519 resultados para Convento


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali; per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Data la forte prolificazione culturale, sbocciata a Faenza all’inizio del XIX secolo, nasce intorno al 1830, nel pieno centro storico della città, un giardino di stampo romantico. Si affacciano a questo piccolo parco due edifici: uno è il convento di Santa Caterina, l’altro è il palazzo più importante per il neoclassicismo in Romagna, palazzo Milzetti. La sua forte caratteristica è un nucleo centrale costituito da ponticelli, vasche e una particolarissima piccola costruzione di legno con tetto in paglia, affrescata all’interno con tempere di Romolo Liverani, risalente al 1851. Nel passare degli anni il parco subirà notevoli modifiche e nel 1947 sarà incautamente diviso a metà, tramite una recinzione. In questo modo il complesso romantico rimarrà di proprietà non più di palazzo Milzetti, ma del circolo del Dopo Lavoro Ferroviario. Attorno a questo nucleo all’inglese verranno nel tempo costruiti molte strutture a servizio del circolo, e demolite le aiuole e il verde che un tempo caratterizzavano questo luogo. Anche il capanno di legno rimarrà per anni abbandonato e senza la manutenzione necessaria per la sua sopravvivenza. Solo nel 1981 saranno condotti i primi lavori di restauro, con l’intento di recuperare il manufatto e il suo intorno. Ma solo un decennio dopo, una grossa nevicata crea grossi danni alla copertura del capanno, il quale verrà poi protetto da una struttura in tubi metallici, esteticamente poco congrua al carattere del sito. Il progetto di restauro, che viene qui presentato, riguarda in primo luogo il recupero dell’assetto originario del giardino, eliminando quindi la barriera che separa le due parti, per far acquisire una ritrovata spazialità e una originaria interezza. Dopo un rilievo dell’area, sono state quindi esaminate, una ad una, le piante del giardino e catalogate per capirne l’importanza estetica, storica o progettuale. In questo modo è stata scelta la vegetazione che dovrà essere rimossa per creare un ambiente più lineare, pulito e organizzato. Anche per gli elementi artificiali che sono stati incautamente aggiunti, è stata pensata la rimozione: pavimentazioni, palco, campo coperto da bocce, servizi igienici. L’area è stata risarcita tenendo in considerazione il tessuto originario dell’Ottocento, caratterizzato da aiuole verdi sinuose e sentieri in ghiaia. Sono stati utilizzati materiali conformi e già presenti nel parco, come la ghiaia, pavimentazione in ciottolato e aiuole erbose, ma al tempo stesso gli elementi di nuova costruzione non si vogliono del tutto mimetizzare con il resto ma denunciare, anche se sottovoce, la loro contemporaneità. Come secondo passo, si è pensato al restauro del capanno rustico. La prima necessaria operazione è stata quella di compiere il rilievo del manufatto e capire così in che modo fosse possibile intervenire. Il lavoro è stato quindi condotto su due registri: il primo quello dell’analisi dello stato di conservazione dei materiali, l’altro per capire la sua resistenza strutturale. Grazie ad un restauratore del legno, si è compreso quali trattamenti fossero più idonei, a seconda dell’essenza, dell’età e della collocazione. Per quanto riguarda la verifica strutturale si è giunti alla conclusione che l’edificio non è in uno stato di rischio e che quindi è necessaria la sola sostituzione degli elementi della copertura, ormai deteriorata. Proprio lo stato terminale del tetto, in paglia, è in condizioni precarie ed è necessario sostituirlo. Per quel che riguarda il complesso romantico, vengono ristuccate e impermeabilizzate le vasche e vengono poi sostituiti i parapetti lignei con altri che si avvicinano maggiormente alle forme riprodotte nella tela di Tancredi Liverani (1851) dove immortala l’edificio subito dopo la sua costruzione. Il nuovo progetto non vuole essere un intervento invasivo, ma desidera invece riprendere le linee e i punti di vista di un parco in stile romantico. Come infatti è noto, sono gli scorci, le pause e i percorsi le fondamenta del progetto, che vuole ridare a Faenza un’ area verde nel suo pieno centro storico.