898 resultados para Digital Art History
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Pós-graduação em Artes - IA
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Pós-graduação em Televisão Digital: Informação e Conhecimento - FAAC
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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)
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This monograph seeks to provide an exposition and theoretical examination of Ciência da Carne (“Science of the Flesh”), a series of artworks in woodcut printing executed after research into the artistic aspects of Human Anatomy, done throughout the Graduate Course in Visual Arts at UNESP’s Art Institute. Traditional procedures of naturalistic representation of the human figure often adopt the scientific basis of Anatomy as a means of interpreting the surface contours of the body from its inside out. The historical connection between Anatomy and Art, however, is not merely accidental, for it is integral to the development of both disciplines, which find themselves deeply related in the human impulse for self-discovery and reinvention of its own likeness. The series of artworks collected in Ciência da Carne explores, through the particular graphical language provided by woodcut printing, abstract arrangements of isolated anatomical elements, at once removed from the context of traditional figurative representation and from the didactic goals of medical illustration.
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Este trabalho consiste numa série de ilustrações digitais criadas com base na influência da cultura pop japonesa sobre a cultura brasileira contemporânea. A ideia por trás da série surgiu de uma observação e autoanálise da poética, repertório e inspiração da artista, que também foi influenciada pelo oriente. Isto se deu tendo em vista como a cultura japonesa, nas duas últimas décadas, se tornou parte do cotidiano e imaginário de uma geração (mais especificamente no Brasil), sendo consumida em massa e assimilada pela população ocidental, criando novas hibridações de culturas. O trabalho teórico discute a influência e a vivência dessa cultura, salientando a sua importância para as gerações a partir dos anos 90. Neste trabalho, são apresentados os estilos de comportamento e moda que surgiram no Japão desde a época do pós-segunda guerra (mas aparecendo mesmo na década de 60), mostra também o epicentro desta cultura: o bairro de Harajuku, localizado em Tóquio e famoso por reunir jovens desfilando com estilos extravagantes e originais. Assim como resgata como essas influências chegaram até o Brasil e se tornaram parte importante do comportamento e cotidiano de muitos brasileiros, criando no bairro da Liberdade (em São Paulo) a equivalência com Harajuku.
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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The ARTGEO Project aimed at integrating science, art, and technology, emphasizing geometric elements which must be explored within the teaching process. Geometry, present in the most primitive civilizations, assists man in settling relationships and organizing his space. It has been clearly identified in human constructions, consisting of an important instrument of knowledge and domain of nature. The art, in its turn, can mediate the elaboration of knowledge, whether it is scientific, technical, or philosophical. Science and art are products that express the imaginary representations from distinct cultures. The Brazilian Concretism, for its relations with the geometry, is the period in art history chosen as reference. Technology was represented by the computational environments, as a didactic support and an instrument for the accomplishment of practical activities. Microsoft Word is one of the basic softwares for this proposal because of its easy access in most public schools.
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More than seven thousand years of jewelry and track social progress, cultural and religious history of man, which always sought to produce objects to decorate and entice; satisfying their desires, building an art and meanings within their time. It experiencing these possible adornments that jewelry was being developed, each with its own characteristics and peculiarities. Currently, with the technology, trade and the need to search for new creations and concepts in the field jewelry, was prepared and developed those what we call art jewelry. This article specifies the time that they were the jewels of the author and tender and makes an analysis between jewelry as art and contemporary art.
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A partir de uma citação do romance Mocidade morta, de Gonzaga-Duque, e da análise de algumas pinturas brasileiras, produzidas entre a segunda metade do século XIX e a primeira do século XX, este texto problematiza alguns paradigmas da história da arte no Brasil. Enfatiza a necessidade de rever a periodização da arte brasileira, uma vez que as diferenças entre produções "acadêmicas" e outras "modernistas" parecem apenas tópicas
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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
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Lo studio analizza il modo in cui la storia dell’arte e la visual culture vengono utilizzate all’interno delle medical humanities, e cerca di suggerire un metodo più utile rispetto a quelli fin qui proposti. Lo scritto è organizzato in due parti. Nella prima parte sono analizzate alcune teorie e pratiche delle scienze umane in medicina. In particolare, ci concentriamo sulla medicina narrativa e sugli approcci con cui la storia dell’arte viene inclusa nella maggioranza dei programmi di medical humanities. Dopodiché, proponiamo di riconsiderare questi metodi e di implementare il ruolo di un pensiero storico e visivo all’interno di tali insegnamenti. Nella seconda parte, alla luce di quanto emerso nella prima, ci dedichiamo a uno studio di caso: la rappresentazione della melanconia amorosa, o mal d’amore, in una serie di dipinti olandesi del Secolo d’Oro. Colleghiamo queste opere a trattati medico-filosofici dell’epoca che permettano di inquadrare il mal d’amore in un contesto storico; in seguito, analizziamo alcune interpretazioni fornite da studiosi e storici dell’arte a noi contemporanei. In particolare, esaminiamo lo studio pionieristico di Henry Meige, pubblicato sulla “Nouvelle iconographie de la Salpêtrière” nel 1899, da cui emerge la possibilità di un confronto critico sia con le posizioni iconodiagnostiche di Charcot e Richer sia con quelle della prima psicoanalisi.
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In der vorliegenden Arbeit sind erstmals die Karmeliterchorbücher des Mainzer Dommuseums - ein fünfbändiges Antiphonar und ein Graduale - kodikologisch und kunsthistorisch untersucht worden. Dabei stellte sich heraus, dass diese bislang in der Literatur nur bruchstückhaft bekannten Handschriften zwei eigenständige Werke sind, deren Bildinitialen nicht - wie bislang angenommen - von dem in einer Widmung genannten Frater Nycolaus angefertigt worden sind. Dieser konnte lediglich als Schreiber von drei Bänden des Antiphonars identifiziert werden. Die neun Bildinitialen des handwerklich solide angefertigten Graduales folgen altbekannten böhmischen Vorbildern und bestechen durch ihre Erzählfreude und Detailgenauigkeit. Kunsthistorisch bedeutsamer sind die fünf erhaltenen Bildinitialen des Antiphonars, das wahrscheinlich von dem Mainzer Juristen und Geschichtsforscher Franz Joseph Bodmann im 19. Jahrhundert um mindestens zehn weitere Bildinitialen beraubt wurde. Die Qualität der verbliebenen Bildinitialen, die teilweise weit entwickelte Landschaften, eine hochmoderne Verkündigungsszene und Mustergrundinitialen zeigen, die in enger Verbindung zum Göttinger Musterbuch stehen, sichern dem Antiphonar einen bedeutenden Rang in der Mittelrheinischen Kunst. Beide Liturgika überraschen durch die qualitative und quantitative Ausstattungsfülle beim einzeiligen Initialschmuck. Zwei in die Jahre 1430 und 1432 datierte Widmungen im Antiphonar nennen als Auftraggeber einen Johannes Fabri aus dem Mainzer Handwerk, der 17 Jahre später zum Prior des Mainzer Karmeliterklosters aufgestiegen ist. Ein dargestelltes Stifterpaar im Graduale lässt auch dort auf Auftraggeber aus dem Bürgertum schließen, die die Handschrift wahrscheinlich im zweiten Viertel des 15. Jahrhunderts in Auftrag gaben. Die in der Literatur postulierte Karmeliterwerkstatt muss bezweifelt werden, da die ihr zugewiesenen Werke einer kritischen Überprüfung nicht standhalten.