342 resultados para GenBank


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We previously characterized a methionine aminopeptidase (EC 3.4.11.18; Met-AP1; also called peptidase M) in Saccharomyces cerevisiae, which differs from its prokaryotic homologues in that it (i) contains an N-terminal zinc-finger domain and (ii) does not produce lethality when disrupted, although it does slow growth dramatically; it is encoded by a gene called MAP1. Here we describe a second methionine aminopeptidase (Met-AP2) in S. cerevisiae, encoded by MAP2, which was cloned as a suppressor of the slow-growth phenotype of the map1 null strain. The DNA sequence of MAP2 encodes a protein of 421 amino acids that shows 22% identity with the sequence of yeast Met-AP1. Surprisingly, comparison with sequences in the GenBank data base showed that the product of MAP2 has even greater homology (55% identity) with rat p67, which was characterized as an initiation factor 2-associated protein but not yet shown to have Met-AP activity. Transformants of map1 null cells expressing MAP2 in a high-copy-number plasmid contained 3- to 12-fold increases in Met-AP activity on different peptide substrates. The epitope-tagged suppressor gene product was purified by immunoaffinity chromatography and shown to contain Met-AP activity. To evaluate the physiological significance of Met-AP2, the MAP2 gene was deleted from wild-type and map1 null yeast strains. The map2 null strain, like the map1 null strain, is viable but with a slower growth rate. The map1, map2 double-null strains are nonviable. Thus, removal of N-terminal methionine is an essential function in yeast, as in prokaryotes, but yeast require two methionine aminopeptidases to provide the essential function which can only be partially provided by Met-AP1 or Met-AP2 alone.

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Simple sequence repeats (SSRs), consisting of tandemly repeated multiple copies of mono-, di-, tri-, or tetranucleotide motifs, are ubiquitous in eukaryotic genomes and are frequently used as genetic markers, taking advantage of their length polymorphism. We have examined the polymorphism of such sequences in the chloroplast genomes of plants, by using a PCR-based assay. GenBank searches identified the presence of several (dA)n.(dT)n mononucleotide stretches in chloroplast genomes. A chloroplast (cp) SSR was identified in three pine species (Pinus contorta, Pinus sylvestris, and Pinus thunbergii) 312 bp upstream of the psbA gene. DNA amplification of this repeated region from 11 pine species identified nine length variants. The polymorphic amplified fragments were isolated and the DNA sequence was determined, confirming that the length polymorphism was caused by variation in the length of the repeated region. In the pines, the chloroplast genome is transmitted through pollen and this PCR assay may be used to monitor gene flow in this genus. Analysis of 305 individuals from seven populations of Pinus leucodermis Ant. revealed the presence of four variants with intrapopulational diversities ranging from 0.000 to 0.629 and an average of 0.320. Restriction fragment length polymorphism analysis of cpDNA on the same populations previously failed to detect any variation. Population subdivision based on cpSSR was higher (Gst = 0.22, where Gst is coefficient of gene differentiation) than that revealed in a previous isozyme study (Gst = 0.05). We anticipate that SSR loci within the chloroplast genome should provide a highly informative assay for the analysis of the genetic structure of plant populations.

