906 resultados para Radiazione solare LED fotovoltaico radiometria fotometria
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Energy efficiency is an increasingly important issue due to the current scenario where increasing demand is growing faster than the energy supplied. It is important, therefore, analyze and minimize electrical system losses. This study conducts a comparison of a system formed by a photovoltaic generator feeding an LED lamp directly without steps DC-AC -DC conversion, and a system using these conversion steps for the same lamp power. Losses in conversion steps are quantified and the degradation of power quality occurred due to conversion is evaluated
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Neste trabalho é proposto um fotômetro baseado em LED (diodo emissor de luz) para fotometria em fase sólida. O fotômetro foi desenvolvido para permitir o acoplamento da fonte de radiação (LED) e do fotodetector direto na cela de fluxo, tendo um caminho óptico de 4 mm. A cela de fluxo foi preenchida com material sólido (C18), o qual foi utilizado para imobilizar o reagente cromogênico 1-(2-tiazolilazo)-2-naftol (TAN). A exatidão foi avaliada empregando dados obtidos através da técnica ICP OES (espectrometria de emissão por plasma indutivamente acoplado). Aplicando-se o teste-t pareado não foi observada diferença significativa em nível de confiança de 95%. Outros parâmetros importantes encontrados foram faixa de resposta linear de 0,05 a 0,85 mg L-1 Zn, limite de detecção de 9 µg L-1 Zn (n = 3), desvio padrão de 1,4 % (n = 10), frequência de amostragem de 36 determinações por h, e uma geração de efluente e consumo de reagente de 1,7 mL e 0,03 µg por determinação, respectivamente.
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Recentemente, sempre più attenzione è stata rivolta all' utilizzo di coloranti organici come assorbitori di luce per la preparazione di strati fotoattivi in celle solari organiche (OPV). I coloranti organici presentano un'elevata abilità nella cattura della luce solare grazie all'elevato coefficiente di estinzione molare e buone proprietà fotofisiche. Per questi motivi sono eccellenti candidati per l'incremento della conversione fotoelettrica in OPV. In questa tesi viene descritta una nuova strategia per l'incorporazione di derivati porfirinici in catena laterale a copolimeri tiofenici. Gli studi svolti hanno dimostrato che poli(3-bromoesil)tiofene può essere variamente funzionalizzato con idrossitetrafenilporfirina (TPPOH), per l'ottenimento di copolimeri utilizzabili come materiali p-donatori nella realizzazione di OPV. I copolimeri poli[3-(6-bromoesil)tiofene-co-(3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfirinil]esil tiofene] P[T6Br-co-T6TPP] contenenti differenti quantità di porfirina, sono stati sintetizzati sia con metodi non regiospecifici che regiospecifici, con lo scopo di confrontarene le proprietà e di verificare se la strutture macromolecolare che presenta una regiochimica di sostituzione sempre uguale, promuove o meno il trasporto della carica elettrica, migliorando di conseguenza l'efficienza. E' stato inoltre effettuato un ulteriore confronto tra questi derivati e derivati simili P[T6H-co-T6TPP] che non contengono l'atomo di bromo in catena laterale con lo scopo di verificare se l'assenza del gruppo reattivo, migliora o meno la stabilità termica e chimica dei film polimerici, agendo favorevolmete sulle performance dei dispositivi fotovoltaici. Tutti i copolimeri sono stati caratterizzati con differenti tecniche: spettroscopia NMR, FT-IR e UV-Vis, analisi termiche DSC e TGA, e GPC. Le celle solari Bulk Heterojunction, preparate utilizzando PCBM come materiale elettron-accettore e i copolimeri come materilai elettron-donatori, sono state testate utilizzando un multimetro Keithley e il Solar Simulator.
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Studio di fattibilità di un generatore trasportabile di energia elettrica da fonte solare.
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Studio di un impianto fotovoltaico di tipo stand alone per la generazione di energia elettrica utilizzata per produrre acqua potabile.
