878 resultados para rischio chimico valutazione del rischio Movarisc polivinilcloruro
Resumo:
Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito dell’analisi del rischio di contaminazione ambientale dovuto ad incidenti rilevanti, facendo particolare riferimento a due metodologie per la stima di tale rischio. La prima è una metodologia ad indici proposta dal Gruppo di Lavoro misto APAT/ARPA/CNVVF, tramite la quale è possibile compiere un primo livello di analisi, detto anche IRA-Initial Risk Assessment: l’obiettivo principale del metodo ad indici sopra citato è quello di individuare situazioni critiche per il suolo e sottosuolo in riferimento alla possibilità di contaminazione da parte di liquidi idrocarburici. La seconda procedura riguarda, invece, una valutazione avanzata del rischio ambientale, detta anche ARA-Advanced Risk Assessment: quest’ultima, applicata solo nel caso in cui l’analisi di primo livello abbia evidenziato situazioni critiche, viene realizzata tipicamente tramite software specifici, in grado di simulare sia nello spazio che nel tempo i fenomeni di migrazione della contaminazione nel sottosuolo. Nell’ambito del lavoro di tesi è stata eseguita per un deposito costiero di liquidi idrocarburici una valutazione del rischio ambientale sia di primo livello (IRA, tramite l’applicazione del metodo ad indici), sia di livello avanzato (ARA, tramite il software HSSM). I risultati ottenuti nei due casi risultano in ottimo accordo. La tesi è organizzata in 7 capitoli. Il Capitolo 1, che ha carattere introduttivo, illustra il concetto di rischio di incidente rilevante e si concentra sull’impatto che gli incidenti rilevanti possono avere sull’ambiente, come emerge chiaramente dall’analisi delle banche dati incidentali. Il Capitolo 2 fornisce una mappatura degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante in Italia. Il Capitolo 3 illustra il metodo ad indici ed il Capitolo 4 riporta le caratteristiche del software HSSM. Il Capitolo 5 contiene la descrizione del caso di studio analizzato, fornendo tutti gli elementi utili ai fini dell’applicazioni delle metodologie di analisi del rischio: pertanto esso contiene la descrizione sia delle principali proprietà impiantistiche del deposito e degli scenari incidentali che in esse possono verificarsi, sia delle proprietà idrogeologiche del terreno su cui sorge il sito. Il Capitolo 6 riporta in modo ampio e documentato i risultati ottenuti dall'applicazione delle metodologie di valutazione del rischio al caso di studio. Il Capitolo 7 infine contiene alcune considerazioni finali.
Resumo:
Il presente elaborato di tesi si pone come obiettivo quello di valutare il rischio per l’ambiente causato dal rilascio accidentale di idrocarburi liquidi; in particolare è stato preso a riferimento un deposito reale contenente tali sostanze e si è valutato il rischio ambientale da esso generato nelle matrici del suolo e sottosuolo e delle acque superficiali. Per far ciò sono stati applicati il metodo speditivo descritto nel Rapporto 57/2005 (Rapporto APAT) elaborato dal Gruppo misto APAT/ARPA/CNVVF, che ha provveduto all'individuazione di una metodologia speditiva per la valutazione del rischio per l’ambiente da incidenti rilevanti in depositi di idrocarburi liquidi con riferimento a suolo e sottosuolo, e il metodo speditivo per le acque superficiali descritto nel Rapporto ISPRA 92/2013, che riporta criteri e indirizzi tecnico-operativi per la valutazione delle analisi degli incidenti rilevanti con conseguenze per l’ambiente. Il Rapporto APAT propone una metodologia speditiva ad indici; per la sua applicazione è necessario calcolare 2 indici: l’Indice di Propensione al Rilascio, che si ottiene dalla conoscenza delle caratteristiche impiantistiche del deposito preso in esame e l’Indice di Propensione alla Propagazione, che si ottiene dalla conoscenza delle caratteristiche idrogeologiche del sito su cui insiste il deposito. Il Rapporto ISPRA presenta invece diverse metodologie per la valutazione del rischio ambientale maturate in ambito europeo e propone un nuovo metodo a indici per la valutazione del rischio ambientale per le acque superficiali. Per l’applicazione di tale metodo a indici si è calcolato dapprima l’Indice di Propensione al Rilascio, così come richiesto anche nel metodo speditivo per suolo e sottosuolo e si è successivamente classificato il corpo idrico su cui insiste il deposito. Attraverso l’applicazione dei 2 metodi è stato dunque possibile valutare il livello di criticità ambientale del deposito, determinando la necessità di procedere con una metodologia semplificata o una metodologia avanzata per la stima del rischio di contaminazione ambientale.
