965 resultados para THURINGIENSIS SUBSP ISRAELENSIS
Resumo:
Da 25 anni la letteratura scientifica internazionale riporta studi su varie specie di microcrostacei copepodi ciclopoidi dei generi Macrocyclops, Megacyclops e Mesocyclops predatori di larve di 1a e 2a età di culicidi. Si tratta di prove di predazione in laboratorio e in pieno campo, in diverse aree del pianeta nessuna delle quali riguarda l’Italia o il resto d’Europa, contro principalmente Aedes aegypti (L.), Ae. albopictus (Skuse) e altre specie del genere Anopheles e Culex. L’allevamento massale di copepodi ciclopoidi appare praticabile e questo, assieme alle buone prestazioni predatorie, rende tali ausiliari candidati assai interessanti contro le due principali specie di zanzare, Culex pipiens L. e Ae. albpopictus, che nelle aree urbane e periurbane italiane riescono a sfruttare raccolte d’acqua artificiali di volume variabile e a regime idrico periodico o permanente. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di arrivare a selezionare una o più specie di copepodi candidati per la lotta biologica e valutarne la possibilità applicativa nell’ambito dei programmi di controllo delle zanzare nocive dell’ambiente urbano. L’argomento del tutto nuovo per il nostro paese, è stato sviluppato attraverso varie fasi ciascuna delle quali propedeutica a quella successiva. •Indagine faunistica nell’area di pianura e costiera sulle specie di ciclopoidi associate a varie tipologie di raccolte d’acqua naturali e artificiali (fossi, scoline, canali, risaie e pozze temporanee). I campionamenti sono stati condotti con l’obiettivo di ottenere le specie di maggiori dimensioni (≥1 mm) in ristagni con diverse caratteristiche in termini di qualità dell’acqua e complessità biocenotica. •Prove preliminari di predazione in laboratorio con alcune specie rinvenute negli ambienti campionati, nei confronti delle larve di Ae. albopictus e Cx. pipiens. Le prestazioni di predazione sono state testate sottoponendo ai copepodi larve giovani di zanzare provenienti da allevamento e calcolato il numero giornaliero di larve attaccate. •Implementazione di un allevamento pilota della specie valutata più interessante, Macrocyclops albidus (Jurine) (Cyclopoida, Cyclopidae, Eucyclopinae), per i risultati ottenuti in laboratorio in termini di numero di larve predate/giorno e per le caratteristiche biologiche confacenti agli ambienti potenzialmente adatti ai lanci. Questa parte della ricerca è stata guidata dalla finalità di mettere a punto una tecnica di allevamento in scala in modo da disporre di stock di copepodi dalla primavera, nonchè da criteri di economicità nell’impianto e nella sua gestione. •Prove di efficacia in condizioni di semicampo e di campo in raccolte d’acqua normalmente colonizzate dai culicidi in ambito urbano: bidoni per lo stoccaggio di acqua per l’irrigazione degli orti e tombini stradali. In questo caso l’obiettivo principale è stato quello di ottenere dati sull’efficienza del controllo di M. albidus nei confronti della popolazione culicidica selvatica e sulla capacità del copepode di colonizzare stabilmente tali tipologie di focolai larvali. Risultati e conclusioni Indagine faunistica e prove di predazione in laboratorio L’indagine faunistica condotta nell’area costiera ferrarese, in quella ravennate e della pianura bolognese ha portato al rinvenimento di varie specie di ciclopoidi mantenuti in laboratorio per la conduzione delle prove di predazione. Le specie testate sono state: Acanthocyclops robustus (G. O. Sars), Macrocyclops albidus (Jurine), Thermocyclops crassus (Fischer), Megacyclops gigas (Claus). La scelta delle specie da testare è stata basata sulla loro abbondanza e frequenza di ritrovamento nei campionamenti nonché sulle loro dimensioni. Ciascuna prova è stata condotta sottoponendo a un singolo copepode, oppure a gruppi di 3 e di 5 esemplari, 50 larve di 1a età all’interno di contenitori cilindrici in plastica con 40 ml di acqua di acquedotto declorata e una piccola quantità di cibo per le larve di zanzara. Ciascuna combinazione “copepode/i + larve di Ae. albopictus”, è stata replicata 3-4 volte, e confrontata con un testimone (50 larve di Ae. albopictus senza copepodi). A 24 e 48 ore sono state registrate le larve sopravvissute. Soltanto