998 resultados para archeologia, industriale, ex, officine, reggiane


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Abbiamo deciso di sviluppare il progetto di architettura e museografia a Verucchio con due interventi principali: uno a Pian del Monte, l'altro nei pressi dell'ex convento di Santa Chiara.

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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Del granulato di ossido di stronzio (anche nella formula carbonato) è stato testato come nuovo possibile materiale di utilizzo per la cattura ad alta temperatura di diossido di carbonio da effluenti gassosi di scarto. Sono stati condotti diversi esperimenti con strumentazioni già preposte, quali test termogravimetrici, microscopia elettronica (SEM) e Xray (XRD). Mentre per la sperimentazione in quantità più rilevanti di materiale è stato costruito un impianto a letto fisso ex novo. Le prove TG hanno evidenziato una capacità media di sorbente parti a circa il 5% in massa di ossido, a temperature tra i 1100°C e i 1200°C, in situazione di regime (dopo numerosi cicli di carb/calc), con una buona conservazione nel tempo delle proprietà adsorbitive, mentre per le prove a letto fisso, si è registrato un calo di valori variabile tra il 3 e il 4%, con un netto miglioramento nel caso di calcinazione in vapore surriscaldato fino al 5%. Il trattamento in vapore ha sortito l’importante effetto di calcinazione del diossido di carbonio dal sorbente, quindi facilmente separabile dal flusso in uscita, misurato tramite cattura in una soluzione di idrossido di bario. Importanti fenomeni di sintering e densificazione hanno portato ad occludere completamente la camera di reazione sviluppando notevoli sovrappressioni interne. Tali fenomeni sono stati approfonditi tramite analisi SEM e XRD. Si è constatato un aumento notevole della grandezza dei granuli in caso di trattamento in vapore con la formazione di legami stabili e con conservazione della porosità. Nel caso di trattamento senza vapore surriscaldato i granuli hanno sinterizzato tramite formazione di legami, ma sempre con conservazione della macroporosità. Il lavoro di tesi è stato inquadrato nel contesto tecnologico al riguardo le tecniche CCS esistenti ed in progetto, con un attento studio bibliografico riguardo lo stato dell’arte, impianti esistenti, costi, metodi di cattura usati, metodologie di trasporto dei gas, metodologie di stoccaggio esistenti e in progetto. Si sono considerati alcuni aspetti economici per sviluppare un modello previsionale di spesa per una possibile applicazione di cattura per un impianto di produzione energetica. Con la progettazione e dimensionamento di un sistema integrato di adsorbimento tramite l’accoppiamento di 2 reattori dedicati ai cicli di carbonatazione e calcinazione del materiale sorbente. Infine si sono considerati gli aspetti salienti dello stoccaggio del diossido di carbonio in reservoir tramite le tecniche di EOR e EGR (Enhanced Oil/Gas Recovery) utilizzando la stessa CO2 come fluido spiazzante degli idrocarburi in posto. Concludendo il lavoro di tesi e di sperimentazione ha contribuito in modo tangibile allo scopo prefissato, andando a caratterizzare un nuovo materiale per la cattura di diossido di carbonio da effluenti gassosi ad alta temperatura, ed andando a verificare un’importante fenomeno rigenerativo non previsto delle capacità sorbitive dei materiali sottoposti a test.

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It has previously been found that complexes comprised of vitronectin and growth factors (VN:GF) enhance keratinocyte protein synthesis and migration. More specifically, these complexes have been shown to significantly enhance the migration of dermal keratinocytes derived from human skin. In view of this, it was thought that these complexes may hold potential as a novel therapy for healing chronic wounds. However, there was no evidence indicating that the VN:GF complexes would retain their effect on keratinocytes in the presence of chronic wound fluid. The studies in this thesis demonstrate for the first time that the VN:GF complexes not only stimulate proliferation and migration of keratinocytes, but also these effects are maintained in the presence of chronic wound fluid in a 2-dimensional (2-D) cell culture model. Whilst the 2-D culture system provided insights into how the cells might respond to the VN:GF complexes, this investigative approach is not ideal as skin is a 3-dimensional (3-D) tissue. In view of this, a 3-D human skin equivalent (HSE) model, which reflects more closely the in vivo environment, was used to test the VN:GF complexes on epidermopoiesis. These studies revealed that the VN:GF complexes enable keratinocytes to migrate, proliferate and differentiate on a de-epidermalised dermis (DED), ultimately forming a fully stratified epidermis. In addition, fibroblasts were seeded on DED and shown to migrate into the DED in the presence of the VN:GF complexes and hyaluronic acid, another important biological factor in the wound healing cascade. This HSE model was then further developed to enable studies examining the potential of the VN:GF complexes in epidermal wound healing. Specifically, a reproducible partial-thickness HSE wound model was created in fully-defined media and monitored as it healed. In this situation, the VN:GF complexes were shown to significantly enhance keratinocyte migration and proliferation, as well as differentiation. This model was also subsequently utilized to assess the wound healing potential of a synthetic fibrin-like gel that had previously been demonstrated to bind growth factors. Of note, keratinocyte re-epitheliasation was shown to be markedly improved in the presence of this 3-D matrix, highlighting its future potential for use as a delivery vehicle for the VN:GF complexes. Furthermore, this synthetic fibrin-like gel was injected into a 4 mm diameter full-thickness wound created in the HSE, both keratinocytes and fibroblasts were shown to migrate into this gel, as revealed by immunofluorescence. Interestingly, keratinocyte migration into this matrix was found to be dependent upon the presence of the fibroblasts. Taken together, these data indicate that reproducible wounds, as created in the HSEs, provide a relevant ex vivo tool to assess potential wound healing therapies. Moreover, the models will decrease our reliance on animals for scientific experimentation. Additionally, it is clear that these models will significantly assist in the development of novel treatments, such as the VN:GF complexes and the synthetic fibrin-like gel described herein, ultimately facilitating their clinical trial in the treatment of chronic wounds.

