562 resultados para rocca, Modigliana, restauro


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L’evolvere del sistema insediativo nelle Marche, dal dopoguerra ad oggi, ha condotto ad un diffuso sottoutilizzo dei piccoli centri storici ed all’abbandono, ormai definitivo, di quei borghi minori, privi di funzioni di pregio, privi ormai anche delle dotazioni minime funzionali all’abitare. Il piccolo nucleo di Sant’Arduino si inserisce in quel lungo elenco di borghi che, con il graduale abbandono dell’agricoltura, hanno subito un progressivo processo di spopolamento. Lungo la strada che da Macerata Feltria conduce verso il monte Carpegna, il complesso monumentale è quasi sospeso su un dirupo: un campanile senza campane, una chiesa sconsacrata e pochi edifici rustici da alcuni anni completamente abbandonati. E' tutto quello che rimane dell'antico castello e della Chiesa parrocchiale di Sant’Arduino, che oggi ha perso la propria autonomia amministrativa e si colloca nel Comune di Pietrarubbia. Questo lavoro vuole offrire un contributo al processo di valorizzazione dei nuclei minori di antico impianto, intento promosso dalla stessa Regione all’interno del progetto “Borghi delle Marche”. La sensibilizzazione per un recupero urbanistico e architettonico del patrimonio tradizionale minore si coniuga con la scelta di inserire l’intervento nel suo contesto culturale e geografico, cercando di impostare, non un isolato intervento di recupero, ma un anello di connessione in termini sociali, culturali e funzionali con le politiche di sviluppo del territorio. Il percorso individuato si è articolato su una prima fase di indagine volta ad ottenere una conoscenza del tema dei borghi abbandonati e del sistema dei borghi delle Marche, successivamente l’analisi storica e la lettura e l’indagine dell’oggetto, fasi propedeutiche all’elaborazione di un’ipotesi di intervento, per giungere all’individuazione della modalità di riuso compatibile con il rispetto dei valori storico, formali e culturali del luogo. Per questo la scelta del riuso turistico del complesso, trovando nella funzione di albergo diffuso la possibile e concreta conversione dei manufatti. Il tutto basandosi su un’approfondita ricerca storica e su un’analisi dei sistemi costruttivi tradizionali, inserendo gli interventi di restauro dell’esistente e di integrazione delle nuove strutture nel totale rispetto della fabbrica. L’idea che ha mosso l’intero lavoro parte dall’analisi della cultura rurale locale, che ha generato il patrimonio dell’architettura minore. L’alta valle del Foglia può rappresentare un territorio nuovamente appetibile se non perde le sue ricchezze; la valorizzazione e il recupero di quest’architettura diffusa può rappresentare un buon trampolino di lancio per riappropriarsi della storia e della tradizione del luogo.

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Fin dai primi approcci alla città dell'Aquila, quando ancora non la conoscevamo e attraverso libri e articoli in rete cercavamo di capire la sua storia e la sua identità, abbiamo riconosciuto chiaramente quanto fosse importante la sua università. Le testimonianze precedenti il sisma parlavano di una città universitaria con quasi 30000 iscritti in continua crescita, viva e attiva, una città giovane; quelle posteriori il 6 aprile 2009 invece erano le richieste di aiuto da parte di docenti e fuorisede che si rifiutavano di abbandonare quello che per loro era diventato un importante punto di riferimento per la loro vita e la loro formazione. Forse anche perchè noi stesse studentesse, abbiamo fin da subito sentito il dovere di occuparci di questo angoscioso problema, da un lato per essere solidali verso i nostri sfortunati colleghi, dall'altro per non permettere un ulteriore abbandono dell'ateneo aquilano da parte di altri studenti. Lo slogan apparso sui cartelloni di alcuni studenti aquilani durante una manifestazione fatta per sensibilizzare la popolazione sulla loro situazione palesa il loro attaccamento alla città e la loro volontà di continuare a farne parte e partecipare alla sua ricostruzione: "Noi siamo il cuore de L'Aquila". L’Università dell’Aquila vuole tornare nel centro storico. A confermare questa volontà, più volte espressa, c’è l’acquisizione della vecchia struttura dell’ospedale San Salvatore nei pressi della Fontana Luminosa, dove verrà realizzato il nuovo polo umanistico. La nuova sede di Lettere e filosofia, situata nella parte più nuova dell’ex complesso ospedaliero sarà aperta per il prossimo anno accademico e nell'ultima porzione di struttura acquistata si insedierà anche la facoltà di Scienze della formazione. “L’Università deve tornare nel centro storico - ha affermato il rettore Ferdinando di Orio nella conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa - perché deve tornare a rappresentare ciò che L’Aquila è, ovvero una città universitaria”. Da qui un percorso di studio che partendo dalla storia della città e della sua università ci ha portato fino alla scelta dell'area, secondo noi la più adatta ad ospitare servizi per gli studenti universitari e permettere un tempestivo approccio al problema. Un'area che si è rivelata piena di potenzialità e per noi possibile punto di riferimento per la rinascita del centro storico aquilano. Dagli studi preliminari svolti è infatti emerso che l'area di progetto è attualmente poco sfruttata benchè la sua posizione sia assolutamente favorevole. Importante è per esempio la vicinanza alla stazione ferroviaria, usata da studenti fuori sede soprattutto della conca aquilana, professori e ospiti che devono raggiungere la città. Il piazzale della stazione ferroviaria, assieme alla via XX Settembre sono poi importanti fermate del servizio urbano ed extraurbano pubblico che collegano l'area con l'università, l'ospedale, e l'autostazione di Collemaggio. Altrettanto rilevante è parsa la prossimità dell'area al centro storico ed il fatto che si presenti agibile nella quasi sua totalità il che permette di poter pensare ad un intervento di ricostruzione tempestivo. Oltre alle mura storiche, la zona di progetto si trova nelle immediate vicinanze di altre due importanti emergenze: la Fontana delle 99 cannelle, uno dei più importanti e più significativi monumenti dell’Aquila e l'edificio dell'ex-mattatoio, struttura di archeologia industriale nella quale il Comune ha scelto di localizzare temporaneamente il Museo Nazionale d'Abruzzo. Attraverso la realizzazione di questo importante spazio espositivo insieme con il restauro della Fontana delle novantanove Cannelle e della Porta Rivera a cura del FAI, sarà possibile ripristinare un polo di attrazione culturale e monumentale. L’operazione assume inoltre un valore simbolico, poiché viene effettuato in un luogo di primaria importanza, legato all’origine stessa della città, che farà da battistrada per la riappropriazione del centro storico. Noi ci affianchiamo quindi a questo importante intervento e alle ultime direttive segnalate dal Comune e dall'Ateneo che dimostrano la loro volontà di riappropriarsi del centro storico, localizzando nell'area i servizi che dopo il sisma risultano necessari affinché gli studenti possano continuare i loro studi nella città e andando a potenziare il sistema museale già presente per creare un importante polo didattico e culturale.

