723 resultados para La Gente


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Pós-graduação em Artes - IA

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Pós-graduação em História - FCHS

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Pós-graduação em Geografia - IGCE

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Demographic census from the last decades of the twentieth century began to reveal a tendency concerning the increasing average age of the population. The Brazilian government began introducing ways to manage the effects and consequences of this trend, the most recent being the creation of the "Fundos do Idoso" (Funds for seniors) in the Federal, state and municipal spheres. That law allows transferring federal taxes from common citizens and companies to the funds. This article is specifically written as a critical examination of this governmental initiative towards the problem of an ageing population from the point of view as to how the law has been implemented. With the creation of the funds there will be the enlargement and improvement of services destined for seniors. However, the law mentioned above does not predict an active participation of the seniors in the management of this funds and policies that will come as result.

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The objective of this work was, from a bibliographical survey, to discuss the relationship between the subjects “Mental Health” and “Death”, in order to analyze possible contributions of the Psychiatric Reformation tied with the sphere of Palliative Cares. The characterization of madness as a social problem is related to the development of the capitalist mode of production. Unable to fulfill the requirements imposed by capital, insane persons are excluded from society and locked in psychiatric hospitals in order to be treated. In the same way, death is incompatible with the capitalist principles of accumulation of goods. Dying people are then transferred to the hospital in order to hide their invalidity, non-production and felt inexistence of wealth. Some principles for care in mental health that could be shared in the palliative cares are: deinstitutionalization; organization of assistance in a network; psychosocial assistance; interdisciplinarity and construction of the autonomy of family members and users. In this sense, some challenges are distinguished, between them, professional training.

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La ricerca si pone come obbiettivo principale quello di individuare gli strumenti in grado di controllare la qualità di una progettazione specifica che risponde alle forti richieste della domanda turistica di un territorio. Parte dalle più semplici teorie che inquadrano una costante condizione dell’uomo, “il VIAGGIARE”. La ricerca si pone come primo interrogativo quello definire una “dimensione” in cui le persone viaggiano, dove il concetto fisico di spazio dedicato alla vita si è spostato come e quanto si sposta la gente. Esiste una sorta di macroluogo (destinazione) che comprende tutti gli spazi dove la gente arriva e da cui spesso riparte. Pensare all'architettura dell’ospitalità significa indagare e comprendere come la casa non è più il solo luogo dove la gente abita. La ricerca affonda le proprie tesi sull’importanza dei “luoghi” appartenenti ad un territorio e come essi debbano riappropriarsi, attraverso un percorso progettuale, della loro più stretta vocazione attrattiva. Così come si sviluppa un’architettura dello stare, si manifesta un’architettura dello spostarsi e tali