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Il mio elaborato finale si chiama “Restauro tra storia e progetto”, in cui rimetto a sistema, quanto appreso nelle materie di restauro, partendo dal laboratorio di restauro, dove la Prof. Antonella Ranaldi ci ha fatto trattare il complesso monumentale dell’ex convento di Sant’ Agostino a Cesena. Partendo da una lunga ricerca bibliografica, abbiamo individuato gli interventi da effettuare sul prospetto lungo via delle Mura di Sant’ Agostino ed effettuato il rilievo che ci ha permesso l’elaborazione del progetto. Gli interventi realizzati nel corso dei secoli costituiscono un esempio inquietante perchè se pure con esiti diversi ed in parte anche positivi, hanno però complessivamente portato alla situazione attuale, ormai compromessa per la definitiva perdita di molte interessanti tracce storiche. Data l'impossibilità di restituire al prospetto la sua immagine originaria abbiamo deciso di effettuare la sagramatura, che ha cancellato le stratificazioni che si sono succedute nei vari periodi storici. Abbiamo dato al prospetto una nuova immagine, riportando il prospetto ad un periodo storico non esattamente datato. L'illuminazione di questa preziosa facciata ha voluto essere un elemento discreto, capace di porre in risalto gli elementi architettonici e consentire, anche al calare del sole, un'intensa esperienza emotiva. In ogni caso si vuole evitare una scenografia serale eccessiva o artificiosa , e illuminare la facciata in maniera uniforme. Per fare questo si sono scelti apparecchi di illuminazione dotati di ottica asimmetrica, in modo da indirizzare il fascio di luce solo sulle superfici da illuminare e di ridurre così al minimo l'inquinamento luminoso. L'illuminazione omogenea della facciata in mattoni avviene attraverso riflettori con ottica larga, vetro allungante in verticale e schermo antiabbagliamento, posizionati su appositi pali (due pezzi per palo, paralleli alla facciata) situati dall'altra parte della strada di via delle mura. Mentre le lesene e il basamento sono illuminati da riflettori con condensatore ottico incassati nel terreno o nascosti nella parte superiore della cornice, con distribuzione della luce per un'altezza di circa 7 metri. Si è scelto di utilizzare sorgenti a luce bianca per mettere in risalto i materiali della facciata, senza alterarne i colori già di per se saturi. Abbiamo previsto nonostante lo stato di degrado, di recuperare il portone e le porte. Le parti mancanti vengono integrate con parti in legno della stessa essenza. Tutte le forature verranno poi tamponate con adeguati stucchi. Si ritiene fondamentale, in termini di restauro conservativo, mantenere ogni elemento che ancora sia in grado di svolgere la sua funzione. E' evidente in facciata il filo dell'impianto elettrico. E' stato pensato di farlo scorrere all'interno di una canalina, di dimensioni 4,5 x 7 cm, posizionata sopra il cornicione, nascosta alla vista del prospetto. Le gronde e i pluviali sono stati sostituiti durante l'ultimo intervento di rifacimento delle coperture, tuttavia non è stato studiato un posizionamento adeguato dei pluviali. Infatti, alcuni di questi, sopratutto quelli del prospetto principale sono posizionati senza alcun ordine. In alcuni casi i pluviali risultano essere scarsi con conseguente allagamento delle gronde e colate di acqua piovana sul muro. Nel nostro progetto si prevede di posizionare gli scarichi delle gronde sui lati, in maniera tale da non ostruire la facciata, inoltre vengono aumentati i pluviali per la gronda più alta. La seconda parte riguarda il restauro del borgo di Castelleale, che abbiamo trattato con il Prof. Andrea Ugolini nel laboratorio di sintesi finale. Il tema del corso ha previsto una prima fase di studio comprendente la ricerca storica e bibliografica, l’inquadramento dell’oggetto nel contesto urbano, la redazione delle piante di fase e ricostruzioni planivolumetriche nelle varie fasi storiche. Nella seconda fase abbiamo