948 resultados para Legends, Buddhist.
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This work tries to show to the reader a more mystical side of Excalibur and its importance to the Arthurian myth. As its origin is pagan indigenous to the legends of the Celtic people, they will be briefly introduced to the reader so that they can realize the time in which the Celts lived, who they were and a little about how they acted in accordance with their culture . It will also be exposed a brief overview about the character of King Arthur and all the changes that it has passed through according to what suited to the culture of each time. Two legends about Excalibur will be analyzed, so that both points of view Pagan and Christian can be disclosed according to the myths and theoretical texts used as a basis for this work. Finally, several analyzis about the sword will be brought to the reader so they can understand the complexity of myths and symbols that the Celts have left as a legacy
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Se il lavoro dello storico è capire il passato come è stato compreso dalla gente che lo ha vissuto, allora forse non è azzardato pensare che sia anche necessario comunicare i risultati delle ricerche con strumenti propri che appartengono a un'epoca e che influenzano la mentalità di chi in quell'epoca vive. Emergenti tecnologie, specialmente nell’area della multimedialità come la realtà virtuale, permettono agli storici di comunicare l’esperienza del passato in più sensi. In che modo la storia collabora con le tecnologie informatiche soffermandosi sulla possibilità di fare ricostruzioni storiche virtuali, con relativi esempi e recensioni? Quello che maggiormente preoccupa gli storici è se una ricostruzione di un fatto passato vissuto attraverso la sua ricreazione in pixels sia un metodo di conoscenza della storia che possa essere considerato valido. Ovvero l'emozione che la navigazione in una realtà 3D può suscitare, è un mezzo in grado di trasmettere conoscenza? O forse l'idea che abbiamo del passato e del suo studio viene sottilmente cambiato nel momento in cui lo si divulga attraverso la grafica 3D? Da tempo però la disciplina ha cominciato a fare i conti con questa situazione, costretta soprattutto dall'invasività di questo tipo di media, dalla spettacolarizzazione del passato e da una divulgazione del passato parziale e antiscientifica. In un mondo post letterario bisogna cominciare a pensare che la cultura visuale nella quale siamo immersi sta cambiando il nostro rapporto con il passato: non per questo le conoscenze maturate fino ad oggi sono false, ma è necessario riconoscere che esiste più di una verità storica, a volte scritta a volte visuale. Il computer è diventato una piattaforma onnipresente per la rappresentazione e diffusione dell’informazione. I metodi di interazione e rappresentazione stanno evolvendo di continuo. Ed è su questi due binari che è si muove l’offerta delle tecnologie informatiche al servizio della storia. Lo scopo di questa tesi è proprio quello di esplorare, attraverso l’utilizzo e la sperimentazione di diversi strumenti e tecnologie informatiche, come si può raccontare efficacemente il passato attraverso oggetti tridimensionali e gli ambienti virtuali, e come, nel loro essere elementi caratterizzanti di comunicazione, in che modo possono collaborare, in questo caso particolare, con la disciplina storica. La presente ricerca ricostruisce alcune linee di storia delle principali fabbriche attive a Torino durante la seconda guerra mondiale, ricordando stretta relazione che esiste tra strutture ed individui e in questa città in particolare tra fabbrica e movimento operaio, è inevitabile addentrarsi nelle vicende del movimento operaio torinese che nel periodo della lotta di Liberazione in città fu un soggetto politico e sociale di primo rilievo. Nella città, intesa come entità biologica coinvolta nella guerra, la fabbrica (o le fabbriche) diventa il nucleo concettuale attraverso il quale leggere la città: sono le fabbriche gli obiettivi principali dei bombardamenti ed è nelle