architetture si confondono e si integrano ad un territorio che per sua natura è esso stesso attrattivo. L’origine terminologica di nomadismo è passaggio necessario per la comprensione di una nuova dimensione architettonica legata a concetti quali mobilità e abitare. Si indaga pertanto all’interno della letteratura “diasporica”, in cui compaiono le prime configurazioni legate alla provvisorietà e alle costruzioni “erranti”. In sintesi, dopo aver posizionato e classificato il fenomeno turistico come nuova forma dell’abitare, senza il quale non si potrebbe svolgere una completa programmazione territoriale in quanto fenomeno oramai imprescindibile, la ricerca procede con l’individuazione di un ambito inteso come strumento di indagine sulle relazioni tra le diverse categorie e “tipologie” turistiche. La Riviera Romagnola è sicuramente molto famosa per la sua ospitalità e per le imponenti infrastrutture turistiche ma a livello industriale non è meno famosa per il porto di Ravenna che costituisce un punto di riferimento logistico per lo scambio di merci e materie prime via mare, oltre che essere, in tutta la sua estensione, caso di eccellenza. La provincia di Ravenna mette insieme tutti i fattori che servono a soddisfare le Total Leisure Experience, cioè esperienze di totale appagamento durante la vacanza. Quello che emerge dalle considerazioni svolte sul territorio ravennate è che il turista moderno non va più in cerca di una vacanza monotematica, in cui stare solo in spiaggia o occuparsi esclusivamente di monumenti e cultura. La richiesta è quella di un piacere procurato da una molteplicità di elementi. Pensiamo ad un distretto turistico dove l’offerta, oltre alla spiaggia o gli itinerari culturali, è anche occasione per fare sport o fitness, per rilassarsi in luoghi sereni, per gustare o acquistare cibi tipici e, allo stesso tempo, godere degli stessi servizi che una persona può avere a disposizione nella propria casa. Il percorso, finalizzato a definire un metodo di progettazione dell’ospitalità, parte dalla acquisizione delle esperienze nazionali ed internazionali avvenute negli ultimi dieci anni. La suddetta fase di ricerca “tipologica” si è conclusa in una valutazione critica che mette in evidenza punti di forza e punti di debolezza delle esperienze prese in esame. La conclusione di questa esplorazione ha prodotto una prima stesura degli “obbiettivi concettuali” legati alla elaborazione di un modello architettonico. Il progetto di ricerca in oggetto converge sul percorso tracciato dai Fiumi Uniti in Ravenna. Tale scelta consente di prendere in considerazione un parametro che mostri fattori di continuità tra costa e città, tra turismo balneare e turismo culturale, considerato quindi come potenziale strumento di connessione tra realtà spesso omologhe o complementari, in vista di una implementazione turistica che il progetto di ricerca ha come primo tra i suoi obiettivi. Il tema dell’architettura dell’ospitalità, che in questo caso si concretizza nell’idea di sperimentare l’ALBERGO DIFFUSO, è quello che permette di evidenziare al meglio la forma specifica della cultura locale, salvandone la vocazione universale. La proposta progettuale si articola in uno studio consequenziale ed organico in grado di promuovere una riflessione originale sul tema del modulo “abitativo” nei luoghi di prossimità delle emergenze territoriali di specifico interesse, attorno alle quali la crescente affluenza di un’utenza fortemente differenziata evidenzia la necessità di nodi singolari che si prestino a soddisfare una molteplicità di usi in contesti di grande pregio.