Resumo:
L’obbiettivo ultimo di questo elaborato è quello di valutare il rischio per un evento sismico e un evento idrogeologico di tre reti di condotte per la distribuzione dell’acqua, per poter assegnare ai vari gradi di rischio un opportuno intervento. Le condotte delle reti sono identificate con: ID, materiale, pressione nominale, diametro nominale, portata, spessore, tipologia di giunti, rivestimento, protezione catodica, anno di posa, collocazione. Noti i dati, si possono calcolare le classi dei fattori vulnerabilità, esposizione e pericolosità, relativa ad ogni singola condotta e all’intera rete. La vulnerabilità valuta i fattori di suscettibilità e resilienza di una condotta, l’esposizione valuta i costi ad essa associati e la pericolosità valuta la possibilità degli eventi scelti in base alla collocazione fisica della condotta. Le classi sono successivamente combinate per conoscere il rischio della condotta rispetto l’intera rete. Valutato il livello di rischio abbinato al livello di vulnerabilità della condotta, si ottiene l’intervento opportuno per la condotta analizzata.
Resumo:
Freshwater is extremely precious; but even more precious than freshwater is clean freshwater. From the time that 2/3 of our planet is covered in water, we have contaminated our globe with chemicals that have been used by industrial activities over the last century in a unprecedented way causing harm to humans and wildlife. We have to adopt a new scientific mindset in order to face this problem so to protect this important resource. The Water Framework Directive (European Parliament and the Council, 2000) is a milestone legislative document that transformed the way that water quality monitoring is undertaken across all Member States by introducing the Ecological and Chemical Status. A “good or higher” Ecological Status is expected to be achieved for all waterbodies in Europe by 2015. Yet, most of the European waterbodies, which are determined to be at risk, or of moderate to bad quality, further information will be required so that adequate remediation strategies can be implemented. To date, water quality evaluation is based on five biological components (phytoplankton, macrophytes and benthic algae, macroinvertebrates and fishes) and various hydromorphological and physicochemical elements. The evaluation of the chemical status is principally based on 33 priority substances and on 12 xenobiotics, considered as dangerous for the environment. This approach takes into account only a part of the numerous xenobiotics that can be present in surface waters and could not evidence all the possible causes of ecotoxicological stress that can act in a water section. The mixtures of toxic chemicals may constitute an ecological risk not predictable on the basis of the single component concentration. To improve water quality, sources of contamination and causes of ecological alterations need to be identified. On the other hand, the analysis of the community structure, which is the result of multiple processes, including hydrological constrains and physico-chemical stress, give back only a “photograph” of the actual status of a site without revealing causes and sources of the perturbation. A multidisciplinary approach, able to integrate the information obtained by different methods, such as community structure analysis and eco-genotoxicological studies, could help overcome some of the difficulties in properly identifying the different causes of stress in risk assessment. In synthesis, the river ecological status is the result of a combination of multiple pressures that, for management purposes and quality improvement, have to be disentangled from each other. To reduce actual uncertainty in risk assessment, methods that establish quantitative links between levels of contamination and community alterations are needed. The analysis of macrobenthic invertebrate community structure has been widely used to identify sites subjected to perturbation. Trait-based descriptors of community structure constitute a useful method in ecological risk assessment. The diagnostic capacity of freshwater biomonitoring could be improved by chronic sublethal toxicity testing of water and sediment samples. Requiring an exposure time that covers most of the species’ life cycle, chronic toxicity tests are able to reveal negative effects on life-history traits at contaminant concentrations well below the acute toxicity level. Furthermore, the responses of high-level endpoints (growth, fecundity, mortality) can be integrated in order to evaluate the impact on population’s dynamics, a highly relevant endpoint from the ecological point of view. To gain more accurate information about potential causes