- gnais facoidal, 2- oligoclásio-gnais, 3- hornblenda-gnais, 4- biotita-gnais e 5- microlina-granito) idênticos aos concorrentes no considerado arqueano do Brasil meridional. O triássico (rético) é conferido às rochas básicas (diabásios e basaltos) pela sua semelhança tectônica e petrográfica com as congêneres que cortam de maneira semelhante o arqueano no continente. A "mise-en-place" das eruptivas alcalinas (1- Nordmarkito, 2- Biotita-pulaskito, 3- Pulaskito, 4- Nefelina-sienito, 5- Foiaito, 6- Essexito-foiaito, 7- Essexito e 8- Teralito) pode ser considerada jurássica devido suas relações com as eruptivas básicas referidas réticas, pois na praia do Bonete (foto 14) observa-se um dique de nordmarkito cortando outro de diabásio. As eruptivas quartzo-dioríticas (quartzo-microdiorito e quartzo-andesito) cortam as alcalinas no cume do Zabumba, indicando sua idade mais moderna que estas. Além deste fato, preenchem linhas de fraturas tectônicas recentes, como as falhas ao longo do canal de São Sebastião, indicando que a topografia deveria ser a mesma que a atual para permitir rios efusivos ao nível do canal ou que pelo menos toda a zona de extrusão estivesse, como hoje está, em superfície. Os depósitos aluviais marinhos e continentais são considerados recentes, (holocênicos) pelo favor da topografia onde se dispõe, ocupando o fundo os vales e os bordos do atual modelado costeiro, idade esta conferida em base fisiográfica. A tectônica que afetou a ilha de São Sebastião participa da que atuou em todo o litoral meridional brasileiro. Pode-se distinguir duas fases distintas: na primeira ocorreram as erupções básicas e as alcalinas subsidiárias e na segunda deram-se os falhamentos escalonados em blocos basculados para NW, com as fraturas de tensão preenchidas pelas eruptivas quartzo-dioríticas. Toda a atividade tectônica foi regulada pela direção NE-SW privilegiada da estrutura do arqueano, correspondente a antigos eixos dos dobramentos laurencianos e huronianos. A geomorfologia da ilha consta de uma antiga superfície de erosão rematada até a senilidade, - o peneplano cretáceo, hoje reduzida às cristas culminares do maciço alcalino e às satélites das estruturas gnáissicas, desnivelada pelo falhamento em blocos e ligeiramente adernada para NW devido ao basculamento. Ao lado desta topografia vestigial existe o modelado atual da ilha caracterizado por uma juventude do estágio evolutivo. Esta escultura foi inaugurada com os últimos levantamentos epirogênicos que ascenderam as eruptivas alcalinas plutônicas a mais de 1.300 m sobre o nível do mar. O modelado costeiro apresenta uma costa típica de submergência com esculturas em rias, no estágio da juventude. A presença de terraceamentos marinhos de abrasão, atualmente elevados cerca de 20 a 30 m, lembra as oscilações epirogênicas ou eustáticas do litoral.

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Tese de doutoramento, Geologia (Hidrogeologia), Universidade de Lisboa, Faculdade de Ciências, 2016

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The aim of this thesis was to evaluate historical change of the landscape of Madeira Island and to assess spatial and temporal vegetation dynamics. In current research diverse “retrospective techniques”, such as landscape repeat photography, dendrochronology, and research of historical records were used. These, combined with vegetation relevés, aimed to gather information about landscape change, disturbance history, and vegetation successional patterns. It was found that landscape change, throughout 125 years, was higher in the last five decades manly driven by farming abandonment, building growth and exotic vegetation coverage increase. Pristine vegetation was greatly destroyed since early settlement and by the end of the nineteenth century native vegetation was highly devastated due to recurrent antropogenic disturbances. These actions also helped to block plant succession and to modify floristical assemblages, affecting as well as species richness. In places with less hemeroby, although significant growth of vegetation of lower seral stages was detected, the vegetation of most mature stages headed towards unbalance between recovery and loss, being also very vulnerable to exotic species encroachment. Recovery by native vegetation also occurred in areas formerly occupied by exotic plants and agriculture but it was almost negligible. Vegetation recovery followed the successional model currently proposed, attesting the model itself. Yet, succession was slower than espected, due to lack of favourable conditions and to recurrent disturbances. Probable tempus of each seral stage was obtained by growth rates of woody taxa estimated through dendrochronology. The exotic trees which were the dominant trees in the past (Castanea sativa and Pinus pinaster) almost vanished. Eucalyptus globulus, the current main tree of the exotic forest is being replaced by other cover types as Acacia mearnsii. The latter, along with Arundo donax, Cytisus scoparius and Pittosporum undulatum are currently the exotic species with higher invasive behaviour. However, many other exotic species have also proved to be highly pervasive and came together with the ones referred above to prevent native vegetation regeneration, to diminish biological diversity, and to block early successional phases delaying native forest recovery.