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Ormai siamo bombardati da notizie non rassicuranti. Telegiornali, quotidiani,periodici, per gran parte, non sono altro che una elencazione di furti, rapine,omocidi,pestaggi, stupri... Verrebbe quasi voglia di spegnere tutti gli apparecchi,non comperare più la stampa, e rinchiudersi in un totale e dorato isolamento. Ma ciò non è possibile perchè basta stare fra la gente ed inevitabilmente si viene contagiati da un senso di instabilità, a maggior ragione in quanto donna e giovane, che ti spinge a pensare a come mettere a disposizione della sicurezza i tuoi saperi. Da ciò è nata la riflessione su come è possibile dare un contributo per garantire maggiore sicurezza alle donne ed in particolare alle ragazze nei momenti in cui frequentano luoghi di aggregazione giovanili ed anche quando sono sole, tramite l'ideazione di un apposito dispositivo di sicurezza personale.

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Dans l’histoire des civilisations, le contexte de guerre a très généralement placé les femmes en marge des actions de guerre. Au propre comme au figuré, elles y apparaissent le plus souvent protégées, écartées des fronts, qui semblent conséquemment être la seule affaire des hommes du fait de l’usage généralisé de la violence. C’est logiquement l’idée répandue qu’on s’en fait des occidentales établies en colonies africaines, surtout qu’entre 1914 et 1918, notamment au Cameroun, territoire colonial allemand disputé avec la France et l’Angleterre, les coloniales allemandes ont été prioritairement surprotégées1. Pourtant, il n’en a pas toujours été ainsi de toutes les crises majeures vécues sur ce territoire colonial. La période française apparaît plus intéressante en ceci que l’exclusion des blanches du front y a été peu évidente. La spécificité du Cameroun entre intérêts français et allemands, et la guerre fratricide qui mettent en opposition idéologique les Français entre eux, sont autant de raisons qui convoquent une attitude particulière des administrateurs coloniaux du Cameroun pour la défense du territoire. Entre 1939 et 1945 en effet, ils mettent à contribution la gente féminine dans la plupart de leurs stratégies adoptées pour la protection des acquis français outre-mer. De fait, au milieu des démonstrations de force essentiellement viriles vécues alors, il faut parfois compter sur une catégorie de femmes qui t battent parallèlement en brèche les stéréotypes liés au sexe, pour pénétrer un cercle fermé et jouer un rôle plus ou moins déterminant dans la défense de ce territoire français outre-mer. Face aux velléités de sujétion nazie qu’elles récusent, quelques coloniales surtout françaises se frottent exceptionnellement aux protagonistes du moment pour clairement s’affirmer comme de valeureuses résistantes de l’intégrité territoriale française. Qui étaient ces résistantes à l’ordre nazi au Cameroun ? Pourquoi et comment s’intègrent-elles dans le mouvement de résistance local ? A quel titre et de quelle manière ? Quels rôles y jouent-elles entre 1939 et 1945 ? Des questions pertinentes qu’il serait loisible d’analyser en profondeur afin de mettre en lumière la véritable participation féminine pour la vie et à la survie de la France en colonie, notamment au Cameroun. (Cameroun 1939 - 1945, Femmes, activisme français, résistance)

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Las nuevas tecnologías y el procesamiento digital han facilitado considerablemente la lingüística de corpus, por ejemplo Internet es una herramienta fácil y barata para recopilar corpus. Internet es cada vez más popular y más importante para la comunicación a causa de la enorme influencia de los nuevos medios y ha afectado la vida y la sociedad de muchas maneras y en parte, de manera fundamental. No sorprende por eso que la lengua y la comunicación misma se vean afectadas. Uno de los fenómenos más interesantes dentro de la comunicación mediada por ordenadores (CMC) son las redes sociales en línea, que en pocos años se han convertido en un medio de comunicación muy difundido y en expansión continua. Su estudio es particularmente interesante porque debido al desarrollo constante de la tecnología las redes sociales en línea no son una entidad estática, sino que cambian incesantemente, introduciéndose frecuentemente novedades para su uso. Estas novedades están condicionadas por el medio electrónico que a su vez influye decisivamente en el estilo de comunicación empleado en redes sociales como Facebook y Tuenti. Al ser un nuevo medio de interacción social, las redes sociales en línea producen un estilo de comunicación propio. El objetivo de análisis de mi tesis es cómo los usuarios de Facebook y Tuenti de la ciudad de Málaga crean este estilo mediante el uso de rasgos fónicos propios de la variedad andaluza y de qué manera la actitud lingüística de los usuarios influye en el uso de dichos rasgos fónicos. Este estudio se basa en un corpus elaborado a partir de enunciados de informantes en Facebook y Tuenti. Un corpus constituido por transcripciones amplias de grabaciones de hablantes malagueños me sirve de corpus de comparación. Otra herramienta metodológica empleada para recopilar datos será la encuesta: un tipo de encuesta estará destinada a captar las actitudes de los participantes frente a diversos rasgos del habla andaluza/malagueña y otro a examinar por qué la gente utiliza estos rasgos en Facebook y Tuenti. Este estudio se apoya en los resultados de un estudio piloto que muestran que los factores sociales y lingüísticos analizados funcionan de manera distinta en el habla real y virtual. Debido a estos usos diferentes podemos considerar la comunicación electrónica de Facebook y Tuenti como un estilo condicionado por el tipo de espacio virtual. Se trata de un estilo que sirve a los usuarios para crear significado social y para expresar sus identidades a partir de la lengua.