per M. albidus il test di predazione è stato condotto anche verso Cx. pipiens. Messa a punto della tecnica di allevamento La ricerca è proseguita concentrando l’interesse su M. albidus, che oltre ad aver mostrato la capacità di predare a 24 ore quasi 30 larve di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, dalla bibliografia risulta tollerare ampi valori di temperatura, di pH e alte concentrazioni di vari inquinanti. Dalla ricerca bibliografica è risultato che i ciclopoidi sono facilmente allevabili in contenitori di varia dimensione e foggia somministrando agli stadi di preadulto alghe unicellulari (Chlorella, Chilomonas), protozoi ciliati (Paramecium, Euplotes), rotiferi e cladoceri. Ciò presuppone colture e allevamenti in purezza di tali microrganismi mantenuti in parallelo, da utilizzare come inoculo e da aggiungere periodicamente nell’acqua di allevamento dei ciclopoidi. Nel caso di utilizzo di protozoi ciliati, occorre garantirne lo sviluppo che avviene a carico di flora batterica spontanea a sua volta cresciuta su di un substrato organico quale latte, cariossidi bollite di grano o soia, foglie di lattuga, paglia di riso bollita con cibo secco per pesci, lievito di birra. Per evitare il notevole impegno organizzativo e di manodopera nonché il rischio continuo di perdere la purezza della colonia degli organismi da utilizzare come cibo, le prove comparative di allevamento hanno portato ad un protocollo semplice ed sufficientemente efficiente in termini di copepodi ottenibili. Il sistema messo a punto si basa sull’utilizzo di una popolazione mista di ciliati e rotiferi, mantenuti nell'acqua di allevamento dei copepodi mediante la somministrazione periodica di cibo standard e pronto all’uso costituito da cibo secco per gatti. Prova di efficacia in bidoni da 220 l di capacità La predazione è stata studiata nel biennio 2007-2008 in bidoni da 220 l di capacità inoculati una sola volta in aprile 2007 con 100 e 500 esemplari di M. albidus/bidone e disposti all’aperto per la libera ovideposizione della popolazione culicidica selvatica. L’infestazione preimmaginale culicidica veniva campionata ogni due settimane fino ad ottobre, mediante un retino immanicato a maglia fitta e confrontata con quella dei bidoni testimone (senza copepodi). Nel 2007 il tasso di riduzione medio delle infestazioni di Ae. albopictus nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è del 99,90% e del 100,00% rispettivamente alle dosi iniziali di inoculo di 100 e 500 copepodi/bidone; per Cx. pipiens L. tale percentuale media è risultata di 88,69% e di 84,65%. Similmente, nel 2008 si è osservato ad entrambe le dosi iniziali di inoculo una riduzione di Ae. albopictus del 100,00% e di Cx. pipiens del 73,3%. La dose di inoculo di 100 copepodi per contenitore è risultata sufficiente a garantire un rapido incremento numerico della popolazione che ha raggiunto la massima densità in agosto-settembre e un eccellente controllo delle popolazioni di Ae. albopictus. Prova di efficacia in campo in serbatoi per l’acqua irrigua degli orti La prova è stata condotta a partire dalla metà di agosto 2008 interessando 15 serbatoi di varia foggia e capacità, variabile tra 200 e 600 l, utilizzati per stoccare acqua orti famigliari nel comune di Crevalcore (BO). Ai proprietari dei serbatoi era chiesto di gestire il prelievo dell’acqua e i rifornimenti come da abitudine con l’unica raccomandazione di non svuotarli mai completamente. In 8 contenitori sono stati immessi 100 esemplari di M.albidus e una compressa larvicida a base di Bacillus thuringiensis var. israelensis (B.t.i.); nei restanti 7 è stata soltanto immessa la compressa di B.t.i.. Il campionamento larvale è stato settimanale fino agli inizi di ottobre. Dopo l’introduzione in tutti i serbatoi sono stati ritrovati esemplari di copepodi, nonostante il volume di acqua misurato settimanalmente sia variato da pochi litri, in qualche bidone, fino a valori della massima capacità, per effetto del prelievo e dell’apporto dell’acqua da parte dei gestori degli orti. In post-trattamento sono state osservate differenze significative tra le densità larvali nelle due tesi solo al 22 settembre per Ae.albopictus Tuttavia in termini percentuali la riduzione media di larve di 3a-4a età e pupe nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è stata de 95,86% per Ae. albopictus e del 73,30% per Cx. pipiens. Prova di efficacia in tombini stradali Sono state condotte due prove in due differenti località, interessando 20 tombini (Marano di Castenaso in provincia di Bologna nel 2007) e 145 tombini (San Carlo in provincia di Ferrara nel 2008), quest’ultimi sottoposti a spurgo e pulizia completa nei precedenti 6 mesi l’inizio della prova. L’introduzione dei copepodi nei tombini è stata fatta all’inizio di luglio nella prova di Marano di Castenaso e alla fine di aprile e giugno in quelli di San Carlo, a dosi di 100 e 50 copepodi/tombino. Prima dell’introduzione dei copepodi e successivamente ogni 2 settimane per due mesi, in ogni tombino veniva campionata la presenza culicidica e dei copepodi con dipper immanicato. Nel 2007 dopo l’introduzione dei copepodi e per tutto il periodo di studio, mediamente soltanto nel 77% dei tombini i copepodi sono sopravvissuti. Nel periodo di prova le precipitazioni sono state scarse e la causa della rarefazione dei copepodi fino alla loro scomparsa in parte dei tombini è pertanto da ricercare non nell’eventuale dilavamento da parte della pioggia, quanto dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Tra queste innanzitutto la concentrazione di ossigeno che è sempre stata molto bassa (0÷1,03 mg/l) per tutta la durata del periodo di studio. Inoltre, a questo fattore probabilmente è da aggiungere l’accumulo, a concentrazioni tossiche per M. albidus, di composti organici e chimici dalla degradazione e fermentazione dell’abbondante materiale vegetale (soprattutto foglie) in condizioni di ipossia o anossia. Nel 2008, dopo il primo inoculo di M. albidus la percentuale di tombini che al campionamento presentano copepodi decresce in modo brusco fino a raggiungere il 6% a 2 mesi dall’introduzione dei copepodi. Dopo 40 giorni dalla seconda introduzione, la percentuale di tombini con copepodi è del 6,7%. Nell’esperienza 2008 è le intense precipitazioni hanno avuto probabilmente un ruolo determinante sul mantenimento dei copepodi nei tombini. Nel periodo della prova infatti le piogge sono state frequenti con rovesci in varie occasioni di forte intensità per un totale di 342 mm. Sotto questi livelli di pioggia i tombini sono stati sottoposti a un continuo e probabilmente completo dilavamento che potrebbe aver impedito la colonizzazione stabile dei copepodi. Tuttavia non si osservano influenze significative della pioggia nella riduzione percentuale dei tombini colonizzati da copepodi e ciò fa propendere all’ipotesi che assieme alla pioggia siano anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua a impedire una colonizzazione stabile da parte di M. albidus. In definitiva perciò si è dimostrato che i tombini stradali sono ambienti ostili per la sopravvivenza di M. albidus, anche se, dove il ciclopoide si è stabilito permanentemente, ha dimostrato un certo impatto nei confronti di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, che tuttavia è risultato non statisticamente significativo all’analisi della varianza. Nei confronti delle larve di Culex pipiens il copepode non permette livelli di controllo soddisfacente, confermando i dati bibliografici. Nei confronti invece di Ae. albopictus la predazione raggiunge buoni livelli; tuttavia ciò non è compensato dalla percentuale molto alta di tombini che, dopo periodi di pioggia copiosa o singoli episodi temporaleschi o per le condizioni di anossia rimangono senza i copepodi. Ciò costringerebbe a ripetute introduzioni di copepodi i cui costi attualmente non sono inferiori a quelli per trattamenti con prodotti larvicidi. In conclusione la ricerca ha portato a considerare Macrocyclops albidus un interessante ausiliario applicabile anche nelle realtà urbane del nostro paese nell’ambito di programmi integrati di contrasto alle infestazioni di Aedes albopictus. Tuttavia il suo utilizzo non si presta a tutti i focolai larvali ma soltanto a raccolte di acqua artificiali di un certo volume come i bidoni utilizzati per stoccare acqua da impiegare per l’orto e il giardino familiare nelle situazioni in cui non è garantita la copertura ermetica, lo svuotamento completo settimanale o l’utilizzo di sostanze ad azione larvozanzaricida.
