998 resultados para CASTELLO DI MONTEBELLO, RESTAURO, SISMICA, DEMOLIZIONE, RICOSTRUZIONE, MUSEO


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Il lavoro di tesi si pone l'obiettivo di valorizzare la cinta muraria medievale della città di Rimini attraverso la progettazione di un sistema di percorsi archeologici, analizzando le criticità e sviluppando linee guida per il restauro e la riqualificazione dell’ambiente circostante. Il lavoro è diviso in fasi: 1-Ricerca storica di tipo archivistico e iconografico per indagare l’evoluzione del sistema difensivo partendo dalle origini fino alle recenti demolizioni. 2-Sulla base delle trilaterazioni in possesso, si è proceduto al rilievo diretto della cinta muraria di San Giuliano con l’obiettivo di comprendere la fabbrica delle mura e restituire graficamente lo stato dell’opera nelle parti che la compongono, in particolare della torre malatestiana e la scala riportandole informazioni necessarie al restauro. Si sono poi rilevate le criticità dell’area circostante le mura. 3-Si è elaborata una proposta progettuale di restauro in merito: -alla riqualificazione del parco con un progetto di restauro urbano degli spazi verdi e dei percorsi ciclo-pedonali per facilitare la lettura del tracciato storico e favorire la fruizione ai cittadini creando punti di ritrovo e di sosta; -alle mura, fondata sui principi di reversibilità, distinguibilità e minimo intervento restituendo un’idea volumetrica dell'immagine interrotta del monumento, minimi interventi di ripristino, la chiusura del varco incongruo della torre; -ai percorsi archeologici per facilitare la lettura della cinta muraria creando un sistema circolare sia interno che esterno tramite l’installazione di segnaletica sia orizzontale che verticale e la realizzazione di nuovi percorsi ciclo-pedonali collegati a quelli già esistenti. Nell’iter progettuale si sono voluti raggiungere il recupero e la valorizzazione dell’intera cinta muraria riminese collegando diversi interventi puntuali realizzati nel recente passato tramite un sistema organico di opere atte a fornire un’unità di linguaggio facilmente riconoscibile.

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Il tema approfondito in questo elaborato è relativo a nuove forme di esperienze museali in grado di favorire una maggiore fruizione dei musei da parte dei visitatori portatori di disabilità sensoriali. L’obiettivo dello studio, reso possibile grazie alla collaborazione con il Comune di Riccione, l’Università di Bologna e il Museo del Territorio di Riccione, riguarda la riproduzione tattile 3D di alcuni manufatti di epoca romana rinvenuti nel territorio e l’implementazione di soluzioni di esplorazione dei modelli fisici con tecniche di realtà aumentata e feedback sonori per fornire al visitatore un’esperienza tattile/sensoriale sugli oggetti. La parte di competenza di questo elaborato riguarda principalmente due aspetti: il rilievo 3D effettuato su quattro diversi frammenti di due serie di lastre fittili, mediante l’utilizzo di scanner ad alta risoluzione e fotogrammetria digitale, e la successiva modellazione in ambiente digitale. Quest’ultima fase comporta l’elaborazione delle scansioni tramite software dedicati e la creazione di mesh per generare la stampa di copie fisiche 3D. In una fase successiva alla stampa 3D le copie saranno poi gestite con particolari tecnologie di esplorazione sensoriale che accompagneranno l’utente durante l’esperienza tattile con feedback sonori. La sperimentazione condotta in questa tesi vuole dimostrare come sia possibile portare ad una trasformazione del ruolo dei musei, da quello tradizionale di magazzino statico a quello di ambiente di apprendimento attivo a disposizione di tutti offrendo esperienze immersive ed educative.