and consequences of environmental contamination, the evaluation of adverse effects at physiological, biochemical and genetic level is also needed. The use of different biomarkers and toxicity tests can give information about the sub-lethal and toxic load of environmental compartments. Biomarkers give essential information about the exposure to toxicants, such as endocrine disruptor compounds and genotoxic substances whose negative effects cannot be evidenced by using only high-level toxicological endpoints. The increasing presence of genotoxic pollutants in the environment has caused concern regarding the potential harmful effects of xenobiotics on human health, and interest on the development of new and more sensitive methods for the assessment of mutagenic and cancerogenic risk. Within the WFD, biomarkers and bioassays are regarded as important tools to gain lines of evidence for cause-effect relationship in ecological quality assessment. Despite the scientific community clearly addresses the advantages and necessity of an ecotoxicological approach within the ecological quality assessment, a recent review reports that, more than one decade after the publication of the WFD, only few studies have attempted to integrate ecological water status assessment and biological methods (namely biomarkers or bioassays). None of the fifteen reviewed studies included both biomarkers and bioassays. The integrated approach developed in this PhD Thesis comprises a set of laboratory bioassays (Daphnia magna acute and chronic toxicity tests, Comet Assay and FPG-Comet) newly-developed, modified tacking a cue from standardized existing protocols or applied for freshwater quality testing (ecotoxicological, genotoxicological and toxicogenomic assays), coupled with field investigations on macrobenthic community structures (SPEAR and EBI indexes). Together with the development of new bioassays with Daphnia magna, the feasibility of eco-genotoxicological testing of freshwater and sediment quality with Heterocypris incongruens was evaluated (Comet Assay and a protocol for chronic toxicity). However, the Comet Assay, although standardized, was not applied to freshwater samples due to the lack of sensitivity of this species observed after 24h of exposure to relatively high (and not environmentally relevant) concentrations of reference genotoxicants. Furthermore, this species demonstrated to be unsuitable also for chronic toxicity testing due to the difficult evaluation of fecundity as sub-lethal endpoint of exposure and complications due to its biology and behaviour. The study was applied to a pilot hydrographic sub-Basin, by selecting section subjected to different levels of anthropogenic pressure: this allowed us to establish the reference conditions, to select the most significant endpoints and to evaluate the coherence of the responses of the different lines of evidence (alteration of community structure, eco-genotoxicological responses, alteration of gene expression profiles) and, finally, the diagnostic capacity of the monitoring strategy. Significant correlations were found between the genotoxicological parameter Tail Intensity % (TI%) and macrobenthic community descriptors SPEAR (p<0.001) and EBI (p<0.05), between the genotoxicological parameter describing DNA oxidative stress (ΔTI%) and mean levels of nitrates (p<0.01) and between reproductive impairment (Failed Development % from D. magna chronic bioassays) and TI% (p<0.001) as well as EBI (p<0.001). While correlation among parameters demonstrates a general coherence in the response to increasing impacts, the concomitant ability of each single endpoint to be responsive to specific sources of stress is at the basis of the diagnostic capacity of the integrated approach as demonstrated by stations presenting a mismatch among the different lines of evidence. The chosen set of bioassays, as well as the selected endpoints, are not providing redundant indications on the water quality status but, on the contrary, are contributing with complementary pieces of information about the several stressors that insist simultaneously on a waterbody section providing this monitoring strategy with a solid diagnostic capacity. Our approach should provide opportunities for the integration of biological effects into monitoring programmes for surface water, especially in investigative monitoring. Moreover, it should provide a more realistic assessment of impact and exposure of aquatic organisms to contaminants. Finally this approach should provide an evaluation of drivers of change in biodiversity and its causalities on ecosystem function/services provision, that is the direct and indirect contributions to human well-being.