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Questo lavoro di tesi si prefiggeva la produzione di nuovi materiali geopolimerici a partire da meta-caolino, come fonte allumino-silicatica, e silicato di sodio o potassio, come soluzione attivante. L’ambito di applicazione di questi materiali era il restauro di beni culturali, sia come riempimento di lacune che come adesivo nella giunzione di parti, che richiedeva un consolidamento a temperatura ambiente ed una trascurabile cessione di sali solubili da parte del materiale d’apporto, caratteristiche non facilmente realizzabili con i materiali tradizionali. Il progetto può essere temporalmente suddiviso in tre fasi principali: 1) caratterizzazione di tre caolini commerciali utilizzati come materie prime, analizzando la loro composizione chimica e mineralogica, la granulometria, la superficie specifica ed il comportamento termico. Sulla base dell’analisi termica è stato individuato l’intervallo di temperatura ottimale per la trasformazione in meta-caolini, mantenendo buone proprietà superficiali. 2) Caratterizzazione dei meta-caolini ottenuti, analizzando la composizione mineralogica, la granulometria, la superficie specifica ed il contenuto di Al(V). E’ stata inoltre valutata la loro attività pozzolanica, scegliendo sulla base di tutti i dati raccolti sei campioni per la fase successiva. 3) Preparazione di paste geopolimeriche utilizzando quantità di soluzione attivante (silicato di sodio o potassio) tali da raggiungere un rapporto molare SiO2/Al2O3 nella miscela di reazione pari a 3,6 e 4,0; sui prodotti così ottenuti sono state effettuate alcune prove di leaching in acqua. Sulla base risultati ottenuti in questo lavoro di tesi è stato possibile correlare le caratteristiche del caolino di partenza alla reattività nella reazione di geopolimerizzazione. È stato inoltre identificato l’intervallo di calcinazione per massimizzare la suddetta reattività e le condizioni per ridurre la cessione di sali solubili da parte del materiale geopolimerico. Sono stati inoltre evidenziati possibili effetti sinergici, legati alla presenza contemporanea di Na e K.

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Lo studio effettuato verte sulla ricerca delle cave storiche di pietra da taglio in provincia di Bologna, facendo partire la ricerca al 1870 circa, data in cui si hanno le prime notizie cartacee di cave bolognesi. Nella ricerca si è potuto contare sull’aiuto dei Dott. Stefano Segadelli e Maria Tersa De Nardo, geologi della regione Emilia-Romagna, che hanno messo a disposizione la propria conoscenza e le pubblicazioni della regione a questo scopo. Si è scoperto quindi che non esiste in bibliografia la localizzazione di tali cave e si è cercato tramite l’utilizzo del software ArcGIS , di georeferenziarle, correlandole di informazioni raccolte durante la ricerca. A Bologna al momento attuale non esistono cave di pietra da taglio attive, così tutte le fonti che si sono incontrate hanno fornito dati parziali, che uniti hanno permesso di ottenere una panoramica soddisfacente della situazione a inizio secolo scorso. Le fonti studiate sono state, in breve: il catasto cave della regione Emilia-Romagna, gli shape preesistenti della localizzazione delle cave, le pubblicazioni “Uso del Suolo”, oltre ai dati forniti dai vari Uffici Tecnici dei comuni nei quali erano attive le cave. I litotipi cavati in provincia sono quattro: arenaria, calcare, gesso e ofiolite. Per l’ofiolite si tratta di coltivazioni sporadiche e difficilmente ripetibili dato il rischio che può esserci di incontrare l’amianto in queste formazioni; è quindi probabile che non verranno più aperte. Il gesso era una grande risorsa a fine ‘800, con molte cave aperte nella Vena del Gesso. Questa zona è diventata il Parco dei Gessi Bolognesi, lasciando alla cava di Borgo Rivola il compito di provvedere al fabbisogno regionale. Il calcare viene per lo più usato come inerte, ma non mancano esempi di formazioni adatte a essere usate come blocchi. La vera protagonista del panorama bolognese rimane l’arenaria, che venne usata da sempre per costruire paesi e città in provincia. Le cave, molte e di ridotte dimensioni, sono molto spesso difficili da trovare a causa della conseguente rinaturalizzazione. Ci sono possibilità però di vedere riaprire cave di questo materiale a Monte Finocchia, tramite la messa in sicurezza di una frana, e forse anche tramite la volontà di sindaci di comunità montane, sensibili a questo argomento. Per avere una descrizione “viva” della situazione attuale, sono stati intervistati il Dott. Maurizio Aiuola, geologo della Provincia di Bologna, e il Geom. Massimo Romagnoli della Regione Emilia-Romagna, che hanno fornito una panoramica esauriente dei problemi che hanno portato ad avere in regione dei poli unici estrattivi anziché più cave di modeste dimensioni, e delle possibilità future. Le grandi cave sono, da parte della regione, più facilmente controllabili, essendo poche, e più facilmente ripristinabili data la disponibilità economica di chi la gestisce. Uno dei problemi emersi che contrastano l’apertura di aree estrattive minori, inoltre, è la spietata concorrenza dei materiali esteri, che costano, a parità di qualità, circa la metà del materiale italiano. Un esempio di ciò lo si è potuto esaminare nel comune di Sestola (MO), dove, grazie all’aiuto e alle spiegazioni del Geom. Edo Giacomelli si è documentato come il granito e la pietra di Luserna esteri utilizzati rispondano ai requisiti di resistenza e non gelività che un paese sottoposto ai rigori dell’inverno richiede ai lapidei, al contrario di alcune arenarie già in opera provenienti dal comune di Bagno di Romagna. Alla luce di questo esempio si è proceduto a calcolare brevemente l’ LCA di questo commercio, utilizzando con l’aiuto dell’ Ing. Cristian Chiavetta il software SimaPRO, in cui si è ipotizzato il trasporto di 1000 m3 di arenaria da Shanghai (Cina) a Bologna e da Karachi (Pakistan) a Bologna, comparandolo con le emissioni che possono esserci nel trasporto della stessa quantità di materiale dal comune di Monghidoro (BO) al centro di Bologna. Come previsto, il trasporto da paesi lontani comporta un impatto ambientale quasi non comparabile con quello locale, in termini di consumo di risorse organiche e inorganiche e la conseguente emissione di gas serra. Si è ipotizzato allora una riapertura di cave locali a fini non edilizi ma di restauro; esistono infatti molti edifici e monumenti vincolati in provincia, e quando questi devono essere restaurati, dove si sceglie di cavare il materiale necessario e rispondente a quello già in opera? Al riguardo, si è passati attraverso altre due interviste ai Professori Francesco Eleuteri, architetto presso la Soprintendenza dei Beni Culturali a Bologna e Gian Carlo Grillini, geologo-petrografo e esperto di restauro. Ciò che è emerso è che effettivamente non esiste attualmente una panoramica soddisfacente di quello che è il patrimonio lapideo della provincia, mancando, oltre alla georeferenziazione, una caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica adeguata a poter descrivere ciò che veniva anticamente cavato; l’ipotesi di riapertura a fini restaurativi potrebbe esserci, ma non sembra essere la maggiore necessità attualmente, in quanto il restauro viene per lo più fatto senza sostituzioni o integrazioni, tranne rari casi; è pur sempre utile avere una carta alla mano che possa correlare l’edificio storico con la zona di estrazione del materiale, quindi entrambi i professori hanno auspicato una prosecuzione della ricerca. Si può concludere dicendo che la ricerca può proseguire con una migliore e più efficace localizzazione delle cave sul terreno, usando anche come fonte il sapere della popolazione locale, e di procedere con una parte pratica che riguardi la caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica. L’utilità di questi dati può esserci nel momento in cui si facciano ricerche storiche sui beni artistici presenti a Bologna, e qualora si ipotizzi una riapertura di una zona estrattiva.

