31 resultados para fiscalité
Resumo:
La gestion des villes d’Afrique de l’Ouest pose problème à la période contemporaine : extension urbaine non maitrisée, services de base insuffisants, insécurité foncière. À travers l’aide internationale, d’importantes réformes visant à améliorer son efficacité ont pourtant été mises en place, mais elles semblent avoir été inefficaces. Dépassant ce constat d’échec, la thèse vise à comprendre comment se déroule l’acte de gérer la ville dans les circonstances particulières des villes d’Afrique de l’Ouest. La mise en œuvre du Registre foncier urbain (RFU), système d’information foncière municipal multi-fonctions introduit au Bénin à travers des programmes de développement au début des années 1990, constitue le prisme à travers lequel la gestion urbaine est analysée. Celle-ci est ainsi approchée par les actes plutôt que par les discours. S’appuyant sur une démarche socio-anthropologique, la mise en œuvre de l’instrument est analysée depuis le point de vue des acteurs locaux et selon une double grille de lecture : d’une part, il s’agit de saisir les logiques de l’appropriation locale dont le RFU a fait l’objet au sein des administrations; d’autre part, il s’agit de comprendre son interaction avec le territoire, notamment avec les dynamiques complexes d’accès au sol et de sécurisation foncière. Une étude de cas multiple a été menée dans trois communes : Cotonou, Porto-Novo et Bohicon. Deux ensembles de conclusions en découlent. Tout d’abord, le RFU s’est imposé comme l’instrument pivot de la fiscalité locale, mais est mis en œuvre de manière minimale. Ce fonctionnement particulier est une adaptation optimale à un contexte fait de rivalités professionnelles au sein d’administrations cloisonnées, d’enjeux politico-financiers liés aux différentes sources de revenus communaux et de tensions politico-institutionnelles liées à une décentralisation tardive. Les impacts du RFU en termes de développement des compétences professionnelles nationales sont insuffisants pour réformer la gestion urbaine depuis l’intérieur de l’administration municipale. Ensuite, alors qu’il vise à centraliser l’information sur les propriétaires présumés de la terre, le RFU se heurte à la marchandisation de cette information et à la territorialisation de la régulation foncière. La mise en œuvre du RFU s’en trouve affectée de deux manières : d’une part, elle s’insère dans ces circuits marchands de l’information foncière, avec cependant peu de succès ; d’autre part, elle a un impact différencié selon les territoires de la régulation foncière. En définitive, l’acte de gérer la ville au Bénin n’est pas devenu automatique avec l’introduction d’instruments comme le RFU. La municipalité se repose plutôt sur les piliers classiques de l’action publique, l’administration et le politique, pour gérer la ville plurielle de manière différenciée. À l’endroit des concepteurs d’action publique, cette thèse plaide pour une prise en compte des modes de régulation existant dans les sociétés africaines, fussent-ils pluriels, reconnaissant les voies originales que prend la construction des institutions en Afrique.
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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.
Resumo:
Il concetto fondante e le motivazioni alla base di questo lavoro di tesi sono costituiti dalla volontà di analizzare a fondo la problematica energetica ed ambientale, focalizzando l‟indagine sul ruolo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e contestualizzandola nel contesto “locale” relativo alla Regione Emilia Romagna: questo lavoro di tesi, infatti, è stato sviluppato nell‟ambito di un progetto di collaborazione stipulato tra Università e Regione Emilia Romagna e si è svolto all‟interno dell‟Assessorato alle Attività Produttive della Regione, lavorando con il “Servizio Politiche Energetiche” emiliano-romagnolo. La crisi energetica (e, contestualmente, la crisi ambientale) rappresenta una problematica al centro del dibattito globale da oltre mezzo secolo, affrontata finora in maniera non organica e realmente efficace dalle nazioni e dagli organismi sovranazionali coinvolti in tale dibattito. Tale tematica è divenuta ancora più pregnante (e la ricerca di una “soluzione” al riguardo, ancora più pressante) negli ultimi anni, in seguito alla deflagrazione di una crisi globale –economica e sociale- che ha intaccato i modelli di crescita e sviluppo (anche tecnologico) conosciuti finora, ponendo di fronte agli occhi dell‟umanità la necessità impellente di ridefinire politiche economiche, ambientali e, conseguentemente, energetiche, caratterizzate da una maggiore sostenibilità globale. La continua crescita della popolazione e il progressivo incremento generalizzato (e disomogeneo) degli standard di vita alimentano con ritmi esponenziali la domanda –e la conseguente produzione- di energia, inevitabilmente correlata (proprio a causa dei modelli di sviluppo seguiti finora) ad un drammatico incremento delle emissioni climalteranti, che continuano a nuocere irreversibilmente alla salubrità del nostro fragile ecosistema. Oltre alla problematica ambientale si aggiunge, con impellenza sempre più marcata, quella relativa alla disponibilità delle principali fonti energetiche (quelle