fabbriche che si combatte una guerra di liberazione tra classe operaia e autorità, di fabbrica e cittadine. La fabbrica diventa il luogo di "usurpazione del potere" di cui parla Weber, il palcoscenico in cui si tengono i diversi episodi della guerra: scioperi, deportazioni, occupazioni .... Il modello della città qui rappresentata non è una semplice visualizzazione ma un sistema informativo dove la realtà modellata è rappresentata da oggetti, che fanno da teatro allo svolgimento di avvenimenti con una precisa collocazione cronologica, al cui interno è possibile effettuare operazioni di selezione di render statici (immagini), di filmati precalcolati (animazioni) e di scenari navigabili interattivamente oltre ad attività di ricerca di fonti bibliografiche e commenti di studiosi segnatamente legati all'evento in oggetto. Obiettivo di questo lavoro è far interagire, attraverso diversi progetti, le discipline storiche e l’informatica, nelle diverse opportunità tecnologiche che questa presenta. Le possibilità di ricostruzione offerte dal 3D vengono così messe a servizio della ricerca, offrendo una visione integrale in grado di avvicinarci alla realtà dell’epoca presa in considerazione e convogliando in un’unica piattaforma espositiva tutti i risultati. Divulgazione Progetto Mappa Informativa Multimediale Torino 1945 Sul piano pratico il progetto prevede una interfaccia navigabile (tecnologia Flash) che rappresenti la pianta della città dell’epoca, attraverso la quale sia possibile avere una visione dei luoghi e dei tempi in cui la Liberazione prese forma, sia a livello concettuale, sia a livello pratico. Questo intreccio di coordinate nello spazio e nel tempo non solo migliora la comprensione dei fenomeni, ma crea un maggiore interesse sull’argomento attraverso l’utilizzo di strumenti divulgativi di grande efficacia (e appeal) senza perdere di vista la necessità di valicare le tesi storiche proponendosi come piattaforma didattica. Un tale contesto richiede uno studio approfondito degli eventi storici al fine di ricostruire con chiarezza una mappa della città che sia precisa sia topograficamente sia a livello di navigazione multimediale. La preparazione della cartina deve seguire gli standard del momento, perciò le soluzioni informatiche utilizzate sono quelle fornite da Adobe Illustrator per la realizzazione della topografia, e da Macromedia Flash per la creazione di un’interfaccia di navigazione. La base dei dati descrittivi è ovviamente consultabile essendo contenuta nel supporto media e totalmente annotata nella bibliografia. È il continuo evolvere delle tecnologie d'informazione e la massiccia diffusione dell’uso dei computer che ci porta a un cambiamento sostanziale nello studio e nell’apprendimento storico; le strutture accademiche e gli operatori economici hanno fatto propria la richiesta che giunge dall'utenza (insegnanti, studenti, operatori dei Beni Culturali) di una maggiore diffusione della conoscenza storica attraverso la sua rappresentazione informatizzata. Sul fronte didattico la ricostruzione di una realtà storica attraverso strumenti informatici consente anche ai non-storici di toccare con mano quelle che sono le problematiche della ricerca quali fonti mancanti, buchi della cronologia e valutazione della veridicità dei fatti attraverso prove. Le tecnologie informatiche permettono una visione completa, unitaria ed esauriente del passato, convogliando tutte le informazioni su un'unica piattaforma, permettendo anche a chi non è specializzato di comprendere immediatamente di cosa si parla. Il miglior libro di storia, per sua natura, non può farlo in quanto divide e organizza le notizie in modo diverso. In questo modo agli studenti viene data l'opportunità di apprendere tramite una rappresentazione diversa rispetto a quelle a cui sono abituati. La premessa centrale del progetto è che i risultati nell'apprendimento degli studenti possono essere migliorati se un concetto o un contenuto viene comunicato attraverso più canali di espressione, nel nostro caso attraverso un testo, immagini e un oggetto multimediale. Didattica La Conceria