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El propósito de este trabajo, Clima Laboral, es conocer el ambiente de una institución, en este caso el Hospital Regional Diego Paroissien, en un momento dado. Se trata de obtener el conocimiento interno del mismo y posibilitar a los empleados canalizar sus opiniones a través de las respuestas que manifiestan en la encuesta de clima. El mero hecho de permitir expresar las opiniones en cada una de las áreas y saber que éstas van a ser tenidas en cuenta genera expectativas en los empleados, por lo que es importante tomar medidas de mejora. El motivo por el cual se realizó esta investigación de clima laboral, se debe a la influencia que éste ejerce sobre el comportamiento de los empleados. El no contar con este conocimiento puede incidir negativamente en la productividad, motivación, satisfacción en el trabajo, etc. Se hace necesario reflexionar y priorizar la calidad de vida de la gente que trabaja en las organizaciones, ya que poco aporta un empleado frustrado, o que tenga resentimiento contra su jefe o lugar de trabajo. Un clima bien estructurado y con un perfil satisfactorio puede hacer que una organización sea exitosa. Ésta será valorada por los empleados que la conforman con agrado, compromiso y satisfacción.

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En el año 2000 el Banco Macro no era una entidad de referencia del sistema financiero y, en muchos casos, la gente no conocía la existencia de Banco Macro Bansud SA, como se llamaba en ese momento. La inquietud de los orígenes y el fenomenal crecimiento fueron los principales factores de análisis que se quisieron descubrir con la presente investigación. El objetivo principal es lograr que el lector tenga un conocimiento general de la evolución del sistema financiero en su conjunto y del Grupo Macro en particular. Obtener conclusiones de los motivos que llevaron a esta entidad a ser uno de los principales bancos de capitales privados nacionales del país y el que posee la mayor red de sucursales. Conocer si este crecimiento fue acompañado por el sector al cual pertenece o fue proporcionalmente mayor. Si la estrategia adoptada fue acompañada por otras entidades o fue una fuente de diferenciación de sus competidores. Para lograr que el lector se pueda introducir fácilmente en el trabajo se decidió ordenar el mismo desde lo más general y del sector a lo particular del Grupo Macro y algunos competidores estratégicos.