fossili), che si profilano in esaurimento entro lassi temporali che potrebbero divenire drammaticamente prossimi: il “rischio reale” connesso alla prosecuzione di politiche energetiche poggiate sullo sfruttamento intensivo di tali fonti non è tanto connesso all‟eventuale esaurimento assoluto delle risorse stesse, quanto ad una loro progressiva riduzione, tale da renderle viepiù costose e sempre meno convenienti economicamente. Uno scenario di questo tipo si tradurrebbe inevitabilmente in una condizione per la quale solamente i Paesi più ricchi potrebbero usufruire di tali risorse, estremamente costose, mentre i Paesi meno evoluti economicamente rischierebbero di trovarsi nell‟impossibilità di approvvigionarsi, andando incontro a condizioni di deficit energetico: uno scenario inquietante, che però non appare così “ipotetico”, se si tiene conto di come –già ora- siano in aumento segnali di allarme e di conflitto, attivati da localizzate insufficienze energetiche. In un quadro globale di questo tipo le strade risolutive finora riconosciute e percorse dal mondo scientifico, politico ed economico sono sostanzialmente due: - L‟implementazione del risparmio energetico, in un‟ottica di drastica riduzione dei consumi globali; - La “conversione” della produzione energetica (attualmente fondata sulle fonti convenzionali, ossia quelle fossili) verso le cosiddette “Fonti Energetiche Alternative”. Questa seconda direttrice di marcia sembra poter essere quella in grado di reindirizzare verso un orizzonte di maggiore sostenibilità l‟attuale sistema energetico globale, e in quest‟ottica assumono quindi enorme importanza strategica le tecnologie alternative e, prime tra tutte, le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER). Queste consentirebbero infatti sia di ridurre l‟impatto ambientale connesso alla produzione energetica da fonti convenzionali, che di implementare politiche di autosufficienza energetica per quei Paesi che attualmente, dal punto di vista del bilancio energetico interno, dipendono in misura marcata dall‟importazione di combustibili fossili dall‟estero. La crisi energetica e il conseguente ruolo chiave delle Fonti Energetiche Rinnovabili è quindi il punto di partenza di questa tesi, che ha voluto confrontarsi con tale problematica globale, misurandosi con le azioni e con i provvedimenti intrapresi al riguardo a livello locale, focalizzando l‟attenzione sulla realtà e sugli sviluppi delle Fonti Energetiche Rinnovabili nella Regione Emilia Romagna. Per sviluppare il lavoro si è proceduto definendo prima di tutto un quadro complessivo della situazione, in termini di problematica energetica e di stato attuale delle Fonti Energetiche Rinnovabili, scendendo progressivamente nel dettaglio: partendo da una fotografia a livello mondiale, quindi europeo, successivamente italiano (basandosi sui dati di pubblicazioni italiane ed estere, di enti competenti in materia come Terna, il GSE o l‟Enea per l‟Italia, e l‟IEA, l‟EIA, l‟UE per l‟Europa e il resto del mondo). Nella terza parte della tesi si è scesi al dettaglio di questo stato attuale delle Fonti Energetiche Rinnovabili a livello Regionale (Emiliano-Romagnolo) e Provinciale (le nove Province della Regione): per procedere alla definizione di questo quadro la “tecnica operativa” è consistita in una raccolta dati effettuata in collaborazione con il ”Servizio Politiche Energetiche” della Regione Emilia Romagna, estesa alle 9 Province e ai 348 Comuni del territorio emiliano-romagnolo. La richiesta di dati avanzata è stata relativa agli impianti alimentati da fonte energetica rinnovabile in esercizio e a quelli in fase di valutazione sul territorio afferente all‟Ente considerato. Il passo successivo è consistito nell‟aggregazione di questi dati, nella loro analisi e nella definizione di un quadro organico e coerente, relativo allo stato attuale (Ottobre 2010) delle Fonti Energetiche Rinnovabili sul territorio emiliano-romagnolo, tale da permettere di realizzare un confronto con gli obiettivi definiti per le FER all‟interno dell‟ultimo Piano Energetico Regionale e con lo stato delle FER nelle altre Regioni italiane. Sono stati inoltre realizzati due “Scenari”, relativi all‟evoluzione stimata del parco “rinnovabile” emiliano-romagnolo, definiti al 2012 (“Breve Termine”) e al 2015 (“Medio Termine”). I risultati ottenuti hanno consentito di verificare come, nell‟orizzonte “locale” emiliano-romagnolo, il sistema globale connesso alle Fonti Energetiche Rinnovabili abbia attecchito e si sia sviluppato in misura marcata: gli obiettivi relativi alle FER definiti nel precedente Piano Energetico Regionale sono infatti stati sostanzialmente raggiunti in toto. Dalla definizione degli “Scenari” previsionali è stato possibile stimare l‟evoluzione futura del parco “rinnovabile” emilianoromagnolo, verificando come questo risulti essere in continua crescita e risulti “puntare” su due fonti rinnovabili in maniera particolare: la fonte fotovoltaica e la fonte a biocombustibili. Sempre dall‟analisi degli “Scenari” previsionali è stato possibile stimare l‟evoluzione delle singole tecnologie e dei singoli mercati rinnovabili, verificando limiti allo sviluppo (come nel caso della fonte idroelettrica) o potenziali “espansioni” molto rilevanti (come nel caso