effettuato il rilievo, fatto foto esterne e interne di dettaglio per l’inquadramento del tema e delle sue caratteristiche architettoniche, studiato le principali cause di degrado e alterazione dei materiali da costruzione redigendo le tavole del degrado e dello stato di conservazione. Nella fase progettuale abbiamo deciso di effettuare un minimo intervento sul rudere, ripristinando la copertura crollata attraverso una copertura moderna sostenuta da pilastri, che vanno a costituire una struttura staccata rispetto al rudere. La terza parte riguarda l’efficienza energetica, il tema che ho affrontato sotto la guida del Prof. Kristian Fabbri in occasione dell’elaborato finale.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Ogni luogo, ogni città, reca i segni dell’evoluzione e della trasformazione dettata dal tempo. In alcuni casi il passato viene visto con un’accezione negativa, in altri positiva a tal punto da monumentalizzarla. Nel caso della città di Verucchio non è possibile mettere in ombra il valore, e la forza della Rocca del Sasso, che per la sua storia e la sua posizione, che la rende visibile sia dall’interno che dall’esterno del centro storico, la attesta come simbolo della città. Allo stesso tempo questa città di piccole dimensioni possiede un ricco passato che non è rintracciabile all’interno della città storica ma che emerge dal verde, nonchè dagli spazi nascosti sotto il parco che cinge perimetralmente la città. Questi momenti della storia, importanti e riconoscibili, possono essere connessi nonostante sia notevole il salto temporale che li divide. Lo strumento deve essere una forma che li unisca, uno spazio pubblico, limitato ma aperto, distinguibile ma integrato nel paesaggio, un nuovo “layer” che si sovrapponga a quelli precedenti esaltandone il valore. Il tema della direzione, del percorso, è alla base dei ragionamenti e delle soluzioni proposte per la realizzazione di un museo archeologico. A differenza dei luoghi pubblici come la piazza o il teatro, in questo caso l’esposizione prevede che l’utente si muova negli ambienti, che segua in maniera dinamica una serie di spazi, di figure, di affacci, che devono essere in grado si susseguirsi in maniera fluida, attraverso un “respiro” che mantenga alta l’attenzione del visitatore. Adottato questo tema si ha la possibilità di declinarlo più volte, attraverso non solo la disposizione degli spazi ma anche con la posizione dei volumi e degli assi che li generano. Il progetto del nuovo museo si pone in una zona che può essere definita come “di cerniera” tra il centro storico e il parco archeologico. A livello territoriale questa può essere giudicata una zona critica, poiché sono più di trenta i metri di dislivello tra queste due zone della città. La sfida è quindi quella di trasformare la lontananza da problema a opportunità e relazionarsi con la conformazione del territorio senza risultare eccessivamente impattanti ed invasivi su quest’ultimo. Poiché la città di Verucchio possiede già un museo archeologico, inserito all’interno dell’ex convento e della chiesa di Sant’Agostino, il percorso archeologico, che vede il museo progettato come fulcro del tutto, prevede che il turista abbia la possibilità di conoscere la civiltà villanoviana visitando sia il museo di progetto che quello esistente, avendo questi differenti allestimenti che non creano delle “sovrapposizioni storiche”, poiché sono uno tematico e l’altro cronologico. Il museo esistente si inserisce all’interno di un edificio esistente, adattando inevitabilmente i propri spazi espositivi alla sua conformazione. La realizzazione di un una nuova struttura porterebbe a una migliore organizzazione degli spazi oltre che ad essere in grado di accogliere anche i reperti presenti all’interno dei magazzini dell’ex convento e dei beni culturali di Bologna. La necropoli Lippi è solo una delle necropoli individuate perimetralmente alla città e i reperti, rilevati, catalogati e restaurati, sono in numero tale da poter essere collocati in una struttura museale adeguata. Il progetto si sviluppa su più fronti: l’architettura, l’archeologia ed il paesaggio. Il verde è una componente fondamentale del sistema della città di Verucchio, risulta essere un elemento di unione, che funge talvolta da perimetro del centro, talvolta da copertura della nuda roccia dove l’inclinazione del terreno non ha permesso nel tempo la realizzazione di edifici e strutture urbane, si mette in contrapposizione con la forma e i colori della città.