Studio di conglomerati bituminosi drenanti contenenti polverino di gomma da Pneumatici Fuori Uso (PFU)

Gli odierni sviluppi delle reti stradali nel territorio italiano e l’aumento della propensione all’utilizzo del veicolo hanno portato ad una continua ricerca nello stesso ambito volta sì a mantenere alti i livelli prestazionali e di sicurezza sulla rete stradale ma anche ad aprirsi ad uno scenario ecosostenibile, dato il continuo scarseggiare di materie prime per proseguire con le usuali tecniche di produzione. In tutti i campi riguardanti l’ambito delle costruzioni civili, che siano esse strutturali o infrastrutturali, numerose sono state le tecnologie introdotte per la realizzazione di materiali sostenibili ma anche e soprattutto il recupero di materiale di scarto, andando così incontro oltre che a una costruzione sostenibile anche ad un recupero di ciò che sarebbe destinato a discariche, ufficiali o abusive che siano. Nell’ottica dell’introduzione di “nuovi” materiali una posizione di rispetto interessa gli Pneumatici Fuori Uso (PFU) il cui recupero sotto forma di granulato e di polverino in gomma costituiscono, nell’ambito delle pavimentazioni stradali, una notevole opportunità di riutilizzo all’interno dei conglomerati bituminosi. Il presente lavoro sperimentale è stato svolto nell’ottica di analizzare dapprima le caratteristiche delle pavimentazioni drenanti, del polverino di gomma da PFU e dell’interazione tra i due, a supporto delle sperimentazioni effettuate sulle miscele realizzate in laboratorio. In particolare, sfruttando la tecnologia dry, che permette l’inserimento del polverino nella fase di miscelazione degli aggregati, dopo un’attenta analisi preliminare della composizione delle miscele da realizzare e il successivo confezionamento dei provini e loro addensamento, si è proceduto all’esecuzione di diverse prove al termine delle quali sono state analizzate le differenze meccaniche e reologiche tra miscele ottenute con aggiunta di polverino e miscele prive di PFU.

Analisi prestazionale di pavimentazioni contenenti polverino di gomma da PFU

La presente ricerca è stata svolta con l’obbiettivo di valutare le caratteristiche prestazionali di pavimentazioni in conglomerato bituminoso con aggiunta di PFU. Il prodotto è un legante bituminoso modificato, al quale il polverino di gomma da PFU è aggiunto manualmente (meccanicamente) al mescolatore tramite tecnologia Dry, nella quale la frazione di gomma è impiegata in sostituzione a una porzione di inerti fini. Ai fini di tale studio sono stati stesi 300 metri di SMA lungo la S.P. 569 nel centro abitato di Zola Predosa (BO) durante la quale sono state effettuate le analisi ambientali. Di questi 300 metri, una parte è costituita da SMA tradizionale, mentre la parte restante è divisa tra SMA contenente 1,20% in peso di PFU e SMA contenente 0,75% in peso di PFU. Sono state predisposte 3 diverse indagini sperimentali: a 2 mesi dalla stesa (31 Luglio 2014), a 6 mesi e la terza ad 1 anno dalla prima sessione di controllo. Nella prima campagna è stato eseguito il prelievo di campioni carotati per la verifica fisico-meccanica delle miscele posate e degli spessori, mentre per tutte le campagne di prova tutte sono state effettuate analisi per la valutazione dell’aderenza, della tessitura e dell’emissione e assorbimento acustico della pavimentazione. L’elaborato è sviluppato nel seguente modo: sarà prima presentata una panoramica sul problema del riciclaggio di PFU. Verranno poi riportate le norme che regolano l’uso delle strumentazioni utilizzate durante le prove e la trattazione dei dati che ne derivano. Verrà poi descritto il campo prove, la stesa sperimentale e tutti i test effettuati sul sito di Zola Predosa. Successivamente verrà effettuata l’analisi dei dati rispettivamente per l’analisi ambientale, il pendolo, l’altezza in sabbia, l’analisi dei livelli acustici, il LaserProf, lo Skiddomter BV11 e il Laser NextEngine HD. Infine verranno tratte le conclusioni, basate sulle analisi condotte, al fine di valutare il rendimento delle pavimentazioni indagate.

