876 resultados para philosophical discourse
Resumo:
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
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Regarding the twentieth century's interpretations of the Enlightenment and its actuality, it is noteworthy that some authors, like Habermas in "The philosophical discourse of Modernity", rely on Hegel to defend the Enlightenment and its project, whereas other close thinkers, like Adorno and Horkheimer in their "Dialectic of Enlightenment", quote Hegel to emphasize the destructive aspects of Enlightenment. In this work I show that in the Hegelian theory of Enlightenment both aspects, the negative and the programmatic, are present. I hold here that the Hegelian philosophy claims to be the consummation and not the rupture with this movement. This is expressed in the subtitle of the thesis: in the philosophy of Hegel the principle of autonomy is made absolute in terms of an immanentization of any transcendence that could have been still recognized or latent in the thought of the Enlightenment. For a theory of the Enlightenment I consider as reference the exposition of Cassirer, "The Philosophy of the Enlightenment ". As reference texts of the Hegelian philosophy I follow principally passages from "The Phenomenology of Spirit" and "Glauben und Wissen".
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Se analizarán dos textos producidos por C. Alberini a fines de la década de 1910 que ejemplifican las primeras modulaciones que ha adoptado el discurso antipositivista en la Argentina, orientadas a otorgar identidad y legitimidad sociales al incipiente campo filosófico. En ellos aparecen tanto las representaciones explícitas con que el campo construirá su propia función social, como el nuevo lenguaje teórico a partir del cual dar satisfacción a esas representaciones. El personalismo será la expresión de dicha construcción discursiva, atravesada por las dis-locaciones que produce la definición negativa de su categoría central -la "personalidad"- en oposición a la ima-gen construida del enemigo positivista
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Se analizarán dos textos producidos por C. Alberini a fines de la década de 1910 que ejemplifican las primeras modulaciones que ha adoptado el discurso antipositivista en la Argentina, orientadas a otorgar identidad y legitimidad sociales al incipiente campo filosófico. En ellos aparecen tanto las representaciones explícitas con que el campo construirá su propia función social, como el nuevo lenguaje teórico a partir del cual dar satisfacción a esas representaciones. El personalismo será la expresión de dicha construcción discursiva, atravesada por las dis-locaciones que produce la definición negativa de su categoría central -la "personalidad"- en oposición a la ima-gen construida del enemigo positivista
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Regarding the twentieth century's interpretations of the Enlightenment and its actuality, it is noteworthy that some authors, like Habermas in "The philosophical discourse of Modernity", rely on Hegel to defend the Enlightenment and its project, whereas other close thinkers, like Adorno and Horkheimer in their "Dialectic of Enlightenment", quote Hegel to emphasize the destructive aspects of Enlightenment. In this work I show that in the Hegelian theory of Enlightenment both aspects, the negative and the programmatic, are present. I hold here that the Hegelian philosophy claims to be the consummation and not the rupture with this movement. This is expressed in the subtitle of the thesis: in the philosophy of Hegel the principle of autonomy is made absolute in terms of an immanentization of any transcendence that could have been still recognized or latent in the thought of the Enlightenment. For a theory of the Enlightenment I consider as reference the exposition of Cassirer, "The Philosophy of the Enlightenment ". As reference texts of the Hegelian philosophy I follow principally passages from "The Phenomenology of Spirit" and "Glauben und Wissen".
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Se analizarán dos textos producidos por C. Alberini a fines de la década de 1910 que ejemplifican las primeras modulaciones que ha adoptado el discurso antipositivista en la Argentina, orientadas a otorgar identidad y legitimidad sociales al incipiente campo filosófico. En ellos aparecen tanto las representaciones explícitas con que el campo construirá su propia función social, como el nuevo lenguaje teórico a partir del cual dar satisfacción a esas representaciones. El personalismo será la expresión de dicha construcción discursiva, atravesada por las dis-locaciones que produce la definición negativa de su categoría central -la "personalidad"- en oposición a la ima-gen construida del enemigo positivista
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Regarding the twentieth century's interpretations of the Enlightenment and its actuality, it is noteworthy that some authors, like Habermas in "The philosophical discourse of Modernity", rely on Hegel to defend the Enlightenment and its project, whereas other close thinkers, like Adorno and Horkheimer in their "Dialectic of Enlightenment", quote Hegel to emphasize the destructive aspects of Enlightenment. In this work I show that in the Hegelian theory of Enlightenment both aspects, the negative and the programmatic, are present. I hold here that the Hegelian philosophy claims to be the consummation and not the rupture with this movement. This is expressed in the subtitle of the thesis: in the philosophy of Hegel the principle of autonomy is made absolute in terms of an immanentization of any transcendence that could have been still recognized or latent in the thought of the Enlightenment. For a theory of the Enlightenment I consider as reference the exposition of Cassirer, "The Philosophy of the Enlightenment ". As reference texts of the Hegelian philosophy I follow principally passages from "The Phenomenology of Spirit" and "Glauben und Wissen".