della fonte eolica). Il risultato finale di questo lavoro di tesi è consistito nel poter definire dei nuovi obiettivi, relativi alle differenti Fonti Energetiche, da potersi inserire all‟interno del prossimo Piano Energetico Regionale: l‟obiettivo “complessivo” individua –avendo il 2015 come orizzonte temporale- una crescita incrementale delle installazioni alimentate da FER pari a 310 MWe circa. Questo lavoro di tesi è stato ovviamente organizzato in più “Parti”, ciascuna ulteriormente suddivisa in “Capitoli”. Nella “Prima Parte”, costituita dai primi 4 Capitoli, si è proceduto ad introdurre la problematica energetica e il contesto in cui si muovono le decisioni e le politiche (comunitarie, nazionali e sovra-nazionali) destinate a trovare soluzioni e risposte: Il Primo Capitolo, introduttivo, definisce prima di tutto gli “strumenti” e i concetti che verranno successivamente richiamati più volte nel resto della Tesi, partendo dal concetto di “energia”, definito sia “concettualmente” che attraverso le unità di misura utilizzate per quantificarlo. Il passo successivo è stato quello di contestualizzare l‟evoluzione dello sfruttamento di questa “risorsa”, in relazione allo sviluppo delle tecnologie e delle stesse condizioni di vita umane, così da definire un background storico per le considerazioni introdotte nel Capitolo successivo. Il Secondo Capitolo, infatti, introduce la problematica attuale (ma mutuata dal background storico evidenziato in precedenza) della “crisi energetica” e della “crisi ambientale” ad essa correlata, considerandone gli aspetti prima di tutto globali, connessi a considerazioni di natura sociale, demografica e –conseguentemente economica e sociale: all‟interno di questa analisi, vengono citati anche gli scenari previsionali elaborati da numerosi enti di ricerca e istituzioni, coinvolti su più livelli nell‟ottica di riuscire ad individuare una “risposta” alle problematiche sollevate dallo sfruttamento intensivo della risorsa energetica per vie convenzionali. Tale risposta è rappresentata dalle normative sovranazionali, europee e italiane varate nell‟ottica di attuare una “transizione etica” in materia di sviluppo sostenibile, impatto ambientale e sfruttamento energetico: un presupposto imprescindibile per la transizione energetica sostenibile è proprio l‟impegno a livello locale (quindi anche e prima di tutto di istituzioni quali, in Italia, le Regioni, le Province e i Comuni), senza il quale difficilmente si potranno raggiungere traguardi avanzati, che implicano anche un sostanziale cambio di mentalità. Nell‟ottica di approfondire ulteriormente il contesto all‟interno del quale vengono adottate azioni e intrapresi provvedimenti utili a concretizzare risposte a livello italiano –nazionale e locale- il Terzo Capitolo introduce il tema delle “politiche energetiche sostenibili”, partendo dalla definizione dell‟attuale condizione Italiana (in termini di inquinamento atmosferico e di sfruttamento intensivo della risorsa energetica, nonché di scenari previsionali), per definire successivamente le politiche nazionali per le fonti rinnovabili, per il settore dei trasporti, del riscaldamento e del raffreddamento, della pianificazione energetica e della generazione distribuita. Il Capitolo introduce anche il tema degli interventi in ambito di fiscalità energetica (“Certificati Verdi”, “Certificati Bianchi” e il “Conto Energia”). Proprio per definire al meglio i meccanismi di incentivazione, il Quarto Capitolo esplicita (facendo riferimento alla documentazione pubblicata da enti quali GSE, Terna, GRTN) il meccanismo del cosiddetto “mercato elettrico” e degli scambi che vi avvengono, in modo tale da comprendere come i metodi di incentivazione alle fonti alternative che si appoggiano su interventi di fiscalità energetica, riescano ad avere –o meno- presa sul sistema. La “Seconda Parte” (costituita dai Capitoli dal 5° al 13°) è invece dedicata al necessario approfondimento sullo stato delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER): in ogni capitolo è stato infatti approfondita la condizione attuale delle principali FER (fonte a Biocombustibili, Eolica, Geotermica, Idraulica, Solare Fotovoltaica, Solare Termica, Solare Termodinamica). Tale approfondimento è stato condotto in termini di sviluppo della tecnologia, incidenza e contributo della singola FER sui bilanci elettrici (considerando prima il quadro mondiale, quindi quello europeo, per scendere infine al dettaglio italiano). Nella parte finale di ogni capitolo sono state riportate anche le principali criticità riscontrate per ogni fonte presa in considerazione, oltre che gli scenari previsionali stimati considerandone i potenziali sviluppi, in un‟ottica di medio termine e di lungo termine. La “Terza Parte” (comprendente i Capitoli dal 14° al 22°) di questa Tesi raccoglie invece il lavoro svolto e i risultati ottenuti e permette di definire lo stato attuale e gli scenari previsionali (a breve termine e a medio termine) per le Fonti Energetiche Rinnovabili nella Regione Emilia Romagna, con un livello di dettaglio sia Regionale che Provinciale. Il lavoro, come detto, è consistito nella raccolta dati effettuata presso gli enti di “governo territoriale” emiliano-romagnoli (la Regione, le 9 Province e i 348 Comuni) e