Analisi delle caratteristiche acustiche ed ambientali di pavimentazioni contenenti polverino di gomma da PFU

I campi di impiego della gomma da pneumatici fuori uso (PFU) nel settore stradale sono vari ed il numero di studi che comprovano l'utilizzo di questo materiale di riciclo è crescente. Il prodotto esaminato nella seguente ricerca è un legante bituminoso modificato (PmB tradizionale), al quale il poverino di gomma da PFU è aggiunto manualmente (meccanicamente) al miscelatore. La tecnologia è di tipo Dry, nella quale la frazione di gomma è impiegata in sostituzione a una porzione di inerti fini, direttamente nel conglomerato. Ai fini di tale studio sono stati stesi 300 metri di SMA (Splitt Mastix Asphalt) lungo la S.P. 569 nel centro abitato di Zola Predosa (BO). Di questi una parte è costituita da SMA tradizionale, mentre la parte restante è divisa tra SMA contenente 1,20% in peso di PFU e SMA contenente 0,75% in peso di PFU. Durante la stesa sono effettuate delle prove sull'esposizione dei lavoratori a inquinanti presenti in miscele bituminose con addizione di poverino da PFU e prove di esposizione ambientale. Sono state successivamente predisposte 3 diverse indagini sperimentali: la prima nell'arco di due giorni (02-03 Ottobre 2014) a due mesi dalla stesa del materiale (31 Luglio 2014), la seconda oltre sei mesi dalla stesa (14-15 Aprile 2015) e la terza ad 1 anno dalla prima sessione di controllo (Ottobre 2015). Nella prima campagna di indagine è stato eseguito il prelievo di campioni carotati per la verifica fisico-meccanica delle miscele posate e degli spessori. In tutte e tre le campagne di indagine sono state effettuate prove per la valutazione dell'emissione e dell'assorbimento acustico della pavimentazione tramite tecnologia Close Proximity Index (CPX). I dati raccolti riguardati le emissioni ambientali e l'inquinamento acustico sono stati poi analizzati al in di determinare il grado di deterioramento delle caratteristiche superficiali e di confrontare il comportamento dei diversi materiali all'usura.

Analisi sperimentale di miscele bituminose drenanti additivate con polverino di gomma da PFU

Lo studio riguarda l'indagine sperimentale condotta ai fini della caratterizzazione di una miscela di conglomerato bituminoso per strati di usura drenanti, additivata con polverino di gomma da pneumatici fuori uso (PFU), secondo la metodologia Dry.

Novel Purification of Archaeal Rnase P Protein, Pfu Rpp38, for Nmr Studies

Dr. Kenneth Murray, Ph.D. Assistant Professor of Biology Ribonuclease P (RNase P) is an essential and ubiquitous ribonucleoprotein enzyme primarily responsible for cleaving 5' leader sequences during tRNA maturation. RNase P comprises one essential RNA, and one protein subunit in eubacteria, five proteins in archaea, and ten in humans. Due to its homology to human RNase P, its higher stability, and simpler structure; extensive studies have been conducted utilizing the enzyme from the archaeal hyperthermophile, Pyrococcus furious (Pfu). Previous studies identified only four protein subunits associated with the archaeal RNase P. This fourprotein reconstituted particle, however, had an optimal temperature of 55°C, compared to the optimal 70°C of the wild type RNase P. Additional probing of the organism's genome database revealed a fifth RNase P protein subunit, RPP38. To facilitate further investigations of Pfu RNase complexes, we sought to develop a protocol for the purification ofRPP38. Our results, presented herein, represent the first known expression.purification protocol developed for RPP38. Briefly, we synthesized an N-terminal6x-His RPP38 fusion construct, reengineered to contain a Tobacco Etch Virus (TEV) protease cleavage site. Purification was achieved via immobilized metal affinity chromatography and reversed phase high performance liquid chromatography. Following purification the 6X-His affinity tag was removed via TEV cleavage, thus regenerating the native RPP38 protein. Purity and identity of RPP38 were confirmed by sodium dodecylsulfate - polyacrylamide gel electrophoresis and mass spectrometry, respectively. Our work is expected to contribute to our understanding ofRNase P function and tRNA maturation by providing an efficient, facile technique to express and purify Pfu RNase protein RPP38 as a means to facilitate structural and functional analyses.