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Résumé La ricerca del dibattito sul restauro nella Firenze del Novecento copre un arco temporale piuttosto lungo, che va dall'istituzione del Gabinetto dei restauri fiorentino, avvenuta tra il 1932 e il 1934 sino al 1966, anno della drammatica alluvione che travolse il patrimonio storico e artistico della città di Firenze. Sono più di trent'anni densi di storia, in cui grazie alla tradizionale vocazione artigiana messa in atto di volta in volta attraverso metodiche sperimentali, il Gabinetto dei restauri fiorentino, organizzato da Ugo Procacci affrontò dapprima l'emergenza bellica e, grazie alle esperienze maturate in quella circostanza, fronteggiò i danni provocati alle opere d'arte alluvionate. Lo scopo della ricerca è stato proprio quello di individuare gli aspetti ancora attuali del dibattito sul restauro e sulla conservazione. Filo conduttore è stato il dibattito sull'unificazione dei princìpi del restauro in Italia e quindi, dei suoi riflessi a Firenze. Nella prima parte della ricerca, trattando degli inizi dell'attività del Gabinetto dei restauri di Firenze era inevitabile studiare i riflessi che la creazione dell'Istituto Centrale del Restauro ha avuto sull'ambiente fiorentino. L'incombere della seconda guerra mondiale ebbe un peso determinante nell'accelerare i tempi di attuazione di un simile progetto: si temeva fortemente per le sorti del patrimonio artistico italiano e alle Soprintendenze sarebbe spettato il compito di mettere in salvo il maggior numero possibile di opere d'arte nei rifugi antiaerei e, successivamente, provvedere al restauro delle opere danneggiate: la questione dell'unificazione dei metodi da seguire nel campo del restauro e della conservazione delle opere d'arte era divenuta argomento di urgente attualità a guerra conclusa, soprattutto in vista del recupero delle opere danneggiate, Nella seconda parte del lavoro, trattando gli aspetti più attuali e quindi problematici della storia del restauro fiorentino, in particolare riferiti all'arco cronologico che va dalla metà degli anni Cinquanta sino alla fine degli anni Sessanta, è risultato di estremo interesse analizzare le cause e gli effetti della nota "stagione degli stacchi" e quindi l'avvio del dibattito sulla conservazione preventiva delle pitture murali esposte all'aperto. La questione relativa alla conservazione delle pitture murali esposte all'aperto, nei chiostri e nei tabernacoli, rappresentò il caso paradigmatico attorno al quale l'interesse e le soluzioni adottate per la salvaguardia dei cicli pittorici trovarono gli studiosi e i teorici del restauro italiani e stranieri per un'unica volta tutti concordi nell'avvalersi della prassi sistematica preventiva dello strappo delle pitture murali e del distacco delle sottostanti sinopie. Fu dunque questa l'unica occasione in cui si assistette ad una vera unificazione di intenti a livello nazionale.

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Sintesi II presente lavoro di ricerca, maturato nel quadro di un dottorato in storia contemporanea, propone una ricostruzione dei percorsi materiali e dei percorsi culturali degli emigrati italiani in Svizzera tra la tìne della Seconda guerra mondiale e i primi anni Settanta. Le principali fonti di prima mano adoperate nella ricerca consistono in tre diversi generi di narrazioni autobiogratìche: le fonti orali (cento interviste complessive raccolte e analizzate); le scritture epistolari (tre fondi per un totale di circa duecento lettere); le scritture scolastiche di adolescenti e giovani emigrati italiani, iscritti, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ad una scuola privata del Canton Zurigo (circa seicento temi validi come prova di lingua italiana per il conseguimento della licenza media tra il 1973 e il 1974). Le fonti soggettive raccolte hanno permesso di tracciare i profili di numerosi di percorsi migratori vissuti da queste persone, lavorando, in primo luogo, sulla loro dimensione materiale, ovvero sulle tappe íìsiche, dal viaggio, alla ricerca del posto di lavoro e dell'alloggio, alla formazione di una famiglia, agli strumenti utilizzati per mantenersi in contatto con il proprio paese d'origine. Si sono poi inquadrate alcune delle possibili evoluzioni