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Se analizarán dos textos producidos por C. Alberini a fines de la década de 1910 que ejemplifican las primeras modulaciones que ha adoptado el discurso antipositivista en la Argentina, orientadas a otorgar identidad y legitimidad sociales al incipiente campo filosófico. En ellos aparecen tanto las representaciones explícitas con que el campo construirá su propia función social, como el nuevo lenguaje teórico a partir del cual dar satisfacción a esas representaciones. El personalismo será la expresión de dicha construcción discursiva, atravesada por las dis-locaciones que produce la definición negativa de su categoría central -la "personalidad"- en oposición a la ima-gen construida del enemigo positivista
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Drawing heavily on the work of classicist Page duBois, which eloquently explains the emergence, in ancient Greece, of hierarchy and of what is still understood today as the great chain of being (scala naturae: male, female, slave, barbarian, animal), this paper analyzes the age-old negative conotations of the concept of difference in western culture, considers the reinvention of difference as “positive” by Rosi Braidotti (after Deleuze & Guattari), and reassesses the efforts of several other feminist philosophers (e.g. Luce Irigaray, Judith Butler, Gayatry Spivak, Drucilla Cornell) to counter Lacan on the impossibility of “speaking women” beyond the dominant (male) philosophical discourse. Or, to paraphrase Marie Cardinal, their efforts to find “les mots pour le dire”.
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There is a contemporary scepticism towards vision-based metaphors in management and organization studies that reflects a more general pattern across the social sciences. In short, there has been a shift away from ocularcentrism. This shift provides a useful basis for metatheoretical analysis of the philosophical discourse that informs organizational analysis. The article begins by briefly discussing the vision-generated, vision-centred interpretation of knowledge, truth, and reality that has characterized the western philosophical tradition. Taking late 18th-century rationalism as the high-point of ocularcentrism, the article then presents a metatheoretical framework based on three trajectories that critiques of ocularcentrism have subsequently taken. The first exposes the limits of the metaphor by, paradoxically, taking it to its limits. The second trajectory seeks to displace the primordial position of the ocular metaphor and replace it with an alternative lexicon based on other human senses. Last, the third trajectory describes how the Enlightenment ocular characterization of the visual and mental worlds has effectively been inverted in the postmodern moment.
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La discusión sobre las consecuencias políticas del pensamiento de L. Wittgenstein ha girado sobre la posibilidad de construir miradas críticas sobre lo social, su legitimidad, amplitud, fuerza, etc. Sin embargo, aproximar a Wittgenstein a una posición materialista, como la entendía L. Althusser, conduce a una comprensión diferente de la crítica, vinculada a la tarea de deconstruir el discurso filosófico que intenta unificar y organizar jerárquicamente las evidencias (certezas) constitutivas de los diferentes juegos de lenguaje en los que se despliega lo social. Se intenta extraer de esta aproximación una distinción entre la filosofía como práctica teórica ideológica y como práctica teórica crítica
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La discusión sobre las consecuencias políticas del pensamiento de L. Wittgenstein ha girado sobre la posibilidad de construir miradas críticas sobre lo social, su legitimidad, amplitud, fuerza, etc. Sin embargo, aproximar a Wittgenstein a una posición materialista, como la entendía L. Althusser, conduce a una comprensión diferente de la crítica, vinculada a la tarea de deconstruir el discurso filosófico que intenta unificar y organizar jerárquicamente las evidencias (certezas) constitutivas de los diferentes juegos de lenguaje en los que se despliega lo social. Se intenta extraer de esta aproximación una distinción entre la filosofía como práctica teórica ideológica y como práctica teórica crítica
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La discusión sobre las consecuencias políticas del pensamiento de L. Wittgenstein ha girado sobre la posibilidad de construir miradas críticas sobre lo social, su legitimidad, amplitud, fuerza, etc. Sin embargo, aproximar a Wittgenstein a una posición materialista, como la entendía L. Althusser, conduce a una comprensión diferente de la crítica, vinculada a la tarea de deconstruir el discurso filosófico que intenta unificar y organizar jerárquicamente las evidencias (certezas) constitutivas de los diferentes juegos de lenguaje en los que se despliega lo social. Se intenta extraer de esta aproximación una distinción entre la filosofía como práctica teórica ideológica y como práctica teórica crítica
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Al evaluar los contactos de Plutarco con otras culturas contemporáneas, los investigadores todavía no han llegado a un consenso acerca de la relación entre el queronense y la literatura cristiano-primitiva. Un buen ejemplo de esto aparece al atender al motivo de la creación del alma humana. La intención de las próximas páginas es, tras un análisis de los textos plutarqueos, atender a estos posibles contactos con NHC, los heresiólogos y el Corpus Hermeticum a fin de dilucidar sus similitudes y diferencias.