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Abbiamo deciso di sviluppare il progetto di architettura e museografia a Verucchio con due interventi principali: uno a Pian del Monte, l'altro nei pressi dell'ex convento di Santa Chiara.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Il progetto di valorizzazione dell’area del parco archeologico dell’anfiteatro romano di Ancona affronta il problema del recupero delle zone lacerate del centro antico della città, di quelle aree che in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e del terremoto del 1972 hanno perso la loro identità. Dopo aver analizzato le fasi evolutive della struttura urbana della città e il sistema di relazioni sociali che la caratterizza, il progetto ha individuato nella zona dell’ex convento di Santa Palazia, sul versante ovest del colle Guasco e attigua al parco archeologico dell’anfiteatro romano, il sito idoneo per la localizzazione di un nuovo complesso architettonico. È prevista la realizzazione di residenze, spazi per la didattica e per la cultura, attività di servizio e commerciale e la realizzazione della sede del nuovo Museo d’Arte Contemporanea della Regione Marche. Il progetto definisce un macrosistema in grado di mettere ordine e porre in relazione, attraverso spazi condivisi, edifici primari (come l’anfiteatro, la chiesa dei SS Pellegrino e Teresa e il Museo Archeologico), siti archeologici, edifici pubblici legati alla archeologia, ed edifici privati, prevalentemente ad uso residenziale. Ridisegna la città facendo della misura dell’eccellenza del passato di Ancona, la misura del nuovo progetto per recuperare l’identità perduta.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Nvper È Graeco In Latinvm Tradvctvs, Iohanne Revchlin Interprete

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Tabla de contenidos: Romances. Aparición de la amada muerta. Buscando novia. La pastora. Las señas del esposo. Mambrú. Marinero tentado por el demonio. Martirio de Santa Catalina. Muerte del Gral. Prim. Por qué no cantáis, la bella? [A lo divino]. Señor don gato. Rimas infantiles. Arre caballito. Arrorró mi niño. Arroz con leche. Bichito colorado. Buen día su señoría. Déjenla sola, solita y sola. En coche va una niña. En el portal de Belén. En un convento. Eran tres alpinos. Estaba la pájara pinta. La farolera. La torre en guardia. Levántate Juana. Se me ha perdido una niña. Señora Santana. Tengo una muñeca. Una tarde de verano.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La Basílica de la Virgen de los Desamparados, construida entre 1652 y 1667, es el edificio valenciano más importante del siglo XVII (Bérchez 1995). Su elemento más notables es la gran cúpula oval que, en planta, aparece inscrita en un trapezoide. Esta disposición fue muy popular en el Barroco y tiene su origen en los proyectos de Vignola para Sant Andrea in Via Flaminia (1550) y Sant= Anna dei Palafraneri (1572), véase Lotz (1955). En España se construyeron varias cúpulas ovales hacia 1600 (Rodríguez G. de Ceballos 1983); la más grande es la del convento de las Recoletas Bernardas in Alcalá de Henares, 1617-1626, con ejes de 25 x 18 m, y una altura de 11 m (según levantamiento de Schubert 1908). Treinta y tres años tras su terminación, hacia 1700, se construyó una nueva cúpula interior, encajada dentro de la original, para servir de soporte a un enorme fresco del pintor Antonio Palomino en honor de la Virgen de los Desamparados. Esta cúpula es extraordinariamente delgada y presenta algunas disposiciones que la convierten en un caso de excepcional interés en la historia de las cúpulas de fábrica. La estructura y construcción de la Basílica de los Desamparados