nella successiva aggregazione, elaborazione e interpretazione di questi stessi dati. I Capitoli dal 15° al 19° definiscono lo stato attuale (all‟Ottobre 2010) e gli scenari previsionali (a breve termine e medio termine) per le differenti FER (rispettivamente, Biocombustibili, Eolica, Fotovoltaica, Geotermica e Idroelettrica), prima a livello Provinciale, quindi a livello Regionale. Nella conclusione di ogni Capitolo è contenuto un confronto con lo stato della FER presa in considerazione relativo agli anni precedenti, oltre che il confronto con gli obiettivi definiti per la tecnologia al 2010 dal precedente Piano Energetico Regionale. Questi Capitoli si chiudono con l‟analisi del trend storico della Fonte Energetica Rinnovabile considerata e con la conseguente individuazione dei potenziali obiettivi al 2012 e al 2015 da inserire nel prossimo Piano Energetico Regionale. E‟ presente anche l‟evoluzione stimata del “mercato” della singola FER presa in considerazione, oltre che della “tipologia tecnologica” sulla quale gli installatori e gli investitori tenderanno ad orientarsi sia nel breve che nel medio termine. I Capitoli 20°, 21° e 22° contengono invece lo stato “riassuntivo” delle Fonti Energetiche Rinnovabili, definite per il panorama emiliano-romagnolo (anche in questo caso, prima a livello Provinciale, successivamente a livello regionale) sotto un‟ottica temporale differente: il Capitolo 20° riassume lo stato attuale del parco “rinnovabile” complessivo emiliano-romagnolo, definendone l‟evoluzione storica e confrontandolo con gli obiettivi fissati al 2010 dal precedente Piano Energetico regionale, permettendo così di verificare –nel complesso- se le stime del 2004 erano state corrette. Il Capitolo 21° definisce l‟evoluzione del parco “rinnovabile” complessivo emiliano-romagnolo al 2012, sia a livello Provinciale che Regionale, definendone in questo modo un trend stimato di crescita e dei conseguenti obiettivi di breve termine, riferiti alle singole FER. Il Capitolo 22° definisce infine l‟evoluzione del parco “rinnovabile” complessivo emiliano-romagnolo al 2015 (ancora una volta, sia a livello Provinciale che Regionale) permettendo così di ricavare un trend stimato di crescita e, soprattutto, gli obiettivi di medio termine -riferiti alle singole FER- da inserire all‟interno del prossimo Piano Energetico Regionale. La conclusione permette di chiudere sinteticamente il lavoro svolto in precedenza, traendo le indicazioni più rilevanti dai dati e dalle considerazioni pregresse: come si evincerà, l‟Emilia Romagna risulta una Regione in cui gli obiettivi rinnovabili (e di “conversione energetica”) sono stati sostanzialmente raggiunti e, in alcuni casi, perfino superati. Il mercato rinnovabile è in crescita e le politiche locali e sovra locali evidenziano una marcata volontà di puntare prevalentemente su settori e tecnologie quali quella della biomassa e quella solare fotovoltaica. Nonostante questo, si evidenzia anche la necessità di lavorare a livello di enti regionali e provinciali, per omogeneizzare ulteriormente la distribuzione energetica “rinnovabile” sul territorio (implementando lo sviluppo di determinate fonti su distretti territoriali al momento non ancora raggiunti da tali mercati) e per provvedere ad una riduzione dei consumi energetici che consenta alle FER di avere una maggiore incidenza sui bilanci energetici ed elettrici, locali e regionali. Si ricorda che la “costruzione” di questa tesi è stata sviluppata parallelamente ad un‟attività di stage presso il settore Politiche energetiche dell‟Assessorato alle Attività Produttive della Regione Emilia – Romagna, che in questa fase sta procedendo alla definizione del nuovo Piano Energetico Regionale, e alla conseguente individuazione d
Resumo:
La ricerca oggetto della tesi dottorale ha riguardato l’analisi della problematica relativa ai cambiamenti provocati dalla diversificazione delle attività aziendali bancarie nell'ottica tributaria. Si è individuato nella composizione del reddito imponibile il fulcro centrale del lavoro. Data la grande importanza del mercato finanziario la presente ricerca si è proposta una valutazione dell’attività bancaria tradizionale, facendo un’analisi della relativa fiscalità. In particolare si è cercato di evidenziare il momento in cui la banca è diventata un’azienda molto più complessa e moderna di quella che era originariamente. Tale cambiamento ha così richiesto un corrispondente sviluppo della tecnica giuridica tributaria di riferimento. Si sono altresì analizzate le fasi della implementazione e dello sviluppo nell’ordinamento tributario italiano ed europeo (analizzando così le difficoltà di adattamento per i modelli di Civil Law e Common Law) dell'armonizzazione giuridico/contabile europea e dell’adozione dei principi IAS/IFRS. A tal fine si sono ripercorse le fasi anteriori all’adozione dei menzionati principi e la loro evoluzione e, nel farlo, si sono fissati i punti ove sembra sia necessario un ripensamento da parte del legislatore comunitario. Il tutto è stato sviluppato senza trascurare la giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia europea, in modo tale da tentare di individuare le soluzioni alle nuove sfide che il diritto tributario comunitario si trova a fronteggiare.