ideologiche e culturali, nei termini consentiti dallo studio della memoria e delle rappresentazioni di sé, offerte dagli emigrati stessi. In sintesi, quindi, il lavoro propone una ricostruzione di un frammento di storia dell'emigrazione italiana, con tutte le specitìcità legate a un paese di accoglienza, la Svizzera, e a un periodo storico, il Secondo dopoguerra. Alcuni dei caratteri principali dei percorsi materiali sono senz'altro legati alle peculiarità della legislazione svizzera, con la detìnizione di "straniero" che dava, le condizioni di vita che rendeva praticabili e possibili, i passaggi di tempo che imponeva per avere una permesso a tempo indeterminato, per raggiungere una certa stabilità, per ricomporre il proprio nucleo familiare. Anche alcuni fenomeni culturali erano legati a queste dimensioni specitïche, per cui non hanno riscontro, negli stessi termini, in altri contesti e in altri periodi. Accanto alle peculiarità e alle differenze che questa storia ha rispetto ad altre storie di emigrazione legate ad altri paesi e ad altri contesti, dal lavoro emergono processi e fenomeni di interesse più generale, qualora ci si interessi di fenomeni migratori, di conflitti, di inclusione e di esclusione di gruppi umani differenti. Alcune delle problematiche che si sono poste nella storia in analisi -per esempio quelle relative alla scolarizzazione dei minori, al rapporto tra diritto di residenza e obbligo di impiego, alla presenza di clandestini e al loro rapporto con associazioni o gruppi di assistenza legali o illegali -sono senza dubbio utili riferimenti per chi oggi voglia ragionare su problematiche analoghe poste in diversi contesti.

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La tesi di Dottorato, condotta in accordo di colutela tra l'Università di Roma Tor Vergata e l'UNIL di Losanna, ha affrontato l'analisi di un gruppo di undici disegni custodia presso la National Gallery of Scotland di Edimburgo, copie di alcuni dei più significativi mosaici medioevali delle chiese di Roma, ricostruendone la genesi, quindi le vicende legate alla committenza, e il percorso collezionistico. I disegni scozzesi, oggetto di un importante articolo di Julian Gardner pubblicato sul Burlington Magatine nel 1973, furono commissionati intorno agli anni Settanta del XVII secolo dall'antiquario romano Giovanni Giustino Ciampini (1633-1698) in connessione alla stesura della sua opera di erudizione più avvertita e famosa: i Vetera Mommenta in' quibus praecipue Musiva Opera, sacrarum, profanan,mque, Aedìum structura, ac nonnulli antiqui ritus dissertationibus iconìbusque illustrantur. La composizione dei Vetera Mommenta - un'opera riccamente illustrata che nasce per rispondere alle esigenze della ideologia della Chiesa di Roma in un momento di rinnovata crisi del sistema - impone a Ciampini di porsi da un lato nella prospettiva della più alta tradizione antiquaria cinque e seicentesca, di cui recupera i metodi di lettura e di analisi applicati allo studio delle monete e dei monumenti antichi interpretati quali prove per la ricostruzione storica, e dall'altra, come è emerso dalle mie ricerche, lo pone immediatamente in contatto con gli avamposti del più moderno metodo di indagine storica e filologica applicato alle fonti e ai documenti della storia ecclesiastica, inaugurato dall'ambiente bollandista e inaurino. I monumenti paleocristiani e medioevali assumono in quest'ottica lo status di 'fatti incontestabili', le fonti primarie attraverso le quali Ciampini ricuce le tappe salienti della storia della Chiesa, da Costantino fino al XV secolo. Nel 1700 le copie di Edimburgo arrivano nelle mani del mercante e connoisseur milanese il padre oratoriano Sebastiano Resta (1635-1714), di stanza a Roma presso la Chiesa Nuova della Vallicella dal 1660, che decide di rilegarle tutte insieme in un volume da donare al suo maggiore acquirente e patrono, il vescovo di Arezzo Giovanni Matteo Marchetti. Come spiega Resta in alcune sue lettere, il presente avrebbe dovuto costituire insieme una curiosità ed offrire un confronto: infatti «le copie delli mosaici di Roma che erano di Monsignor Ciampini» - afferma Resta - avrebbero mostrato al Marchetti «le maniere di que' tempi gottici, barbari e divoti de cristiani e [fatto] spiccare