Fiorio è uno dei luoghi-simbolo della Resistenza torinese. Il progetto è una ricostruzione in realtà virtuale della Conceria Fiorio di Torino. La ricostruzione serve a arricchire la cultura storica sia a chi la produce, attraverso una ricerca accurata delle fonti, sia a chi può poi usufruirne, soprattutto i giovani, che, attratti dall’aspetto ludico della ricostruzione, apprendono con più facilità. La costruzione di un manufatto in 3D fornisce agli studenti le basi per riconoscere ed esprimere la giusta relazione fra il modello e l’oggetto storico. Le fasi di lavoro attraverso cui si è giunti alla ricostruzione in 3D della Conceria: . una ricerca storica approfondita, basata sulle fonti, che possono essere documenti degli archivi o scavi archeologici, fonti iconografiche, cartografiche, ecc.; . La modellazione degli edifici sulla base delle ricerche storiche, per fornire la struttura geometrica poligonale che permetta la navigazione tridimensionale; . La realizzazione, attraverso gli strumenti della computer graphic della navigazione in 3D. Unreal Technology è il nome dato al motore grafico utilizzato in numerosi videogiochi commerciali. Una delle caratteristiche fondamentali di tale prodotto è quella di avere uno strumento chiamato Unreal editor con cui è possibile costruire mondi virtuali, e che è quello utilizzato per questo progetto. UnrealEd (Ued) è il software per creare livelli per Unreal e i giochi basati sul motore di Unreal. E’ stata utilizzata la versione gratuita dell’editor. Il risultato finale del progetto è un ambiente virtuale navigabile raffigurante una ricostruzione accurata della Conceria Fiorio ai tempi della Resistenza. L’utente può visitare l’edificio e visualizzare informazioni specifiche su alcuni punti di interesse. La navigazione viene effettuata in prima persona, un processo di “spettacolarizzazione” degli ambienti visitati attraverso un arredamento consono permette all'utente una maggiore immersività rendendo l’ambiente più credibile e immediatamente codificabile. L’architettura Unreal Technology ha permesso di ottenere un buon risultato in un tempo brevissimo, senza che fossero necessari interventi di programmazione. Questo motore è, quindi, particolarmente adatto alla realizzazione rapida di prototipi di una discreta qualità, La presenza di un certo numero di bug lo rende, però, in parte inaffidabile. Utilizzare un editor da videogame per questa ricostruzione auspica la possibilità di un suo impiego nella didattica, quello che le simulazioni in 3D permettono nel caso specifico è di permettere agli studenti di sperimentare il lavoro della ricostruzione storica, con tutti i problemi che lo storico deve affrontare nel ricreare il passato. Questo lavoro vuole essere per gli storici una esperienza nella direzione della creazione di un repertorio espressivo più ampio, che includa gli ambienti tridimensionali. Il rischio di impiegare del tempo per imparare come funziona questa tecnologia per generare spazi virtuali rende scettici quanti si impegnano nell'insegnamento, ma le esperienze di progetti sviluppati, soprattutto all’estero, servono a capire che sono un buon investimento. Il fatto che una software house, che crea un videogame di grande successo di pubblico, includa nel suo prodotto, una serie di strumenti che consentano all'utente la creazione di mondi propri in cui giocare, è sintomatico che l'alfabetizzazione informatica degli utenti medi sta crescendo sempre più rapidamente e che l'utilizzo di un editor come Unreal Engine sarà in futuro una attività alla portata di un pubblico sempre più vasto. Questo ci mette nelle condizioni di progettare moduli di insegnamento più immersivi, in cui l'esperienza della ricerca e della ricostruzione del passato si intreccino con lo studio più tradizionale degli avvenimenti di una certa epoca. I mondi virtuali interattivi vengono spesso definiti come la forma culturale chiave del XXI secolo, come il cinema lo è stato per il XX. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di suggerire che vi sono grosse opportunità per gli storici impiegando gli oggetti e le ambientazioni in 3D, e che essi devono coglierle. Si consideri il fatto che l’estetica abbia un effetto sull’epistemologia. O almeno sulla forma che i risultati delle ricerche storiche assumono nel momento in cui devono essere diffuse. Un’analisi storica fatta in maniera superficiale o con presupposti errati può comunque essere diffusa e avere credito in numerosi ambienti se diffusa con mezzi accattivanti e moderni. Ecco perchè non conviene seppellire un buon lavoro in qualche biblioteca, in attesa che qualcuno lo scopra. Ecco perchè gli storici non devono ignorare il 3D. La nostra capacità, come studiosi e studenti, di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio che il 3D porta con sè, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Una ricostruzione storica può essere molto utile dal punto di vista educativo non sono da chi la visita ma, anche da chi la realizza. La fase di ricerca necessaria per la ricostruzione non può fare altro che aumentare il background culturale dello sviluppatore. Conclusioni La cosa più importante è stata la possibilità di fare esperienze nell’uso di mezzi di comunicazione di questo genere per raccontare e far conoscere il passato. Rovesciando il paradigma conoscitivo che avevo appreso negli studi umanistici, ho cercato di desumere quelle che potremo chiamare “leggi universali” dai dati oggettivi emersi da questi esperimenti. Da punto di vista epistemologico l’informatica, con la sua capacità di gestire masse impressionanti di dati, dà agli studiosi la possibilità di formulare delle ipotesi e poi accertarle o smentirle tramite ricostruzioni e simulazioni. Il mio lavoro è andato in questa direzione, cercando conoscere e usare strumenti attuali che nel futuro avranno sempre maggiore presenza nella comunicazione (anche scientifica) e che sono i mezzi di comunicazione d’eccellenza per determinate fasce d’età (adolescenti). Volendo spingere all’estremo i termini possiamo dire che la sfida che oggi la cultura visuale pone ai metodi tradizionali del fare storia è la stessa che Erodoto e Tucidide contrapposero ai narratori di miti e leggende. Prima di Erodoto esisteva il mito, che era un mezzo perfettamente adeguato per raccontare e dare significato al passato di una tribù o di una città. In un mondo post letterario la nostra conoscenza del passato sta sottilmente mutando nel momento in cui lo vediamo rappresentato da pixel o quando le informazioni scaturiscono non da sole, ma grazie all’interattività con il mezzo. La nostra capacità come studiosi e studenti di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio sottinteso al 3D, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Le esperienze raccolte nelle pagine precedenti ci portano a pensare che in un futuro non troppo lontano uno strumento come il computer sarà l’unico mezzo attraverso cui trasmettere conoscenze, e dal punto di vista didattico la sua interattività consente coinvolgimento negli studenti come nessun altro mezzo di comunicazione moderno.
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This paper provides an analysis of the key term aidagara (“betweenness”) in the philosophical ethics of Watsuji Tetsurō (1889-1960), in response to and in light of the recent movement in Japanese Buddhist studies known as “Critical Buddhism.” The Critical Buddhist call for a turn away from “topical” or intuitionist thinking and towards (properly Buddhist) “critical” thinking, while problematic in its bipolarity, raises the important issue of the place of “reason” versus “intuition” in Japanese Buddhist ethics. In this paper, a comparison of Watsuji’s “ontological quest” with that of Martin Heidegger (1889-1976), Watsuji’s primary Western source and foil, is followed by an evaluation of a corresponding search for an “ontology of social existence” undertaken by Tanabe Hajime (1885-1962). Ultimately, the philosophico-religious writings of Watsuji Tetsurō allow for the “return” of aesthesis as a modality of social being that is truly dimensionalized, and thus falls prey neither to the verticality of topicalism nor the limiting objectivity of criticalism.