Resumo:
Les théories du post-industrialisation utilisent comme une preuve empirique du changement du processus historique l’entrée dans une nouvelle structure sociale que, par ailleurs, se distingue par le déplacement des biens et des services et par la formation de nouvelles structures professionnelles et de la gestion. Dans ce contexte, en premier lieu, c’est très intéressant à comprendre comme les nouvelles formes de l’organisation économique et sociale ont reussies à influer sur les systèmes de la fiscalité directe de l’État italien et de l’État français à la formation et au perfectionnement de la notion de revenu du travail indépendant et aussi à la formation et au perfectionnement des modèles de la taxation directe des revenus du travail indépendant. Par conséquent, la recherche, dans le principe, se concentre sur le processus de la construction et de l’évolution de la notion de revenu du travail indépendant et aussi de la construction et de l’évolution des formes nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant; un processus dévelopé au cours de l’Époque Moderne et de l’Époque Contemporaine que, du point de vue historique-fiscale, s’encadre comme l’époque des grands changements en ce qui concerne aussi à la fiscalité directe des revenus de la richesse mobilière. En second lieu, c’est très important à préciser si existe la possibilité de reconstruire les notions actuelles des revenus du travail indépendant en vue de l’aproximation des modalitès de la taxation directe de cette catégorie de revenus de la richesse mobilière avec les modalitès de la taxation directe des revenus de l’entreprise adoptées dans les systèmes italien et français de la fiscalitè directe; par conséquent, la recherche s’oriente vers la déscrition et l’analyse des questions en ce qui concerne à la définition fiscale objective et subjective des revenus du travail indépendant, à la direction vers laquelle on doit s’adresser actuellement les modèles nationaux de la taxation directe des revenus du travail indépendant et les raisons que la justifient. En autre, la recherche s’étendre vers une analyse comparative laquelle évidence les éléments de la convergence et de la divergence nécessaires pour tirer avec exactitude des conclusions sur l’approximation au niveau national et européen des notions des revenus du travail indépendant et des principes et modalités de la taxation directe des revenus du travail indépendant à fin de garantir les libertés de l’établissement et de la prestation des services et les principes de non-dicrimination et de la non-différenciation fiscale des travailleurs indépendants transfrontières dans le marché intérieur. En troisième lieu, c’est très intéressant à préciser avec cette recherche si dans le cadre conventionnel et européen existe une notion de revenu du travail indépendant ou non et si existe un modèle européen unifié ou, au contraire, il s’agit d’une approximation des modèles nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant. Par conséquent, un’autre argument de la recherce est l’analyse de la normative conventionnelle et de la législation européenne et aussi de la jurisprudence de la Cour de la Justice de l’Union Européenne relatives à la construction d’une notion conventionnelle et aussi européenne du travail indépendant au matiere de la fiscalité directe et l’incidence de principes conventionnels et aussi de libertés européenne de l’établissement et de la prestation des services à la taxation directe des revenus des travailleurs indépendants par rapport aux principes de non-discrimination et de la non-différenciation fiscale; une analyse laquelle évidence l’absence d’un modèle conventionnel et d’un modèle européen harmonisé relativement à la taxation directe des revenus du travail indépendant à raison de la prévalence du principe de la souveranité fiscale au domaine de la fiscalitè directe et pour cette raison en peut parler seulement d’une approximation des modèles nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant à fin de garantir les libertés européenne de l’établissement et de la prestation des services des travailleurs indépendants et les principes conventionnels de non-discrimination et de la non-différenciation fiscale. À la fin, c’est très intéressant à préciser si existe une corrélation entre les Traités fiscales et le Droit fiscal européen en ce qui concerne à la notion de revenus du travail indépendant et les principes fiscales. Par conséquent, la recherche se compléte avec l’analyse du régime fiscale des revenus du travail indépendant évidencé dans le Modèle de la Convention de l’OCDE et dans la Convention Italie-France concernant à l’élimination de la double imposition; une analyse laquelle, en analogie avec le droit fiscal européen, précise l’approximation des revenus du travail indépendant avec les revenus de l’entreprise en se référant le Modèle de la Convention de l’OCDE et l’absence d’un modèle conventionel de la taxation directe des revenus du travail indépendant, mais, à différence du droit fiscal européen, évidence la présence des certains critéres adoptés par la normative conventionnelle à fin de garantir l’arrêt de la double imposition et le principe de la non-discrimination que, en substance, sont points de convérgence avec le droit fiscal européen. En autre, l’analyse de la normative conventionnelle de l’OCDE, à différence de la normative conventionnelle relative à la Convention de l’élimination de la double imposition finalisée par l’Italie et la France, évidence une évolution de la fiscalitè directe en ce qui concerne aux travailleurs indépendants laquelle se vérifie à l’adoption des critéres de la fiscalitè directe des revenus des sociétés et de la quelle en se dérive l’approximation de la notion des revenus du travail indépendant avec la notion des revenus de l’entreprise, en substance, revenus provenant par les activités économiques. Compte tenu de ce qui précède, c’est clair la convérgence parmis les législations nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant et la normative conventionnelle du Modèle de la Convention de l’OCDE et la normative europénne; une convérgence que confirme la nouvelle diréction vers la quelle s’adressent les notions et les modèles de la taxation directe des revenus du travail indépendant dans les systèmes nationals de la taxation directe: l’approximation avec les modèles nationales de la taxation directe des revenus des sociétés en vue de l’approximation des notions des revenus dérives par les activités économiques.