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Obbiettivo della tesi è sviluppare un metodo che valuti la probabilità di rottura arginale nella stesura delle mappe di pericolosità e di rischio alluvione. Ad oggi le mappe di pericolosità, redatte dagli enti regionali, considerano solo la probabilità di superamento dell’argine da parte del livello idrico (overtopping) e non il cedimento dello stesso a causa dell’instabilizzazione dovuta all’innalzamento del livello del fiume. Per la presente tesi si è scelto come caso di studio la rottura dell’argine destro del fiume Secchia del 19 gennaio 2014, presso la frazione di San Matteo, comune di Modena. Questo caso di rottura arginale è particolarmente interessante, poiché dopo l’accaduto la regione Emilia-Romagna ha predisposto una commissione tecnica per valutare le cause dell'evento. La commissione ha quindi predisposto una serie di indagini i cui dati saranno di fondamentale importanza nella presente tesi. Utilizzando, infatti, questo caso di cedimento arginale come esempio si è potuto innanzitutto ricostruire il fenomeno che ha provocato il fallimento dell’argine e ricalcolare il rischio inondazione sulle zone allagate considerando la probabilità di fallimento del sistema arginale. Per fare ciò, si sono inizialmente eseguite varie modellazioni idrauliche, sul corpo arginale, per stabilire gli spostamenti della tavola d’acqua e i valori di pressione interstiziale dei pori al variare dei tiranti idrici utilizzando il software SEEP/W. Successivamente si è utilizzato SLOPE/W allo scopo di verificate le probabilità di cedimento dell'argine in relazione alle modellazioni idrauliche effettuate con SEEP/W. Una volta ricavate le probabilità di rottura alle varie quote idriche con SLOPE/W, le si è riportate su un foglio di calcolo Excel e ricavata la curva di fragilità dell'argine e calcolato le probabilità di accadimento degli eventi alluvionali. Dopo di ciò attraverso l’utilizzo del software CA2D si sono modellate le mappe di alluvione per i vari eventi e con l’ausilio di Qgis si sono ricavate le mappe di pericolosità e calcolato il rischio sugli edifici interessati.
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La tossicità delle polveri atmosferiche è associata sia alla natura granulometrica sia al carico di contaminanti, da qui la necessità di investigare oltre la concentrazione delle PM in atmosfera anche la loro composizione chimica. In questo studio è stata effettuata una prima caratterizzazione da un punto di vista sia granulometrico che chimico del particolato atmosferico campionato in una zona suburbana di Riccione (Castello degli Agolanti). In particolare sono state determinate le concentrazioni di metalli quali Pb, Cd, Ni, Zn, Cu, Fe e Al nel PM 2,5 PM 10 e PM totale. Inoltre, dato che uno degli scopi dello studio è quello di verificare il contributo della combustione di biomasse sul carico complessivo di contaminanti, il periodo di campionamento comprende il giorno delle Fogheracce, festa popolare in cui vengono accesi diversi falò all’aperto. Complessivamente sono stati prelevati 13 campioni di 48 ore per ogni frazione granulometrica dal 9 Marzo all’8 Aprile 2011. Dallo studio emerge che nel periodo di campionamento, mediamente il contributo antropogenico è dominante per Pb, Cd, Ni Cu e Zn dovuto principalmente al traffico veicolare. Tali metalli, ad eccezione del Cu infatti si concentrano nel particolato più fine. Al e Fe invece sono principalmente marker delle emissioni crostali e si concentrano nella frazione grossolana. Interessante quanto registrato nella giornata delle Fogheracce. Oltre ad una variazione nel contenuto relativo dei metalli con un forte arricchimento di Pb e Al, per quest’ultimo si nota anche un forte incremento della sua concentrazione nella frazione PM2.5 ad indicare una diversa sorgente emissiva. Si evidenzia in questo studio un importante contributo nel carico di inquinanti da parte di combustioni di biomasse all’aperto.
