950 resultados para Rettificabilità nei Gruppi di Carnot


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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneidi un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.

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L'obbiettivo della presente tesi curricolare è la lettura di alcuni progetti, realizzati negli anni di studi, nel tentativo di rintracciare un percorso evolutivo della personale formazione universitaria. I lavori esposti sono per lo più progetti inseriti in un contesto urbano che cercano di dialogare con il luogo e la città. Lo studio della città infatti costituisce presupposto essenziale per la fase compositiva del progetto. I lavori esposti sono stati svolti nei laboratori di progetazione, di urbanistica e di sintesi finale. Nel primo progetto ci si è confrontati con l'analisi e il ridisegno della villa Planchar di Giò Ponti a Caracas. Nel secondo si è affrontato per la prima volta la progettazione di una piccola unità residenziale. Nel progetto per Cesenatico si è affrontato il tema della residenza su scala urbana. Il quarto progetto riguarda la riqualificazione urbanistica dell'area nord di Cesena. I progetti per l'ampliamento dela biblioteca Malatestiana e per il Foro Annonario si confrontano con il contesto urbano consolidato del centro antico di Cesena. Il progetto del palazzo digiustizia si inserisce in un area a ridosso del centro storico che non ha una chiara identità urbana. L'ultimo progetto, svolto nel Laboratorio di Sintesi Finale, si inserisce nel bastione dei Cappuccini all'interno della cinta muraria di Pesaro.

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La tesi si propone di esaminare le tematiche della rappresentazione della conoscenza in termini di Electronic Health Record (EHR), della loro interoperabilità nei sistemi di e-Health, e del ruolo del coordinamento semantico nella costruzione di sistemi di e-Health basati su EHR.

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Negli ultimi anni la ricerca nella cura dei tumori si è interessata allo sviluppo di farmaci che contrastano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) per l’apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti tumorali, necessari per l’accrescimento e la sopravvivenza del tumore. Per valutare l’efficacia di questi farmaci antiangiogenesi esistono tecniche invasive: viene prelevato tramite biopsia un campione di tessuto tumorale, e tramite analisi microscopica si quantifica la densità microvascolare (numero di vasi per mm^2) del campione. Stanno però prendendo piede tecniche di imaging in grado di valutare l’effetto di tali terapie in maniera meno invasiva. Grazie allo sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni, la tomografia computerizzata è tra le tecniche di imaging più utilizzate per questo scopo, essendo in grado di offrire un’alta risoluzione sia spaziale che temporale. Viene utilizzata la tomografia computerizzata per quantificare la perfusione di un mezzo di contrasto all’interno delle lesioni tumorali, acquisendo scansioni ripetute con breve intervallo di tempo sul volume della lesione, a seguito dell’iniezione del mezzo di contrasto. Dalle immagini ottenute vengono calcolati i parametri perfusionali tramite l’utilizzo di differenti modelli matematici proposti in letteratura, implementati in software commerciali o sviluppati da gruppi di ricerca. Al momento manca un standard per il protocollo di acquisizione e per l’elaborazione delle immagini. Ciò ha portato ad una scarsa riproducibilità dei risultati intra ed interpaziente. Manca inoltre in letteratura uno studio sull’affidabilità dei parametri perfusionali calcolati. Il Computer Vision Group dell’Università di Bologna ha sviluppato un’interfaccia grafica che, oltre al calcolo dei parametri perfusionali, permette anche di ottenere degli indici sulla qualità dei parametri stessi. Questa tesi, tramite l’analisi delle curve tempo concentrazione, si propone di studiare tali indici, di valutare come differenti valori di questi indicatori si riflettano in particolari pattern delle curve tempo concentrazione, in modo da identificare la presenza o meno di artefatti nelle immagini tomografiche che portano ad un’errata stima dei parametri perfusionali. Inoltre, tramite l’analisi delle mappe colorimetriche dei diversi indici di errore si vogliono identificare le regioni delle lesioni dove il calcolo della perfusione risulta più o meno accurato. Successivamente si passa all’analisi delle elaborazioni effettuate con tale interfaccia su diversi studi perfusionali, tra cui uno studio di follow-up, e al confronto con le informazioni che si ottengono dalla PET in modo da mettere in luce l’utilità che ha in ambito clinico l’analisi perfusionale. L’intero lavoro è stato svolto su esami di tomografia computerizzata perfusionale di tumori ai polmoni, eseguiti presso l’Unità Operativa di Diagnostica per Immagini dell’IRST (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori) di Meldola (FC). Grazie alla collaborazione in atto tra il Computer Vision Group e l’IRST, è stato possibile sottoporre i risultati ottenuti al primario dell’U. O. di Diagnostica per Immagini, in modo da poterli confrontare con le considerazioni di natura clinica.