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In the past decade, scholars have proposed a range of terms to describe the relationship between practice and research in the creative arts, including increasingly nuanced definitions of practice-based research, practice-led research and practice-as-research. In this paper, I consider the efficacy of creative practice as method. I use the example of The Ex/Centric Fixations Project – a project in which I have embedded creative practice in a research project, rather than embedding research in a creative project. The Ex/Centric Fixations project investigates the way spectators interpret human experiences – especially human experiences of difference, marginalisation or discrimination – depicted onstage. In particular, it investigates the way postmodern performance writing strategies, and the presence of performing bodied to which the experience depicted can be attached, impacts on interpretations. It is part of a broader research project which examines the performativity of spectatorship, and intervenes in emergent debates about performance, ethics and spectatorship in the context of debate about whether live performance is a privileged site for the emergence of an ethical face-to-face encounter with the Other. Using the metaphor of the Mobius strip, I examines the way practice – as a method, rather than an output – has informed, influenced and problematised the broader research project.

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A new accelerometer, the Kenz Lifecorder EX (LC; Suzuken Co. Ltd, Nagoya, Japan), offers promise as a feasible monitor alternative to the commonly used Actigraph (AG: Actigraph LLC, Fort Walton Beach, FL). Purpose: This study compared the LC and AG accelerometers and the Yamax SW-200 pedometer (DW) under free-living conditions with regard to children's steps taken and time in light-intensity physical activity (PA) and moderate to vigorous PA (MVPA). Methods: Participants (N = 31, age = 10.2 ± 0.4 yr) wore LC, AG, and DW monitors from arrival at school (7:45 a.m.) until they went to bed. Time in light and MVPA intensities were calculated using two separate intensity classifications for the LC (LC_4 and LC_5) and four classifications for the AG (AG_Treuth, AG_Puyau, AG_Trost, and AG_Freedson). Both accelerometers provided steps as outputs. DW steps were self-recorded. Repeated-measures ANOVA was used to assess overlapping monitor outputs. Results: There was no difference between DW and LC steps (Δ = 200 steps), but a nonsignificant trend was observed in the pairwise comparison between DW and AG steps (Δ = 1001 steps, P = 0.058). AG detected significantly greater steps than the LC (Δ = 801 steps, P = 0.001). Estimates of light-intensity activity minutes ranged from a low of 75.6 ± 18.4 min (LC_4) to a high of 309 ± 69.2 min (AG_Treuth). Estimates of MVPA minutes ranged from a low of 25.9 ± 9.4 min (LC_5) to a high of 112.2 ± 34.5 min (AG_Freedson). No significant differences in MVPA were seen between LC_5 and AG_Treuth (Δ = 4.9 min) or AG_Puyau (Δ = 1.7 min). Conclusion: The LC detected a comparable number of steps as the DW but significantly fewer steps than the AG in children. Current results indicate that the LC_5 and either AG_Treuth or AG_Puyau intensity derivations provide similar mean estimates of time in MVPA during-free living activity in 10-yr-old children.