fue estudiada exhaustivamente en los años 1990 con vistas a elaborar posteriormente un proyecto de restauración. Los trabajos y el proyecto fueron dirigidos por el arquitecto Ignacio Bosch Reig. Algunos estudios fueron publicados en 1999 (Roig y Bosch 1999), y toda la información referente a los estudios y posterior restauración fue compilada y publicada en un libro (Bosch 2006). En este caso se dispone, por tanto, de una enorme cantidad de información sobre la estructura, construcción y forma del edificio. En lo que sigue trataremos sólo la construcción y comportamiento estructural de la doble cúpula de la Basílica.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

A Le Corbusier le hubiera gustado que le recordaran también como pintor. Igual que su compatriota E. L. Boullée, devoto como él de las formas más puras de la geometría, hubiera escrito gustoso, bajo el título de cualquiera de sus libros de Arquitectura, aquella frase: “Yo también soy pintor”. Para él, como para el ilustrado, la Arquitectura comparte una dimensión artística con la Pintura (y con la Escultura, la Música, la Poesía...etc.) que se pone de manifiesto en el proceso creativo y que está encaminada a emocionar al espectador que participa y se involucra en la obra. Arquitectura y Pintura se convierten de este modo en caminos diferentes para llegar a los mismos objetivos. Esta Tesis trata sobre el proceso de creación en la arquitectura de Le Corbusier y de cómo en él se producen continuas incursiones en el mundo de la pintura cubista. Asumiendo que es un tema sobre el que ya se ha escrito mucho ( las bibliografías de Le Corbusier y de Picasso son sin duda las más numerosas entre los artistas de sus respectivos campos) creemos que es posible ofrecer una nueva visión sobre los mecanismos que, tanto el arquitecto como el pintor, utilizaban en su trabajo. Lo que buscamos es desvelar un modo de creación, común entre ambas disciplinas, basado en el análisis de ciertos componentes artísticos capaces de ser ensamblados en composiciones sintéticas siempre nuevas, que inviten al espectador a participar del hecho creativo en una continua actividad cognoscitiva. El proyecto cubista, tanto para Le Corbusier como para Picasso, se alcanza al final de un largo camino como resultado de un profundo estudio de la realidad (en la Arquitectura, social, cultural y económica, y en la Pintura la realidad cotidiana), en el que el motivo, ya sea objeto, espacio ó luz, intenta ser “conocido” en su totalidad a través del filtro personal del artista. Es por lo tanto, algo a lo que se llega, y cuyo resultado, a priori, es desconocido. En cualquier caso, forma parte de una investigación, de un proceso continuo que intencionadamente supera la circunstancia concreta de cada ocasión. Es la coincidencia en los procesos de proyecto lo que unificará arquitecturas en principio tan dispares como la Capilla de Ronchamp, el Tribunal de Justicia de Chandigarh, o el Hospital de Venecia, y son esos procesos los que aquí, a través de varias obras concretas vamos a intentar desvelar. Es cierto que el proyecto presentado al concurso del Palacio de los Soviets de Moscú es un ejercicio brillante de Constructivismo, pero este resultado no se anunciaba al principio. Si analizamos el proceso de proyecto encontramos que inicialmente la propuesta no era muy diferente a la del Centorsoyuz, o incluso a la de la Cité de Refuge o a la del Pavillon Suisse de París. La solución final sólo se alcanzaría después de mover muchísimas veces, las piezas preseleccionadas en el solar. Cuando entendemos el Convento de la Tourette como una versión actualizada del monasterio dominico tradicional estamos haciendo una lectura parcial y engañosa de la idea de proyecto del arquitecto. En los croquis previos del archivo de la Fondation Le Corbusier encontramos otra vez las mismas ideas que en la vieja Cité de Refuge, ahora actualizadas y adaptadas al nuevo fin. Con la Asamblea de Chandigarh las similitudes son obvias e incluso aparece el mismo cubo al que se superpone una pirámide como techo, avanzando hacia el espacio