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Riassunto La spettrometria di massa (MS) nata negli anni ’70 trova oggi, grazie alla tecnologia Matrix-Assisted Laser Desorption Ionization-Time of Flight (MALDI-TOF), importanti applicazioni in diversi settori: biotecnologico (per la caratterizzazione ed il controllo di qualità di proteine ricombinanti ed altre macromolecole), medico–clinico (per la diagnosi di laboratorio di malattie e per lo sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici mirati), alimentare ed ambientale. Negli ultimi anni, questa tecnologia è diventata un potente strumento anche per la diagnosi di laboratorio in microbiologia clinica, rivoluzionando il flusso di lavoro per una rapida identificazione di batteri e funghi, sostituendo l’identificazione fenotipica convenzionale basata su saggi biochimici. Attualmente mediante MALDI-TOF MS sono possibili due diversi approcci per la caratterizzazione dei microrganismi: (1) confronto degli spettri (“mass spectra”) con banche dati contenenti profili di riferimento (“database fingerprints”) e (2) “matching” di bio-marcatori con banche dati proteomiche (“proteome database”). Recentemente, la tecnologia MALDI-TOF, oltre alla sua applicazione classica nell’identificazione di microrganismi, è stata utilizzata per individuare, indirettamente, meccanismi di resistenza agli antibiotici. Primo scopo di questo studio è stato verificare e dimostrare l’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF MS mediante approccio di comparazione degli spettri di differenti microrganismi di interesse medico per i quali l’identificazione risultava impossibile a causa della completa assenza o presenza limitata, di spettri di riferimento all’interno della banca dati commerciale associata allo strumento. In particolare, tale scopo è stato raggiunto per i batteri appartenenti a spirochete del genere Borrelia e Leptospira, a miceti filamentosi (dermatofiti) e protozoi (Trichomonas vaginalis). Secondo scopo di questo studio è stato valutare il secondo approccio identificativo basato sulla ricerca di specifici marcatori per differenziare parassiti intestinali di interesse medico per i quali non è disponibile una banca dati commerciale di riferimento e la sua creazione risulterebbe particolarmente difficile e complessa, a causa della complessità del materiale biologico di partenza analizzato e del terreno di coltura nei quali questi protozoi sono isolati. Terzo ed ultimo scopo di questo studio è stata la valutazione dell’applicabilità della spettrometria di massa con tecnologia MALDI-TOF per lo studio delle resistenze batteriche ai carbapenemi. In particolare, è stato messo a punto un saggio di idrolisi dei carbapenemi rilevata mediante MALDI-TOF MS in grado di determinare indirettamente la produzione di carbapenemasi in Enterobacteriaceae. L’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF mediante l’approccio di comparazione degli spettri è stata dimostrata in primo luogo per batteri appartenenti al genere Borrelia. La banca dati commerciale dello strumento MALDI-TOF MS in uso presso il nostro laboratorio includeva solo 3 spettri di riferimento appartenenti alle specie B. burgdorferi ss, B. spielmani e B. garinii. L’implementazione del “database” con specie diverse da quelle già presenti ha permesso di colmare le lacune identificative dovute alla mancanza di spettri di riferimento di alcune tra le specie di Borrelia più diffuse in Europa (B. afzelii) e nel mondo (come ad esempio B. hermsii, e B. japonica). Inoltre l’implementazione con spettri derivanti da ceppi di riferimento di specie già presenti nel “database” ha ulteriormente migliorato l’efficacia identificativa del sistema. Come atteso, il ceppo di isolamento clinico di B. lusitaniae (specie non presente nel “database”) è stato identificato solo a livello di genere corroborando, grazie all’assenza di mis-identificazione, la robustezza della “nuova” banca dati. I risultati ottenuti analizzando i profili proteici di ceppi di Borrelia spp. di isolamento clinico, dopo integrazione del “database” commerciale, indicano che la tecnologia MALDI-TOF potrebbe essere utilizzata come rapida, economica ed affidabile alternativa ai metodi attualmente utilizzati per identificare ceppi appartenenti a questo genere. Analogamente, per il genere Leptospira dopo la creazione ex-novo della banca dati “home-made”, costruita con i 20 spettri derivati dai 20 ceppi di riferimento utilizzati, è stata ottenuta una corretta identificazione a livello di specie degli stessi ceppi ri-analizzati in un esperimento indipendente condotto in doppio cieco. Il dendrogramma costruito con i 20 MSP-Spectra implementati nella banca dati è formato da due rami principali: il primo formato dalla specie non patogena L. biflexa e dalla specie a patogenicità intermedia L. fainei ed il secondo che raggruppa insieme le specie patogene L. interrogans, L. kirschneri, L. noguchii e L. borgpetersenii. Il secondo gruppo è ulteriormente suddiviso in due rami, contenenti rispettivamente L. borgpetersenii in uno e L. interrogans, L. kirschneri e L. noguchii nell’altro. Quest’ultimo, a sua volta, è suddiviso in due rami ulteriori: il primo comprendente la sola specie L. noguchii, il secondo le specie L. interrogans e L. kirshneri non separabili tra loro. Inoltre, il dendrogramma costruito con gli MSP-Spectra dei ceppi appartenenti ai generi Borrelia e Leptospira acquisiti in questo studio, e appartenenti al genere Brachyspira (implementati in un lavoro precedentemente condotto) mostra tre gruppi principali separati tra loro, uno per ogni genere, escludendo possibili mis-identificazioni tra i 3 differenti generi di spirochete. Un’analisi più approfondita dei profili proteici ottenuti dall’analisi ha mostrato piccole differenze per ceppi della stessa specie probabilmente dovute ai diversi pattern proteici dei distinti sierotipi, come confermato dalla successiva analisi statistica, che ha evidenziato picchi sierotipo-specifici. È stato, infatti, possibile mediante la creazione di un modello statistico dedicato ottenere un “pattern” di picchi discriminanti in grado di differenziare a livello di sierotipo sia i ceppi di L. interrogans sia i ceppi di L. borgpetersenii saggiati, rispettivamente. Tuttavia, non possiamo concludere che i picchi discriminanti da noi riportati siano universalmente in grado di identificare il sierotipo dei ceppi di L. interrogans ed L. borgpetersenii; i picchi trovati, infatti, sono il risultato di un’analisi condotta su uno specifico pannello di sierotipi. È stato quindi dimostrato che attuando piccoli cambiamenti nei parametri standardizzati come l’utilizzo di un modello statistico e di un programma dedicato applicato nella routine diagnostica è possibile utilizzare la spettrometria di massa MALDI-TOF per una rapida ed economica identificazione anche a livello di sierotipo. Questo può significativamente migliorare gli approcci correntemente utilizzati per monitorare l’insorgenza di focolai epidemici e per la sorveglianza degli agenti patogeni. Analogamente a quanto dimostrato per Borrelia e Leptospira, l’implementazione della banca dati dello spettrometro di massa con spettri di riferimento di miceti filamentosi (dermatofiti) si è rilevata di particolare importanza non solo per l’identificazione di tutte le specie circolanti nella nostra area ma anche per l’identificazione di specie la cui frequenza nel nostro Paese è in aumento a causa dei flussi migratori dalla zone endemiche (M. audouinii, T. violaceum e T. sudanense). Inoltre, l’aggiornamento del “database” ha consentito di superare la mis-identificazione dei ceppi appartenenti al complesso T. mentagrophytes (T. interdigitale e T. mentagrophytes) con T. tonsurans, riscontrata prima dell’implementazione della banca dati commerciale. Il dendrogramma ottenuto dai 24 spettri implementati appartenenti a 13 specie di dermatofiti ha rivelato raggruppamenti che riflettono quelli costruiti su base filogenetica. Sulla base dei risultati ottenuti mediante sequenziamento della porzione della regione ITS del genoma fungino non è stato possibile distinguere T. interdigitale e T. mentagrophytes, conseguentemente anche gli spettri di queste due specie presentavano picchi dello stesso peso molecoalre. Da sottolineare che il dendrogramma costruito con i 12 profili proteici già inclusi nel database commerciale e con i 24 inseriti nel nuovo database non riproduce l’albero filogenetico per alcune specie del genere Tricophyton: gli spettri MSP già presenti nel database e quelli aggiunti delle specie T. interdigitale e T. mentagrophytes raggruppano separatamente. Questo potrebbe spiegare le mis-identificazioni di T. interdigitale e T. mentagrophytes con T. tonsurans ottenute prima dell’implementazione del database. L’efficacia del sistema identificativo MALDI-TOF è stata anche dimostrata per microrganismi diversi da batteri e funghi per i quali la metodica originale è stata sviluppata. Sebbene tale sistema identificativo