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L'energia solare rientra nel gruppo delle energie rinnovabili, ovvero che provengono da una fonte il cui utilizzo attuale non ne pregiudica la disponibilità nel futuro. L'energia solare ha molti vantaggi, poiché è inesauribile ed è una risorsa d'immediata disponibilità perché giunge attraverso i raggi del sole. La conversione fotovoltaica sfrutta il meccanismo di generazione di carica elettrica prodotto dall'interazione della radiazione luminosa su di un materiale semiconduttore. La necessità di creare energia riducendo al minimo l'impatto ambientale ed il contemporaneo aumento del prezzo di fonti fossili come ad esempio il petrolio ed il carbone (senza trascurare il fatto che le riserve di essi sono, di fatto, esauribili) ha portato un aumento considerevole della produzione di energia elettrica tramite conversione fotovoltaica. Allo stato attuale dell'economia e dei mercati, sebbene il settore fotovoltaico sia in forte crescita, non è esente da un parametro che ne descrive le caratteristiche economiche ed energetiche, il cosiddetto rapporto costo/efficienza. Per efficienza, si intende la quantità di energia elettrica prodotta rispetto alla potenza solare incidente per irraggiamento, mentre per costo si intende quello sostenuto per la costruzione della cella. Ridurre il rapporto costo/efficienza equivale a cercare di ottenere un'efficienza maggiore mantenendo inalterati i costi, oppure raggiungere una medio-alta efficienza ma ridurre in maniera significativa la spesa di fabbricazione. Quindi, nasce la necessità di studiare e sviluppare tecnologie di celle solari all'avanguardia, che adottino accorgimenti tecnologici tali per cui, a parità di efficienza di conversione, il costo di produzione della cella sia il più basso possibile. L'efficienza dei dispositivi fotovoltaici è limitata da perdite ottiche, di ricombinazione di carica e da resistenze parassite che dipendono da diversi fattori, tra i quali, le proprietà ottiche e di trasporto di carica dei materiali, l'architettura della cella e la capacità di intrappolare la luce da parte del dispositivo. Per diminuire il costo della cella, la tecnologia fotovoltaica ha cercato di ridurre il volume di materiale utilizzato (in genere semiconduttore), dal momento in cui si ritiene che il 40% del costo di una cella solare sia rappresentato dal materiale. Il trend che questo approccio comporta è quello di spingersi sempre di più verso spessori sottili, come riportato dalla International Technology Roadmap for Photovoltaic, oppure ridurre il costo della materia prima o del processo. Tra le architetture avanzate di fabbricazione si analizzano le Passivated Emitter and Rear Cell-PERC e le Metal Wrap Through-MWT Cell, e si studia, attraverso simulazioni numeriche TCAD, come parametri geometrici e di drogaggio vadano ad influenzare le cosiddette figure di merito di una cella solare.
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Questa tesi, nata all'interno del progetto "LANGUAGE TOOLKIT: Le lingue straniere al servizio dell'internazionalizzazione d'impresa", ha come oggetto la traduzione funzionale dall'italiano all'inglese dei tre testi proposti e redatti dall'azienda cesenate Bloomfield Srl: la lettera di presentazione aziendale, il sito web e il company profile. I testi si rivolgono ad un pubblico non esperto in materia che desidera ampliare le proprie conoscenze in merito alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie rinnovabili per il risparmio energetico, con particolare riguardo a quelle fotovoltaiche. Questo lavoro parte dal presupposto che l'analisi testuale dei testi di partenza sia una fase propedeutica imprescindibile per la traduzione degli stessi: dopo aver presentato una panoramica generale sulle fonti rinnovabili e l'energia solare, sono stati esaminati infatti i tre testi italiani e i fattori linguistici ed extralinguistici di maggior rilievo. Successivamente, la tesi si focalizza sul commento alla traduzione: dopo aver illustrato l'approccio familiarizzante, ovvero la macrostrategia traduttiva adottata, sono stati analizzati i livelli testuale, morfosintattico e lessicale. E' stata effettuata, inoltre, un'analisi approfondita degli aspetti terminologici relativi alle fonti di energia rinnovabili: in particolare, sono state esaminate le modalità d'impiego dei termini specialistici nei testi divulgativi e la loro frequenza. Infine, la tesi approfondisce il tema della traduzione come atto comunicativo interculturale, presentando e analizzando gli aspetti culturospecifici che in fase traduttiva sono spesso causa di dubbi e difficoltà.
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Tese de mestrado integrado, Engenharia da Energia e do Ambiente, Universidade de Lisboa, Faculdade de Ciências, 2016
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Alvin Toffler’s image of the prosumer (1970, 1980, 1990) continues to influence in a significant way our understanding of the user-led, collaborative processes of content creation which are today labelled “social media” or “Web 2.0”. A closer look at Toffler’s own description of his prosumer model reveals, however, that it remains firmly grounded in the mass media age: the prosumer is clearly not the self-motivated creative originator and developer of new content which can today be observed in projects ranging from open source software through Wikipedia to Second Life, but simply a particularly well-informed, and therefore both particularly critical and particularly active, consumer. The highly specialised, high end consumers which exist in areas such as hi-fi or car culture are far more representative of the ideal prosumer than the participants in non-commercial (or as yet non-commercial) collaborative projects. And to expect Toffler’s 1970s model of the prosumer to describe these 21st-century phenomena was always an unrealistic expectation, of course. To describe the creative and collaborative participation which today characterises user-led projects such as Wikipedia, terms such as ‘production’ and ‘consumption’ are no longer particularly useful – even in laboured constructions such as ‘commons-based peer-production’ (Benkler 2006) or ‘p2p production’ (Bauwens 2005). In the user communities participating in such forms of content creation, roles as consumers and users have long begun to be inextricably interwoven with those as producer and creator: users are always already also able to be producers of the shared information collection, regardless of whether they are aware of that fact – they have taken on a new, hybrid role which may be best described as that of a produser (Bruns 2008). Projects which build on such produsage can be found in areas from open source software development through citizen journalism to Wikipedia, and beyond this also in multi-user online computer games, filesharing, and even in communities collaborating on the design of material goods. While addressing a range of different challenges, they nonetheless build on a small number of universal key principles. This paper documents these principles and indicates the possible implications of this transition from production and prosumption to produsage.