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Verrallina funerea (Theobald) is a brackish water mosquito that is recognised as an important pest and vector in southeast Queensland, Australia. Immature development time and survival of Ve. funerea was defined in the laboratory in response to a range of temperatures (17-34 degrees C) and salinities (0-35 parts per thousand (p.p.t)). The expression of autogeny in this species was also assessed. Salinity only had a slight effect on mean development time from hatching to adult emergence (7.0-7.4 d at salinities of 0, 17.5 and 31.5 p.p.t) and survival was uniformly high (97.5-99.0%). Mean development times were shorter at 26, 29 and 32 degrees C (7.0, 6.8 and 6.8 d, respectively) and longest at 17 degrees C (12.2 d). The threshold temperature (t) was 5.8 degrees C and the thermal constant (K) was 142.9 degree-days above t. Survival to adulthood decreased from > 95% (at 17-29 degrees C) to 78% (at 32 degrees C) and 0% (at 34 degrees C). No expression of autogeny was observed. Immature development times of Ve. funerea, Ochlerotatus vigilax (Skuse) and Oc. procax (Skuse) were then determined under field conditions at Maroochy Shire. Following tide and rain inundation, cohorts of newly hatched larvae were monitored daily by dipping, and time until pupation was noted. Tidal inundation triggered hatching of Ve. funerea and Oc. vigilax larvae whereas Oc. procax larvae were found only after rain inundation. Estimates of Ve. funerea and Oc. vigilax field development times were similar (8-9 d) while Oc. procax development time was slightly longer (9-10 d). Based on these survey results, control activities targeting Ve. funerea must be initiated 4 d (if using Bacillus thuringiensis var. israelensis de Barjac) or 5 d (if using s-methoprene) after inundation. However, Casuarina glauca Sieber canopy and branchlets covering breeding habitats may present a problem for the penetration of such treatments.
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Tesis (Maestría en Ciencias con Especialidad en Entomología Médica) UANL
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SIC and DRS are related proteins present in only four of the more than 200 Streptococcus pyogenes emm-types. These proteins inhibit complement mediated lysis and/or the activity of certain antimicrobial peptides. A gene encoding a homologue of these proteins, herein called DrsG, has been identified in the related bacterium Streptococcus dysgalactiae subsp equisimilis (SDSE). Here we show that geographically dispersed isolates representing 14 of 50 emm-types examined possess variants of drsG. However not all isolates within the drsG-positive emm-types possess the gene. Sequence comparisons also reveal a high degree of conservation in different SDSE emm-types. To examine the biological activity of DrsG, recombinant versions of two major DrsG variants, DrsGS and DrsGL, were expressed and purified. Western blot analysis using antisera raised to these proteins demonstrated both variants to be expressed and secreted into culture supernatant. Unlike SIC, but similar to DRS, DrsG does not inhibit complement mediated lysis. However, like both SIC and DRS, DrsG is a ligand of the cathelcidin LL-37 and is inhibitory to its bactericidal activity in in vitro assays. The greatest similarity between DrsG and DRS/SIC is found in the signal sequence at the amino terminus and proline rich domains in the C-terminal half of the protein. Conservation of prolines in this latter region also suggests these residues are important in the biology of this family of proteins. This is the first report demonstrating the activity of an AMP inhibitory protein in SDSE. These results also suggest that inhibition of AMP activity is the primary function of this family of proteins. The acquisition of complement inhibitory activity of SIC may reflect its continuing evolution.