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Questa tesi di laurea nasce da una collaborazione con il Centro Studi Vitruviani di Fano, un’associazione nata il 30 Settembre 2010 nella mia città. Le note vicende riguardanti la Basilica vitruviana di Fano fanno della città adriatica il luogo più autorevole per accogliere un Centro Studi Internazionale dedicato all’opera di Vitruvio. Questa associazione è nata come contenitore di riferimento per eventi e iniziative legate al mondo della classicità intesa come momento storico, ma anche come più ampio fenomeno non solo artistico che interessa trasversalmente tutta la cultura occidentale. La creazione di un’istituzione culturale, di fondazione pubblico-privata, con l'obiettivo di porsi a riferimento internazionale per il proprio ambito di ricerca, è notizia comunque rilevante in un periodo in cui lo Stato vara l’articolo 7 comma 22 di una legge che ribadisce la fine dei finanziamenti agli enti, agli istituti, e alle fondazioni culturali. Il Centro Studi Vitruviani dovrà diventare presto sede di momenti scientifici alta, borse di studio, occasioni divulgative, mostre, iniziative didattiche. L’alto livello scientifico mi si è presentato subito chiaro durante questi mesi di collaborazione con il Centro, quando ho avuto l’occasione di incontrare e conoscere e contattare personalità quali i Professori Salvatore Settis, Pierre Gros, Howard Burns, Antonio Corso, Antonio Monterroso e Piernicola Pagliara. Attualmente nella mia città il Centro Studi ha una sede non adeguato, non è fruibile al pubblico (per problemi accessi in comune con altri Enti) e non è riconoscibile dall’esterno. L’attuale sede è all’interno del complesso conventuale del S.Agostino. Il Centro Studi mi ha proposto di valutare la possibilità di un ampliamento dell’associazione in questo edificio storico. Nel mio progetto è stato previsto un processo di acquisizione totale del complesso, con un ripensamento dell’accesso riconoscibile dall’esterno, e un progetto di rifunzionalizzazione degli spazi interni. È stata inserita un’aula per la presentazione di libri, incontri e congressi, mostre ed esposizioni, pubblicazioni culturali e specialistiche. Il fatto interessante di questa sede è che l’edificio vive sulle rovine di un tempio romano, già visitabile e inserite nelle visite della città sotterranea. Fano, infatti, è una città di mare, di luce e nello stesso tempo di architetture romane sotterranee. L’identità culturale e artistica della città è incisa nelle pieghe dei suoi resti archeologici. Le mura augustee fanesi costituiscono il tratto più lungo di mura romane conservate nelle città medio-adriatiche. Degli originari 1750 metri, ne rimangono circa 550. Di grande suggestione sono le imponenti strutture murarie rinvenute sotto il complesso del Sant’Agostino che hanno stimolato per secoli la fantasia e suscitato l'interesse di studiosi ed appassionati. Dopo la prima proposta il Centro Studi Vitruviani mi ha lanciato una sfida interessante: l’allargamento dell’area di progetto provando a ripensare ad una musealizzazione delle rovine del teatro romano dell’area adiacente. Nel 2001 l’importante rinvenimento archeologico dell’edificio teatrale ha donato ulteriori informazioni alle ricostruzione di una pianta archeologica della città romana. Questa rovine tutte da scoprire e da ripensare mi si sono presentate come un’occasione unica per il mio progetto di tesi ed, inoltre, estremamente attuali. Nonostante siano passati dieci anni dal rinvenimento del teatro, dell’area mancava un rilievo planimetrico aggiornato, un’ipotesi ricostruttiva delle strutture. Io con questo lavoro di Tesi provo a colmare queste mancanze. La cosa che ritengo più grave è la mancanca di un progetto di musealizzazione per inserire la rovina nelle visite della Fano romana sotteranea. Spero con questa tesi di aver donato materiale e suggestioni alla mia città, per far comprendere la potenzialità dell’area archeologica. Per affrontare questo progetto di Tesi sono risultate fondamentali tre esperienze maturate durante il mio percorso formativo: prima fra tutte la partecipazione nel 2009 al Seminario Internazionale di Museografia di Villa Adriana Premio di Archeologia e Architettura “Giambattista Piranesi” organizzato nella nostra facoltà dal Prof. Arch. Sandro Pittini. A noi studenti è stata data la possibilità di esercitarci in un progetto di installazioni rigorosamente temporanee all’interno del sedime archeologico di Villa Adriana, grande paradigma per l’architettura antica così come per l’architettura contemporanea. Nel corso del quarto anno della facoltà di Architettura ho avuto l’occasione di seguire il corso di Laboratorio di Restauro con i professori Emanuele Fidone e Bruno Messina. Il laboratorio aveva come obiettivo principale quello di sviluppare un approccio progettuale verso la preesistenza storica che vede l'inserimento del nuovo sull'antico non come un problema di opposizione o di imitazione, ma come fertile terreno di confronto creativo. Durante il quinto anno, ho scelto come percorso conclusivo universitario il Laboratorio di Sintesi Finale L’architettura del Museo, avendo già in mente un progetto di tesi che si rivolgesse ad un esercizio teorico di progettazione di un vero e proprio polo culturale. Il percorso intrapreso con il Professor Francesco Saverio Fera mi ha fatto comprendere come l’architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente dell’edificio pubblico si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. È per questo che nei primi capitoli di questa Tesi ho cercato di restituire una seria e attenta analisi urbana della mia città. Nel progetto di Tesi prevedo uno spostamento dell’attuale Sezione Archeologica del Museo Civico di Fano nell’area di progetto. Attualmente la statuaria e le iscrizioni romane sono sistemate in sei piccole sale al piano terra del Palazzo Malatestiano: nel portico adiacente sono esposti mosaici e anfore sottoposte all’azione continua di volatili. Anche la Direttrice del Museo, la Dott.ssa Raffaella Pozzi è convinta del necessario e urgente spostamento. Non è possibile lasciare la sezione archeologica della città all’interno degli insufficienti spazi del Palazzo Malatestiano con centinaia di reperti e materiali vari (armi e uniformi, pesi e misure, ceramiche, staturia, marmi, anfore e arredi) chiusi e ammassati all’interno di inadeguati depositi. Il tutto è stato opportunamente motivato in un capitolo di questa Tesi. Credo fortemente che debbano essere le associazioni quali il CSV assieme al già attivissimo Archeclub di Fano e il Museo Archeologico, i veri punti di riferimento per questa rinascita culturale locale e territoriale, per promuovere studi ed iniziative per la memoria, la tutela e la conservazione delle fabbriche classiche e del locale patrimonio monumentale. Questo lavoro di Tesi vuole essere un esercizio teorico che possa segnare l’inizio di un nuovo periodo culturale per la mia città, già iniziato con l’istituzione del Centro Studi Vitruviani. L’evento folkloristico della Fano dei Cesari, una manifestazione sicuramente importante, non può essere l’unico progetto culturale della città! La “Fano dei Cesari” può continuare ad esistere, ma deve essere accompagnata da grandi idee, grandi mostre ed eventi accademici.