sia stato applicato con successo a Trichomonas vaginalis è stato necessario apportare modifiche nei parametri standard previsti per l’identificazione di batteri e funghi. Le interferenze riscontrate tra i profili proteici ottenuti per i due terreni utilizzati per la coltura di questo protozoo e per i ceppi di T. vaginalis hanno, infatti, reso necessario l’utilizzo di nuovi parametri per la creazione degli spettri di riferimento (MSP-Spectra). L’importanza dello sviluppo del nuovo metodo risiede nel fatto che è possibile identificare sulla base del profilo proteico (e non sulla base di singoli marcatori) microorganismi cresciuti su terreni complessi che potrebbero presentare picchi nell'intervallo di peso molecolare utilizzato a scopo identificativo: metaboliti, pigmenti e nutrienti presenti nel terreno possono interferire con il processo di cristallizzazione e portare ad un basso punteggio identificativo. Per T. vaginalis, in particolare, la “sottrazione” di picchi dovuti a molecole riconducibili al terreno di crescita utilizzato, è stata ottenuta escludendo dall'identificazione l'intervallo di peso molecolare compreso tra 3-6 kDa, permettendo la corretta identificazione di ceppi di isolamento clinico sulla base del profilo proteico. Tuttavia, l’elevata concentrazione di parassita richiesta (105 trofozoiti/ml) per una corretta identificazione, difficilmente ottenibile in vivo, ha impedito l’identificazione di ceppi di T. vaginalis direttamente in campioni clinici. L’approccio identificativo mediante individuazione di specifici marcatori proteici (secondo approccio identificativo) è stato provato ed adottato in questo studio per l’identificazione e la differenziazione di ceppi di Entamoeba histolytica (ameba patogena) ed Entamoeba dispar (ameba non patogena), specie morfologiacamente identiche e distinguibili solo mediante saggi molecolari (PCR) aventi come bersaglio il DNA-18S, che codifica per l’RNA della subunità ribosomiale minore. Lo sviluppo di tale applicazione ha consentito di superare l’impossibilità della creazione di una banca dati dedicata, a causa della complessità del materiale fecale di partenza e del terreno di coltura impiagato per l’isolamento, e di identificare 5 picchi proteici in grado di differenziare E. histolytica da E. dispar. In particolare, l’analisi statistica ha mostrato 2 picchi specifici per E. histolytica e 3 picchi specifici per E. dispar. L’assenza dei 5 picchi discriminanti trovati per E. histolytica e E. dispar nei profili dei 3 differenti terreni di coltura utilizzati in questo studio (terreno axenico LYI-S-2 e terreno di Robinson con e senza E. coli) permettono di considerare questi picchi buoni marcatori in grado di differenziare le due specie. La corrispondenza dei picchi con il PM di due specifiche proteine di E. histolytica depositate in letteratura (Amoebapore A e un “unknown putative protein” di E. histolytica ceppo di riferimento HM-1:IMSS-A) conferma la specificità dei picchi di E. histolytica identificati mediante analisi MALDI-TOF MS. Lo stesso riscontro non è stato possibile per i picchi di E. dispar in quanto nessuna proteina del PM di interesse è presente in GenBank. Tuttavia, va ricordato che non tutte le proteine E. dispar sono state ad oggi caratterizzate e depositate in letteratura. I 5 marcatori hanno permesso di differenziare 12 dei 13 ceppi isolati da campioni di feci e cresciuti in terreno di Robinson confermando i risultati ottenuti mediante saggio di Real-Time PCR. Per un solo ceppo di isolamento clinico di E. histolytica l’identificazione, confermata mediante sequenziamento della porzione 18S-rDNA, non è stata ottenuta mediante sistema MALDI-TOF MS in quanto non sono stati trovati né i picchi corrispondenti a E. histolytica né i picchi corrispondenti a E. dispar. Per questo ceppo è possibile ipotizzare la presenza di mutazioni geno/fenotipiche a livello delle proteine individuate come marcatori specifici per E. histolytica. Per confermare questa ipotesi sarebbe necessario analizzare un numero maggiore di ceppi di isolamento clinico con analogo profilo proteico. L’analisi condotta a diversi tempi di incubazione del campione di feci positivo per E. histolytica ed E. dipar ha mostrato il ritrovamento dei 5 picchi discriminanti solo dopo 12 ore dall’inoculo del campione nel terreno iniziale di Robinson. Questo risultato suggerisce la possibile applicazione del sistema MALDI-TOF MS per identificare ceppi di isolamento clinico di E. histolytica ed E. dipar nonostante la presenza di materiale fecale che materialmente può disturbare e rendere difficile l’interpretazione dello spettro ottenuto mediante analisi MALDI-TOF MS. Infine in questo studio è stata valutata l’applicabilità della tecnologia MALDI-TOF MS come saggio fenotipico rapido per la determinazione di ceppi produttori di carbapenemasi, verificando l'avvenuta idrolisi del meropenem (carbapeneme di riferimento utilizzato in questo studio) a contatto con i ceppi di riferimento e ceppi di isolamento clinico potenzialmente produttori di carbapenemasi dopo la messa a punto di un protocollo analitico dedicato. Il saggio di idrolisi del meropenem mediante MALDI-TOF MS ha dimostrato la presenza o l’assenza indiretta di carbapenemasi nei 3 ceppi di riferimento e nei 1219 (1185 Enterobacteriaceae e 34 non-Enterobacteriaceae) ceppi di isolamento clinico inclusi nello studio. Nessuna interferenza è stata riscontrata per i ceppi di Enterobacteriaceae variamente resistenti ai tre carbapenemi ma risultati non produttori di carbapenemasi mediante i saggi fenotipici comunemente impiegati nella diagnostica routinaria di laboratorio: nessuna idrolisi del farmaco è stata infatti osservata al saggio di idrolisi mediante MALDI-TOF MS. In un solo caso (ceppo di K. pneumoniae N°1135) è stato ottenuto un profilo anomalo in quanto presenti sia i picchi del farmaco intatto che quelli del farmaco idrolizzato. Per questo ceppo resistente ai tre carbapenemi saggiati, negativo ai saggi fenotipici per la presenza di carbapenemasi, è stata dimostrata la presenza del gene blaKPC mediante Real-Time PCR. Per questo ceppo si può ipotizzare la presenza di mutazioni a carico del gene blaKPC che sebbene non interferiscano con il suo rilevamento mediante PCR (Real-Time PCR positiva), potrebbero condizionare l’attività della proteina prodotta (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia negativi) riducendone la funzionalità come dimostrato, mediante analisi MALDI-TOF MS, dalla presenza dei picchi relativi sia all’idrolisi del farmaco sia dei picchi relativi al farmaco intatto. Questa ipotesi dovrebbe essere confermata mediante sequenziamento del gene blaKPC e successiva analisi strutturale della sequenza amminoacidica deducibile. L’utilizzo della tecnologia MALDI-TOF MS per la verifica dell’avvenuta idrolisi del maropenem è risultato un saggio fenotipico indiretto in grado di distinguere, al pari del test di Hodge modificato impiegato comunemente nella routine diagnostica in microbiologia, un ceppo produttore di carbapenemasi da un ceppo non produttore sia per scopi diagnostici che per la sorveglianza epidemiologica. L’impiego del MALDI-TOF MS ha mostrato, infatti, diversi vantaggi rispetto ai metodi convenzionali (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia) impiegati nella routine diagnostica di laboratorio i quali richiedono personale esperto per l’interpretazione del risultato e lunghi tempi di esecuzione e di conseguenza di refertazione. La semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questa tecnica un metodo accurato e rapido. Inoltre, il metodo risulta conveniente dal punto di vista economico, con un costo totale stimato di 1,00 euro per ceppo analizzato. Tutte queste considerazioni pongono questa metodologia in posizione centrale in ambito microbiologico anche nel caso del rilevamento di ceppi produttori di carbapenemasi. Indipendentemente dall’approccio identificativo utilizzato, comparato con i metodi convenzionali il MALDI-TOF MS conferisce in molti casi un guadagno in termini di tempo di lavoro tecnico (procedura pre-analititca per la preparazione dei campioni) e di tempo di ottenimento dei risultati (procedura analitica automatizzata). Questo risparmio di tempo si accentua quando sono analizzati in contemporanea un maggior numero di isolati. Inoltre, la semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questo un metodo di identificazione accurato e rapido risultando più conveniente anche dal punto di vista economico, con un costo totale di 0,50 euro (materiale consumabile) per ceppo analizzato. I risultati ottenuti dimostrano che la spettrometria di massa MALDI-TOF sta diventando uno strumento importante in microbiologia clinica e sperimentale, data l’elevata efficacia identificativa, grazie alla disponibilità sia di nuove banche dati commerciali sia di aggiornamenti delle stesse da parte di diversi utenti, e la possibilità di rilevare con successo anche se in modo indiretto le antibiotico-resistenze.