Caratterizzazione meccanica di conglomerati bituminosi contenenti polverino di gomma da PFU

Nelle società moderne, il problema del “rifiuto”, costituisce un fenomeno strettamente connesso allo stile di vita dei cittadini, nonché al sistema di produzione e distribuzione dei beni di consumi e alle normative che regolano questi due aspetti.Ogni anno, solamente in Italia, sono circa 380.000 le tonnellate di pneumatici che sono destinate a discarica, e sono oltre 100 gli anni che un pneumatico impiega per la biodegradazione. L’utilizzo del bitume modificato con polverino di gomma è nato negli Stati Uniti, ma al giorno d'oggi viene utilizzato sempre più frequentemente anche in Italia e in Europa quale valida alternativa per il confezionamento di conglomerati bituminosi. L’attività sperimentale presentata in questa tesi consiste nel confronto di 2 miscele: una di conglomerato bituminoso standard e l’altra sperimentale con polverino di gomma da PFU, progettata nel Laboratorio di Strade dell’Università di Ingegneria e Architettura di Bologna. Per procedere con la comparazione delle due materiali si è realizzato un campo prove in vera grandezza, in viale Togliatti a Bologna. Nel laboratorio di Strade dell'Università di Bologna si sono poi confezionati dei provini con il materiale prelevato in sito, e su di essi sono state svolte le prove di caratterizzazione statica (ITS) e dinamica (ITSM). Il risultati ottenuti dimostrano che la miscela sperimentale presenta caratteristiche meccaniche inferiori a quella vergine, ma in ogni caso soddisfacenti e superiori a quelli mediamente riconosciuti per miscele bituminose tradizionali per strati di usura. Da sottolineare è che la minore rigidezza presentata dalle miscele additivate con PFU, secondo consolidata bibliografia scientifica, potrebbe conferirle una maggiore resistenza ai carichi ripetuti e determinare così un miglioramento delle caratteristiche di durabilità della pavimentazione bituminosa.

Studio reologico di mastici per miscele di conglomerato bituminoso drenante contenente polverino di gomma da pfu

Le prestazioni meccaniche di una miscela di conglomerato bituminoso dipendono principalmente dai materiali che la compongono e dalla loro interazione. La risposta tenso-deformativa delle sovrastrutture stradali è strettamente legata al comportamento reologico del legante bituminoso e dalla sua interazione con lo scheletro litico. In particolare nelle pavimentazioni drenanti, a causa dell’elevato contenuto di vuoti, il legame che si crea tra il legante (mastice bituminoso) e l’aggregato è molto forte, per questo motivo è importante migliorarne le prestazioni. Additivando il mastice con polverino di gomma da PFU (pneumatici fuori uso), non solo si migliorano prestazioni, resistenza alle deformazioni permanenti ed elastoplasticità del materiale, ma si sfruttano anche materiali di recupero, portando vantaggi anche dal punto di vista ambientale. In quest’ottica la ricerca effettuata nella tesi si pone come obiettivo l’analisi reologica e lo studio di mastici additivati con polverino di gomma ricavato da PFU, per la realizzazione di conglomerati bituminosi drenanti. In particolare, partendo da un bitume di base, sono stati preparati due mastici: il primo ottenuto miscelando bitume modificato e filler calcareo, il secondo aggiungendo al precedente anche il polverino di gomma. Tale studio è stato eseguito mediante l’utilizzo del DSR (Dynamic Shear Rheometer – UNI EN 14770), con il quale sono state affrontate tre prove: Amplitude Sweep test, per la valutazione del valore di deformazione di taglio γ entro il quale il materiale si mantiene all’interno del campo di viscoelasticità lineare (Linear visco-elasticity, LVE); Frequency Sweep test, per l’estrapolazione delle master curves; Multiple stress Creep Recovery, per valutare la resistenza del materiale alle deformazioni permanenti. Dall’analisi dei dati è stato possibile definire il comportamento reologico di entrambi i mastici e, in seconda analisi, confrontarne le caratteristiche e le prestazioni.

Experimental Infection of Culex Annulirostris, Culex Gelidus, and Aedes Vigilax With a Yellow Fever/Japanese Encephalitis Virus Vaccine Chimera (Chimerivax TM-JE)

Australian mosquitoes from which Japanese encephalitis virus (JEV) has been recovered (Culex annulirostris, Culex gelidus, and Aedes vigilax) were assessed for their ability to be infected with the ChimeriVax-JE vaccine, with yellow fever vaccine virus 17D (YF 17D) from which the backbone of ChimeriVax-JE vaccine is derived and with JEV-Nakayama. None of the mosquitoes became infected after being fed orally with 6.1 log(10) plaque-forming units (PFU)/mL of ChimeriVax-JE vaccine, which is greater than the peak viremia in vaccinees (mean peak viremia = 4.8 PFU/mL, range = 0-30 PFU/mL of 0.9 days mean duration, range = 0-11 days). Some members of all three species of mosquito became infected when fed on JEV-Nakayama, but only Ae. vigilax was infected when fed on YF 17D. The results suggest that none of these three species of mosquito are likely to set up secondary cycles of transmission of ChimeriVax-JE in Australia after feeding on a viremic vaccinee.