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Problematiche delle infezioni da Citomegalovirus in gravidanza Obiettivi: migliorare la sensibilità dell'ecografia nella diagnosi di infezione da CMV individuando un reperto ecografico cerebrale suggestivo di infezione fetale da Citomegalovirus a 20 settimane di gestazione. Metodi: tra febbraio 1989 e settembre 2009, 721 pazienti afferenti alla nostra Unità di Medicina Materno fetale per infezione primaria da CMV hanno eseguito amniocentesi e sono state sottoposte ad un esame neurosonografico transvaginale a 20-22 settimane di gestazione. Risultati: in 29 feti con infezione congenita sono state evidenziate anomalie ecografiche (17%), di cui in 22 casi a livello cerebrale. In 13 casi l'ecografia transvaginale ha permesso di identificare un alone ecogeno periventricolare a margini ben definiti ad un'epoca gestazionale media di 20.5 settimane (20-22 settimane). Di questi casi 12 pazienti hanno deciso di interrompere la gravidanza. L'unico neonato ha presentato alla nascita un'ipoacusia bilaterale. I riscontri autoptici ottenuti (7/12) hanno mostrato un'infezione citomegalica disseminata ed in 3 casi segni a livello cerebrale. Conclusioni: il limite ecografico della diagnosi di infezione fetale nei casi di infezione primaria da CMV è noto. In pazienti gravide alla 20 settimana di gestazione con infezione recente da Citomegalovirus, il riscontro di un alone ecogeno periventricolare risulta essere un precoce ed attendibile segno di infezione fetale e di possibile danno della sostanza bianca cerebrale. Occorrono però studi aggiuntivi per valutare la possibile manifestazione clinica di questa anomalia cerebrale nei neonati con infezione da CMV.

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Background: Kasashima et al hanno individuato nella popolazione giapponese un sottogruppo di aneurismi aortici addominali (AAA) infiammatori con le caratteristiche clinico patologiche della Malattia autoimmune Sistemica IgG4 Correlata. La distinzione tra i diversi gruppi di AAA è clinicamente importante sia per il follow up che per il trattamento di questa patologia. Obiettivo dello studio era la valutazione della componente flogistica, vascolare e stromale della parete aortica aneurismatica, la ricerca di aneurismi infiammatori ed in particolare di AAA- IgG4 correlati anche nella popolazione caucasica. Materiali e metodi: Sono stati esaminati i dati relativi a 21 pazienti trattati chirurgicamente per AAA presso l’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare di Ferrara. Sono state eseguite analisi immunoistochimiche di prelievi intraoperatori di parete aortica aneurismatica. Risultati: I dati emersi hanno identificato 3 sottopopolazioni di pazienti con AAA: aneurismi di tipo aterosclerotico con negatività ai markers infiammatori (AAAa), aneurismi infiammatori con positività ai markers infiammatori e negatività per le IgG4 (AAAI) ed infine aneurismi infiammatori con positività alle IgG4 (AAAI-IgG4). Conclusioni: Questo studio ha confermato l’ipotesi che la malattia aneurismatica IgG4 correlata è presente anche nella popolazione caucasica. Con il proseguimento del nostro studio sarà interessante verificare la conferma di questi dati anche in altri pazienti al fine di ricercare la miglior strategia terapeutica e minimizzare il rischio di complicanze.

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Obiettivo di questa tesi è sviscerare i concetti fondamentali legati al SEO, in particolar modo dal punto di vista delle aziende italiane: l’evoluzione di questo business nel nostro territorio, gli strumenti e le tecniche di ottimizzazione impiegati nella realizzazione dei siti internet, i capitali, umani ed economici, che alimentano questo mercato in Italia e all’estero e i fattori che oggigiorno sono considerati di fondamentale importanza per ottenere visibilità nei motori di ricerca.