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Os astrovírus são agentes virais associados com enteropatias e infecções extra-intestinais em aves, ocasionando prejuízos no desenvolvimento produtivo e saúde animal. Porém, são escassos os estudos no Brasil que visem a detecção e caracterização deste vírus com maior amplitude. Nesse contexto, detectaram-se e caracterizaram-se cepas de astrovírus a partir de 60 amostras fecais de aves procedentes de diferentes criações comerciais brasileiras (postura, corte e matrizes), mediante o emprego de uma reação PanAstrovírus como triagem inicial, que consistiu numa reação de RT-hemi-nested-PCR, visando a amplificação e posterior sequenciamento de um segmento parcial do gene RdRp (RNA polimerase dependente de RNA) do gene ORF1b, uma região gênica conservada entre todos os astrovírus. Subsequentemente, nas amostras positivas na triagem, realizou-se a amplificação, clonagem e sequenciamento do gene ORF2 codificante do capsídeo viral, analisado mediante análise filogenética. Os dados obtidos demonstraram uma frequência de infecção por astrovírus em 48,3% (29/60) das amostras analisadas. As espécies virais detectadas foram as seguintes: Avastrovírus 2 (Avian Nephritis Virus, ANV) em 72,4% (21/29), Chicken Astrovírus (CAstV) em 6,8% (2/29) e Avastrovírus 1 (Turkey Astrovírus tipo 1, TAstV-1) em 20,8% (6/29) das amostras positivas. O sequenciamento total do gene ORF2 foi possível em oito amostras (8/21) positivas a ANV, em uma amostra (1/6) positiva a TAstV-1 e uma amostra (1/2) positiva para CAstV. A análise deste gene revelou, nas sequências ANV, a presença de três genótipos bem diferenciados, segundo critérios do Astroviridae Study Group, sendo que um deles, agrupou-se dentro do genótipo 5. Além disso, quando analisado com sequências procedentes de outras regiões, as sequências deste estudo formaram seis clusters, dois deles, relacionados com sequências procedentes de Austrália e Reino Unido. O análise do ORF2 em CAstV, revelou também um agrupamento com cepas procedentes do Reino Unido. Já o análise da ORF2 de TAstV-1, revelou divergência genética com cepas isoladas em Estados Unidos, que foram as únicas sequências disponíveis no GenBank. O presente estudo traz a luz vários dados epidemiológicos concernentes aos astrovírus aviário de origem brasileira o que permitirá a realização de outros estudos relacionados a epidemiologia deste vírus, seus possíveis riscos potenciais em saúde pública e a adoção de medidas de controle direcionadas a este agente