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Alla luce della vasta letteratura storico-artistica sorta, negli ultimi anni, sul paesaggio dipinto, sulla sua storia e sui suoi protagonisti, sulla filiera delle influenze e sulle varie declinazioni stilistiche che lo caratterizzano, uno studio sulle Origini del genere all’alba della modernità può sembrare destinato, non tanto ad aggiungere nuove informazioni, quanto a sistematizzare quelle sinora emerse. Eppure, il problema del paesaggio come oggetto semiotico deve ancora essere chiarito. Gli storici dell’arte si sono sostanzialmente limitati a rimuovere la questione, dietro l’idea che i quadri della natura siano rappresentazioni votate alla massima trasparenza, dove ha luogo “una transizione diretta dai motivi al contenuto” (Panofsky 1939, p. 9). Questo studio recupera e fa riemergere la domanda sul senso della pittura di paesaggio. Il suo scopo è proporre un’analisi del paesaggio in quanto produzione discorsiva moderna. Tra XVI e XVII secolo, quando il genere nasce, questa produzione si manifesta in quattro diverse forme semiotiche: l’ornamento o paraergon (cap. II), la macchia cromatica (cap. III), l’assiologia orizzontale del dispositivo topologico (cap. IV) e il regime di visibilità del “vedere attraverso” (cap. V). La prima di queste forme appartiene alla continuità storica, e la sua analisi offre l’occasione di dimostrare che, anche in qualità di paraergon, il paesaggio non è mai l’abbellimento estetico di un contenuto invariante, ma interviene attivamente, e in vario modo, nella costruzione del senso dell’opera. Le altre forme marcano invece una forte discontinuità storica. In esse, il genere moderno si rivela un operatore di grandi trasformazioni, i cui significati emergono nell’opposizione con il paradigma artistico classico. Contro il predominio del disegno e della figuratività, proprio della tradizionale “concezione strumentale dell’arte” (Gombrich 1971), il paesaggio si attualizza come macchia cromatica, facendosi portavoce di un discorso moderno sul valore plastico della pittura. Contro la “tirannia del formato quadrangolare” (Burckhardt 1898), strumento della tradizionale concezione liturgica e celebrativa dell’arte, il paesaggio si distende su formati oblunghi orizzontali, articolando un discorso laico della pittura. Infine, attraverso la messa in cornice della visione, propria del regime di visibilità del “vedere attraverso” (Stoichita 1993), il paesaggio trasforma la contemplazione del mondo in contemplazione dell’immagine del mondo. Il dispositivo cognitivo che soggiace a questo tipo di messa in discorso fa del paesaggio il preludio (simbolico) alla nascita del sapere cartografico moderno, che farà della riduzione del mondo a sua immagine il fondamento del metodo di conoscenza scientifica della Terra.

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Oggetto della tesi di laurea è il recupero di Villa Rasponi a Savignano sul Rubicone, un bene storico complesso composto da elementi di varia natura: architettonici e vegetali, di differente pregio, dalla residenza settecentesca agli annessi agricoli di servizio, al parco. Le funzioni d’uso attuali rarefatte e strettamente comuni a quelle originarie, non sono più proponibili per poter garantire la sopravvivenza e la conservazione del complesso. Questo da un punto di vista puramente economico, per l’impegno in termini finanziari che un sito di tali dimensioni richiede, a livello gestionale e circostanziale. Come intervenire su un manufatto di questa natura, tutelandolo, riqualificandolo dal punto di vista architettonico e paesaggistico e, nello stesso tempo, reinserendolo in maniera attiva in un contesto urbano e territoriale dal quale negli anni si è progressivamente distaccato e isolato, chiudendosi nell’accezione di residenza privata? Il progetto, lavorando a vari livelli e confrontandosi con differenti campi disciplinari, dal restauro di un parco storico “firmato” da Pietro Porcinai, all’inserimento di nuovi elementi architettonici, all’analisi di fattibilità finanziaria, si pone principalmente due obiettivi: 1) da un lato intervenire materialmente sul manufatto restaurando gli edifici, anche attraverso la definizione di funzioni che ne permettano la sopravvivenza, e manutenendo il parco storico. In questo senso l’aspetto su cui si insiste maggiormente è il rispetto e la valorizzazione del complesso villa–parco–giardino-annessi come unicum, che assume pregio nella sua totalità e integrità; 2) dall’altro, tenuto conto delle dimensioni, dell’importanza storica, architettonica, culturale e paesaggistica del sito, il progetto intende estendere la sua valenza anche a un intorno in primo luogo locale e poi più ampio, diventando punto di riferimento e polo attrattivo, così come lo era stato nel passato, all’epoca nella quale in esso viveva la principessa Luisa Murat. Non ci si limita dunque a considerare il caso isolato, ma si tiene conto del fatto che la Villa Rasponi sorge all’interno di un contesto, quello della Romagna, di straordinaria ricchezza e molteplicità di espressioni artistiche, architettoniche, naturalistiche che costituiscono un patrimonio di valore, in gran parte scarsamente conosciuto e per nulla. Da qui l’idea di utilizzare una porzione di paesaggio come vetrina e contenitore di informazioni su tutta l’eredità culturale romagnola, legata ad un nuovo modo di intendere il luogo, come contesto che incarna la rete di significati all’interno dei quali le azioni degli uomini diventano fatti culturali. Il complesso della Villa Rasponi, per le sue connotazioni storiche, paesaggistiche, fisiche e posizionali, diventa la concretizzazione di tale idea. Dunque, una porzione di paesaggio che si fa strumento fisico e concettuale, di comunicazione, per trasmettere, valorizzare e promuovere il patrimonio naturale, architettonico e culturale di tutto il territorio in cui è inserito, diventandone icona e sintesi.

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L’oggetto del progetto di restauro è il Castello di Montebello, un’antica fortezza inserita all’interno del circuito di costruzioni militari della Valle del Marecchia, dunque un oggetto della storia e nella storia. Dunque un’attenta fase diagnostica-conoscitiva deve costituire la premessa indispensabile a qualsiasi intervento sulla preesistenza. Così a partire dai dati conoscitivi assunti si sono delineati gli obiettivi del progetto. L’obiettivo conservativo viene, in questo caso specifico, raggiunto non solo attraverso la conservazione vera e propria, ma anche attraverso la demolizione: una quasi paradossale demolizione per la conservazione. Le strutture introdotte con l’intervento di ricostruzione degli anni Sessanta del Novecento effettuato sul manufatto storico infatti, non solo, non introducono valore aggiuntivo all’opera,ma ne compromettono, per soluzioni, materiali ed incertezza costruttiva, la spazialità e la sicurezza, dunque la conservazione. Così, attraverso operazioni ora di conservazione, ora di demolizione e ricostruzione si è cercato di predisporre la fabbrica affinché, in modo sicuro possa accogliere una funzione, necessariamente compatibile e rispettosa del manufatto, che ne consenta il prolungamento della vita e la conservazione nel tempo. La funzione museale, finalizzata alla valorizzazione del complesso difensivo e all’esposizione della collezione epigrafica della famiglia proprietaria sembrano rispondere appieno alle domande del progetto di restauro.