i secoli seguenti». Questa indagine infatti ha fatto riemergere aspetti della precoce attenzione di Sebastiano Resta per l'arte dei "secoli bassi", mai debitamente affrontata dagli studi. E' infatti sulla scorta di una profonda conoscenza dei testi della letteratura artistica, e in connessione alla esplosione vivacissima della controversia Malvasia/Baldinucci sul primato del risorgere delle arti in Toscana, che Sebastiano a partire dagli anni Ottanta del Seicento comincia a meditare sul Medioevo artistico con il fine di spiegare l'evoluzione del linguaggio tecnico e formale che ha condotto alla perfezione dell'atte moderna. In questa prospettiva ι disegni del XIV e XV secolo che egli riuscì ad intercettare sul mercato valgono quali testimonianze delle maniere degli artefici più antichi e sono imbastiti nei molteplici album che Resta compone nel rispetto della successione cronologica dei presunti autori, e ordinati in base alle scuole pittoriche di pertinenza. La tesi permette perciò di descrivere nelle loro diverse specificità: da un lato il modo dei conoscitori come Resta, interessati nell'opera al dato stilistico, con immediate e sensibili ricadute sul mercato, e disposti anche con passione a ricercare i documenti relativi all'opera in quanto pressati dall'urgenza di collocarla nella sequenza cronologica dello sviluppo del linguaggio formale e tecnico; dall'altro gli antiquari come Ciampini e come Bianchini, per i quali le opere del passato valgono come prove irrefutabili della ricostruzione storica, e divengono quindi esse stesse, anche nel loro statuto di copia, documento della stona. Sono due approcci che si manifestano nel Seicento, e talvolta in una medesima persona, come mostra il caso anche per questo cruciale di Giovati Pietro Bellori, ma che hanno radici cinquecentesche, di cui i protagonisti di queste vicende sono ben consapevoli: e se dietro Resta c'è palesemente Vasari, dietro Ciampini e soprattutto Bianchini c'è la più alta tradizione antiquaria del XVI secolo, da Antonio Augustin a Fulvio Orsini.

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La tesi descrive il fenomeno di ricezione del mito faustiano all'interno della tradizione letteraria italiana di Otto e Novecento (1808-1945) nel suo sviluppo diacronico, individuando i nodi processuali emergenti ritenuti sistematici accanto alle tipologie predominanti della risposta testuale e alle più proficue rifunzionalizzazioni letterarie. La storia del mito di Faust è stata considerata aristotelicamente nella sua natura complessa ed evolutiva di fabula rinarrata, e di volta in volta risemantizzata in nuovi sistemi di valori, estetici e ideologici. Ma soprattutto in nuovi sistemi testuali. Scopo primario è stato infatti quello di comprendere come il mito di Faust sia entrato dentro alla cultura letteraria italiana e come abbia agito al suo interno, interferendo con essa. Naturalmente lo scambio e gli sviluppi hanno investito in modo reciproco e la tradizione accogliente e il mito stesso, producendo un allargamento esegetico delle sue possibilità semantiche: è infatti emersa una storia testuale che tematizza nel tempo il medesimo mito lungo assi interpretative anche estremamente divergenti. La ricerca ha portato alla scoperta di una ricca testualità rimossa dal canone della storia della letteratura italiana, anche se spesso prevalgono i testi-documento sui testi esteticamente più validi e significativi in sé; si tratta di una testualità talmente quantitativamente ricca da invitare ad un ripensamento qualitativo del fenomeno generale. Il mito di Faust, per due secoli percepito dalla critica dominante come distante ed estraneo alla cultura letteraria italiana, è invece riuscito ad entrare nella tradizione letteraria italiana, anche se attraverso modalità molto controverse: in linea di massima è potuto passare dal canone statico al canone dinamico laddove ha saputo influenzare e stimolare nuove vie significative di sviluppo formale. Il confronto della cultura letteraria italiana con il mito di Faust è stato in effetti caratterizzato subito da un doppio movimento discratico di rifiuto e dialogo. Il principale fattore di rifiuto è stato di carattere culturale: la difficoltà ad accettare un equilibrio fatto non di antitesi risolte in una