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O objetivo principal deste estudo foi avaliar fatores virais associados com a evolução para o carcinoma hepatocelular (CHC) em pacientes com hepatite B crônica. Para tanto caracterizamos os subgenótipos do HBV, investigamos a ocorrência de mutações nos genes pré-core/core do HBV associadas à presença de CHC avaliamos por análise filogenética a associação de linhagens virais com a ocorrência de CHC e por fim a associação de outros fatores de risco com o desenvolvimento de CHC. Foram incluídos 119 amostras de soro de pacientes com infecção crônica pelo HBV, destas amostras 60 pertencem ao grupo 1 (CHC), que são pacientes com diagnóstico confirmado de carcinoma hepatocelular e 59 amostras pertencem ao grupo 2 (sem CHC) que são pacientes com hepatite crônica sem detecção prévia de nódulos hepáticos. Foram obtidas informações acerca da idade, sexo e naturalidade. Além disso, os pacientes responderam a um questionário sobre fatores de riscos associados ao desenvolvimento de CHC. Foram realizados exames bioquímicos, sorológicos, determinação da carga viral, e amplificação por nested PCR e sequenciamento das regiões S/polimerase e pré-core/core do genoma viral para posterior caracterização dos genótipos/subgenótipos do HBV e pesquisa de mutações associadas com evolução da doença hepática. Em relação à idade e sexo não houve grande variação entre os grupos. Quanto à naturalidade a maioria era procedente da região sudeste, seguido pela região nordeste; e por fim seis pacientes eram procedentes de outros países. Com base no sobrenome dos pacientes avaliou-se também a frequência de etnia oriental na casuística estudada, que foi similar nos 2 grupos. O perfil sorológico HBeAg negativo foi o mais frequente nos dois grupos de pacientes, assim como níveis de carga viral abaixo de 2.000 UI/mL. Em relação aos exames bioquímicos foram observadas diferenças estatisticamente significantes nos níveis séricos de AFP (p= 0,0013), FA (p= 0,0003) e GGT (p= 0,005). Dentre os fatores de risco analisados neste estudo, o consumo de amendoim foi o único que apresentou significância estatística (p= 0,003). A região S/pol foi amplificada e sequenciada com sucesso em 58 amostras (28 do grupo 1 e 30 do grupo 2). Entre as 58 amostras analisadas 4 genótipos e 8 subgenótipos do HBV foram identificados, sendo o subgenótipo A1 o mais frequente nos dois grupos. Não se observou diferença estatisticamente significante na distribuição dos subgenótipos entre os dois grupos de pacientes. Na topologia da árvore filogenética construída com sequências do HBV isoladas dos pacientes incluídos neste estudo e sequências disponíveis no GenBank não se observou padrões de agrupamento associados com o perfil clinico do paciente (com e sem CHC). Foram obtidas sequências de boa qualidade da região précore/ core em 44 amostras, sendo 20 amostras do grupo 1 e 24 do grupo 2. Diversas das mutações investigadas foram identificadas na região précore/ core, as quais foram avaliadas estatisticamente para verificar a existência de diferença na frequência das mesmas entre os grupos de pacientes estudados. Entre as mutações identificadas se destacaram com significância estatística as seguintes mutações: T1768A (p= 0,006), a combinação das mutações C1766T + T1768A (p= 0,043) e G1888H (p= 0,05). Na análise de regressão logística simples foi possível identificar que a chance de um paciente do grupo 2 desenvolver CHC aumenta 14,7 vezes na presença de infecção por cepas do HBV com a mutação T1768A, enquanto que a infecção com cepas do HBV que albergam a mutação G1888H reduz tal chance 2,5 vezes