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Este trabajo se enmarca en la temática principal acerca de los conceptos clásicos de racionalidad, emociones y felicidad así como de una revisión actual de ellos. El objetivo central es, pues, analizar las tres nociones. Para ello, la metodología será el análisis conceptual de los textos pertinentes referidos en la bibliografía. La conclusión se centrará en que hay un doble vínculo científico, psicológico-neurológico y económico viable entre las nociones de racionalidad, las emociones y la felicidad.La relación entre la racionalidad, las emociones y la felicidad constituye un problema de larga data. Básicamente, se pueden distinguir tres grupos de cuestiones. En primer lugar, podemos intentar determinar el 'impacto de las emociones en la racionalidad de la toma de decisiones'. (Elster 2002, IV) En segundo lugar, podemos preguntarnos si 'las propias emociones pueden ser valoradas como más o menos racionales, independientemente de su influencia en las elecciones que hacemos o en las creencias que nos formamos'. (Ibid. 2) Y, en tercer lugar, podemos preguntarnos si las emociones pueden ser objeto de una elección racional, es decir, 'si las personas pueden entrar en una deliberación racional acerca de cuáles son las emociones que han de inducirse en sí mismas o en los demás y si realmente lo hacen'. (Ibid. IV, 3, 300) Tradicionalmente, se ha aceptado que las emociones suponen una especie de 'traba' para la elección racional. Sin embargo, esta posición ha sido revisada, proponiéndose, en cambio, que las emociones no sólo no interfieren en la toma racional de decisiones sino que la favorecen. De este modo, se puede decir que las emociones nos ayudan a tomar decisiones funcionando como factores que deshacen el 'empate en los casos de indeterminación' y que, de manera más general, mejoran la calidad de la toma de decisiones al hacer posible que nos centremos en los rasgos mas destacados de la situación (Elster 2002, Apéndice) análogamente al análisis situacional de Popper. Contra la propuesta tradicional y la revisionista, se enuncia la tesis de que las emociones no afectan 'en lo más mínimo' la racionalidad de la elección misma. Si bien las emociones intervienen en las decisiones como costos y beneficios asociados a las diversas opciones no lo hacen en tanto fuerzas psíquicas 'distorsionantes' de los mecanismos de la elección. Se trata, en este contexto, de la capacidad (¿estado de ánimo?) de abordar una tarea llevándola al término propuesto. El resultado final complace -hace feliz- a la persona que la lleva a cabo. A partir de 1987, Ekman estableció las pruebas en relación con que la emoción tiene diferentes patrones en el sistema nervioso autónomo. 'Los actores representaban expresiones faciales mientras eran registrados con una serie de variables autónomas (ritmo cardiaco, conductancia de la piel)" (p. 49) Ekman y colaboradores propusieron patrones de la emoción diferentes para seis emociones biológicamente básicas: 1. Sorpresa. 2. Disgusto. 3. Tristeza. 4. Ira. 5. Miedo. 6. Alegría/Felicidad. Especialmente después del año 2004 las The Big Six de Prinz se convirtieron en la lista de emociones básicas ampliamente aceptadas. Se estableció así un primer vínculo de carácter psicológico y neurocientífico entre las nociones de racionalidad, las emociones y la felicidad. El segundo vínculo que propondremos en este trabajo se refiere al de la economía, más precisamente, la rama de la economía de la felicidad. Este vínculo manifiesta una relación donde las variables económico-sociológicas deben ser incluidas en el nexo entre la racionalidad, las emociones y la felicidad. La llamada 'paradoja de Easterlin' es un concepto clave en la economía de la felicidad: dentro de un país dado, la gente con mayores ingresos tiene una mayor tendencia a afirmar que es más feliz. Sin embargo, cuando se comparan los resultados de varios países, el nivel medio de felicidad que los sujetos dicen poseer no varía prácticamente. (Maceri, S., García P. 2010). A través de Easterlin (2001), se advierte que aunque el resultado de sus estudios es paradojal, los contextos sociales deben ser contemplados en este segundo tipo de nexo. En síntesis, hay un doble vínculo viable entre las nociones de racionalidad, las emociones y la felicidad: el de la psicología y neurociencia, por una parte, y el de la ciencia económica, por otra, ambos interconectados con sus consabidas dificultades