Resumo:
Lo studio delle Zone Franche Urbane all’interno del Diritto tributario europeo non ha potuto prescindere da una introduttiva delimitazione del lavoro, capace di distinguere le diverse tipologie di zone franche esistenti nei Paesi intra/extra Ue. Attraversando i casi-studio di Madeira, delle Azzorre, fino alla istituenda Zona Franca di Bruxelles, Zone d’Economie Urbaine stimulée (ZEUS), si è giunti alla constatazione dell’assenza di una definizione di Zona Franca Urbana: analizzando le esperienze normative vissute in Francia e in Italia, si è potuto tratteggiare il profilo territoriale, soggettivo e oggettivo del sistema agevolativo rivolto al recupero delle aree urbane degradate. La funzione strumentale della fiscalità, esplicitata per mezzo delle ZFU, ha condotto ad una verifica di diritto interno per controllare la legittimità delle scelte nazionali in ragione dei principi costituzionali nazionali, come anche una di diritto europeo per evitare che le scelte nazionali, anche se legittime sul piano interno, possano per gli stessi effetti incentivanti alle attività d'impresa presentarsi come una forma territoriale di aiuti di Stato fiscali. Evidenziando il rapporto tra le ZFU e il Mercato europeo si è voluto, da un lato, effettuare una ricostruzione sistemica necessaria per un’interpretazione delle ZFU che metta in luce le componenti di tale strumento orientate al perseguimento di un interesse socioeconomico, che in prima battuta generi una contraddizione, una deroga ai principi costituzionali e comunitari, per poi “sciogliersi” in una coerente applicazione degli stessi; dall’altro, tentare di elevare le ZFU a misura sistemica dell’Ordinamento europeo. Si è svolto, infine, un ragionamento in termini di federalismo fiscale con riferimento alle ZFU, trovando una adeguata collocazione nel percorso di devoluzione intrapreso dal legislatore nazionale, avendo quali interlocutori privilegiati le Regioni a Statuto Speciale.
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Les informations relatives aux cryptomonnaies sont susceptibles de changer à l'avenir tant cette matière est nouvelle et encore peu ancrée dans le droit. Ce mémoire est une réflexion sur l'essor du Bitcoin et des cryptomonnaies à leurs débuts, alors même que le droit cherche à s'accaparer ces nouvelles technologies, à les intégrer dans son système préexistant.
Resumo:
Les informations relatives aux cryptomonnaies sont susceptibles de changer à l'avenir tant cette matière est nouvelle et encore peu ancrée dans le droit. Ce mémoire est une réflexion sur l'essor du Bitcoin et des cryptomonnaies à leurs débuts, alors même que le droit cherche à s'accaparer ces nouvelles technologies, à les intégrer dans son système préexistant.
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Cette thèse se compose de trois articles sur les politiques budgétaires et monétaires optimales. Dans le premier article, J'étudie la détermination conjointe de la politique budgétaire et monétaire optimale dans un cadre néo-keynésien avec les marchés du travail frictionnels, de la monnaie et avec distortion des taux d'imposition du revenu du travail. Dans le premier article, je trouve que lorsque le pouvoir de négociation des travailleurs est faible, la politique Ramsey-optimale appelle à un taux optimal d'inflation annuel significativement plus élevé, au-delà de 9.5%, qui est aussi très volatile, au-delà de 7.4%. Le gouvernement Ramsey utilise l'inflation pour induire des fluctuations efficaces dans les marchés du travail, malgré le fait que l'évolution des prix est coûteuse et malgré la présence de la fiscalité du travail variant dans le temps. Les résultats quantitatifs montrent clairement que le planificateur s'appuie plus fortement sur l'inflation, pas sur l'impôts, pour lisser les distorsions dans l'économie au cours du cycle économique. En effet, il ya un compromis tout à fait clair entre le taux optimal de l'inflation et sa volatilité et le taux d'impôt sur le revenu optimal et sa variabilité. Le plus faible est le degré de rigidité des prix, le plus élevé sont le taux d'inflation optimal et la volatilité de l'inflation et le plus faible sont le taux d'impôt optimal sur le revenu et la volatilité de l'impôt sur le revenu. Pour dix fois plus petit degré de rigidité des prix, le taux d'inflation optimal et sa volatilité augmentent remarquablement, plus de 58% et 10%, respectivement, et le taux d'impôt optimal sur le revenu et sa volatilité déclinent de façon spectaculaire. Ces résultats sont d'une grande importance étant donné que dans les modèles frictionnels du marché du travail sans politique budgétaire et monnaie, ou dans les Nouveaux cadres keynésien même avec un riche éventail de rigidités réelles et nominales et un minuscule degré de rigidité des prix, la stabilité des prix semble être l'objectif central de la politique monétaire optimale. En l'absence de politique budgétaire et la demande de monnaie, le taux d'inflation optimal tombe très proche de zéro, avec une volatilité environ 97 pour cent moins, compatible avec la littérature. Dans le deuxième article, je montre comment les résultats quantitatifs impliquent que le pouvoir de négociation des travailleurs et les coûts de l'aide sociale de règles monétaires sont liées négativement. Autrement dit, le plus faible est le pouvoir de négociation des travailleurs, le plus grand sont les coûts sociaux des règles de politique monétaire. Toutefois, dans un contraste saisissant par rapport à la littérature, les règles qui régissent à la production et à l'étroitesse du marché du travail entraînent des coûts de bien-être considérablement plus faible que la règle de ciblage de l'inflation. C'est en particulier le cas pour la règle qui répond à l'étroitesse du marché du travail. Les coûts de l'aide sociale aussi baisse remarquablement en augmentant la taille du coefficient de production dans les règles monétaires. Mes résultats indiquent qu'en augmentant le pouvoir de négociation du travailleur au niveau Hosios ou plus, les coûts de l'aide sociale des trois règles monétaires diminuent significativement et la réponse à la production ou à la étroitesse du marché du travail n'entraîne plus une baisse des coûts de bien-être moindre que la règle de ciblage de l'inflation, qui est en ligne avec la littérature existante. Dans le troisième article, je montre d'abord que la règle Friedman dans un modèle monétaire avec une contrainte de type cash-in-advance pour les entreprises n’est pas optimale lorsque le gouvernement pour financer ses dépenses a accès à des taxes à distorsion sur la consommation. Je soutiens donc que, la règle Friedman en présence de ces taxes à distorsion est optimale si nous supposons un modèle avec travaie raw-efficace où seule le travaie raw est soumis à la contrainte de type cash-in-advance et la fonction d'utilité est homothétique dans deux types de main-d'oeuvre et séparable dans la consommation. Lorsque la fonction de production présente des rendements constants à l'échelle, contrairement au modèle des produits de trésorerie de crédit que les prix de ces deux produits sont les mêmes, la règle Friedman est optimal même lorsque les taux de salaire sont différents. Si la fonction de production des rendements d'échelle croissant ou decroissant, pour avoir l'optimalité de la règle Friedman, les taux de salaire doivent être égales.