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A new strategy for rapidly selecting and testing genetic vaccines has been developed, in which a whole genome library is cloned into a bacteriophage λ ZAP Express vector which contains both prokaryotic (Plac) and eukaryotic (PCMV) promoters upstream of the insertion site. The phage library is plated on Escherichia coli cells, immunoblotted, and probed with hyperimmune and/or convalescent-phase antiserum to rapidly identify vaccine candidates. These are then plaque purified and grown as liquid lysates, and whole bacteriophage particles are then used directly to immunize the host, following which PCMV-driven expression of the candidate vaccine gene occurs. In the example given here, a semirandom genome library of the bovine pathogen Mycoplasma mycoides subsp. mycoides small colony (SC) biotype was cloned into λ ZAP Express, and two strongly immunodominant clones, λ-A8 and λ-B1, were identified and subsequently tested for vaccine potential against M. mycoides subsp. mycoides SC biotype-induced mycoplasmemia. Sequencing and immunoblotting indicated that clone λ-A8 expressed an isopropyl-β-d-thiogalactopyranoside (IPTG)-inducible M. mycoides subsp. mycoides SC biotype protein with a 28-kDa apparent molecular mass, identified as a previously uncharacterized putative lipoprotein (MSC_0397). Clone λ-B1 contained several full-length genes from the M. mycoides subsp. mycoides SC biotype pyruvate dehydrogenase region, and two IPTG-independent polypeptides, of 29 kDa and 57 kDa, were identified on immunoblots. Following vaccination, significant anti-M. mycoides subsp. mycoides SC biotype responses were observed in mice vaccinated with clones λ-A8 and λ-B1. A significant stimulation index was observed following incubation of splenocytes from mice vaccinated with clone λ-A8 with whole live M. mycoides subsp. mycoides SC biotype cells, indicating cellular proliferation. After challenge, mice vaccinated with clone λ-A8 also exhibited a reduced level of mycoplasmemia compared to controls, suggesting that the MSC_0397 lipoprotein has a protective effect in the mouse model when delivered as a bacteriophage DNA vaccine. Bacteriophage-mediated immunoscreening using an appropriate vector system offers a rapid and simple technique for the identification and immediate testing of putative candidate vaccines from a variety of pathogens.
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Twelve years ago our understanding of ratoon stunting disease (RSD) was confined almost exclusively to diagnosis of the disease and control via farm hygiene, with little understanding of the biology of the interaction between the causal agent (Leifsonia xyli subsp. xyli) and the host plant sugarcane (Saccharum spp. hybrids). Since then, research has focused on developing the molecular tools to dissect L. xyli subsp. xyli, so that better control strategies can be developed to prevent losses from RSD. Within this review, we give a brief overview of the progression in research on L. xyli subsp. xyli and highlight future challenges. After a brief historical background on RSD, we discuss the development of molecular tools such as transformation and transposon mutagenesis and discuss the apparent lack of genetic diversity within the L. xyli subsp. xyli world population. We go on to discuss the sequencing of the genome of L. xyli subsp. xyli, describe the key findings and suggest some future research based on known deficiencies that will capitalise on this tremendous knowledge base to which we now have access.
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A Campylobacter fetus subsp. venerealis-specific 5' Taq nuclease PCR assay using a 3' minor groove binder-DNA probe (TaqMan MGB) was developed based on a subspecies-specific fragment of unknown identity (S. Hum, K. Quinn, J. Brunner, and S. L. On, Aust. Vet. J. 75:827-831, 1997). The assay specifically detected four C. fetus subsp. venerealis strains with no observed cross-reaction with C. fetus subsp. fetus-related Campylobacter species or other bovine venereal microflora. The 5' Taq nuclease assay detected approximately one single cell compared to 100 and 10 cells in the conventional PCR assay and 2,500 and 25,000 cells from selective culture from inoculated smegma and mucus, respectively. The respective detection limits following the enrichments from smegma and mucus were 5,000 and 50 cells/inoculum for the conventional PCR compared to 500 and 50 cells/inoculum for the 5' Taq nuclease assay. Field sampling confirmed the sensitivity and the specificity of the 5' Taq nuclease assay by detecting an additional 40 bulls that were not detected by culture. Urine-inoculated samples demonstrated comparable detection of C. fetus subsp. venerealis by both culture and the 5' Taq nuclease assay; however, urine was found to be less effective than smegma for bull sampling. Three infected bulls were tested repetitively to compare sampling tools, and the bull rasper proved to be the most suitable, as evidenced by the improved ease of specimen collection and the consistent detection of higher levels of C. fetus subsp. venerealis. The 5' Taq nuclease assay demonstrates a statistically significant association with culture (2 = 29.8; P < 0.001) and significant improvements for the detection of C. fetus subsp. venerealis-infected animals from crude clinical extracts following prolonged transport.