central pero aquí aparece un gran hiperboloide en un interior cerrado. Este hiperboloide fue en el inicio del proyecto un cubo, y después un cilindro. Sólo al final encontró su forma óptima en un volumen de geometría reglada que en su idoneidad podría también valer para otros edificios, por ejemplo para una Iglesia. La comparación que se ha hecho de este volumen con las torres de refrigeración de Ahmedabad es puramente anecdótica pues, como veremos, esta forma se alcanza desde la lógica proyectual que sigue el pensamiento plástico de Le Corbusier, en este caso, en la adaptación del espacio cilíndrico a la luz, pero no como inspiración en las preexistencias. En todas sus obras los mecanismos que se despliegan son, en muchas ocasiones pictóricos (fragmentación analítica del objeto y del espacio, ensamblaje multidimensional, tramas subyacentes de soporte, escenografía intencionada ...etc.) y el programa en cada caso, como el motivo de los cubistas, no es más que una ocasión más para investigar una nueva forma de hacer y de entender, la Arquitectura. Cualquier proyecto del pintor-arquitecto cubista es en realidad un trabajo continuo desarrollado a lo largo de toda su vida, en el que se utilizan, una y otra vez, las mismas palabras de su vocabulario particular y personal. aunque con diferente protagonismo en cada ocasión. Se trata de alcanzar, desde ellas mismas, una perfección que las valide universalmente. Los mismos objetos, los mismos mecanismos, las mismas constantes manipulaciones del espacio y de la luz, se desplegarán, como ingredientes previos con los que trabajar, sobre el tablero de dibujo coincidiendo con el inicio de cada proyecto, para desde aquí hacer que el motivo que se trata de construir emerja, aunque a veces sea de manera incierta e inesperada, como resultado alcanzado al final. Con muchas dudas, a partir de la primera hipótesis planteada, se confirma, se añade o se elimina cada elemento según van apareciendo en el tiempo los condicionantes del solar, del programa o incluso a veces de obsesiones propias del arquitecto. El trabajo que presentamos utiliza un método inductivo que va desde los ejemplos hasta los conceptos. Empezaremos por investigar el proceso de proyecto en una obra concreta y con los mecanismos que en él se utilizan plantearemos una síntesis que los generalice y nos permitan extenderlos al entendimiento de la totalidad de su obra. Se trata en realidad de un método que en sí mismo es cubista: desde la fragmentación del objeto-proyecto procedemos a su análisis desde diversos puntos de vista, para alcanzar después su recomposición en una nueva estructura sintética. Cada mecanismo se analiza de forma independiente siguiendo un cierto orden que correspondería, supuestamente, al trabajo del arquitecto: manipulación del objeto, método compositivo, entendimiento del soporte (lienzo o espacio) y de su geometría implícita, relación con el observador, concepto y materialidad del espacio y de la luz ..etc. recurriendo a la teoría sólo en la medida en que necesitemos de ella para aclarar el exacto sentido con el que son utilizados. En nuestra incursión en el mundo de la pintura, hemos decidido acotar el Cubismo a lo que fue en realidad su periodo heroico y original, que discurrió entre 1907 y 1914, periodo en el que desarrollado casi exclusivamente por los que habían sido sus creadores, Picasso y Braque. Solo en alguna ocasión entraremos en la pintura del “tercer cubista”, Juan Gris para entender el tránsito de los mecanismos de los primeros hasta la pintura purista, pero no es nuestra intención desviar las cuestiones planteadas de un ámbito puramente arquitectónico Resulta difícil hablar del cubismo de Pablo Picasso sin hacerlo comparativamente con el de Georges Braque (para algunos especialistas es éste incluso el auténtico creador de la Vanguardia), siendo necesario enfrentar los mecanismos de ambos pintores para obtener un exacto entendimiento de lo que supuso la Vanguardia. Por eso nos parece interesante estudiar la obra de Le Corbusier en paralelo con la de otro arquitecto de tal manera que los