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Cette thèse examine l’investissement en capital humain au Canada en s’intéressant à la contribution de l’aide financière aux études, aux effets de la fiscalité, à la rentabilité de l’investissement en éducation postsécondaire et à la redistribution des revenus. Elle est subdivisée en cinq chapitres. Le premier chapitre présente une révue chronologique des études microéconomiques sur l’investissement en capital humain. Il présente également une synthèse des études canadiennes sur l’investissement en capital humain en insistant sur les limites portant essentiellement sur la non prise en compte de l’hétérogénéité des systèmes de prêts et bourses et des systèmes fiscaux à travers les provinces canadiennes et la faible analyse de la répartition des coûts et bénéfices de l’investissement en éducation au Canada. Le second chapitre présente la méthodologie de mesure des rendements de l’éducation et des gains issus des investissements en éducation. Il décrit les données utilisées et les résultats des régressions économetriques. Finalement, le chapitre présente SIMAID, un calculateur d’aide financière aux études élaboré pour les objectifs dans cette thèse et qui permet d’estimer le montant de l’aide financière devant être attribuée à chaque étudiant en fonction de ses caractéristiques personnelles et de celles de sa famille. Dans sa première section, le troisième chapitre présente les rendements sociaux, privés et publics de l’éducation et montre que les rendements de l’éducation varient selon les provinces, les filières de formation, le genre et les cohortes d’année de naissance et décroient avec le niveau d’éducation. Dans sa seconde section, le chapitre montre que l’aide financière aux études accroît le rendement des études du baccalauréat de 24.3% et 9.5% respectivement au Québec et en Ontario. Finalement, le chapitre indique qu’un changement du système d’aide financière aux études de Québec par celui de l’Ontario entraîne une baisse de 11.9% du rendement des études au baccalauréat alors qu’un changement du système fiscal québécois par celui ontarien entraine une hausse du rendement du baccalauréat de 4.5%. L’effet combiné du changement des systèmes d’aide financière et fiscal est une baisse du rendement du baccalauréat de 7.4%. Le quatrième chapitre fournit une décomposition comptable détaillée des gains sociaux, privés et publics des investissements en éducation. Le gain social de l’investissement au baccalauréat est de $738 384 au Québec et de $685 437 en Ontario. Ce gain varie selon les filières de formation avec un niveau minimal pour les études humanitaires et un niveau maximal pour les études en ingénierie. Le chapitre montre également que la répartition des bénéfices et des coûts de l’investissement en éducation entre les individus et le gouvernement est plus équitable en Ontario qu’à Québec. En effet, un individu qui investit à Québec supporte 51.6% du coût total et engrange 64.8% des gains alors que le même individu supporterait 62.9% des coûts sociaux et engrangerait 62.2% des gains en Ontario. Finalement, le cinquième chapitre présente et analyse les effets rédistributifs des transferts et des taxes suite à un investissement en éducation. Il examine aussi si l’aide financière aux études est effectivement allouée aux personnes les plus pauvres. L’argument selon lequel l’aide financière est destinée aux plus pauvres est rejeté en analysant la distribution du revenu permanent. En effet, il ressort que 79% des personnes bénéficiant de l’aide financière aux études se trouvent dans le cinquième quintile de la distribution des revenus permanents. Le chapitre montre également que l’investissement en éducation impacte positivement les effets rédistributifs en 2006, 2001 et 1996 et négativement en 1991 et 2011. L’impact est également perceptible sur les composantes de l’effet rédistributif. Toutefois, la sensibilité de l’impact au taux d’actualisation dépend de l’indice utilisé dans l’analyse.
