48 resultados para Geisteswissenschaften


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"Sonderabdruck aus dem siebzehnten Bande der Neuen Jahrbücher für das klassische Altertum, Geschichte und deutsche Literatur."

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Thèse de doctorat effectuée en cotutelle au Département de littérature comparée, Faculté des arts et des sciences de l'Université de Montréal et à l'Institut für Deutsche und Niederländische Philologie, Fachbereich Philosophie und Geisteswissenschaften de la Freie Universität Berlin

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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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In den Geisteswissenschaften verfolgt man Entwicklungen, die sich im gleichen Fachgebiet, aber außerhalb Europas/ Nordamerikas abzeichnen, bisher eher selten. Das trifft auch für die Komparatistik zu, die jedoch durchaus jenseits ihrer traditionellen Herkunftsländer anzutreffen ist. Mit der vorliegenden Arbeit soll jenes Desiderat speziell für Lateinamerika ausgelotet werden. Im Mittelpunkt der Analysen stehen dabei Brasilien und Argentinien, wo die Ausprägung einer „Literatura Comparada“ bis dato am fortgeschrittensten ist. Ausformungen in anderen Ländern werden ebenfalls, wenn auch weniger detailliert, in die Betrachtungen aufgenommen. Ziel ist es, in Ausschnitten das Panorama einer komparatistischen Wissenschaftsgeschichte nachzuskizzieren. Berücksichtigt werden komparatistische Keimzellen, kultureller Transfer und Friktionen, wie sie sich auf dem Kontinent seit präkolumbischer Zeit, desgleichen in Folge der stattgehabten Kolonialisierung, später dann als Konsequenz von Exil und Migrationsprozessen, nachweisen lassen; in der sich stetig internationalisierenden lateinamerikanischen Literatur haben sich diese Vorgänge besonders nachhaltig sedimentiert. Komparatistik wird in ihren vorinstitutionellen Anfängen des 19. und 20. Jahrhunderts sowie vor allem als universitäre Disziplin und fachliche Konstante der letzten Jahrzehnte beleuchtet. Den Interessenten sollen Fakten bereitgestellt werden, die bisher entweder nur in Lateinamerika selbst kursierten oder hierzulande lediglich ab und an in verstreuten Beiträgen tangiert werden. Außerdem sind in einer umfangreichen Bibliographie Informationen zu einschlägiger Literatur, Universitäten, Projekten etc. aufgelistet.

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Im Wintersemester 2006/07 wurde am Fachbereich Translations-, Sprach- und Kulturwissenschaft der Johannes Gutenberg Universität Mainz in Germersheim, in Zusammenarbeit mit der Fakultät für Natur- und Geisteswissenschaften der Universität des brasilianischen Bundesstaates São Paulo (Universidade Estadual Paulista Júlio de Mesquita Filho, UNESP) in Assis, das Pilotprojekt Teletandem initiiert. Ein Teil des Pilotprojektes, die Einführung, Entwicklung und Implementierung der Lehr- und Lernmethode Teletandem als Modul im BA-/MA-Studiengang Portugiesisch am FTSK, ist Grundlage der vorliegenden Dissertation.rnTeletandem (TT) ist eine innovative Methode zum autonomen, kooperativen Fremdsprachenlernen in Tandempaaren über das Internet. Die TT-Paare setzen sich aus einem brasilianischen und einem deutschen Studierenden zusammen, die sich ein- bis zweimal pro Woche im Internet treffen und mittels Webcam und Headset ‚unter vier Augen’ synchron, audiovisuell, mündlich und schriftlich miteinander kommunizieren. Dabei entscheiden sie gemeinsam mit ihrem Partner wann sie sich treffen, über was sie sprechen und wie sie die Teletandemsitzungen didaktisch gestalten. Durch die authentische Kommunikation mit Muttersprachlern erwerben und vertiefen die Teilnehmer zielgerichtet ihre Kenntnisse der fremden Sprache und Kultur.rnIn Teil I dieser Dissertation wird anhand einer Auswahl behavioristischer, kognitivistischer und konstruktivistischer (Lern-)Theorien wissenschaftlich untersucht, wie wir lernen, welche Faktoren unser Lernen positiv beeinflussen und welche Implikationen dies für institutionelles Lernen hat. Die Erkenntnisse werden auf das (Fremdsprachen-)Lernen im TT transferiert und es wird untersucht, inwieweit die Anwendung der Methode die Lernprozesse der Studierenden (und Lehrkräfte) begünstigt. In Teil 2 werden die Geschichte des Lernens im (Tele-)Tandem sowie die theoretische Grundlage und die Prinzipien von TT erläutert und das Pilotprojekt vorgestellt. Des Weiteren werden die im Rahmen des Projektes entwickelten vier Teletandemmodule (Modul Teletandem I, Modul Teletandem II, Intensivkurs Portugiesisch im Teletandem, Modul Fremdsprachenlernen im Teletandem), die von Studierenden des FTSK, des Karlsruher Instituts für Technologie (KIT) und der UNESP durchgeführt wurden, dargestellt. Im dritten Teil werden die Ergebnisse der Evaluation der Teletandemkurse vorgestellt und analysiert.rn

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Der Beitrag erhebt nicht den Anspruch, eine umfassende Analyse der vielfältigen und bedeutenden Beiträge der Geographie zur Nachhaltigkeitsforschung und zum Nachhaltigkeitsdiskurs zu leisten. Das Gewicht wird vielmehr auf einige konzeptionelle und methodologische Grundfragen gelegt, die bei der geographischen Auseinandersetzung mit dem Nachhaltigkeitskonzept auftauchten. Diese werden als «Fallen der Nachhaltigkeitsforschung» bezeichnet, und es wird kurz umrissen, welche Auswege aus diesen Fallen in der Geographie und deren Umfeld vorgeschlagen werden. Der Beitrag erhebt zudem nicht den Anspruch von Ausgewogenheit, sondern stellt die Position von Geographen dar, die sich in den letzten drei Dekaden konzeptionell und praktisch mit nachhaltiger Entwicklung und deren Vorgängerkonzepten auseinandergesetzt haben.

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