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Chiunque visiti il Castello di Sorrivoli, può percepire lo straordinario valore testimoniale di questo monumento, dall’aspetto “venerando e pittoresco”, che racchiude in sé quasi mille anni di storia. Il continuo utilizzo del castello, le piccole opere di manutenzione e le campagne di restauro hanno garantito la trasmissione al presente di apparati tipici dell’architettura bellica medievale e del palatium residenziale, ma soprattutto hanno reso possibile leggere parte di questi mille anni direttamente sulla fabbrica. Quello che invece colpisce negativamente è come il castello abbia dovuto adattarsi alle nuove funzioni, imposte aprioristicamente negli ultimi decenni e non viceversa. Spazi straordinari sono stati compromessi, gran parte delle sale sono utilizzate come deposito e le ali del castello, che non possono essere ragionevolmente sfruttate dalla comunità religiosa, si trovano in uno stato di conservazione pessimo, mettendo così a repentaglio la possibilità di continuare questa traditio, intesa col significato latino di tradere ai posteri la memoria del castello. L’approccio alla fabbrica richiedeva dunque, oltre agli interventi sui paramenti, una nuova destinazione d’uso che, coinvolgendo tutto il castello, ne valorizzasse le spazialità e soprattutto permettesse la conservazione di tutte le sue parti costitutive. In secondo luogo, la nuova ipotesi aspirava a confrontarsi con una situazione realistica e sostenibile dal punto di vista della gestione del complesso. Dopo aver valutato quelle che erano le opportunità offerte dal territorio e le vocazioni d’uso del castello stesso, è quindi emersa la necessità di avere due livelli di fruizione, uno che permettesse a tutti di conoscere e visitare il castello e le sue parti più significative e il secondo più materiale, legato alla presenza di tutti quei servizi che rendono confortevole la permanenza delle persone. Per queste ragioni il percorso ha inizio nel parco, con una lettura complessiva del monumento; prosegue, attraverso la postierla, nel piano interrato, dove è allestito un museo virtuale che narra, in maniera interattiva, la storia del castello e termina sulla corte, dove il nuovo volume, che ripropone la spazialità dell’ala crollata, permette di comprendere i legami intrinseci col territorio circostante. La torre centrale assume infine il ruolo di punto culminante di questa ascesa verso la conoscenza del castello, diventando un luogo metaforico di meditazione e osservazione del paesaggio. Il piano terra e il piano primo dell’antico palatium ospitano invece una struttura ricettiva, che aspirando ad un’elevata qualità di servizi offerti, è dotata di punto vendita e degustazione di prodotti tipici e sala conferenze. La scelta di ricostruire l’ala crollata invece, non vuol essere un gesto autografo, ma deriva dall’esigenza di far funzionare al meglio il complesso sistema del castello; sono stati destinati al volume di nuova edificazione quei servizi necessari che però non erano compatibili con la fabbrica antica e soprattutto si è cercato di dar conclusione al racconto iniziato nel giardino. In tal senso la valorizzazione del castello si articola come un percorso di conoscenza che si pone come scopo primario la conservazione del monumento, senza però negare l’innovazione legata alla contemporaneità dell’intervento e alla volontà di volerlo includere in una più ampia dinamica territoriale.

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Il tema della tesi è il progetto di un museo e di un parco archeologico all'interno della cittadina di Verucchio. Si tratta di una archeologia relativa agli etruschi/villanoviani: Verucchio infatti, ospita 5 grandi necropoli, con una vastità di collezione di reperti che ad oggi non possono tutti essere esposti nell'attuale museo archeologico. Il progetto vuole tenere conto anche della morfologia del territorio, con le sue curve di livello, con il suo configurarsi come cittadina medievale. In questo senso, il museo archeologico oggetto di tesi si presenta come porta di ingresso alla città. La struttura riprende quelle ipogee, cosi come si presentavano le tombe etrusche, scavate in profondità. Il museo segue l'andamento del terreno, senza creare cosi un impatto eccessivamente forte con il paesaggio circostante, che gode già del suo elemento di spicco, vale a dire la Rocca Malatestiana.