conceptos aparezcan como polaridades entre las que situar los posibles estados intermedios. En este sentido hemos recurrido a James Stirling. Su deuda es clara con Le Corbusier, y sobre todo con el Cubismo, y como vamos a ver, los mecanismos que utiliza en su obra, siendo similares, difieren significativamente. La Tesis adquiere un sentido comparativo y aparecen así atractivas comparaciones Picasso-Le Corbusier, Braque-Stirling que se suman a las ya establecidas Picasso-Braque y Le Corbusier-Stirling. Desde ellas podemos entender mejor lo que supone trabajar con mecanismos cubistas en Arquitectura. Por último, en relación a los dibujos creados expresamente para esta Tesis, hemos de indicar que las manipulaciones que se han hecho de los originales les convierten en elementos analíticos añadidos que aclaran determinadas ideas expresadas en los croquis de sus autores. Algunos están basados en croquis del archivo de la Fondation Le Corbusier (se indican con el número del plano) y otros se han hecho nuevos para explicar gráficamente determinadas ideas. Se completa la parte gráfica con las fotografías de las obras pictóricas, los planos originales e imágenes de los edificios construidos, extraídos de los documentos de la bibliografía citada al final. Nos disponemos pues, a indagar en las obras del Cubismo, en una búsqueda de los mecanismos con los que hacía su arquitectura Le Corbusier.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La fachada sur del Senado de España (Plaza de la Marina de Madrid) ha sufrido transformaciones desde que fuera el antiguo convento-colegio de Agustinos (1581-1601). Según la documentación fotográfica e histórica, hacia 1951 se saneó completamente el revestimiento y se desmontaron todos sus elementos compositivos y ornamentales. La reconstrucción se llevó a cabo mediante un chapado de piedra artificial (“arcosita Butsems” pulida), hecha con baja presencia de portlandita según los ensayos XRD y FTIR realizados. En el trabajo se presenta la toma de muestras, la caracterización de los materiales y una breve descripción de los procesos patológicos sufridos a causa de la fabricación y colocación del aplacado.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

D. Gaspar de Guzmán, III Conde-Duque de Olivares Roma 6/1/1587, Toro 22/7/1645), adquiere el señorío de Loeches en 1633 y desde entonces hasta su muerte construye un conjunto monástico-palacial, labor que continua su esposa Inés de Zúñiga hasta su fallecimiento en 1647. El autor de sus trazas fue el arquitecto albaceteño Alonso de Carbonel (1583-1660), responsable de la ejecución de otras obras coetáneas en Madrid, como el Palacio del Buen Retiro y el convento e Iglesia de los Santos Justo y Pastor ó de las Maravillas. Y Loeches fue el refugio y lugar del primer destierro de Olivares tras la pérdida del favor del rey Felipe IV, el 23 de enero de 1643. Gregorio Marañón en su libro sobre Olivares1 menciona y analiza someramente el palacio en ruinas, visitando y fotografiando el lugar antes de la Guerra Civil. En 2002, el profesor Juan Luis Blanco Mozo leyó una Tesis doctoral sobre Alonso Carbonel. En ella describía superficialmente el conjunto de Loeches, ya que su visita se limitó al exterior dado su carácter de clausura, su dificultad de acceso y su extensión. Son numerosos los estudios y publicaciones sobre los monasterios-palacio de los Austrias españoles, pero no lo son (exceptuando el caso de Lerma estudiado por D. Luis Cervera Vera) los que se han ocupado en profundidad de la emulación arquitectónica de esta idea por parte de la alta nobleza, y los altos cargos, secretarios ó ministros. Sus residencias eran con frecuencia una réplica de otras reales, eran prueba y demostración tanto de su poderío económico como de su “fuerza política”, de su reputación y de su “fama”. Ellos eran parte de una clase dirigente, inspiradores y coautores de la política y del programa ideológico de sus soberanos, responsables de un aparato administrativo y de un “estamento clientelar”, considerado por muchos como un invariante de la monarquía Habsburgo española.