Detection of bacteriophage and respiratory viruses in droplets

Influenza is a widespread disease occurring in seasonal epidemics, and each year is responsible for up to 500,000 deaths worldwide. Influenza can develop into strains which cause severe symptoms and high mortality rates, and could potentially reach pandemic status if the virus’ properties allow easy transmission. Influenza is transmissible via contact with the virus, either directly (infected people) or indirectly (contaminated objects); via reception of large droplets over short distances (one metre or less); or through inhalation of aerosols containing the virus expelled by infected individuals during respiratory activities, that can remain suspended in the air and travel distances of more than one metre (the aerosol route). Aerosol transmission of viruses involves three stages: production of the droplets containing viruses; transport of the droplets and ability of a virus to remain intact and infectious; and reception of the droplets (via inhalation). Our understanding of the transmission of influenza viruses via the aerosol route is poor, and thus our ability to prevent a widespread outbreak is limited. This study explored the fate of viruses in droplets by investigating the effects of some physical factors on the recovery of both a bacteriophage model and influenza virus. Experiments simulating respiratory droplets were carried out using different types of droplets, generated from a commonly used water-like matrix, and also from an ‘artificial mucous’ matrix which was used to more closely resemble respiratory fluids. To detect viruses in droplets, we used the traditional plaque assay techniques, and also a sensitive, quantitative PCR assay specifically developed for this study. Our results showed that the artificial mucous suspension enhanced the recovery of infectious bacteriophage. We were able to report detection limits of infectious bacteriophage (no bacteriophage was detected by the plaque assay when aerosolised from a suspension of 103 PFU/mL, for three of the four droplet types tested), and that bacteriophage could remain infectious in suspended droplets for up to 20 minutes. We also showed that the nested real-time PCR assay was able to detect the presence of bacteriophage RNA where the plaque assay could not detect any intact particles. Finally, when applying knowledge from the bacteriophage experiments, we reported the quantitative recoveries of influenza viruses in droplets, which were more consistent and stable than we had anticipated. Influenza viruses can be detected up to 20 minutes (after aerosolisation) in suspended aerosols and possibly beyond. It also was detectable from nebulising suspensions with relatively low concentrations of viruses.

Thermal analysis and vibrational spectroscopic characterization of the boro silicate mineral datolite – CaBSiO4(OH)

The objective of this work is to determine the thermal stability and vibrational spectra of datolite CaBSiO4(OH) and relate these properties to the structure of the mineral. The thermal analysis of datolite shows a mass loss of 5.83% over a 700–775 °C temperature range. This mass loss corresponds to 1 water (H2O) molecules pfu. A quantitative chemical analysis using electron probe was undertaken. The Raman spectrum of datolite is characterized by bands at 917 and 1077 cm−1 assigned to the symmetric stretching modes of BO and SiO tetrahedra. A very intense Raman band is observed at 3498 cm−1 assigned to the stretching vibration of the OH units in the structure of datolite. BOH out-of-plane vibrations are characterized by the infrared band at 782 cm−1. The vibrational spectra are based upon the structure of datolite based on sheets of four- and eight-membered rings of alternating SiO4 and BO3(OH) tetrahedra with the sheets bonded together by calcium atoms.

Stability of pargasite during ultrahigh-temperature metamorphism:A consequence of titanium and REE partitioning

Orthopyroxene-clinopyroxene-plagioclase needles and symplectite along the cleavage planes and grain boundaries of fluorine-bearing titanian-ferroan pargasite from the Highland Complex, Sri Lanka, are interpreted as evidence for dehydration melting at ultrahigh-temperature conditions. High Ti (up to 0.4 pfu) and F (XF up to 0.56) content in pargasite extends its stability to higher temperatures, and the composition indicates the dehydration melting reaction may take place at ultrahigh-temperatures (~950 °C) at a pressure around 10 kbar, close to peak metamorphic conditions. The increase of Ti content close to the grain boundaries and cleavage planes in pargasite indicates titanium partitioning from the melt during dehydration melting enhanced the stability of the mineral toward ultrahigh-temperature conditions. The REE content in the pargasite shows a similar behavior to that of titanium. The cores with no breakdown assemblage consist of low and flat REE concentrations with respect to the high and Eu-depleted rim. Clinopyroxene in symplectite and needle-shaped lamellae within the pargasite porphyroblasts have similar REE patterns with slightly low-concentrations relative to that of pargasite. In the breakdown assemblage, LREEs are partitioned mainly into plagioclase while the HREEs are partitioned into orthopyroxene. The REE enrichment in the pargasite rims signals their relative partitioning between pargasite rims and melt. Modeling of the partitioning of Ti and REEs associated with pargasite breakdown demonstrates that its stability is greatly enhanced at UHT conditions. This investigation implies that the stability of hydrous minerals such as amphibole can be extended to UHT conditions, and expands our knowledge of metamorphism in the lower crust.