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La necessità di conservazione e recupero di murature, di qualsiasi interesse storico/architettonico, ha evidenziato la necessità di conoscere il più dettagliatamente possibile le caratteristiche strutturali delle opere interessate: un intervento risulterà tanto più efficace e adatto agli scopi prefissi quanto maggiore sarà la conoscenza dell’opera, della sua evoluzione, dei materiali utilizzati per la realizzazione, della tecnica costruttiva e della struttura portante. Spesso è necessario eseguire interventi di adeguamento sismico di comuni edifici su cui poter intervenire più o meno indiscriminatamente, mentre, per opere di interesse storico è necessario ridurre al minimo l’invasività degli interventi: in tutti e due i casi, una buona riuscita dell’intervento dipende dalla conoscenza dell’organismo strutturale sul quale si deve operare. Come spesso accade, anche per opere di recente costruzione, risulta difficile poter recuperare i dati progettuali (disegni e calcoli) e spesso le tecniche e le tipologie utilizzate per le costruzioni si differenziavano da zona a zona, così come diversi erano i materiali da costruzione; risulta quindi evidente che per progettare una serie di interventi di recupero è necessario poter ottenere il maggior numero di informazioni al riguardo. Diverse sono le esperienze maturate in questo campo in tutta Europa e queste hanno mostrato come non è sufficiente intervenire con tecniche innovative per adeguare agli standard attuali di sicurezza opere del passato: infatti, in molti casi, l’applicazione sbagliata di queste tecniche o gli interventi progettati in modo non adeguato non hanno svolto il loro compito e in alcuni casi hanno peggiorato la situazione esistente. Dalle esperienze maturate è stato possibile osservare che anche le migliore tecniche di recupero non possono risultare efficaci senza un’adeguata conoscenza dello stato di degrado degli edifici, del loro assetto strutturale e delle possibili carenze. La diagnostica strutturale si vuole inserire proprio in questo livello potendo fornire ad un progettista tutte le informazioni necessarie per effettuare al meglio ed in maniera efficace gli interventi di recupero e restauro necessari. Oltre questi aspetti, le analisi diagnostiche possono essere utilizzate anche per verificare l’efficacia degli interventi effettuati. Diversi sono gli aspetti che si possono analizzare in un’indagine di diagnostica ed in base alle esigenze e alle necessità del rilievo da effettuare sono varie le tecniche a disposizione, ognuna con le sue peculiarità e potenzialità. Nella realizzazione di questa tesi sono state affrontate diverse problematiche che hanno previsto sia l’analisi di situazioni reali in cantiere, sia lo studio in laboratorio. La prima parte del presente elaborato prevede lo studio delle attività svolte a Palazzo Malvezzi, attuale sede della Provincia di Bologna. L’edificio, di interesse storico, ha subito diverse trasformazioni durate la sua vita ed in alcuni casi, queste, eseguite con tecnologie e materiali inadatti, hanno provocato variazioni nell’assetto statico della struttura; inoltre, il palazzo, è soggetto a movimenti a livello di fondazione in quanto è presente una faglia di subsidenza che attraversa l’edificio. Tutte queste problematiche hanno creato movimenti differenziali alla struttura in elevazione che si sono evidenziati con crepe distribuite in tutto l’edificio. Il primo aspetto analizzato (capitoli 4 e 5) è lo studio della profondità delle fessure presenti nel solaio della sala Rossa, sede dei comunicati stampa e delle conferenze della Provincia. Senza dubbio antiestetiche, le crepe presenti in una struttura, se sottovalutate, possono compromettere notevolmente le funzioni statiche dell’elemento in cui si sviluppano: la funzione di protezione fornita dal solaio o da qualsiasi altro elemento strutturale alle armature in questo immerse, viene meno, offrendo vie preferenziali a possibili situazioni di degrado, specialmente se in condizioni ambientali aggressive. E' facile intuire, quindi, che un aspetto all’apparenza banale come quello delle fessure non può essere sottovalutato. L’analisi è stata condotta utilizzando prove soniche ed impact-echo, tecniche che sfruttano lo stresso principio, la propagazione delle onde elastiche nel mezzo, ma che si differenziano per procedure di prova e frequenze generate nel test. Nel primo caso, la presenza del martello strumentato consente di valutare anche la velocità di propagazione delle onde elastiche, fenomeno utilizzato per ottenere indicazioni sulla compattezza del mezzo, mentre nel secondo non è possibile ricavare queste informazioni in quanto la tecnica si basa solamente sullo studio in frequenza del segnale. L’utilizzo dell’impact-echo è stato necessario in quanto la ristilatura effettuata sulle fessure scelte per l’analisi, non ha permesso di ottenere risultati utili tramite prove soniche ; infatti, le frequenze generate risultano troppo basse per poter apprezzare queste piccole discontinuità materiali. La fase di studio successiva ha previsto l’analisi della conformazione dei solai. Nel capitolo 6, tale studio, viene condotto sul solaio della sala Rossa con lo scopo di individuarne la conformazione e la presenza di eventuali elementi di rinforzo inseriti nelle ristrutturazioni avvenute nel corso della vita del palazzo: precedenti indagini eseguite con endoscopio, infatti, hanno mostrato una camera d’aria ed elementi metallici posizionati al di sotto della volta a padiglione costituente il solaio stesso. Le indagini svolte in questa tesi, hanno previsto l’utilizzo della strumentazione radar GPR: con questa tecnica, basata sulla propagazione delle onde elettromagnetiche all’interno di un mezzo, è possibile variare rapidamente la profondità d’ispezione ed il dettaglio ottenibile nelle analisi cambiando le antenne che trasmettono e ricevono il segnale, caratteristiche fondamentali in questo tipo di studio. I risultati ottenuti hanno confermato quanto emerso nelle precedenti indagini mostrando anche altri dettagli descritti nel capitolo. Altro solaio oggetto d’indagine è quello della sala dell’Ovale (capitoli 7 e 8): costruito per dividere l’antica sala da ballo in due volumi, tale elemento è provvisto al suo centro di un caratteristico foro ovale, da cui ne deriva il nome. La forma del solaio lascia supporre la presenza di una particolare struttura di sostegno che le precedenti analisi condotte tramite endoscopio, non sono riuscite a cogliere pienamente. Anche in questo caso le indagini sono state eseguite tramite tecnica radar GPR, ma a differenza dei dati raccolti nella sala Rossa, in questo caso è stato possibile creare un modello tridimensionale del mezzo investigato; inoltre, lo studio è stato ripetuto utilizzando un’antenna ad elevata risoluzione che ha consentito di individuare dettagli in precedenza non visibili. Un ulteriore studio condotto a palazzo Malvezzi riguarda l’analisi della risalita capillare all’interno degli elementi strutturali presenti nel piano interrato (capitolo 9): questo fenomeno, presente nella maggior parte delle opere civili, e causa di degrado delle stesse nelle zone colpite, viene indagato utilizzando il radar GPR. In questo caso, oltre che individuare i livelli di risalita osservabili nelle sezioni radar, viene eseguita anche un’analisi sulle velocità di propagazione del segnale e sulle caratteristiche dielettriche del mezzo, variabili in base al contenuto d’acqua. Lo scopo è quello di individuare i livelli massimi di risalita per poterli confrontare con successive analisi. Nella fase successiva di questo elaborato vengono presentate le analisi svolte in laboratorio. Nella prima parte, capitolo 10, viene ancora esaminato il fenomeno della risalita capillare: volendo studiare in dettaglio questo problema, sono stati realizzati dei muretti in laterizio (a 2 o 3 teste) e per ognuno di essi sono state simulate diverse condizioni di risalita capillare con varie tipologie di sale disciolto in acqua (cloruro di sodio e solfato di sodio). Lo scopo è di valutare i livelli di risalita osservabili per diverse tipologie di sale e per diverse concentrazioni dello stesso. Ancora una volta è stata utilizzata la tecnica radar GPR che permette non solo di valutare tali livelli, ma anche la distribuzione dell’umidità all’interno dei provini, riuscendo a distinguere tra zone completamente sature e zone parzialmente umide. Nello studio è stata valutata anche l’influenza delle concentrazioni saline sulla propagazione del segnale elettromagnetico. Un difetto delle tecniche di diagnostica è quello di essere strumenti qualitativi, ma non quantitativi: nel capitolo 11 viene affrontato questo problema cercando di valutare la precisione dei risultati ottenuti da indagini condotte con strumentazione radar GPR. Studiando gli stessi provini analizzati nel capitolo precedente, la tecnica radar è stata utilizzata per individuare e posizionare i difetti (muretti a 3 teste) e le pietre (muretti a 2 teste) inserite in questi elementi: i risultati ottenuti nella prova sono stati confrontati, infine, con la reale geometria. Nell’ultima parte (capitolo 12), viene esaminato il problema dell’individuazione dei vuoti all’interno di laterizi: per questo scopo sono state create artificialmente delle cavità di diversa forma e a diverse profondità all’interno di laterizi pieni che, dopo un trattamento in cella climatica per aumentarne la temperatura, sono stati sottoposti a riprese termografiche nella fase di raffreddamento. Lo scopo di queste prove è quello di valutare quale sia la massima differenza di temperatura superficiale causata dai diversi difetti e per quale intervallo di temperature questa si verifica.