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La nanotecnologia è una scienza innovativa che sviluppa e utilizza materiali di dimensioni nanometriche (< 100 nm). Lo sviluppo e il mercato delle nanoparticelle in merito alle loro interessanti proprietà chimico‐fisiche, é accompagnato da una scarsa conoscenza relativa al destino finale e agli effetti che questi nano materiali provocano nell’ ambiente [Handy et al., 2008]. La metodologia LCA (Life Cycle Assessment – Valutazione del Ciclo di Vita) è riconosciuta come lo strumento ideale per valutare e gestire gli impatti ambientali indotti dalle ENPs, nonostante non sia ancora possibile definire, in maniera precisa, un Fattore di Caratterizzazione CF per questa categoria di sostanze. Il lavoro di questa tesi ha l’obbiettivo di stimare il Fattore di Effetto EF per nanoparticelle di Diossido di Titanio (n‐TiO2) e quindi contribuire al calcolo del CF; seguendo il modello di caratterizzazione USEtox, l’EF viene calcolato sulla base dei valori di EC50 o LC50 relativi agli organismi appartenenti ai tre livelli trofici di un ecosistema acquatico (alghe, crostacei, pesci) e assume valore pari a 49,11 PAF m3/Kg. I valori tossicologici utilizzati per il calcolo del Fattore di Effetto derivano sia da un’accurata ricerca bibliografica sia dai risultati ottenuti dai saggi d’inibizione condotti con n‐TiO2 sulla specie algale Pseudokirchneriella Subcapitata. La lettura dei saggi è stata svolta applicando tre differenti metodi quali la conta cellulare al microscopio ottico (media geometrica EC50: 2,09 mg/L, (I.C.95% 1,45‐ 2,99)), l’assorbanza allo spettrofotometro (strumento non adatto alla lettura di test condotti con ENPs) e l’intensità di fluorescenza allo spettrofluorimetro (media geometrica EC50: 3,67 mg/L (I.C.95% 2,16‐6,24)), in modo tale da confrontare i risultati e valutare quale sia lo strumento più consono allo studio di saggi condotti con n‐TiO2. Nonostante la grande variabilità dei valori tossicologici e la scarsa conoscenza sui meccanismi di tossicità delle ENPs sulle specie algali, il lavoro sperimentale e la ricerca bibliografica condotta, hanno permesso di individuare alcune proprietà chimico‐fisiche delle nanoparticelle di Diossido di Titanio che sembrano essere rilevanti per la loro tossicità come la fase cristallina, le dimensioni e la foto attivazione [Vevers et al., 2008; Reeves et al., 2007]. Il lavoro sperimentale ha inoltre permesso di ampliare l’insieme di valori di EC50 finora disponibile in letteratura e di affiancare un progetto di ricerca dottorale utilizzando il Fattore di Effetto per n‐ TiO2 nel calcolo del Fattore di Caratterizzazione.
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Questo progetto di ricerca, è stato sviluppato per studiare le caratteristiche anatomofunzionali che definiscono l’articolazione del gomito, ed in modo articolare la presenza dell’angolazione valga che origina dalla diversa orientazione degli assi meccanici dell’avambraccio e del braccio e, denominata in letteratura come carrying angle. L’obiettivo principale di questo lavoro - meglio espresso nei diversi capitoli - è stato, quello di identificare un nuovo approccio di misura per la stima di questo angolo, utilizzabile sia per gli studi di biomeccanica articolare, che per gli studi di analisi del movimento per l’arto superiore. Il primo obiettivo è stato quello di scegliere un algoritmo di calcolo che rispettasse le caratteristiche dell’articolazione, ed in modo particolare abile a minimizzare gli errori introdotti sia nella fase di acquisizione dei punti di repere anatomici, che in quella legata alla predizione del movimento di flesso-estensione, con un modello matematico. Per questo motivo abbiamo dovuto realizzare una serie di misure in un primo tempo su due cadaveri di arto superiore, poi, seguendo le regole classiche per la validazione dell’approccio metodologico adottato, si sono realizzate misure in-vivo, prima in massima estensione e poi durante il movimento. Inizialmente abbiamo pensato di comparare le misure lineari relative alle ampiezze del braccio (ampiezza tra l’epicondilo laterale e mediale) e dell’avambraccio (ampiezza tra lo stiloide ulnare e radiale) con quelle ottenute mediante un antropometro; successivamente dopo aver verificato la ripetibilità tra i diversi operatori nell’ acquisizione dei punti di repere anatomici con il digitalizzatore Faro Arm, abbiamo comparato le misure ottenute relative al carrying angle con quelle di un goniometro standard, classicamente utilizzato nella pratica clinica per la definizione dei range di movimento dell’arto superiore. Infine, considerando la bontà delle misure ottenute, abbiamo riproposto tale metodologia con stumenti stereofotogrammetrici per l’analisi del movimento (VICON System), ottenendo la stessa stabilit`a nell’andamento del carrying angle in funzione della flessione, sia come riportato dagli studi in letteratura, sia come riscontrato nel nostro studio in-vitro. In conclusione, questo lavoro di ricerca ha evidenziato (sia per i risultati ottenuti, che per la elevata numerosità dei soggetti testati), come gli esseri umani presentino una grande variabilità individuale nel valore di questo angolo, e di come questo possa aiutare per la corretta definizione di un modello 3-D dell’arto superiore. Pertanto, gli studi futuri sulla biomeccanica dell’arto superiore dovrebbero includere sempre la valutazione di questa misura.