Bacteriophage therapy for Staphylococcus aureus bacteremia in streptozotocin-induced diabetic mice

The protective effect of bacteriophage was assessed against experimental Staphylococcus aureus lethal bacteremia in streptozotocin (STZ) induced-diabetic and non-diabetic mice. Intraperitoneal administrations of S. aureus (RCS21) of 2 x 10(8) CFU caused lethal bacteremia in both diabetic and non-diabetic mice. A single administration of a newly isolated lytic phage strain (GRCS) significantly protected diabetic and nondiabetic mice from lethal bacteremia (survival rate 90% and 100% for diabetic and non-diabetic bacteremic groups versus 0% for saline-treated groups). Comparison of phage therapy to oxacillin treatment showed a significant decrease in RCS21 of 5 and 3 log units in diabetic and nondiabetic bacteremic mice, respectively. The same protection efficiency of phage GRCS was attained even when the treatment was delayed up to 4 h in both diabetic and non-diabetic bacteremic mice. Inoculation of mice with a high dose (10(10) PFU) of phage GRCS alone produced no adverse effects attributable to the phage per se. These results suggest that phages could constitute valuable prophylaxis against S. aureus infections, especially in immunocompromised patients. (C) 2010 Institut Pasteur. Published by Elsevier Masson SAS. All rights reserved.

Application of Optical Protein-chip in Detecting Phage M13KO7

Abstract: Avidin layer was bound on the substrate surface of Silicon wafer modified with aldehyde. The interaction between avidin and biotin was adopted for the immobilization of mouse monoclonal biotin-anti-M13 (antibody GP3)-labeled biotin. The surface was incubated in a solution containing phage M13KO7, which was trapped by the antibody GP3 with the interaction between phage M13KO7 and antibody GP3, resulting in a variation of layer thickness that was detected by imaging ellipsometry. The results showed a saturated layer of antibody GP3 with a thickness about 6.9 nm on the surface of the silicon wafer. The specific interaction between phage M13KO7 and antibody GP3 resulted in a variation of layer thickness. The layer of phage M13KO7 bound with antibody GP3 was 17.5 nm in the concentration of 1.1×1010 pfu/mL. Each variation of the layer thickness corresponded to a concentration of phage M13KO7 in the range of 0.1×1010–2.5×1010 pfu/mL, with the sensitivity of 109 pfu/mL. Compared with other methods, the optical protein-chip, requiring only short measurement time, label free, is a quantitative test, and can be visualized. This study could be significant on the interactions between the antibody and the virus, showing potential in the early diagnosis of virosis.

Phage M13Ko7 Detection With Biosensor Based On Imaging Ellipsometry And Afm Microscopic Confirmation

A rapid detection and identification of pathogens is important for minimizing transfer and spread of disease. A label-free and multiplex biosensor based on imaging ellipsometry (BIE) had been developed for the detection of phage M13KO7. The surface of silicon wafer is modified with aldehyde, and proteins can be patterned homogeneously and simultaneously on the surface of silicon wafer in an array format by a microfluidic system. Avidin is immobilized on the surface for biotin-anti-M13 immobilization by means of interaction between avidin and biotin, which will serve as ligand against phage M13KO7. Phages M13KO7 are specifically captured by the ligand when phage M13KO7 solution passes over the surface, resulting in a significant increase of mass surface concentration of the anti-M13 binding phage M13KO7 layer, which could be detected by imaging ellipsometry with a sensitivity of 10(9) pfu/ml. Moreover, atomic force microscopy is also used to confirm the fact that phage M13KO7 has been directly captured by ligands on the surface. It indicates that BIE is competent for direct detection of phage M13KO7 and has potential in the field of virus detection. (C) 2008 Elsevier B.V. All rights reserved.