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La ricerca ha mirato a ricostruire storicamente quali furono le motivazioni che, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, portarono gli amministratori della Cassa Risparmio in Bologna a progettare la creazione di un Museo d’arte e di Storia della città, delineandone quelli che furono i principali responsabili e protagonisti. Dall’analisi dei documenti conservati presso l’Archivio della Cassa di Risparmio è emerso uno studio approfondito dei protagonisti della politica artistica e culturale dell’Istituto, oltre che dei legami e delle relazioni intessute con le principali istituzioni cittadine. Lo studio si è progressivamente focalizzato su un particolare momento della storia di Bologna, quando, in seguito all’approvazione del Piano Regolatore del 1889, la città fu per oltre un trentennio sottoposta a radicali trasformazioni urbanistiche che ne cambiarono completamente l’aspetto. Tra i personaggi finora ignoti di questa storia è emerso il nome dell’ingegnere Giambattista Comelli, consigliere e vice segretario della banca alla fine del XIX secolo, che per primo, nel 1896, avanzò la proposta di creare un museo dell’Istituto. A differenza di quanto ritenuto sino ad oggi, questo avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni originarie, esclusivamente funzione di riunire e mostrare oggetti e documenti inerenti la nascita e lo sviluppo della Cassa di Risparmio. Un museo, dunque, che ne celebrasse l’attività, mostrando alla città come la banca avesse saputo rispondere prontamente e efficacemente, anche nei momenti più critici, alle esigenze dei bolognesi. Personaggio oggi dimenticato, Comelli fu in realtà figura piuttosto nota in ambito cittadino, inserita nei principali sodalizi culturali dell’epoca, tra cui la Regia Deputazione di Storia Patria e il Comitato per Bologna Storico Artistica, assieme a quei Rubbiani, Cavazza e Zucchini, che tanta influenza ebbero, come vedremo in seguito, sugli orientamenti Si dovettero tuttavia aspettare almeno due decenni, affinché l’idea originaria di fondare un Museo della Cassa di Risparmio si evolvesse in un senso più complesso e programmatico. Le ricerche hanno infatti evidenziato che le Raccolte d’Arte della Cassa di Risparmio non avrebbero acquistato l’importanza e la consistenza che oggi ci è dato constatare senza l’intervento decisivo di un personaggio noto fino ad oggi soltanto per i suoi indubbi meriti artistici: Alfredo Baruffi. Impiegato come ragioniere della Cassa fin dai diciotto anni, il Baruffi divenne, una volta pensionato, il “conservatore” delle Collezioni della Cassa di Risparmio. Fu lui a imprimere un nuovo corso all’originaria idea di Comelli, investendo tutte le proprie energie nella raccolta di dipinti, disegni, incisioni, libri, incunaboli, autografi, fotografie e oggetti d’uso quotidiano, col proposito di creare un museo che raccontasse la storia di Bologna e delle sue ultime grandi trasformazioni urbanistiche. Attraverso l’attenta analisi dei documenti cartacei e il raffronto con le opere in collezione è stato quindi possibile ricostruire passo dopo passo la nascita di un progetto culturale di ampia portata. La formazione della raccolta fu fortemente influenzata dalle teorie neomedievaliste di Alfonso Rubbiani, oltre che dalla volontà di salvaguardare, almeno a livello documentario, la memoria storica della Bologna medievale che in quegli anni stava per essere irrimediabilmente cancellata. Le scelte che orientarono la raccolta dei materiali, recentemente confluiti per la maggior parte nelle Collezioni della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna, acquistano, con questo studio una nuova valenza grazie alla scoperta degli stretti rapporti che Baruffi intrattenne coi principali rappresentanti della cerchia rubbianesca, tra cui Francesco Cavazza, Guido Zucchini e Albano Sorbelli. Con essi Baruffi partecipò infatti a numerosi sodalizi e iniziative quali il Comitato per Bologna Storico Artistica, la “Mostra Bologna che fu” e la società Francesco Francia, che segnarono profondamente l’ambiente culturale cittadino. La portata e la qualità delle scelte condotte da Baruffi nell’acquisto e raccolta dei materiali si rivela ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, attenta e mirata per il ruolo documentario che le Raccolte avevano e hanno assunto quali preziose e spesso uniche testimonianze del recente passato cittadino. Esaminata tutta la documentazione inerente la nascita delle Raccolte, la ricerca si è ha successivamente concentrata sulla vicenda di acquisto del fondo delle incisioni carraccesche della collezione Casati. La prima parte del lavoro è consistita nel repertoriare e trascrivere tutti i documenti relativi alla transazione d’acquisto, avvenuta nel 1937, vicenda che per la sua complessità impegnò per molti mesi, in un fitto carteggio, Baruffi, la direzione della Cassa e l’antiquario milanese Cesare Fasella. Il raffronto tra documenti d’archivio, inventari e materiale grafico ha permesso di ricostituire, seppur con qualche margine di incertezza, l’intera collezione Casati, individuando quasi 700 incisioni e 22 dei 23 disegni che la componevano. L’ultima fase di studio ha visto l’inventariazione e la catalogazione delle 700 incisioni. Il catalogo è stato suddiviso per autori, partendo dalle incisioni attribuite con certezza ad Agostino e ai suoi copisti, per poi passare ad Annibale e a Ludovico e ai loro copisti. Le incisioni studiate si sono rivelate tutte di grande qualità. Alcuni esemplari sono inoltre particolarmente significativi dal punto di vista storico-critico, perché mai citati nei tre principali e più recenti repertori di stampe carraccesche. Lo studio si conclude con l’individuazione di una stretta correlazione tra il pensiero e della pratica operatività in qualità di archivista, museografo e opinionista, di un altrettanto decisivo protagonista della ricerca, lo storico dell’arte Corrado Ricci, la cui influenza esercitata nell’ambiente culturale bolognese di quegli anni è già sottolineata nel primo capitolo. La conclusione approfondisce i possibili raporti e legami tra Baruffi e Corrado Ricci i cui interventi attorno alla questione della tutela e della salvaguardia del patrimonio storico, artistico, e paesaggistico italiano furono fondamentali per la nascita di una coscienza artistica e ambientale comune e per il conseguente sviluppo di leggi ad hoc. Numerose furono infatti le occasioni d’incontro tra Baruffi e Ricci. Qesti fu socio onorario del Comitato per Bologna Storico Artistica, nonché, quando era già Direttore Generale delle Belle Arti, presidente della storica mostra “Bologna che fu”. Sia Ricci che Baruffi fecero inoltre parte di quelle iniziative volte alla difesa e alla valorizzazione del paesaggio naturale, inteso anche in un ottica di promozione turistica, che videro la nascita proprio in Emilia Romagna: nel 1889 nasce l’Associazione Pro Montibus et silvis, del 1906 è l’Associazione nazionale per i paesaggi e monumenti pittoreschi, del 1912 è la Lega Nazionale per la protezione dei monumenti naturali. Queste iniziative si concretizzarono con la fondazione a Milano nel 1913 del Comitato Nazionale per la difesa del paesaggio e i monumenti italici, costituitosi presso la sede del Touring Club Italiano. Quelle occasioni d’incontro, come pure gli scritti di Ricci, trovarono certamente un terreno fertile in Baruffi conservatore, che nella formazione delle Collezioni, come pure nelle sua attività di “promotore culturale”, ci appare oggi guidato dalle teorie e dall’esempio pratico dei due numi tutelari: Alfonso Rubbiani e Corrado Ricci. La ricerca di documentazione all’interno di archivi e biblioteche cittadine, ha infine rivelato che il ruolo svolto da Baruffi come “operatore culturale” non fu quello di semplice sodale, ma di vero protagonista della scena bolognese. Soprattutto a partire dal secondo decennio del Novecento, quando fors’anche a seguito della morte del “maestro” Rubbiani, egli divenne uno tra i personaggi più impegnati in iniziative di tutela e promozione del patrimonio artistico cittadino, antico e moderno che fosse, intese a condizionare la progettualità politica e culturale della città. In tale contesto si può ben arguire il ruolo che avrebbero assunto le Collezioni storico artistiche numismatiche, popolaresche, della Cassa di Risparmio, cui Baruffi dedicò tutta la sua carriera successiva.

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L’oggetto del nostro studio è il Magazzino del sale detto “Darsena” di Cervia. Durante l’elaborazione della tesi sono state affrontate diverse tematiche. La nostra attenzione è stata concentrata inizialmente sullo studio della Città Vecchia e sulla fondazione della Nuova, in rapporto alla nascita del comparto dei magazzini del sale, di cui il Darsena fa parte, e sulle trasformazioni che il manufatto ha subito nel tempo per effetto di questi cambiamenti. Siamo giunte fino all’ultimo, e più rilevante, intervento ad opera dell’Architetto Giancarlo De Carlo, che ha cambiato profondamente la spazialità interna dell’edificio. Questa premessa ha indirizzato lo studio della consistenza dell’edificio e del suo stato di conservazione, riflettendo sulla diversità e convivenza di nuovo e antico. Ci siamo proposte in seguito di intervenire sul manufatto con un progetto di restauro conservativo, accompagnato da una nuova destinazione d’uso che permetta all’edificio il suo riuso. Questa proposta si espande all’esterno dell’edificio, verso un progetto per il comparto del sale.