sintesi ma di polarità aperte, irrisolte, in perpetuo bilanciamento, anche a livello formale reso in una tragedia franta in scene apparentemente autonome, divisa in due parti così diverse e chiusa da un lieto fine, mal si confaceva ai diffusi canoni classicisti di equilibrio formale, nonché alle esigenze romantiche di poesia moralmente chiara nel suo messaggio. Da qui le diffuse accuse di scarsa chiarezza e ambiguità morale, che andavano direttamente ad incontrarsi e sommarsi con i pregiudizi più propriamente teologico- religiosi di estraneità a quel mito nato come saga luterana dichiaratamente anti-papale. La condanna di carattere moralistico-cattolico risulta nei fatti propria più di certa cultura che non del largo pubblico che invece nel corso dell'Ottocento dimostra di gradire le versioni per musica e balletto di argomento faustiano, per quanto semplificata ed edulcorate rispetto alla leggenda originaria così come rispetto alla tragedia goethiana. Rispetto a tutti questi elementi di resistenza e rifiuto l'opera Mefistofele di Boito si presenta come snodo di opposizione consapevole e riferimento duraturo d'interrogazione critica. La principale linea di avvicinamento invece tra la cultura letteraria italiana e il mito di Faust resta quella del parallelo, già ideato dagli stessi intellettuali tedeschi d'inizio Ottocento, con l'opera ritenuta massima nel nuovo canone nazionale italiano da fine Settecento ad oggi: la Divina Commedia. Tanta critica, almeno fino alla metà del XX secolo, si rifà più o meno esplicitamente a questo parallelo pregiudiziale e testualmente piuttosto infondato ma molto produttivo, come si è attestato, a livello creativo. Questa ricostruzione ha voluto nel suo complesso dimostrare sul campo il valore di questo macrotesto faustiano come una delle vie maestre della dialettica tra tradizione e modernità, ancor più significativa nell'ambito di una cultura letteraria come quella italiana che, dopo l'estinguersi della sua centralità in epoca rinascimentale, si è rivelata particolarmente resistente al dialogo con le altre letterature fino al pieno Novecento.

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Resumen basado en el de la publicaci??n

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Una breve introduzione sulla storia del mosaico: dalle origine alle sue evoluzione tipologiche e tecnologiche nel tempo, di come si organizzavano le antiche botteghe del mosaico e le suddivisione dei compiti tra il pictor imaginarius, pictor parietarius e il musivarius (la gerarchia) all’interno di essi; la tecniche esecutiva per la messa in opera dei mosaici pavimentali romani. Visto che i mosaici si trovano a Suasa, quindi è stata riassunta la storia della città romana di Suasa con le sua varie fase edilizie, con maggior approfondimenti per gli edifici che presentano pavimentazione a mosaico: in primo luogo è la domus dei Coiedii contenente più di diciotto pavimenti in opus tessellatum. Il secondo è quello del così detto Edificio 4 (ancora inedito e di incerta natura e destinazione) portato in luce solo parzialmente con due settore a mosaico. Successivamente è stato effettuato in maniera dettagliata lo studio dello stato di conservazione dei vani musivi che sono state oggetto in senso stretto dei varie interventi conservativi, sia nella domus dei Coiedii (vano AU, oecus G e vano BB) che in Edificio 4 (vano A e vano D), evidenziando così le diverse morfologie di degrado in base “Normativa UNI 11176/2006 con l’aiuto della documentazione grafica ed fotografica. Un ampio e complessivo studio archeometrico-tecnologico dei materiali impiegati per la realizzazione dei musaici a Suasa (tessere e malte) presso i laboratori del CNR di Faenza.. Sono stati prelevati complessivamente 90 campione da tredici vani musivi di Suasa, di cui 28 campione di malte, comprese tra allettamento e di sottofondo,42 tessere lapidee e 20 tessere vitree; questi ultimi appartengono a sette vani della domus. Durante l’operazione del prelevo, è stato presso in considerazione le varie tipologie dei materiali musivi, la cromia ed le morfologie di degrado che erano presente. Tale studio ha lo scopo di individuare la composizione chimico-mineropetrografico, le caratteristiche tessiturali dei materiali e fornire precisa