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The decline of traditional religions in Japan in the past century, and especially since the end of World War Two, has led to an explosion of so-called “new religions” (shin shūkyō 新宗教), many of which have made forays into the political realm. The best known—and most controversial—example of a “political” new religion is Sōka Gakkai 創価学会, a lay Buddhist movement originally associated with the Nichiren sect that in the 1960s gave birth to a new political party, Komeitō 公明党 (lit., Clean Government Party), which in the past several decades has emerged as the third most popular party in Japan (as New Komeitō). Since the 1980s, Japan has also seen the emergence of so-called “new, new religions” (shin shin shūkyō 新新宗教), which tend to be more technologically savvy and less socially concerned (and, in the eyes of critics, more akin to “cults” than the earlier new religions). One new, new religion known as Kōfuku-no-Kagaku 幸福の科学 (lit., Institute for Research in Human Happiness or simply Happy Science), founded in 1986 by Ōkawa Ryūho 大川隆法, has very recently developed its own political party, Kōfuku Jitsugentō 幸福実現党 (The Realization of Happiness Party). This article will analyse the political ideals of Kōfuku Jitsugentō in relation to its religious teachings, in an attempt to situate the movement within the broader tradition of religio-political syncretism in Japan. In particular, it will examine the recent “manifesto” of Kōfuku Jitsugentō in relation to those of New Komeitō and “secular” political parties such as the Liberal Democratic Party (Jimintō 自民党) and the Democratic Party (Minshutō 民主党).
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While it is only in recent decades that scholars have begun to reconsider and problematize Buddhist conceptions of “freedom” and “agency,” the thought traditions of Asian Buddhism have for many centuries struggled with questions related to the issue of “liberation”—along with its fundamental ontological, epistemological and ethical implications. With the development of Marxist thought in the mid to late nineteenth century, a new paradigm for thinking about freedom in relation to history, identity and social change found its way to Asia, and confronted traditional religious interpretations of freedom as well as competing Western ones. In the past century, several attempts have been made—in India, southeast Asia, China and Japan—to bring together Marxist and Buddhist worldviews, with only moderate success (both at the level of theory and practice). This paper analyzes both the possibilities and problems of a “Buddhist materialism” constructed along Marxian lines, by focusing in particular on Buddhist and Marxist conceptions of “liberation.” By utilizing the theoretical work of Japanese “radical Buddhist Seno’o Girō, I argue that the root of the tension lies with conceptions of selfhood and agency—but that, contrary to expectations, a strong case can be made for convergence between Buddhist and Marxian perspectives on these issues, as both traditions ultimately seek a resolution of existential determination in response to alienation. Along the way, I discuss the work of Marx, Engels, Gramsci, Lukàcs, Sartre, and Richard Rorty in relation to aspects of traditional (particularly East Asian Mahāyāna) Buddhist thought.
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This thesis provides a critique of Western media articles concerning self-immolation in Tibet. I begin by illustrating how the Western media provides reductionist accounts of Tibetan self-immolation by depicting the act solely as a form of political protest in response to Chinese occupation. I argue that these limited portrayals of self-immolation can be attributed to the Shangri-La imagery that characterizes much of the Western conceptions of Tibet. Through Shangri-La imagery, both Tibetans and their Buddhist religion are portrayed as utopic, peaceful, and able to provide the antidote to solving Western problems relating to modernization and consumerism. After illustrating the ways in which Shangri-La imagery influences Western media portrayals of Tibetan self-immolation, this thesis explores the commonly disregarded Buddhist dimensions of the act. Looking to Buddhist doctrine, scripture, and history, this thesis establishes a clear relationship between self-immolation and Buddhism, which situates the act as being more complicated than mere political protest. I argue that these limited portrayals given by the Western media are problematic because they overlook a fundamental aspect of self-immolation, thus potentially misrepresenting Tibetans. This thesis explores the Buddhist dimensions of self-immolation as a possible way to further understand what has led more than one hundred Tibetans to perform this act during the time of political crisis.