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Masten y Gewirtz (2006) sostienen que si bien desde siempre las historias que narran el triunfo de una persona frente a la adversidad han ejercido fascinación sobre la gente, el estudio científico de la resiliencia se inició entre los años sesenta y setenta. En 1990 Rutter sostuvo que el interés por conocer las características de aquellas personas que desarrollan 'resiliencia' a pesar de las condiciones adversas de crianza o en circunstancias que aumentan el riesgo de presentar psicopatologías, provenía de tres fuentes: una, el aumento y consistencia de datos empíricos sobre diferencias individuales en poblaciones infantiles de alto riesgo. La segunda se originó en las investigaciones sobre temperamento realizadas en USA en los años setenta. Para comprender la idea anglosajona de temperamento hay que pensar en 'tendencias a desarrollar la personalidad de una cierta manera' (Cyrulnik, 2008: 43). La tercera línea tuvo su origen en la observación de las distintas formas en que las personas enfrentan las experiencias vitales (Becoña, 2006). La primera generación de investigaciones eran consistentes entre sí sugiriendo la poderosa influencia del proceso adaptativo común y el interjuego de genes y experiencia en el desarrollo infantil. (Masten y Gewirtz, 2006) Uno de estos estudios pioneros fue realizado por Werner y Smith con 698 niños nacidos en Kauai (Hawai) en 1955. La totalidad de la población estudiada estaba en condiciones de riesgo pero aproximadamente un tercio estaba sujeto a múltiples factores de alto riesgo, a saber: pobreza, discordia parental, psicopatología parental y estrés perinatal. El seguimiento de la cohorte se realizó hasta los 40 años. Uno de los hallazgos fue que muchos de los jóvenes del subgrupo de alto riesgo que habían desarrollado problemas en la adolescencia se habían convertido en adultos con relaciones estables y satisfactorias en la familia y el trabajo. Solamente uno de cada seis adultos manifestaba problemas de diversa índole: pobreza, conflictos domésticos, violencia, abuso de sustancias, problemas de salud mental y baja autoestima. (Benard, 2004) Otra investigación seminal sobre resiliencia surgió de la búsqueda de las causas de la enfermedad mental. Los investigadores se concentraron en los hijos de padres mentalmente enfermos y advirtieron que muchos de estos niños se desarrollaban bien y no presentaban problemas de salud mental. Siguieron una perspectiva integrativa y de colaboración entre los especialistas clínicos y del desarrollo infantil y elaboraron un programa completo de investigación sobre resiliencia que duró varias décadas. (Masten y Powell, 2003) Estos primeros estudios se centraron en las cualidades de los niños resilientes, consideradas como atributos de los propios niños, solo posteriormente se observó la relación con características de las familias y sus comunidades de pertenencia. (Kotliarenco, Cáceres, y Fontecilla, 1997). Durante bastante tiempo se pensó que resiliencia era equivalente a invulnerabilidad y si bien desde la década del setenta dejó de utilizarse este término, aún hoy se considera que resiliencia y vulnerabilidad son los polos opuestos de un mismo continuo. Así encontramos en revisiones recientes que 'La vulnerabilidad se refiere a incrementar la probabilidad de un resultado negativo, típicamente como un resultado de la exposición al riesgo. La resiliencia se refiere a evitar los problemas asociados con ser vulnerable' aunque se admite en forma generalizada que este concepto se utiliza para referirse a 'un positivo y efectivo afrontamiento en respuesta al riesgo o a la adversidad'. (Becoña.2006:131). En sentido amplio, la vulnerabilidad afecta a cualquier sistema con un mínimo de organización sea éste natural, artificial o social. Cualquier análisis epistemológico de este concepto debe comenzar reconociendo que la diversidad de criterios responde a las diferentes unidades de análisis que recortan los investigadores y que sus definiciones dependen de los elementos articuladores que toman en consideración en cada dominio. En nuestro caso, - una investigación epidemiológica sobre salud mental infantil- partimos de dos supuestos básicos: a) la cualidad de vulnerable es una condición de todos los seres humanos pero no alcanza a todos por igual ni de la misma manera y b) toda vulnerabilidad es vulnerabilidad psicosocial dado que impacta de modo directo o indirecto sobre los sujetos en estudio. Sin embargo, el examen sería incompleto sino no se despeja previamente vulnerabilidad psicosocial de los conceptos de resiliencia y trauma con los que se lo relaciona en salud y educación. Algunas lecturas simplificadoras entienden que resiliencia es el resultado de la sumatoria de factores protectores mientras que vulnerabilidad es la sumatoria de los factores de riesgo. Dada la abundancia de investigaciones sobre estas temáticas, nos limitaremos a realizar una breve aproximación conceptual a cada uno de ellos y sus vinculaciones

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El presente trabajo se basa en la lectura y análisis de testamentos otorgados por la "gente de color" que habitaba la ciudad de Buenos Aires hacia fines de la época colonial y principios del lapso independiente; esta eficaz fuente, no siempre tenida en cuenta por los investigadores de la institución esclavista, nos ilustra sobre una variedad de aspectos (socio-económicos, demográficos, culturales, religiosos) atinentes al grupo, al punto de convertirse en un venero sumamente fecundo para intentar estudios como el que nos ocupa. A través del mismo se verá que los testadores morenos y pardos, aunque numéricamente representan sólo una parte de la comunidad afroporteña, son aquellos que lograron una mejor adaptación a la sociedad en la cual estaban inmersos, aunque tibiamente integrados, admitiendo sin renuencias las pautas culturales que la misma determinaba.