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Prickly acacia, Acacia nilotica subsp. indica (Benth.) Brenan, a major weed of the Mitchell Grass Downs of northern Queensland, Australia, has been the target of biological control projects since the 1980s. The leaf-feeding caterpillar Cometaster pyrula (Hopffer) was collected from Acacia nilotica subsp. kraussiana (Benth.) Brenan during surveys in South Africa to find suitable biological control agents, recognised as a potential agent, and shipped into a quarantine facility in Australia. Cometaster pyrula has a life cycle of approximately 2 months during which time the larvae feed voraciously and reach 6 cm in length. Female moths oviposit a mean of 339 eggs. When presented with cut foliage of 77 plant species, unfed neonates survived for 7 days on only Acacia nilotica subsp. indica and Acacia nilotica subsp. kraussiana. When unfed neonates were placed on potted plants of 14 plant species, all larvae except those on Acacia nilotica subsp. indica and Acacia nilotica subsp. kraussiana died within 10 days of placement. Cometaster pyrula was considered to be highly host specific and safe to release in Australia. Permission to release C. pyrula in Australia was obtained and the insect was first released in north Queensland in October 2004. The ecoclimatic model CLIMEX indicated that coastal Queensland was climatically suitable for this insect but that inland areas were only marginally suitable.
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Eriophyid mites (Acari: Eriophyoidea: Eriophyidae: Rhombacus sp. and Acalox ptychocarpi Keifer) are recently-emerged pests of commercial eucalypt plantations in subtropical Australia. They cause severe blistering, necrosis and leaf loss to Corymbia citriodora subsp. variegata (F. Muell.) K.D. Hill & L.A.S. Johnson, one of the region's most important hardwood plantation species. In this study we examine the progression, incidence and severity of these damage symptoms. We also measure within-branch colonisation by mites to identify dispersive stages, and estimate the relative abundance of the two co-occurring species. Rhombacus sp., an undescribed species, was numerically dominant, accounting for over 90% of all adult mites. Adults were the dispersive stage, moving mostly within branches, but 12% of recruitment onto new leaves occurred on previously uninfested branches. Damage incidence and severity were correlated, while older leaves had more damage than younger leaves. "Patch-type" damage was less frequent but was associated with higher mite numbers and damage scores than "spot-type" damage, while leaf discoloration symptoms related mostly to leaf age.
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A 2 × 2 factorial combination of thinned or unthinned, and pruned or unpruned 11-year-old Eucalyptus dunnii (DWG) and 12-year-old Corymbia citriodora subsp. variegata (CCV) was destructively sampled to provide 60 trees in total per species. Two 1.4 m long billets were cut from each tree and were rotary veneered in a spindleless lathe down to a 45 mm diameter core to expose knots which were classified as either alive, partially occluded or fully occluded. Non-destructive evaluation of a wider range of thinning treatments available in these trials was undertaken with Pilodyn and Fakopp tools. Disc samples were also taken for basic density and modulus of elasticity. Differences between treatments for all wood property assessments were generally small and not significantly different.Thinning and pruning had little effect on the stem diameter growth required to achieve occlusion, therefore occlusion would be more rapid after thinning due to more rapid stem diameter growth. The difference between the treatments of greatest management interest, thinned and pruned (T&P) and unthinned and unpruned (UT&UP) were small. The production of higher value clear wood produced after all knots had occluded, measured as the average stem diameter growth over occlusion of the three outermost knots, was approximately 2 centimetres diameter. Two of the treatments can be ruled out as viable management alternatives: (i) the effect of thinning without pruning (T&UP) is clear, leading to a large inner core of stem wood containing knots (large knotty core diameter) and (ii) pruning without thinning (UT&P) results in a small knotty core diameter, however the tree and therefore log diameters are also small.
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The spotted gum species complex represents a group of four eucalypt hardwood taxa that have a native range that spans the east coast of Australia, with a morphological cline from Victoria to northern Queensland. Of this group, Corymbia citriodora subsp. variegata (CCV) is widespread in south-eastern Queensland and northern New South Wales. It is currently the most commonly harvested native hardwood in Queensland. However, little basic knowledge of the reproductive biology of the species is available to inform genetic improvement and resource management programmes. Here we take an integrative approach, using both field and molecular data, to identify ecological factors important to mating patterns in native populations of CCV. Field observation of pollinator visitation and flowering phenology of 20 trees showed that foraging behaviour of pollinator guilds varies depending on flowering phenology and canopy structure. A positive effect of tree mean flowering effort was found on insect visitation, while bat visitation was predicted by tree height and by the number of trees simultaneously bearing flowers. Moreover, introduced honeybees were observed frequently, performing 73% of detected flower visits. Conversely, nectar-feeding birds and mammals were observed sporadically with lorikeets and honeyeaters each contributing to 11% of visits. Fruit bats, represented solely by the grey-headed flying fox, performed less than 2% of visits. Genotyping at six microsatellite markers in 301 seeds from 17 families sampled from four of Queensland's native forests showed that CCV displays a mixed-mating system that is mostly outcrossing (tm = 0.899 ± 0.021). Preferential effective pollination from near-neighbours was detected by means of maximum-likelihood paternity analysis with up to 16% of reproduction events resulting from selfing. Forty to 48% of fertilising pollen was also carried from longer distance (>60 m). Marked differences in foraging behaviour and visitation frequency between observed pollinator guilds suggests that the observed dichotomy of effective pollen movement in spotted gums may be due to frequent visit from introduced honeybees favouring geitonogamy and sporadic visits from honeyeaters and fruit bats resulting in potential long-distance pollinations.