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Anxiety, depression, and tragedy are all unavoidable aspects of existence that we find ourselves grappling with at some point in our lives. In those darker moments we often look beyond ourselves for a means to cope with our struggles in the hopes of transcending into enhanced states of being. The world¿s religions have provided various answers to problems of mental and physical affliction. Across cultures and throughout history, numerous techniques for ¿mending the mind¿ have emerged, conditioned by a number of factors, including the normative values of a society as well as the scientific advances and technologies available for therapeutic application. Buddhism encompasses a broad tradition of beliefs, practices, and philosophies that, taken together, aim at eliminating suffering from the human experience. It is suggested that anyone who comes to understand and practice Buddhist teachings¿Dharma¿will rise out of the life of suffering and into a condition of awakening or nirvana. With this as an intended goal, a person who is unfulfilled in their life or who is experiencing feelings of depression will, it might be assumed, find great potential in turning to Buddhism as means for alleviation of these states. In contemporary western society, however, the most common route for eliminating emotional distress is to take antidepressant medication, which aims for immediate relief of the negative feelings and experiences that arise from depression. As I will argue, while this may be a successful approach to masking unwanted feelings, it in fact fails to treat the actual roots or cause of the undesirable experiences. Moreover, such a ¿therapeutic¿ approach lacks any aspect geared towards developing a consistently rewarding lifestyle. I will argue that the incorporation of Dharma¿both a set of ideas and as a form of practices¿into daily routines and modes of thinking provides the means for a balanced lifestyle, allowing the individual to relieve suffering and depression in a manner that the narrow scope of western medicine cannot provide.
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The Simulation Automation Framework for Experiments (SAFE) streamlines the de- sign and execution of experiments with the ns-3 network simulator. SAFE ensures that best practices are followed throughout the workflow a network simulation study, guaranteeing that results are both credible and reproducible by third parties. Data analysis is a crucial part of this workflow, where mistakes are often made. Even when appearing in highly regarded venues, scientific graphics in numerous network simulation publications fail to include graphic titles, units, legends, and confidence intervals. After studying the literature in network simulation methodology and in- formation graphics visualization, I developed a visualization component for SAFE to help users avoid these errors in their scientific workflow. The functionality of this new component includes support for interactive visualization through a web-based interface and for the generation of high-quality, static plots that can be included in publications. The overarching goal of my contribution is to help users create graphics that follow best practices in visualization and thereby succeed in conveying the right information about simulation results.
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Gegenstand / Untersuchungskorpus Die massenmediale Aufbereitung von Aids ist bereits seit den Anfängen der geisteswissenschaftlichen Beschäftigung mit diesem Thema ein zentraler Gegenstand kritischer Betrachtung. Demgegenüber stellt sich die systematische Erforschung des Beitrages von eher fiktionalen Gattungen zur gesellschaftlichen Verarbeitung von Aids ein Forschungsdesiderat dar. Die Dissertation „Dramaturgie der Seuche“ schliesst mit der Fokussierung auf Literatur, Theater und Film diese Lücke. Die dezidiert interdisziplinäre Auswahl des Untersuchungskorpus’ liefert eine Zusammenschau der Funktionen, die diese Gattungen im Laufe der Zeit innerhalb des Aids-Diskurses übernommen haben. Die Arbeit zeigt die komplexen Wechselverhältnisse zwischen den Massenmedien, den fiktionalen Gattungen sowie der medizinischen Kommunikation auf. Fragedesign auf der Höhe der aktuellen Forschung Gegenwärtig ist erneut ein Interesse kultur- und sozialwissenschaftlicher Disziplinen am Thema Aids zu beobachten. Eine junge Forschergeneration nimmt sich des Themas an und beleuchtet die Auseinandersetzung mit Aids an Hand neuer Fragestellungen und mit neuen Methoden. Im Mittelpunkt dieser wissenschaftlichen Auseinandersetzung stehen die reflektierte Historisierung und Kontextualisierung des Aids-Diskurses seit den 1980er-Jahren. Die Dissertation „Dramaturgie der Seuche“ positioniert sich mit ihrer Frage nach der Struktur und der Entwicklung der gesellschaftlichen Auseinandersetzung mit Aids seit den Anfängen bis zur Gegenwart innerhalb dieses aktuellen Forschungsfeldes. Die Herangehensweise unterscheidet sich damit deutlich von den Forschungen der 1990er-Jahre, die eher von Betroffenheit und/oder unmittelbarer Kritik am Aids-Diskurs in den Massenmedien geprägt war. Zugleich verschafft die kritische Re-Lektüre der zentralen Publikationen zum Thema Aids, etwa von Susan Sontag oder Sander L. Gilman, diesen eine kritische Aktualisierung. Innovatives Methodendesign Um dem interdiszplinären Korpus und der kulturwissenschaftlich inspirierten Fragestellung gerecht zu werden, entwirft die Dissertation ein innovatives Methodendesign, das diskursanalytische und systemtheoretische Ansätze mit theater-, literatur- und filmwissenschaftlichen Analyseinstrumenten synthetisiert. Dieses leistet in der Anwendung sowohl eine präzise und adäquate Tiefenanalyse der untersuchten Texte, Bilder und Filme als auch eine Auswertung dieser Ergebnisse auf einer abstrakteren Ebene, die die komplexe Struktur der Entwicklung des Aids-Diskurses seit den 1980er-Jahren bis heute überzeugend und anschaulich darlegt. Das entworfene Methodendesign lässt sich auf andere Gegenstände anwenden und verspricht ebenso präzise wie innovative Ergebnisse. Ergebnisse: Nutzen für die Öffentlichkeit Die analytische Auseinandersetzung mit der letzten grossen Seuche innerhalb der westlichen Welt birgt nicht nur in der Rückschau auf die letzten Dekaden einen Mehrwert für die Öffentlichkeit. Die regelmässige Wiederkehr von epidemischen Szenarien – BSE, SARS, Vogel- und Schweinegrippe und jüngst EHEC – zeigt, dass ein kritischer Blick auf die sich wiederholenden dramaturgischen Muster des Redens über ansteckende Krankheiten nottut. Die Dissertation „Dramaturgie der Seuche“ trägt dazu bei, die Muster des Seuchendiskurses zu erkennen und reflektiert und kritisch mit der Berichterstattung in den Medien wie auch mit den kursierenden Urban Legends umzugehen. Der Aufbau der Argumentation und der sprachliche Stil verbinden wissenschaftliche Genauigkeit mit Allgemeinverständlichkeit. Dadurch wird die Arbeit breit rezipierbar.
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Lebensverlängernde Massnahmen auf der einen, begleiteter Suizid auf der anderen Seite: Mensch und Medizin greifen zunehmend in den Sterbeprozess ein. Wie beeinflussen Glaube und Jenseitsvorstellungen die Haltung zum Lebensende? Amira Hafner-Al Jabaji spricht mit Gästen aus drei Religionen. Die Frage, ob aktive Hilfe zum Suizid erlaubt sein soll, ist ein sensibles Thema. Bisher haben sich von religiöser Seite vor allem christliche Kirchen dazu kritisch vernehmen lassen. Doch wie sieht die Sicht auf den Tod und auf das Sterben in anderen Religionen aus? Was hat den Vorrang im Spannungsfeld von Selbstbestimmung und Schicksal, zwischen Patientenwillen und Gotteswillen, zwischen Möglichem und Wünschbarem am Ende des Lebens? Es diskutieren der muslimische Arzt und Philosoph Ilhan Ilkiliç, die evangelische Theologin und Religionspsychologin Isabelle Noth und der Sozialpädagoge und Zen-Buddhist Marco Röss.