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The rise of videosharing and self-(re)broadcasting Web services is posing new threats to a television industry already struggling with the impact of filesharing networks. This paper outlines these threats, focussing especially on the DIY re-broadcasting of live sports using Websites such as Justin.tv and a range of streaming media networks built on peer-to-peer filesharing technology.
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Practice-led or multi modal theses (describing examinable outcomes of postgraduate study which comprise the practice of dancing/choreography with an accompanying exegesis) are an emerging strength of dance scholarship; a form of enquiry that has been gaining momentum for over a decade, particularly in Australia and the United Kingdom. It has been strongly argued that, in this form of research, legitimate claims to new knowledge are embodied predominantly within the practice itself (Pakes, 2003) and that these findings are emergent, contingent and often interstitial, contained within both the material form of the practice and in the symbolic languages surrounding the form. In a recent study on ‘dancing’ theses Phillips, Stock, Vincs (2009) found that there was general agreement from academics and artists that ‘there could be more flexibility in matching written language with conceptual thought expressed in practice’. The authors discuss how the seemingly intangible nature of danced / embodied research, reliant on what Melrose (2003) terms ‘performance mastery’ by the ‘expert practitioner’ (2006, Point 4) involving ‘expert’ intuition (2006, Point 5), might be accessed, articulated and validated in terms of alternative ways of knowing through exploring an ongoing dialogue in which the danced practice develops emergent theory. They also propose ways in which the danced thesis can be ‘converted’ into the required ‘durable’ artefact which the ephemerality of live performance denies, drawing on the work of Rye’s ‘multi-view’ digital record (2003) and Stapleton’s ‘multi-voiced audio visual document’(2006, 82). Building on a two-year research project (2007-2008) Dancing Between Diversity and Consistency: Refining Assessment in Postgraduate Degrees in Dance, which examined such issues in relation to assessment in an Australian context, the three researchers have further explored issues around interdisciplinarity, cultural differences and documentation through engaging with the following questions: How do we represent research in which understandings, meanings and findings are situated within the body of the dancer/choreographer? Do these need a form of ‘translating’ into textual form in order to be accessed as research? What kind of language structures can be developed to effect this translation: metaphor, allusion, symbol? How important is contextualising the creative practice? How do we incorporate differing cultural inflections and practices into our reading and evaluation? What kind of layered documentation can assist in producing a ‘durable’ research artefact from a non-reproduce-able live event?
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Early in the practice-led research debate, Steven Scrivener (2000, 2002) identified some general differences in the approach of artists and designers undertaking postgraduate research. His distinctions centered on the role of the artefact in problem-based research (associated with design) and creative-production research (associated with artistic practice). Nonetheless, in broader discussions on practice-led research, 'art and design' often continues to be conflated within a single term. In particular, marked differences between art and design methodologies, theoretical framing, research goals and research claims have been underestimated. This paper revisits Scrivener's work and establishes further distinctions between art and design research. It is informed by our own experiences of postgraduate supervision and research methods training, and an empirical study of over sixty postgraduate, practice-led projects completed at the Creative Industries Faculty of QUT between 2002 and 2008. Our reflections have led us to propose that artists and designers work with differing research goals (the evocative and the effective, respectively), which are played out in the questions asked, the creative process, the role of the artefact and the way new knowledge is evidenced. Of course, research projects will have their own idiosyncrasies but, we argue, marking out the poles at each end of the spectrum of art and design provides useful insights for postgraduate candidates, supervisors and methodologists alike.
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The emergent field of practice-led research is a unique research paradigm that situates creative practice as both a driver and outcome of the research process. The exegesis that accompanies the creative practice in higher research degrees remains open to experimentation and discussion around what content should be included, how it should be structured, and its orientations. This paper contributes to this discussion by reporting on a content analysis of a large, local sample of exegeses. We have observed a broad pattern in contents and structure within this sample. Besides the introduction and conclusion, it has three main parts: situating concepts (conceptual definitions and theories), practical contexts (precedents in related practices), and new creations (the creative process, the artifacts produced and their value as research). This model appears to combine earlier approaches to the exegesis, which oscillated between academic objectivity in providing a context for the practice and personal reflection or commentary upon the creative practice. We argue that this hybrid or connective model assumes both orientations and so allows the researcher to effectively frame the practice as a research contribution to a wider field while doing justice to its invested poetics.
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In this chapter I introduce an ecological-philosophical approach to artmaking that has guided my work over the past 16 years. I call this ‘Ecosophical praxis’. To illustrate how this infuses and directs my research methodologies, I draw upon a case study called Knowmore (House of Commons), an emerging interactive installation due for first showings in late 2008. This allows me to tease out the complex interrelationships between research and practice within my work, and describe how they comment upon and model these eco-cultural theories. I conclude with my intentions and hopes for the continued emergence of a contemporary eco-political modality of new media praxis that self-reflexively questions how we might re-focus future practices upon ‘sustaining the sustainable’.