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Os rotavírus do grupo A (RVA) são importantes causadores de diarreias virais em crianças e animais jovens de diferentes espécies, com impactos na saúde pública e animal. Visando contribuir para o entendimento e prevenção das rotaviroses assim como suas possíveis relações zoonóticas, caracterizou-se os 11 segmentos de dsRNA de rotavírus codificadores das proteínas estruturais e não estruturais presentes em amostras fecais positivas de suínos coletadas nos anos de 2012-2013, em 2 estados brasileiros. Mediante o emprego de RT-PCR, sequenciamento nucleotídico e análises filogenéticas, todos os segmentos genéticos oriundos de 12 amostras de RVA detectados em suínos foram analisados e comparados com os de outras amostras descritas previamente. As sequências obtidas para os genes codificadores das proteínas NSP2, NSP3 e VP6 contemplaram a open reading frame (ORF) completa do gene, enquanto que a ORF parcial foi determinada para os genes codificadores das proteínas VP1, VP2, VP3, VP4, VP7, NSP1, NSP4, NSP5 e NSP6. Os genotipos de rotavírus suíno provenientes das regiões amostradas concordam com os mais frequentemente descritos nesta espécie animal, apresentando, assim, uma matriz genética suína com a maioria dos segmentos pertencentes à constelação genotípica 1, com exceção dos genes codificadores das proteínas VP6 e NSP1, os quais foram os genotipos I5 e A8, respectivamente. Apesar de predominar o genotipo 1 (Wa-like) nas sequências deste estudo, a análise genômica sugere a existência de uma variação intragenotípica no genoma do rotavírus do grupo A atualmente circulante nas populações suína amostradas dos estados de São Paulo e Mato Grosso. Adicionalmente, buscou-se identificar os aminoácidos relacionados com a adaptação dos rotavírus no hospedeiro e assinaturas genéticas que distinguissem RVA suíno e humano. Para isso, as sequências obtidas neste estudo foram comparadas com outras cepas de RVA detectadas nestas duas espécies e pertencentes ao genotipo 1 (Wa-like) disponíveis no Genbank. Como resultados foram encontrados mais de 75 sítios de mudanças deaminoácidos que diferenciam RVA suíno e humano além de sítios de substituiçãopresentes em algumas proteínas virais que frequentemente covariaram entre elas. Estes resultados proporcionam um maior entendimento da diversidade viral circulante em unidades de produção suína e uma melhor compreensão dos animaiscomo reservatórios genéticos de cepas de rotavírus emergentes em humanos.