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Di fronte al moltiplicarsi di episodi di commissariamento nella pubblica amministrazione italiana e in particolare nel settore culturale, la presente ricerca mira a comprendere gli obiettivi, le modalità di intervento ed i risultati raggiunti mediante la nomina di commissari straordinari. Si tratta di un intervento anomalo ed inusuale a livello internazionale (la stessa voce commissariamento risulta intraducibile in inglese), dove la ricerca di possibili termini di paragone, effettuata passando in rassegna la letteratura di disaster management, quella sul riaccentramento amministrativo e quella sugli interventi di turnaround nel settore pubblico, restituisce un quadro estremamente specifico del fenomeno, per lo più interno ai confini nazionali. Nello studio, caratterizzato da un forte approccio esplorativo e phenomenon driven, vengono analizzati quattro casi di commissariamento nel settore culturale italiano: due aree archeologiche (quella di Napoli e Pompei e quella di Roma e Ostia) e due Fondazioni Liriche (Teatro Carlo Felice di Genova e Arena di Verona). Dalla ricerca emerge un quadro profondamente critico delle gestioni commissariali. Gli obiettivi ambigui e l’elevata discrezionalità concessa al commissario non sono accompagnati da un’adeguata trasparenza nei processi di nomina, proroga e sostituzione dei commissari, con la prevalenza di rapporti di tipo personale o ‘feudale’. Dal punto di vista dei risultati il commissariamento non incide sulla routine dell’amministrazione ordinaria, rappresentando nel migliore dei casi una parentesi temporanea di buona gestione, o, nel peggiore, perseguendo interventi non legittimi rispetto ai valori professionali che regolano le organizzazioni analizzate. Se considerato alla luce del più generale processo di riforma in senso manageriale che ha coinvolto le istituzioni analizzate dalla fine degli anni ’90, il commissariamento esalta ed intensifica gli aspetti maggiormente critici dell’approccio italiano al New Public Management, in termini di scarsa trasparenza e accountability, elevata influenza della politica nei processi decisionali e generale incoerenza dei disegni di riforma.

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Il presente elaborato ha per oggetto la tematica del Sé, in particolar modo il Sé corporeo. Il primo capitolo illustrerà la cornice teorica degli studi sul riconoscimento del Sé corporeo, affrontando come avviene l’elaborazione del proprio corpo e del proprio volto rispetto alle parti corporee delle altre persone. Il secondo capitolo descriverà uno studio su soggetti sani che indaga l’eccitabilità della corteccia motoria nei processi di riconoscimento sé/altro. I risultati mostrano un incremento dell’eccitabilità corticospinale dell’emisfero destro in seguito alla presentazione di stimoli propri (mano e cellulare), a 600 e 900 ms dopo la presentazione dello stimolo, fornendo informazioni sulla specializzazione emisferica substrati neurali e sulla temporalità dei processi che sottendono all’elaborazione del sé. Il terzo capitolo indagherà il contributo del movimento nel riconoscimento del Sé corporeo in soggetti sani ed in pazienti con lesione cerebrale destra. Le evidenze mostrano come i pazienti, che avevano perso la facilitazione nell’elaborare le parti del proprio corpo statiche, presentano tale facilitazione in seguito alla presentazione di parti del proprio corpo in movimento. Il quarto capitolo si occuperà dello sviluppo del sé corporeo in bambini con sviluppo atipico, affetti da autismo, con riferimento al riconoscimento di posture emotive proprie ed altrui. Questo studio mostra come alcuni processi legati al sé possono essere preservati anche in bambini affetti da autismo. Inoltre i dati mostrano che il riconoscimento del sé corporeo è modulato dalle emozioni espresse dalle posture corporee sia in bambini con sviluppo tipico che in bambini affetti da autismo. Il quinto capitolo sarà dedicato al ruolo dei gesti nel riconoscimento del corpo proprio ed altrui. I dati di questo studio evidenziano come il contenuto comunicativo dei gesti possa facilitare l’elaborazione di parti del corpo altrui. Nella discussione generale i risultati dei diversi studi verranno considerati all’interno della loro cornice teorica.

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Il presente studio ha come obiettivo quello di chiarire le dinamiche culturali iscritte nella fine secolo portoghese a partire dall’analisi di alcune opere letterarie -in particolar modo poetiche - tra cui spicca il Só di António Nobre. L’Ultimatum inglese del 1890 mandando in frantumi il progetto imperiale in Africa, scatena un conflitto che si manifesta non solo a livello di un confronto con l’Altro, ma soprattutto, per le sue implicazioni simboliche, nei termini di un confronto interno proprio con l’immaginario nazionale. L’Ultimatum mette in crisi l’iperidentità descritta da Eduardo Lourenço come il frutto di una storia marcata da una deriva atlantica rispetto al resto d’Europa ed elaborata durante secoli di letteratura come il volto più autentico del Portogallo. Contemporaneamente segna inesorabilmente la distanza da quell’immaginario europeo e moderno che in stretto legame con il progetto imperiale ne costituiva le fondamenta. La poesia dell’epoca segue il paradigma apocalittico che associa al pianto e all’invettiva gli elementi di un’aspettativa messianica di riscatto: alla rabbia segue l’invito di riporre l’attenzione nelle glorie di un tempo in modo da rafforzare il Portogallo decaduto. La rivisitazione in chiave rigeneratrice del passato e dello spazio nazionale è una costante della letterautra neoromantica, l’opera di Antonio Nobre tuttavia non può essere affrontata secondo questa lettura: non si tratta qui di nessun recupero dell’età dell’oro, al contrario, la modernità dell’autore sta nel dichiarare l’impraticabilità di un immaginario che più che perduto non è mai esistito e si rivela dunque nella sua natura di feticcio.