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Austral bracken Pteridium esculentum contains three unstable norsesquiterpene glycosides: ptaquiloside, ptesculento-side, and caudatoside, in variable proportions. The concentration of each of the glycosides was determined in this study as their respective degradation products, pterosin B, pterosin G and pterosin A, by HPLC-UV analysis. Samples of P. esculentum collected from six sites in eastern Australia contained up to 17 mg of total glycoside/g DW, with both ptaquiloside and ptesculentoside present as major components accompanied by smaller amounts of caudatoside. Ratios of ptaquiloside to ptesculentoside varied from 1:3 to 4:3, but in all Australian samples ptesculentoside was a significant component. This profile differed substantially from that of P. esculentum from New Zealand, which contained only small amounts of both ptesculentoside and caudatoside, with ptaquiloside as the dominant component. A similar profile with ptaquiloside as the dominant glycoside was obtained for Pteridium aquilinum subsp. wightianum (previously P. revolutum) from northern Queensland and also P. aquilinum from European sources. Ptesculentoside has chemical reactivity similar to that of ptaquiloside and presumably biological activity similar to that of this potent carcinogen. The presence of this additional reactive glycoside in Australian P. esculentum implies greater toxicity for consuming animals than previously estimated from ptaquiloside content alone.
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Yogurt consumption has been related to longevity of some populations living on the Balkans. Yogurt starter L. delbrueckii subsp. bulgaricus and Str. thermophilus have been recognized as probiotics with verified beneficial health effects. The oral cavity emerges as a arget for probiotic applications. Probiotics have demonstrated promising results in controlling dental diseases and oral yeast infections. However, L. bulgaricus despite its broad availability in dairy products has not been evaluated for probiotic activity in the mouth. These series of studies investigated in vitro properties of L. bulgaricus to outline its potential as an oral probiotic. Prerequisite probiotic properties in the mouth are resistance to oral defense mechanisms, adherence to saliva-coated surfaces, and inhibition of oral pathogens. L. bulgaricus strains showed a strain-dependent inhibition of oral streptococci and Aggregatibacter actinomycetemcomitans, whereas none of the dairy starter strains could affect growth of Porphyromonas gingivalis and Fusobacterium nucleatum. Adhesion is a factor contributing to colonization of the species at the target site. Radiolabeled L. bulgaricus strains and L. rhamnosus GG were tested for their ability to adhere to saliva-coated surfaces. The effects of lysozyme on adhesion and adhesion of Streptococcus sanguinis after lactobacilli pretreatment were also assessed. Adhesion of L. bulgaricus remained lower in comparison to L. rhamnosus GG. One L. bulgaricus strain showed binding frequency comparable to S. sanguinis. Lysozyme pretreatment significantly increased Lactobacillus adhesion. Low gelatinolytic activity was observed for all strains and no conversion of proMMP-9 to its active form was induced by L. bulgaricus. Safety assessment ruled out deleterious effects of L. bulgaricus on extracellular matrix structures. Cytokine response of oral epithelial cells was assessed by measuring IL-8 and TNF-α in cell culture supernatants. The effect of P. gingivalis on cytokine secretion after lactobacilli pretreatment was also assessed. A strain- and time-dependent induction of IL-8 was observed with live bacteria inducing the highest levels of cytokine secretion. Levels of TNF-α were low and only one of ten L. bulgaricus strains stimulated TNF-α secretion similar to positive control. The addition of P. gingivalis produced immediate reduction of cytokine levels within the first hours of incubation irrespective of lactobacilli strains co-cultured with epithelial cells. According to these studies strains among the L. delbrueckii subsp. bulgaricus species may have beneficial probiotic properties in the mouth. Their potential in prevention and management of common oral infectious diseases needs to be further studied.