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Cette thèse se compose de trois articles sur les politiques budgétaires et monétaires optimales. Dans le premier article, J'étudie la détermination conjointe de la politique budgétaire et monétaire optimale dans un cadre néo-keynésien avec les marchés du travail frictionnels, de la monnaie et avec distortion des taux d'imposition du revenu du travail. Dans le premier article, je trouve que lorsque le pouvoir de négociation des travailleurs est faible, la politique Ramsey-optimale appelle à un taux optimal d'inflation annuel significativement plus élevé, au-delà de 9.5%, qui est aussi très volatile, au-delà de 7.4%. Le gouvernement Ramsey utilise l'inflation pour induire des fluctuations efficaces dans les marchés du travail, malgré le fait que l'évolution des prix est coûteuse et malgré la présence de la fiscalité du travail variant dans le temps. Les résultats quantitatifs montrent clairement que le planificateur s'appuie plus fortement sur l'inflation, pas sur l'impôts, pour lisser les distorsions dans l'économie au cours du cycle économique. En effet, il ya un compromis tout à fait clair entre le taux optimal de l'inflation et sa volatilité et le taux d'impôt sur le revenu optimal et sa variabilité. Le plus faible est le degré de rigidité des prix, le plus élevé sont le taux d'inflation optimal et la volatilité de l'inflation et le plus faible sont le taux d'impôt optimal sur le revenu et la volatilité de l'impôt sur le revenu. Pour dix fois plus petit degré de rigidité des prix, le taux d'inflation optimal et sa volatilité augmentent remarquablement, plus de 58% et 10%, respectivement, et le taux d'impôt optimal sur le revenu et sa volatilité déclinent de façon spectaculaire. Ces résultats sont d'une grande importance étant donné que dans les modèles frictionnels du marché du travail sans politique budgétaire et monnaie, ou dans les Nouveaux cadres keynésien même avec un riche éventail de rigidités réelles et nominales et un minuscule degré de rigidité des prix, la stabilité des prix semble être l'objectif central de la politique monétaire optimale. En l'absence de politique budgétaire et la demande de monnaie, le taux d'inflation optimal tombe très proche de zéro, avec une volatilité environ 97 pour cent moins, compatible avec la littérature. Dans le deuxième article, je montre comment les résultats quantitatifs impliquent que le pouvoir de négociation des travailleurs et les coûts de l'aide sociale de règles monétaires sont liées négativement. Autrement dit, le plus faible est le pouvoir de négociation des travailleurs, le plus grand sont les coûts sociaux des règles de politique monétaire. Toutefois, dans un contraste saisissant par rapport à la littérature, les règles qui régissent à la production et à l'étroitesse du marché du travail entraînent des coûts de bien-être considérablement plus faible que la règle de ciblage de l'inflation. C'est en particulier le cas pour la règle qui répond à l'étroitesse du marché du travail. Les coûts de l'aide sociale aussi baisse remarquablement en augmentant la taille du coefficient de production dans les règles monétaires. Mes résultats indiquent qu'en augmentant le pouvoir de négociation du travailleur au niveau Hosios ou plus, les coûts de l'aide sociale des trois règles monétaires diminuent significativement et la réponse à la production ou à la étroitesse du marché du travail n'entraîne plus une baisse des coûts de bien-être moindre que la règle de ciblage de l'inflation, qui est en ligne avec la littérature existante. Dans le troisième article, je montre d'abord que la règle Friedman dans un modèle monétaire avec une contrainte de type cash-in-advance pour les entreprises n’est pas optimale lorsque le gouvernement pour financer ses dépenses a accès à des taxes à distorsion sur la consommation. Je soutiens donc que, la règle Friedman en présence de ces taxes à distorsion est optimale si nous supposons un modèle avec travaie raw-efficace où seule le travaie raw est soumis à la contrainte de type cash-in-advance et la fonction d'utilité est homothétique dans deux types de main-d'oeuvre et séparable dans la consommation. Lorsque la fonction de production présente des rendements constants à l'échelle, contrairement au modèle des produits de trésorerie de crédit que les prix de ces deux produits sont les mêmes, la règle Friedman est optimal même lorsque les taux de salaire sont différents. Si la fonction de production des rendements d'échelle croissant ou decroissant, pour avoir l'optimalité de la règle Friedman, les taux de salaire doivent être égales.
Resumo:
info:eu-repo/semantics/published
Resumo:
Tese (doutorado)—Universidade de Brasília, Centro de Desenvolvimento Sustentável, 2013.
Resumo:
Le financement des municipalités québécoises repose en majeure partie sur des revenus autonomes, dont la principale source découle de leur pouvoir de taxer la richesse foncière. Par conséquent, le législateur, voulant assurer la stabilité financière des municipalités, a strictement encadré le processus de confection et de révision des évaluations foncières par plusieurs lois et règlements. Ceci n’a tout de même pas empêché l’augmentation des demandes de contestations à chaque nouveau rôle. Débutant par une demande de révision administrative, à l’aide d’un simple formulaire, le litige entre la municipalité et le contribuable peut se poursuivre devant le Tribunal administratif du Québec et même la Cour du Québec, la Cour supérieure et la Cour d’appel, où la procédure devient de plus en plus exigeante. La transition du processus administratif à judiciaire crée parfois une certaine friction au sein de la jurisprudence, notamment au niveau de la déférence à accorder à l’instance spécialisée, ou encore à l’égard de la souplesse des règles de preuve applicables devant cette dernière. Par une étude positiviste du droit, nous analysons tout d’abord la procédure de confection du rôle foncier, en exposant les acteurs et leurs responsabilités, ainsi que les concepts fondamentaux dans l’établissement de la valeur réelle des immeubles. Ensuite, nous retraçons chacune des étapes de la contestation d’une inscription au rôle, en y recensant les diverses règles de compétence, de preuve et de procédure applicables à chaque instance. À l’aide de nombreux exemples jurisprudentiels, nous tentons de mettre en lumière les différentes interprétations que font les tribunaux de la Loi sur la fiscalité municipale et autres législations connexes.