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Haematopoiesis is the process by which a hierarchy of mature and progenitor blood cells are formed. These cell populations are all derived from multipotent haematopoietic stem cells (HSC), which reside in the bone marrow ‘niche’ of adult humans. Over the lifetime of a healthy individual, this HSC population replenishes between 1010-1011 blood cells on a daily basis. Dysregulation of this system can lead to a number of haematopoietic diseases, including aplastic anaemias and leukaemias, which result in, or require for disease resolution, bone marrow cell depletion. In 1956, E. Donnall Thomas demonstrated that haematopoiesis could be restored by transplanting bone marrow-derived cells from one man into his identical twin brother, who was suffering from advanced leukaemia. His success drew significant interest in academic research and medicine communities, and 12 years later, the first successful allogeneic transplant was performed. To this day, HSCs remain the most studied and characterised stem cell population. In fact, HSCs are the only stem cell population routinely utilised in the clinic. As such, HSCs function as a model system both for the biological investigation of stem cells, as well as for their clinical application. Herein, we briefly review HSC transplantation, strategies for the ex vivo cultivation of HSCs, recent clinical outcomes, and their impact on the future direction of HSC transplantation therapy.

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The emergence of highly chloroquine (CQ) resistant P. vivax in Southeast Asia has created an urgent need for an improved understanding of the mechanisms of drug resistance in these parasites, the development of robust tools for defining the spread of resistance, and the discovery of new antimalarial agents. The ex vivo Schizont Maturation Test (SMT), originally developed for the study of P. falciparum, has been modified for P. vivax. We retrospectively analysed the results from 760 parasite isolates assessed by the modified SMT to investigate the relationship between parasite growth dynamics and parasite susceptibility to antimalarial drugs. Previous observations of the stage-specific activity of CQ against P. vivax were confirmed, and shown to have profound consequences for interpretation of the assay. Using a nonlinear model we show increased duration of the assay and a higher proportion of ring stages in the initial blood sample were associated with decreased effective concentration (EC50) values of CQ, and identify a threshold where these associations no longer hold. Thus, starting composition of parasites in the SMT and duration of the assay can have a profound effect on the calculated EC50 for CQ. Our findings indicate that EC50 values from assays with a duration less than 34 hours do not truly reflect the sensitivity of the parasite to CQ, nor an assay where the proportion of ring stage parasites at the start of the assay does not exceed 66%. Application of this threshold modelling approach suggests that similar issues may occur for susceptibility testing of amodiaquine and mefloquine. The statistical methodology which has been developed also provides a novel means of detecting stage-specific drug activity for new antimalarials.

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The decision of Applegarth J in Heartwood Architectural & Joinery Pty Ltd v Redchip Lawyers [2009] QSC 195 (27 July 2009) involved a costs order against solicitors personally. This decision is but one of several recent decisions in which the court has been persuaded that the circumstances justified costs orders against legal practitioners on the indemnity basis. These decisions serve as a reminder to practitioners of their disclosure obligations when seeking any interlocutory relief in an ex parte application. These obligations are now clearly set out in r 14.4 of the Legal Profession (Solicitors) Rule 2007 and r 25 of 2007 Barristers Rule. Inexperience or ignorance will not excuse breaches of the duties owed to the court.

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In this paper, we provide an account-centric analysis of the tweeting activity of, and public response to, Pope Benedict XVI via the @pontifex Twitter account(s). We focus our investigation on the particular phase around Pope Benedict XVI’s resignation to generate insights into the use of Twitter in response to a celebrity crisis event. Through a combined qualitative and quantitative methodological approach we generate an overview of the follower-base and tweeting activity of the @pontifex account. We identify a very one-directional communication pattern (many @mentions by followers yet zero @replies from the papal account itself), which prompts us to enquire further into what the public resonance of the @pontifex account is. We also examine reactions to the resurrection of the papal Twitter account by Pope Benedict XVI’s successor. In this way, we provide a comprehensive analysis of the public response to the immediate events around the crisis event of Pope Benedict XVI’s resignation and its aftermath via the network of users involved in the @pontifex account.

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Limbal stem cell deficiency leads to conjunctivalisation of the cornea and subsequent loss of vision. The recent development of transplantation of ex-vivo amplified corneal epithelium, derived from limbal stem cells, has shown promise in treating this challenging condition. The purpose of this research was to compare a variety of cell sheet carriers for their suitability in creating a confluent corneal epithelium from amplified limbal stem cells. Cadaveric donor limbal cells were cultured using an explant technique, free of 3T3 feeder cells, on a variety of cell sheet carriers, including denuded amniotic membrane, Matrigel, Myogel and stromal extract. Comparisons in rate of growth and degree of differentiation were made, using immunocytochemistry (CK3, CK19 and ABCG2). The most rapid growth was observed on Myogel and denuded amniotic membrane, these two cell carriers also provided the most reliable substrata for achieving confluence. The putative limbal stem cell marker, ABCG2, stained positively on cells grown over Myogel and Matrigel but not for those propagated on denuded amniotic membrane. In the clinical setting amniotic membrane has been demonstrated to provide a suitable carrier for limbal stem cells and the resultant epithelium has been shown to be successful in treating limbal stem cell deficiency. Myogel may provide an alternative cell carrier with a further reduction in risk as it is has the potential to be derived from an autologous muscle biopsy in the clinical setting.