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Currently there are an overwhelming number of scientific publications in Life Sciences, especially in Genetics and Biotechnology. This huge amount of information is structured in corporate Data Warehouses (DW) or in Biological Databases (e.g. UniProt, RCSB Protein Data Bank, CEREALAB or GenBank), whose main drawback is its cost of updating that makes it obsolete easily. However, these Databases are the main tool for enterprises when they want to update their internal information, for example when a plant breeder enterprise needs to enrich its genetic information (internal structured Database) with recently discovered genes related to specific phenotypic traits (external unstructured data) in order to choose the desired parentals for breeding programs. In this paper, we propose to complement the internal information with external data from the Web using Question Answering (QA) techniques. We go a step further by providing a complete framework for integrating unstructured and structured information by combining traditional Databases and DW architectures with QA systems. The great advantage of our framework is that decision makers can compare instantaneously internal data with external data from competitors, thereby allowing taking quick strategic decisions based on richer data.

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Limited but significant sequence similarity has been observed between an uncharacterized human protein, SIN1, and the S. pombe SIN1, Dictyostelium RIP3 and S. cerevisiae AVO1 proteins. The human Sin1 gene has been automatically predicted (MAPKAP1; GenBank accession number NM_024117); however, this sequence appears to be incomplete. In this study, we have cloned and characterized the full-length human Sin1 mRNA and identified a highly conserved domain that defines the family of SIN1 orthologues, members of which are widely distributed in the fungal and metazoan kingdoms. We demonstrate that Sin1 transcripts can use alternative polyadenylation signals and describe a number of Sin1 splice variants that potentially encode functionally different isoforms. (C) 2004 Elsevier B.V. All rights reserved.

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Introduction: Mutation testing for the MEN1 gene is a useful method to diagnose and predict individuals who either have or will develop multiple endocrine neoplasia type 1 ( MEN 1). Clinical selection criteria to identify patients who should be tested are needed, as mutation analysis is costly and time consuming. This study is a report of an Australian national mutation testing service for the MEN1 gene from referred patients with classical MEN 1 and various MEN 1- like conditions. Results: All 55 MEN1 mutation positive patients had a family history of hyperparathyroidism, had hyperparathyroidism with one other MEN1 related tumour, or had hyperparathyroidism with multiglandular hyperplasia at a young age. We found 42 separate mutations and six recurring mutations from unrelated families, and evidence for a founder effect in five families with the same mutation. Discussion: Our results indicate that mutations in genes other than MEN1 may cause familial isolated hyperparathyroidism and familial isolated pituitary tumours. Conclusions: We therefore suggest that routine germline MEN1 mutation testing of all cases of classical'' MEN1, familial hyperparathyroidism, and sporadic hyperparathyroidism with one other MEN1 related condition is justified by national testing services. We do not recommend routine sequencing of the promoter region between nucleotides 1234 and 1758 ( Genbank accession no. U93237) as we could not detect any sequence variations within this region in any familial or sporadic cases of MEN1 related conditions lacking a MEN1 mutation. We also suggest that testing be considered for patients < 30 years old with sporadic hyperparathyroidism and multigland hyperplasia

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The tropical abalone. Haliotis asinina. is,in ideal species to investigate the molecular mechanisms that control development. growth, reproduction and shell formation in all cultured haliotids. Here we describe the analysis of 232 expressed sequence tags (EST) obtained front a developmental H. asinina cDNA library intended for future microarray studies. From this data set we identified 183 unique gene Clusters. Of these, 90 clusters showed significant homology with sequences lodged in GenBank, ranging in function from general housekeeping to signal transduction, gene regulation and cell-cell communication. Seventy-one clusters possessed completely novel ORFs greater than 50 codons in length, highlighting the paucity of sequence data from molluscs and other lophotrochozoans. This study of developmental gene expression in H. asinina provides the foundation for further detailed analyses of abalone growth, development and reproduction.

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Microvariant allelic polymorphisms have been known since 1966 when Harris, Hubby and Lewontin described the huge store of genetic variation detectable at the polypeptide level. Later Jeffreys used MVR (minisatellite variant repeat) analysis to describe the variation hidden within minisatellite VNTRs and to propose a mutational mechanism.^ The questions I have asked follow these traditions: (1) How much microvariant polymorphism exists at the discrete allele minisatellite D1S80 locus? (2) Do alleles or groups of alleles associate randomly with the flanking markers to form haplotypes? (3) What mechanisms might explain mutations at this locus? What are the phylogenetic relationships among the alleles?^ The minisatellite locus D1S80 (1p35-36), GenBank sequence (Accession # D28507), is a highly polymorphic Variable Number of Tandem Repeat (VNTR) based on a 16 base core. D1S80 alleles are electrophoretically separable into discontinuous sets of equivalent length alleles. Sequence variation or minor length variation within these classes was expected: I have sought to determine the nature of this microvariant heterogeneity by sequencing nominal and variant alleles.^ Alleles were analyzed by Single-Strand Conformation Polymorphism (SSCP) analysis. Sequences were determined to ascertain whether sequence variation or size variation is the major cause of altered electrophoretic migration of microvariant D1S80 alleles. Twenty three alleles from 14 previously typed individuals were sequenced. The individuals were from African American, Caucasian, or Hispanic databases.^ A Tsp509 I restriction site, previously reported as a Hinf I flanking polymorphism, and a 3$\sp\prime$ flanking region BsoF I restriction site polymorphism were identified. There appears to be a strong association of the 5$\sp\prime$ flanking region Hinf I(+) and Tsp509 I(-) site and the 3$\sp\prime$ flanking region BsoF I(-) site with the 18 allele, while the 24 tends to be associated with the Hinf I(-), Tsp509 I(+) and BsoF I(+) sites.^ The general conclusion for this locus is clearly the closer you look, the more you find. D1S80 allelic polymorphisms are primarily due to variation in the number of repeat units and to sequence variation among repeats. The sequenced based gene tree depicts two major classes of alleles which conform to the two most common alleles, reflecting either equivalent age or population size bottlenecks. ^