informazione sia per fine archeometrici in senso stretto (tecnologie di produzione, provenienza, datazione ecc.), che come supporto ai interventi di conservazione e restauro. Infine si è potuto costruire una vasta banca dati analitici per i materiali musivi di Suasa, che può essere consultata, aggiornata e confrontata in futuro con altri materiali proveniente dalla stessa province e/o regione. Applicazione dei interventi conservativi: di manutenzione, pronto intervento e di restauro eseguiti sui vani mosaicati di Suasa che presentavano un pessimo stato di conservazione e necessitavano l’intervento conservativo, con la documentazione grafica e fotografica dei varie fase dell’intervento. In particolare lo studio dei pregiatissimi materiali marmorei impiegati per la realizzazione dell’opus sectile centrale (sala G) nella domus dei Coiedii, ha portato alla classificazione e alla schedatura di sedici tipi di marmi impiegati; studio esteso poi al tessellato che lo circonda: studio del andamento, tipologie dei materiali, dei colore, dimensione delle tessere, interstizio ecc., ha permesso con l’utilizzo delle tavole tematiche di ottenere una chiara lettura per l’intero tessellato, di evidenziare così, tutti gli interventi antiche e moderni di risarciture, eseguiti dal II sec. d.C. fio ad oggi. L’aspetto didattico (teorico e pratico) ha accompagnato tutto il lavoro di ricerca Il lavoro si qualifica in conclusione come un esempio assai significativo di ricerca storicoiconografiche e archeometriche, con risultati rilevanti sulle tecnologie antiche e sui criteri di conservazione più idonei.

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L’utilizzo degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) nel campo dell’ingegneria civile riguarda essenzialmente il settore del restauro delle strutture degradate o danneggiate e quello dell’adeguamento statico delle strutture edificate in zona sismica; in questi settori è evidente la difficoltà operativa alla quale si va in contro se si volessero utilizzare tecniche di intervento che sfruttano materiali tradizionali. I motivi per cui è opportuno intervenire con sistemi compositi fibrosi sono: • l’estrema leggerezza del rinforzo, da cui ne deriva un incremento pressoché nullo delle masse sismiche ed allo stesso tempo un considerevole aumento della duttilità strutturale; • messa in opera senza l’ausilio di particolari attrezzature da un numero limitato di operatori, da cui un minore costo della mano d’opera; • posizionamento in tempi brevi e spesso senza interrompere l’esercizio della struttura. Il parametro principale che definisce le caratteristiche di un rinforzo fibroso non è la resistenza a trazione, che risulta essere ben al di sopra dei tassi di lavoro cui sono soggette le fibre, bensì il modulo elastico, di fatti, più tale valore è elevato maggiore sarà il contributo irrigidente che il rinforzo potrà fornire all’elemento strutturale sul quale è applicato. Generalmente per il rinforzo di strutture in c.a. si preferiscono fibre sia con resistenza a trazione medio-alta (>2000 MPa) che con modulo elastico medio-alto (E=170-250 GPa), mentre per il recupero degli edifici in muratura o con struttura in legno si scelgono fibre con modulo di elasticità più basso (E≤80 GPa) tipo quelle aramidiche che meglio si accordano con la rigidezza propria del supporto rinforzato. In questo contesto, ormai ampliamente ben disposto nei confronti dei compositi, si affacciano ora nuove generazioni di rinforzi. A gli ormai “classici” FRP, realizzati con fibre di carbonio o fibre di vetro accoppiate a matrici organiche (resine epossidiche), si affiancano gli FRCM (Fiber Reinforced Cementitious Matrix), i TRM (Textile Reinforced Mortars) e gli SRG (Steel Reinforced Grout) che sfruttano sia le eccezionali proprietà di fibre di nuova concezione come quelle in PBO (Poliparafenilenbenzobisoxazolo), sia un materiale come l’acciaio, che, per quanto comune nel campo dell’edilizia, viene caratterizzato da lavorazioni innovative che ne migliorano le prestazioni meccaniche. Tutte queste nuove tipologie di compositi, nonostante siano state annoverate con nomenclature così differenti, sono però accomunate dell’elemento che ne permette il funzionamento e l’adesione al supporto: la matrice cementizia