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Questo progetto tratta di un Luogo, composto di vari elementi, che concorrono a tracciarne l'identità. Partendo dal principio che non solo il restauro di tali oggetti ne garantirebbe la sopravvivenza, la storia del restauro ci insegna che prendersi cura dei monumenti non significa solo preservarne l'integrità materica, ma anche gestire il loro valore d'uso, garantendone una adeguata fruizione. Questa tesi, quindi, non si occuperà solo della conservazione materiale dei manufatti nel tempo ma anche del trattamento del loro intorno, al fine di creare un sistema fruibile, basato sulle dinamiche percettive del Luogo.

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Oggigiorno  le  richieste  di  rilievi  tridimensionali  e  di  rappresentazioni  3D  ad  alta  qualità  i  sono  sempre  più  frequenti,  e  coinvolgono  un  numero  sempre  maggiore  di  discipline  e  ambiti  applicativi,  quali  quello  industriale,  medico,  archeologico,  forense,  museale, ecc., con ulteriori prospettive di allargamento per quanto riguarda la natura ed  il numero delle realizzazioni.  Il  lavoro  di  ricerca  svolto,  di  natura  prevalentemente  applicata,  vuole  andare  ad  investigare un settore, quello degli oggetti di medie, medio-piccole e soprattutto piccole  dimensioni, che, a parere dell’autore, non è stato ancora investigato a fondo;di questo  d’altra  parte  dà  riscontro  il  numero  relativamente  limitato  di  lavori  presenti  in  letteratura su questo tema.  Sebbene la metodologia di lavoro non sia concettualmente diversa da quella che si  adotta comunemente in ambito close range, le problematiche che sono state incontrate  nel corso dei diversi casi di studio analizzati nel periodo di dottorato hanno evidenziato  la  necessità  di  soluzioni  tecniche  e  metodologiche  specifiche,  anche  in  funzione  dei  requisiti di precisione che competono ad oggetti di piccole dimensioni.  Nel corso degli anni, si è visto  un allargamento della base di utenti che trovano nel  prodotto  3D  un  importante  strumento  di  lavoro;  si  pensi  alla  cinematografia,  alla  computer grafica, alle simulazioni virtuali a partire da modelli 3D realistici, ecc. Questo  trend sembra, al giorno d’oggi, non trovare ancora una battuta d’arresto. Considerando il  settore  dei  Beni  Culturali,  per  esempio,  si  tratta  di  un  campo  di  applicazione  delle  tecniche  geomatiche  abbastanza  ristretto  e  sostanzialmente  nuovo,  in  quanto  le  problematiche di documentazione e visualizzazione di beni mobili ed immobili sono in  genere indirizzate prevalentemente ad oggetti a scala di edificio, porzione di edificio o  elementi  quali  bassorilievi  e  statue,  comunque  con  un  ordine  di  grandezza  che  va  da  qualche  metro  alla  decina  di  metri.  Qualora,  come  detto  in  precedenza,  si  volesse  aumentare  ulteriormente  la  scala  di  indagine  e  di  rappresentazione,  devono  essere  adottate  delle  tecniche  di  rilievo  che  possano  fornire  un'adeguata  precisione,  con  strumenti e tecnologie che possano adattarsi alle diverse configurazioni e caratteristiche  geometriche. Nella  tesi  viene  dunque  affrontata  la  problematica  del  rilievo  e  della  modellazione  tridimensionale,  con  alto  livello  di  dettaglio,  di  oggetti  di  dimensioni  che  variano  da  qualche decina a pochi centimetri; una situazione di questo tipo può aversi in svariati  ambiti,  che  vanno  da  quello  industriale  e  del  design  a  quello  biologico  e  medico,  dall’archeologia ed alla musealizzazione virtuale alle indagini forensi, ecc.  Concentrando  l’analisi  al  campo  dei  Beni  Culturali,  oggi  oggetto  di  importanti  ricerche  applicative  che  trovano  impulso  anche  dallo  sviluppo  delle  nuove  tecnologie,  sono molto numerose e varie le occasioni in cui operare con oggetti di altissimo valore e  dimensioni molto ridotte: un esempio immediato è quello fornito dal rilievo di reperti  archeologici,  ma  nell’ambito  del  restauro,  dell’analisi  dei  materiali,  delle  indagini  non  distruttive, le potenzialità sono di grandissimo interesse..   Comunemente,  fino  a  poco  tempo  fa,  e  soprattutto  in  ambito  museale,  la  documentazione  geometrica  di  un  bene  culturale  mobile  di  piccole  dimensioni  si  è  limitata  ad  una  rappresentazione  fotografica,  riportante  magari  elementi  metrici  minimali,  come  un  righello  posto  di fianco  all’oggetto,  in  grado  di  fornire  una  scala  di  lettura.  Ciò  che  si  è  in  genere  tenuto  in  scarsa  considerazione,  ma  in  grado  invece    di  dare  al  contenuto  informativo  quel  qualcosa  in  più  rispetto  alla  semplice  fotografia,  è  l’adozione  di  metodologie  per  un  rilievo  rigoroso  e  metrico,  metodologie  che  possono  essere di grandissimo interesse non solo a fini di studio e divulgazione dell’oggetto (si  pensi alla problematica della virtualizzazione della fruizione di beni museali) ma anche  per  scopi  diversi  quali  la  duplicazione  e  riproduzione  di  copie  dell’oggetto  (a  scala  identica  al  vero  o  a  scala  diversa).  Di  frequente  infatti  ci  si  trova  di  fronte  a  problematiche  legate  alla  salvaguardia  e  conservazione  dell’oggetto,  in  termini  di  accesso  e  visione  da  parte  del  pubblico,  di  mantenimento  in  particolari  condizioni  microclimatiche, di difficoltà di manipolazione a fini di studio e misura, ecc.   Nella  tesi  sono  state  prese  in  considerazione  le  due  tecniche  geomatiche  che  si  prestano  a  soddisfare  nel  miglior  modo  possibile  i  requisiti  di  correttezza  metrica  e  radiometrica che un rilievo ad elevata precisione richiede. Tali tecniche, rappresentate  dalla fotogrammetria digitale con ottiche Macro e dal laser a scansione, in particolare del  tipo a triangolazione, sono state sperimentate sul campo , in modo da poter valutarne le  potenzialità,  non  solo  alla  luce  dei  risultati  finali  ottenuti,  ma  anche  considerando  i  problemi al contorno che esse comportano.   Nel  corso  di  numerose  sperimentazioni  in  laboratorio  e  sul  campo  sono  stati  analizzati problemi quali la calibrazione di obiettivi macro e la realizzazione di reticoli   speciali atti allo scopo, la qualità dei DSM di origine laser e fotogrammetrica, l’estrazione  di  caratteristiche  morfologiche di  microrilievo,  le  conseguenze  della  compressione  dei  dati  immagine,  la  calibrazione  radiometrica  ed  il  filtraggio  delle  immagini  digitali,  l’allineamento di nuvole di punti con algoritmi ICP.