金粟兰花器官特征基因CsAP1、CsAP3和CsSEP3的结构、表达和进化研究

花是被子植物特有的繁殖器官。花的发育取决于一个复杂的涉及到多个基因和过程的调控体系，因此花的起源和多样化过程实际上可以理解为这个调控体系的进化过程。所以，要全面地理解花和被子植物的起源和多样化，就必须研究花发育基因的功能和进化。 金粟兰科（Chloranthaceae）是基部被子植物的代表类群之一。与研究得比较深入的模式植物（如真双子叶植物中的拟南芥、金鱼草和矮牵牛等，和单子叶植物中的水稻和玉米等）相比，该科植物的花比较简单。花被以及雄蕊或雌蕊的丢失使得该科一些类群（如草珊瑚属Sarcandra和金粟兰属Chloranthus）具有被子植物中最简单的两性花（仅含一枚雄蕊和一枚雌蕊），而另一些类群（如Ascarina和雪香兰属Hedyosmum）具有了被子植物中最简单的单性花（雄花仅由一枚雄蕊、雌花由一枚雌蕊构成）。因此，对金粟兰科植物中花发育基因的研究不仅有助于理解花的起源和早期分化机制，还将为认识花部构造简单化的机制提供资料。 本研究以金粟兰（Chloranthus spicatus）为研究材料，从它的花和花序中分离得到了六个可能与花被的发生和发育有关的MADS-box基因，分析了它们的序列结构、系统发育关系、表达式样和进化中所受到的选择压力，探讨了金粟兰花发育和花被缺失的分子机理。主要研究结果包括： 1. 构建了金粟兰的花和花序的cDNA文库。构建工作使用了Clontech公司的SMART试剂盒，并采用其中的LD PCR方法，还使用了Stratagene公司的包装蛋白。该文库的初始滴度大约为5 × 106 pfu，重组率大约是90%, 插入片断几乎均大于0.5 kb。因此该文库质量优良，为以后的研究工作奠定了基础。 2. 从金粟兰的花中分离出了CsAP1、CsAP1a、CsAP1b、CsAP1c、CsAP3和CsSEP3基因。氨基酸序列分析结果表明它们都是MIKCc型MADS-box基因。系统发育分析结果表明CsAP1、CsAP1a、CsAP1b和CsAP1c与AP1/SQUA类基因聚在一起，而CsAP3和CsSEP3分别与AP3/DEF类和SEP1/2/3/4类基因聚在一起。CsAP1b和CsAP1c可能与CsAP1a互为复制本。但是二者在序列上有异常之处，因此可能只有CsAP1a具有功能。从序列上看CsAP1和CsSEP3能够正常行使功能。CsAP3的C末端出现了一个由鸟嘌呤到胸腺嘧啶的点突变，因此paleoAP3基序不完整，这可能影响了它的功能。 3. 用原位杂交的方法分析了CsAP1、CsAP3和CsSEP3的表达式样。CsAP1在穗状花序分生组织（包括苞片原基）、花原基、雄蕊和心皮原基、雄蕊裂片、花粉囊、胚珠、珠被和胚囊中表达。CsAP3在穗状花序分生组织中不表达，在花原基上发生雄蕊的位置开始表达，进而在雄蕊原基、雄蕊药隔裂片和花粉囊中表达，却不在心皮原基和心皮上表达。CsSEP3在穗状花序分生组织中也不表达，而在花原基、雄蕊原基、药隔裂片、花粉囊、心皮原基和胚珠中表达。CsAP1的表达模式反映了A功能基因决定花分生组织特性的原始作用;CsAP3的表达模式体现了B功能基因在雄性器官中的固有表达，反映了该类基因在两性器官分化中的原始作用;CsSEP3的表达模式反映了E功能基因提供成花背景（floral context）的作用。 4. 分析了已知的金粟兰的花发育相关基因受到的选择压力。同大多数近缘同源基因相比，CsAP1、CsAP3、CsPI、CsAG1受到负选择并且其强度没有明显差异;CsAG2和CsSEP3受到了更强的负选择;CsAP1a则受到减轻了的负选择。该结果表明除了CsAP1a之外，其它基因的功能可能没有改变。 5. 综上所述，在无花被的金粟兰中，仍然存在着与花被发育相关的基因，并且它们的功能没有改变，这充分反映了花发育ABC模型的保守性。金粟兰中花被的缺失可能与这些基因的下游基因有关，也可能与其它途径相关。CsAP1的复制以及CsAP3的末端突变可能是花被缺失之后的结果，而不是花被缺失的原因。