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La presente tesi analizza il comportamento differito in una prova di flessione su quattro punti su una trave prefabbricata con getto di soletta integrativa in opera. Sono riportati i risultati della prova di carico e di rottura sulla trave. Le prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Prove Strutture (DISTART) dell'Università di Bologna. La trave è composta di due tipi di calcestreuzzo, realizzati in tempi diversi e con proprietà meccaniche diverse. L'obiettivo della campagna sperimentale è studiare l'effetto delle fasi di costruzione sull'evoluzione delle tensioni e delle deformazioni nel tempo e sulla resistenza ultima della trave. Il comportamento sperimentale è stato confrontato con i risultati numerici ottenuti con un modello a fibre in grado di cogliere anche i fenomeni legati al creep.
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La definizione di “benessere animale” e le modalità di determinazione di tale parametro sono ancora ampiamente dibattute. C’è, però, una generale concordanza sul fatto che una condizione di malessere dia origine a variazioni fisiologiche e comportamentali che possono essere rilevate e misurate. Tra i parametri endocrini, il più studiato è, senza dubbio, il cortisolo, in quanto connesso con l’attivazione dell’asse ipotalamico-pituitario-surrenale in condizioni di stress e quindi ritenuto indicatore ideale di benessere, benché debba essere utilizzato con cautela in quanto un aumento dei livelli di questo ormone non si verifica con ogni tipo di stressor. Inoltre, si deve considerare che la raccolta del campione per effettuare le analisi, spesso implica il confinamento ed il contenimento degli animali e può essere, quindi, essa stessa un fattore stressante andando ad alterare i risultati. Alla luce delle suddette conoscenze gli obiettivi scientifici di questa ricerca, condotta sul gatto e sul cane, sono stati innanzitutto validare il metodo di dosaggio di cortisolo dal pelo e stabilire se tale dosaggio può rappresentare un indicatore, non invasivo, di benessere dell’animale (indice di “stress cronico”). In seguito, abbiamo voluto individuare i fattori di stress psico-sociale in gatti che vivono in gattile, in condizioni di alta densità, analizzando i correlati comportamentali ed ormonali dello stress e del benessere in questa condizione socio-ecologica, ricercando, in particolare, l’evidenza ormonale di uno stato di stress prolungato e la messa in atto di strategie comportamentali di contenimento dello stesso e il ruolo della marcatura visivo-feromonale, inoltre abbiamo effettuato un confronto tra oasi feline di diversa estensione spaziale per valutare come varia lo stress in rapporto allo spazio disponibile. Invece, nel cane abbiamo voluto evidenziare eventuali differenze dei livelli ormonali tra cani di proprietà e cani di canili, tra cani ospitati in diversi canili e tra cani che vivono in diverse realtà familiari; abbiamo voluto valutare gli effetti di alcuni arricchimenti sui cani di canile ed, infine, abbiamo analizzato cani sottoposti a specifici programmi si addestramento. Il primo importante ed originale risultato raggiunto, che risponde al primo obiettivo della ricerca, è stato la validazione del dosaggio radioimmunologico di cortisolo in campioni di pelo. Questo risultato, a nostro avviso, apre una nuova finestra sul campo della diagnostica endocrinologica metabolica. Attualmente, infatti, il monitoraggio ormonale viene effettuato su campioni ematici la cui raccolta prevede un elevato stress (stress da prelievo) per l’animale data l'invasività dell'operazione che modifica l’attività di ipotalamo-ipofisi-surrene e, dunque, provoca repentine alterazioni delle concentrazioni ormonali. Questa metodica offre, quindi, il vantaggio dell’estrema semplicità di raccolta del campione e, in più, il bassissimo costo del materiale utilizzato. Dalle ricerche condotte sui gatti di gattile sono scaturite preziose indicazioni per future indagini sullo stress e sul comportamento sociale felino. I risultati dell’analisi congiunta del comportamento e delle concentrazioni ormonali hanno evidenziato che la disponibilità di postazioni di marcatura visivo-feromonale ha un effetto positivo sia sugli indicatori comportamentali, sia su quelli ormonali di stress. I risultati dell’analisi delle concentrazioni di cortisolo, derivanti dal confronto tra sette oasi feline di diversa estensione spaziale hanno permesso di evidenziare un aumento