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The Ionospheric Disturbances – TIDs – are irregularities on the ionospheric plasma propagating in speeds in the order of tens to a few hundreds of meters per second. This present study detected and characterized the TIDs of LSTIDs (Large Scale Travelling Ionospheric Disturbance) type at low latitudes during intense geomagnetic storms and its propagation over the Brazilian sector. This work also shows as being the first to report systematically propagation of gravity waves over Natal. For this purpose, we used ionospheric records obtained from type of digisonde CADI (Canadiam Advanced Digital Ionosonde) located in Natal and the type DSP (Digisonde Portable Souder) located in Cachoeira Paulista, Fortaleza and São Luis, whereupon we used a dataset of 12 years collected by INPE (National Institute of Space Research). In this study, both calm days, that preceded the storms, and the geomagnetically disturbed days were related during the years 2000 and 1012, which cover a period of maximum and minimum solar activity. And it is presented the variations that happened in the electron density from region F of the ionosphere over the Brazilian sector, especially near the Equator (Natal, Fortaleza and São Luis), caused by ionospheric disturbances in the equatorial region during intense geomagnetic storms, because, as we know of the literature in this area, this phenomenon contributes positively to the emergence of LSTIDs in the auroral region, which may move to the equatorial region where a few cases have been documented and studied systematically. From the observation of signatures if TIDs in ionogram records, a study of the morphology of these events was performed and compared with the main characteristics of the wave of this phenomenon during great magnetic storms, i.e., DST <(-200 nT) and KP > 6. Thus, we obtained the main characteristics of TIDs over our region, i.e., period, vertical wavelength, phase and propagation speed, as well as the delay of these disturbances compared to the beginning of the magnetic storms to the Brazilian Sector.

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This study was conducted in the adjacent Brazilian equatorial inner shelf to Rio Grande do Norte, between the region of Porto do Mangue and Galinhos. The main objective is the characterization of biogenic sediments, especially foraminifera and ostracod collected on the surface of the seafloor. The methodology involved standard procedures including literature, surveys, processing of samples in the laboratory and identification of foraminifera and ostracods by genera or species under stereo microscopy and scanning electron microscopy (SEM). Multivariate statistical analyzes and study of ecological indexes were also applied to the study of foraminifera. Three transects, from inner shelf to slope were sampled: profile 01 (east, near Galos), profile 02 (center, near the city of Macau) and profile 03 (west, near Ponta do Mel). Results indicated the predominance of benthic foraminifera and little plankton occurrence. Benthic foraminifera genera observed in abundance were Quinqueloculina, Textularia, Globigerina and Pyrgo, Quinqueloculina, Textularia, Pyrgo, Ammonia, Elphidium, Pseudononion, Peneroplis, Bolivina and Poroeponides, occurred more frequently. Less frequently been described Amphistegina, Archaias, Bigenerina, Cibicides, Cassidulina, Amphicorina, Cornuspira, Paterina, Hopkunsina, Oolina, Uvigerina, Fusenkoina, Nonionella, Amphisorus, Wiesrella, Reussella, Reophax, Nodosaria, Marginulina and Cyclogyra. Six genera of ostracods were also identified: Puriana variabilis / P. convoluted?, Loxoconcha sp, Bairdiidae, Xestoleberis sp, Hemicytheridae and Ruggiericythere sp. Groups of organisms found in the studied shelf presented chemical composition of Ca, C, O, Na, Cl, Al, Mg, and Si. The proportions of chemical elements may vary according to the type of biogenic sediment, with the highest values identified as Ca, C, Cl, Na and O. The absolute dating by carbon 14 method indicated sediments of different colors (light and dark), correspond to a single age from 3000 to 6000 years BP, related to the Quaternary. These data intend to complement information about biogenic sediments in the Brazilian continental shelf, especially in the Northeast, where there is a lack of such studies.