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The Plasma Focus is a device designed to generate a plasma sheet between two coaxial electrodes by means of a high voltage difference. The plasma is then driven to collapse into a “pinch”, where thermonuclear conditions prevail. During the “pinch phase” charged particles are emitted, with two main components: an ion beam peaked forward and an electron beam directed backward. The electron beam emitted backward by Plasma Focus devices is being investigated as a radiation source for medical applications, using it to produce x-rays by interaction with appropriate targets (through bremsstrahlung and characteristic emission). A dedicated Plasma Focus device, named PFMA-3 (Plasma Focus for Medical Applications number 3), has been designed, put in operation and tested by the research groups of the Universities of Bologna and Ferrara. The very high dose rate (several gray per discharge, in less than 1 µs) is a peculiarity of this device that has to be investigated, as it might modify the relative biological effectiveness (RBE). Aim of this Ph.D. project was to investigate the main physical properties of the low-energy x-ray beams produced by a Plasma Focus device and their potential medical applications to IORT treatments. It was necessary to develop the optimal geometrical configuration; to evaluate the x-rays produced and their dose deposited; to estimate the energy electron spectrum produced in the “pinch phase”; to study an optimal target for the conversion of the x-rays; to conduct simulations to study the physics involved; and in order to evaluate the radio-biological features of the beam, cell holders had to be developed for both irradiations and cell growth conditions.

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Nell’ambito del Laboratorio di sintesi finale “ Progetto Buenos Aires”, siamo entrati in contatto con la realtà sociale, culturale ed architettonica sudamericana, che si presenta attualmente molto complessa e dinamica. Partendo dalle dieci conferenze tenute in Sudamerica dal demiurgico Le Corbusier nel 1929, abbiamo intrapreso un’analisi critica dei progetti proposti dall’architetto svizzero al fine di comprendere il suo approccio progettuale in relazione alle specificità urbane di Buenos Aires, Montevideo, San Paolo e Rio de Janeiro. L’obiettivo del corso è stato poi quello di sviluppare un progetto di architettura individuale per la realtà urbana di Buenos Aires e a tal scopo, nel mese di maggio, abbiamo intrapreso un primo viaggio per comprendere direttamente alcuni aspetti legati alla “natura” della città. Con la volontà di cogliere al meglio le articolate ed eterogenee sfaccettature che una metropoli come Buenos Aires può offrire, siamo tornati, nei mesi di ottobre e novembre, per vivere, osservare e studiare la città. Tale esperienza ci ha permesso di acquisire una migliore visione critica e di comprendere con maggiore consapevolezza le sue molteplici sfumature. Al fine di avviare il progetto abbiamo inizialmente svolto ricerche documentali presso la Biblioteca Nacional, la biblioteca del FADU (Facultad de Arquitectura, Disegno y Urbanismo di Buenos Aires), e la biblioteca della Societad Central de Arquitectos ed altri archivi, che ci hanno acconsentito di reperire testi e materiali essenziali non disponibili in Italia. Il percorso è stato arricchito da una serie d’incontri e dibattiti sulla città, i suoi continui cambiamenti e le sue criticità, con architetti e professori della FADU e della Facultad de Arquitectura y Urbanismo de la Universidad de La Plata, quali il professor Miguel Angel Roca, Javier Fernandez Castro e Fernando Aliata. Intrecci che hanno rappresentato un momento di riflessione importante per una visione generale dell’ambiente culturale in cui stavamo lavorando, e hanno proposto alcune chiare idee per un ridisegno generale della città di Buenos Aires e alcune suggestioni per i progetti portati avanti individualmente. Abbiamo avuto inoltre il grande onore di esporre e mostrare i nostri primi elaborati davanti agli studenti e professori delle suddette facoltà, avviando così un momento di scambio e confronto sui diversi approcci metodologici adottati nei due paesi, al tempo stesso così lontani e così vicini. Il coronamento di questa esperienza è stato l’incontro con due figure fondamentali nel processo architettonico argentino del secondo Novecento, l’architetto Justo Solsona e l’architetto Clorindo Testa. La tesi si articola in cinque diversi momenti. Il primo, a scala territoriale, propone una suggestione sui possibili sviluppi della Ciudad autonoma de Buenos Aires, mentre gli altri, sulla base di un’idea di fondo, rappresentano i progetti architettonici sviluppati individualmente.