dei livelli dell’ormone inversamente proporzionale allo spazio disponibile. Lo spazio disponibile, però, non è l’unico fattore da prendere in considerazione al fine di assicurare il benessere dell’animale infatti, nelle colonie che presentavano instabilità sociale e variabilità territoriale il cortisolo aveva valori elevati nonostante le notevoli disponibilità di spazio. Infine, si è potuto costatare come anche lo stare appartati, aumenti proporzionalmente con l’aumentare dello spazio. Questo comportamento risulta essere molto importante in quanto mitiga lo stress ed è da prendere in considerazione nell’allestimento di colonie feline. Infatti, nelle colonie di dimensioni ridotte dove lo stress è già alto, l’impossibilità dei soggetti di appartarsi può contribuire a peggiorare la situazione; ecco perché si dovrebbero creare luoghi artificiali per fornire ai gatti la possibilità di appartarsi, magari sfruttando gli spazi sopraelevati (tetti, alberi, ecc.). Per quanto riguarda il confronto tra cani di proprietà e cani di canile non sono state evidenziate differenze significative nei livelli di cortisolo nel pelo mentre abbiamo rilevato che quest’ultimi sono influenzati dalla disponibilità di spazio: infatti sia i cani di proprietà che vivevano in giardino, sia i cani dei canili che praticavano lo sgambamento presentavano livelli di cortisolo nel pelo più bassi rispetto, rispettivamente, ai cani di proprietà che vivevano in appartamento o appartamento/giardino e a quelli di canile che non praticavano lo sgambamento. L’arricchimento ambientale fornito ai cani di canile ha esercitato un’influenza positiva riducendo i livelli di cortisolo e migliorando la docilità dei soggetti, favorendone un’eventuale adozione. Si è inoltre messo in luce che i programmi di addestramento, eseguiti con tecniche “gentili”, non comportano situazioni stressanti per l’animale e aiutano i cani ad esprimere doti di equilibrio che rimarrebbero altrimenti celate dagli aspetti più istintivi del carattere. D’altra parte, l’impegno agonistico prima di una competizione e il livello di addestramento raggiunto dai cani, influenzano le concentrazioni di cortisolo a riposo e durante l’esercizio fisico. Questi risultati possono sicuramente dare utili suggerimenti per la gestione e la cura di gatti e cani al fine di migliorarne le condizioni di benessere.
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INTRODUCTION – In human medicine, diabetes mellitus (DM), hypertension, proteinuria and nephropathy are often associated although it is still not clear whether hypertension is the consequence or the cause of nephropathy and albuminuria. Microalbuminuria, in humans, is an early and sensitive marker which permits timely and effective therapy in the early phase of renal damage. Conversely, in dogs, these relationships were not fully investigated, even though hypertension has been associated with many diseases (Bodey and Michell, 1996). In a previous study, 20% of diabetic dogs were found proteinuric based on a U:P/C > 1 and 46% were hypertensive; this latter finding is similar to the prevalence of hypertension in diabetic people (40-80%) (Struble et al., 1998). In the same canine study, hypertension was also positively correlated with the duration of the disease, as is the case in human beings. Hypertension was also found to be a common complication of hypercortisolism (HC) in dogs, with a prevalence which varies from 50 (Goy-Thollot et al., 2002) to 80% (Danese and Aron, 1994).The aim of our study was to evaluate the urinary albumin to creatinine ratio (U:A/C) in dogs affected by Diabetes Mellitus and HC in order to ascertain if, as in human beings, it could represent an early and more sensitive marker of renal damage than U:P/C. Furthermore, the relationship between proteinuria and hypertension in DM and HC was also investigated. MATERIALS AND METHODS – Twenty dogs with DM, 14 with HC and 21 healthy dogs (control group) were included in the prospective case-control study. Inclusion criteria were hyperglycaemia, glicosuria and serum fructosamine above the reference range for DM dogs and a positive ACTH stimulation test and/or low-dose dexamethasone test and consistent findings of HC on abdominal ultrasonography in HC dogs. Dogs were excluded if affected by urinary tract infections and if the serum creatinine or urea values were above the reference range. At the moment of inclusion, an appropriate therapy had already been instituted less than 1 month earlier in 