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The microorganisms have a vast genetic diversity and they are present throughout the biosphere, however, only about 1% of the species can be cultivated by traditional cultivation techniques. Within this diversity there is a huge pool genetic and biological being explored. The metagenomics has enabled direct access to microbial genome derived from environmental samples using independent methods of cultivation. The methodology enables to obtain functional information about the proteins, as well as identify potential products with biotechnological interest and new industrially exploitable biological resources, such as new solutions to environmental impacts. Oil-contaminated areas are characterized by a large accumulation of hydrocarbons and surfactants may be used for bioremediation. Thus, the metagenomic approach was used in this study in order to select genes involved in the degradation and hydrocarbon emulsification. In a previous work, the environmental DNA (eDNA) was extracted from soil samples collected from two different areas (Caatinga and Saline River) of Rio Grande do Norte (Brazil), the metagenomic libraries were constructed and functionally analyzed. The clone able to degrade the oil was evaluated for the ability to synthesize biosurfactants. The sequence analysis revealed an ORF with 897 bp, 298 amino acids and a protein with around 34 kDa. The search for homology in GenBank revealed sequence similarity with a hypothetical protein of representatives Halobacteriaceae family, who were recently shown as strains producing biosurfactants. The presence of the inserted coding sequence and the acquired phenotype was confirmed. Primers were designed and the ORF amplified by PCR. The ORF was subcloned into pETDuet-1 expression vector for subsequent purification of the protein of interest containing a histidine tail. The tests performed to confirm the biosurfactant activity and the ability of hydrocarbon degradation showed positive results. The immunodetection test (western blot) using the monoclonal AntiHis® confirmed the presence of the environmental protein. This study was the first to report a possible protein with biosurfactant activity obtained from a metagenomic approach

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The plant metabolism consists of a complex network of physical and chemical events resulting in photosynthesis, respiration, synthesis and degradation of organic compounds. This is only possible due to the different kinds of responses to many environmental variations that a plant could be subject through evolution, leading also to conquering new surroundings. The glyoxylate cycle is a metabolic pathway found in glyoxysomes plant, which has unique role in the seedling establishment. Considered as a variation of the citric acid cycle, it uses an acetyl coenzyme A molecule, derived from lipids beta-oxidation to synthesize compounds which are used in carbohydrate synthesis. The Malate synthase (MLS) and Isocitrate lyase (ICL) enzyme of this cycle are unique and essential in regulating the biosynthesis of carbohydrates. Because of the absence of decarboxylation steps as rate-limiting steps, detailed studies of molecular phylogeny and evolution of these proteins enables the elucidation of the effects of this route presence in the evolutionary processes involved in their distribution across the genome from different plant species. Therefore, the aim of this study was to establish a relationship between the molecular evolution of the characteristics of enzymes from the glyoxylate cycle (isocitrate lyase and malate synthase) and their molecular phylogeny, among green plants (Viridiplantae). For this, amino acid and nucleotide sequences were used, from online repositories as UniProt and Genbank. Sequences were aligned and then subjected to an analysis of the best-fit substitution models. The phylogeny was rebuilt by distance methods (neighbor-joining) and discrete methods (maximum likelihood, maximum parsimony and Bayesian analysis). The identification of structural patterns in the evolution of the enzymes was made through homology modeling and structure prediction from protein sequences. Based on comparative analyzes of in silico models and from the results of phylogenetic inferences, both enzymes show significant structure conservation and their topologies in agreement with two processes of selection and specialization of the genes. Thus, confirming the relevance of new studies to elucidate the plant metabolism from an evolutionary perspective

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This dataset gives the collecting information of New England Seamount Geodia species from the Yale Peabody Museum. Museum numbers, fixation processing and Genbank accession numbers are also given.

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The softshell clam Mya arenaria (L.) is currently widespread on the east and west coasts of North America. This bivalve also occurs on western European shores, where the post-Pleistocene origin of the species, whether introduced or relict, has been debated. We collected 320 M. arenaria from 8 locations in Europe and North America. Clams (n = 84) from 7 of the locations were examined for mitochondrial DNA variation by sequencing a section of the cytochrome oxidase 1 (COX1) gene. These were analysed together with 212 sequences, sourced from GenBank, from the same gene from 12 additional locations, chiefly from eastern North America but also 1 site each from western North America and from western Europe. Ten microsatellite loci were also investigated in all 320 clams. Nuclear markers showed reduced levels of variation in certain European samples. The same common COX1 haplotypes and microsatellite alleles were present throughout the range of M. arenaria, although significant differences were identified in haplotypic and allelic composition between many samples, particularly those from the 2 continents (Europe and North America). These findings support the hypothesis of post-Pleistocene colonisation of European shores from eastern North America (and the recorded human transfer of clams from the east to the west coast of North America in the 19th century).