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Oggetto di questa tesi di Laurea è la riqualificazione della Scuola d’Infanzia Diana a Reggio nell’Emilia (RE), svolta con particolare attenzione al comfort ambientale interno e alla ricerca di una relazione con il contesto urbano e sociale circostante. I soggetti interessati al progetto sono due: l’Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia del comune di Reggio Emilia, che dal 2003 si occupa dei servizi educativi comunali, e la società “Reggio Children”, che opera al fine di “esportare” all’estero gli esempi delle scuole reggiane. L’interesse nei confronti di questo asilo nasce dalla notevole importanza che esso ricopre nel panorama nazionale e mondiale in riferimento al modello educativo applicato. L’edificio presenta inoltre alcuni interessanti caratteri: collocato in una posizione strategica rispetto alla città, si trova nel cuore dei Giardini Pubblici, circondato da alcuni dei principali monumenti. Tuttavia, un’analisi approfondita ha evidenziato alcune criticità, che questo lavoro ha cercato di risolvere. La problematica principale rilevata, che la tesi ha affrontato, riguarda il benessere degli utenti. Dal punto di vista della fruibilità degli spazi, poi, si riscontra il sottodimensionamento del grande-atelier in relazione alle esigenze del modello pedagogico, nonché la necessità di una riorganizzazione degli arredi, al fine di rendere gli ambienti più vivibili. A ciò si affiancano, infine, l’inefficienza energetica dell’involucro, la vulnerabilità sismica dell’edificio e la mancanza di adeguate connessioni tra asilo, verde di pertinenza e parco pubblico. Al centro delle strategie progettuali c’è il bambino, che diventa il “vero committente”, ossia il soggetto di cui soddisfare esigenze e desideri. Si è cercato quindi di realizzare un ambiente confortevole e sicuro, agendo sull’involucro, sul sistema impiantistico, e rinforzando la struttura dell’edificio. A scala architettonica la complessità del progetto è stata quella di dotare l’asilo degli spazi necessari. Si è quindi prevista la realizzazione di un ampliamento, puntando a conseguire prestazioni energetiche più elevate rispetto agli standard fissati dalla dalla normativa, cercando di non alterare i caratteri del luogo e di interagire con il contesto. Durante tutto l’iter progettuale si è dunque operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico e puntando ad una soluzione attuabile per fasi.

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La tesi sviluppa le proposte teoriche della Linguistica Cognitiva a proposito della metafora e propone una loro possibile applicazione in ambito didattico. La linguistica cognitiva costituisce la cornice interpretativa della ricerca, a partire dai suoi concetti principali: la prospettiva integrata, l’embodiment, la centralità della semantica, l’attenzione per la psicolinguistica e le neuroscienze. All’interno di questo panorama, prende vigore un’idea di metafora come punto d’incontro tra lingua e pensiero, come criterio organizzatore delle conoscenze, strumento conoscitivo fondamentale nei processi di apprendimento. A livello didattico, la metafora si rivela imprescindibile sia come strumento operativo che come oggetto di riflessione. L’approccio cognitivista può fornire utili indicazioni su come impostare un percorso didattico sulla metafora. Nel presente lavoro, si indaga in particolare l’uso didattico di stimoli non verbali nel rafforzamento delle competenze metaforiche di studenti di scuola media. Si è scelto come materiale di partenza la pubblicità, per due motivi: il diffuso impiego di strategie retoriche in ambito pubblicitario e la specificità comunicativa del genere, che permette una chiara disambiguazione di fenomeni che, in altri contesti, non potrebbero essere analizzati con la stessa univocità. Si presenta dunque un laboratorio finalizzato al miglioramento della competenza metaforica degli studenti che si avvale di due strategie complementari: da una parte, una spiegazione ispirata ai modelli cognitivisti, sia nella terminologia impiegata che nella modalità di analisi (di tipo usage-based); dall’altra un training con metafore visive in pubblicità, che comprende una fase di analisi e una fase di produzione. È stato usato un test, suddiviso in compiti specifici, per oggettivare il più possibile i progressi degli studenti alla fine del training, ma anche per rilevare le difficoltà e i punti di forza nell’analisi rispetto sia ai contesti d’uso (letterario e convenzionale) sia alle forme linguistiche assunte dalla metafora (nominale, verbale, aggettivale).