12 diabetic dogs. The control dogs were considered healthy based on clinical exam and clinicopathological findings. All dogs underwent urine sample collection by cystocentesis and systemic blood pressure measurement by means of either an oscillometric device (BP-88 Next, Colin Corporation, Japan) or by Doppler ultrasonic traducer (Minidop ES-100VX, Hadeco, Japan). The choice of method depended on the dog’s body weight: Doppler ultrasonography was employed in dogs < 20 kg of body weight and the oscillometric method in the other subjects. Dogs were considered hypertensive whenever systemic blood pressure was found ≥ 160 mmHg. The urine was assayed for U:P/C and U:A/C (Gentilini et al., 2005). The data between groups were compared using the Mann-Whitney U test. The reference ranges for U:P/C and U:A/C had already been established by our laboratory as 0.6 and 0.05, respectively. U:P/C and U:A/C findings were correlated to systemic blood pressure and Spearman R correlation coefficients were calculated. In all cases, p < 0.05 was considered statistically significant. RESULTS – The mean ± sd urinary albumin concentration in the three groups was 1.79 mg/dl ± 2.18; 20.02 mg/dl ± 43.25; 52.02 mg/dl ± 98.27, in healthy, diabetic and hypercortisolemic dogs, respectively. The urine albumin concentration differed significantly between healthy and diabetic dogs (p = 0.008) and between healthy and HC dogs (p = 0.011). U:A/C values ranged from 0.00 to 0.34 (mean ± sd 0.02 ± 0.07), 0.00 to 6.72 (mean ± sd 0.62 ± 1.52) and 0.00 to 5.52 (mean ± sd 1.27 ± 1.70) in the control, DM and HC groups, respectively; U:P/C values ranged from 0.1 to 0.6 (mean ± sd 0.17 ± 0.15) 0.1 to 6.6 (mean ± sd 0.93 ± 1.15) and 0.2 to 7.1 (mean ± sd 1.90 ± 2.11) in the control, DM and HC groups, respectively. In diabetic dogs, U:A/C was above the reference range in 11 out of 20 dogs (55%). Among these, 5/20 (25%) showed an increase only in the U:A/C ratio while, in 6/20 (30%), both the U:P/C and the U:A/C were abnormal. Among the latter, 4 dogs had already undergone therapy. In subjects affected with HC, U:P/C and U:A/C were both increased in 10/14 (71%) while in 2/14 (14%) only U:A/C was above the reference range. Overall, by comparing U:P/C and U:A/C in the various groups, a significant increase in protein excretion in disease-affected animals compared to healthy dogs was found. Blood pressure (BP) in diabetic subjects ranged from 88 to 203 mmHg (mean ± sd 143 ± 33 mmHg) and 7/20 (35%) dogs were found to be hypertensive. In HC dogs, BP ranged from 116 to 200 mmHg (mean ± sd 167 ± 26 mmHg) and 9/14 (64%) dogs were hypertensive. Blood pressure and proteinuria were not significantly correlated. Furthermore, in the DM group, U:P/C and U:A/C were both increased in 3 hypertensive dogs and 2 normotensive dogs while the only increase of U:A/C was observed in 2 hypertensive and 3 normotensive dogs. In the HC group, the U:P/C and the U:A/C were both increased in 6 hypertensive and 2 normotensive dogs; the U:A/C was the sole increased parameter in 1 hypertensive dog and in 1 dog with normal pressure. DISCUSSION AND CONCLUSION- The findings of this study suggest that, in dogs affected by DM and HC, an increase in U:P/C, U:A/C and systemic hypertension is frequently present. Remarkably, some dogs affected by both DM and HC showed an U:A/C but not U:P/C above the reference range. In diabetic dogs, albuminuria was observed in 25% of the subjects, suggesting the possibility that this parameter could be employed for detecting renal damage at an early phase when common semiquantiative tests and even U:P/C fall inside the reference range. In HC dogs, a higher number of subjects with overt proteinuria was found while only 14% presented an increase only in the U:A/C. This fact, associated with a greater number of hypertensive dogs having HC rather than DM, could suggest a greater influence on renal function by the mechanisms involved in hypertension secondary to hypercortisolemia. Furthermore, it is possible that, in HC dogs, the diagnosis was more delayed than in DM dogs. However, the lack of a statistically significant correlation between hypertension and increased protein excretion as well as the apparently random distribution of proteinuric subjects in normotensive and hypertensive cases, imply that other factors besides hypertension are involved in causing proteinuria. Longitudinal studies are needed to further investigate the relationship between hypertension and proteinuria.