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Since the early 2000s the Mongolian Buddhist masked ritual dance, in the Khalkh-Mongolian language called Tsam, has been re-introduced to the Mongolian religious field. Nowadays a couple of Buddhist monasteries in Mongolia perform the Tsam once a year. This paper examines the Mongolian masked dance in its historical and contemporary aspects, with a special focus on the Khüree Tsam. It provides an overview of the Tibetan history of the masked ritual dance and its historical Mongolian developments, as well as an ethnographic study of the 2009 performance of the Khüree Tsam in Dashchoilin monastery of Ulaanbaatar. Whereas the historical part of this paper draws on Tibetan and Mongolian dance manuals and chronicles, the ethnographic part is methodologically based on participant observation, expert and semi-structured interviews. Finally, the paper discusses the changes and adaptations the Khüree Tsam underwent within and outside the monastic context in today’s Mongolia.
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Background Mindfulness has its origins in an Eastern Buddhist tradition that is over 2500 years old and can be defined as a specific form of attention that is non-judgmental, purposeful, and focused on the present moment. It has been well established in cognitive-behavior therapy in the last decades, while it has been investigated in manualized group settings such as mindfulness-based stress reduction and mindfulness-based cognitive therapy. However, there is scarce research evidence on the effects of mindfulness as a treatment element in individual therapy. Consequently, the demand to investigate mindfulness under effectiveness conditions in trainee therapists has been highlighted. Methods/Design To fill in this research gap, we designed the PrOMET Study. In our study, we will investigate the effects of brief, audiotape-presented, session-introducing interventions with mindfulness elements conducted by trainee therapists and their patients at the beginning of individual therapy sessions in a prospective, randomized, controlled design under naturalistic conditions with a total of 30 trainee therapists and 150 patients with depression and anxiety disorders in a large outpatient training center. We hypothesize that the primary outcomes of the session-introducing intervention with mindfulness elements will be positive effects on therapeutic alliance (Working Alliance Inventory) and general clinical symptomatology (Brief Symptom Checklist) in contrast to the session-introducing progressive muscle relaxation and treatment-as-usual control conditions. Treatment duration is 25 therapy sessions. Therapeutic alliance will be assessed on a session-to-session basis. Clinical symptomatology will be assessed at baseline, session 5, 15 and 25. We will conduct multilevel modeling to address the nested data structure. The secondary outcome measures include depression, anxiety, interpersonal functioning, mindful awareness, and mindfulness during the sessions. Discussion The study results could provide important practical implications because they could inform ideas on how to improve the clinical training of psychotherapists that could be implemented very easily; this is because there is no need for complex infrastructures or additional time concerning these brief session-introducing interventions with mindfulness elements that are directly implemented in the treatment sessions.
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Background. Advances in medical technology contribute to the survival rate of a growing number of persons with chronic illnesses. Individuals with chronic cardiovascular disease (chronic CVD) are among other chronically ill persons who add to the need for healthcare services. They need to cope and live with the chronic conditions and find a new balance to make sense of their lives. Thai Buddhists with chronic CVD may use their religious resources to cope with their illnesses because religious beliefs are reflected in patterns of living. The aims of the study were to: (a) explore how Thai Buddhists with chronic CVD construct the spiritual aspects of the illness experience, (b) explore how Thai Buddhists with chronic CVD may use their spiritual/religious resources as a means of coping with the illness, and (c) explore the impacts of spiritual/religious beliefs and/or practices on the daily lives of Thai Buddhists with chronic CVD. ^ Methods. Ethnography was employed and data were collected from December 1, 2007 to May 31, 2008 using in-depth interviews with 20 participants. Field notes were also recorded. ^ Findings. Three categories emerged from the study data: set of spiritual and biomedical beliefs and practices, integrated meanings, and positive consequences of the integration of spiritual and biomedical beliefs and practices. ^ Conclusions. The findings of the study suggest the importance of understanding and integrating spiritual needs into care of patients with chronic CVD. The findings revealed that the participants constructed ideas of their illness and meanings for living and coping with the illness, and integrated spiritual and biomedical beliefs and practices, resulting in positive outcomes. Further research could test interventions which facilitate such coping; for example, using reflective thinking and group support. Other studies might explore how age affects Buddhist views of the illness. ^