991 resultados para tassellazioni, isometrie, didattica della matematica
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Pontificia Universitá Gregoriana
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Du Fresne.
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Le neuroscienze occupano oggi un ruolo essenziale nel dibattito scientifico e filosofico, nonché in quello delle scienze umane. Esse costituiscono la sfida più seria al sapere fin qui elaborato intorno ai fondamenti dell'esperienza di coscienza, poiché si propongono come capaci di rispondere alla domanda di origine e funzionamento della coscienza. Le neuroscienze cognitive stanno, oggi, rivoluzionando la nostra concezione della mente e delle sue funzioni. Ci forniscono nuovi dati sulla natura delle sensazioni, della memoria, della percezione e dei processi di astrazione. L'epistemologia è rientrata così pienamente nell'ambito di una disciplina sperimentale, come diversi filosofi (da Hume a Quine) hanno auspicato. È, alla fine, evoluta nell'esperienza odierna della cosiddetta "epistemologia sperimentale", luogo che coniuga il rigore sperimentale della scienza con la profondità e la sofisticazione argomentativa della tradizione filosofica. Come arriviamo a conoscere? Quali vincoli poniamo a quello che deve essere conosciuto? Perché seguiamo certe vie invece di altre? Come arriviamo a formulare giudizi e a prendere decisioni? Che valore ha la conoscenza già acquisita nell'elaborazione di nuove esperienze? In particolare, che peso hanno le aspettative e i ricordi in questo processo? Qual è il rapporto fra esperienza, conoscenza e memoria? Come si fissano e come si richiamano i ricordi? Qual è il rapporto fra coscienza e memoria? Sono alcune delle domande che l'autore si pone in questa ottica e alle quali cerca di rispondere, a partire dall'analisi e valutazione del dialogo-dibattito fra J.-P. Changeux e P. Ricoeur, per apprenderne il linguaggio, capire i problemi sollevati, adattarsi alla complessità della materia. Nel contesto della filosofia della mente, la "lettura" della discussione ripercorre i relativi percorsi attraverso l'analisi delle loro opere, da un lato quelle dello scienziato (sulla struttura e dinamica del cervello, la teoria dell'epigenesi e stabilizzazione selettiva, le speculazioni sull'uomo neuronale e i rilievi antropologici, le teorie della conoscenza e della coscienza, oltre che sulla conoscenza matematica, gli argomenti di estetica ed etica); dall'altro lato quelle del filosofo (dal Cogito riflessivo alla scoperta dell'ermeneutica, dalle eterogenee riflessioni sul Conflitto delle interpretazioni alla grande teoria sulla creatività del linguaggio, le conclusioni teoriche sull'ermeneutica del sé e l'ontologia dell'agire). Il punto di arrivo è la determinazione delle relative posizioni: quella di Changeux tra i neuroscienziati che si occupano di questioni filosofiche, epistemologiche ed etiche, e quella di Ricoeur tra i filosofi che si occupano di neuroscienze. La conclusione della tesi si svolge in un approfondimento teoretico che dalla nozione di "traccia" porta all'esperienza della "memoria", al fine di intrecciare i fili della discussione ripercorsa ed offrire una sponda non forzata al dibattito più ampio. Il tema della memoria è privilegiato per ragioni intrinseche, poiché si tratta di uno dei temi precipui delle neuroscienze, della filosofia della mente e della fenomenologia. A un primo livello viene instaurato su questo punto un confronto epistemologico tra la proposta della neurofenomenologia (Varala, ad esempio) e la posizione tenuta in particolare da Ricoeur rispetto ad essa e al suo "progetto unificante", posizione defilata e, per certi aspetti, criticamente dubbiosa sul fatto che si possa davvero giungere a un "terzo discorso". Si riferisce poi del largo interesse e dei risultati più significativi della riflessione fenomenologica antica e moderna sulla memoria. A un secondo livello vengono illustrati i programmi di ricerca recenti della neurofenomenologia su questo argomento all'interno delle scienze cognitive e si dà conto dei risultati più significativi. Ad un terzo e conclusivo livello, si approfondisce il significato teologico della memoria. Les neurosciences ont aujourd'hui un rôle essentiel dans le débat scientifique et philosophique, ainsi que dans celui des sciences humaines. Elles constituent le défi le plus sérieux aux savoir qu'on a construit jusqu'ici sur les fondements de l'expérience de conscience, attendu qu'elles-mêmes se considèrent capables de répondre à la demande sur l'origine e le fonctionnement de la conscience. Les neurosciences cognitives sont aujourd'hui en train de révolutionner notre conception de l'esprit et des ses fonctions. Elles nous offrent des nouvelles données au sujet de la nature de nos sensations, mémoire, perception et procédés d'abstraction. Aussi l'épistémologie est rentrée pleinement dans le domaine d'une discipline expérimentale, comme plusieurs philosophes (de Hume à Quine) l'ont souhaité. Elle s'est enfin adressée, dans l'expérience actuelle, vers la soi-disant "épistémologie expérimentale", lieu qui met en accord la rigueur expérimentale de la science avec la profondeur et la sophistiquée finesse argumentative de la tradition philosophique. Comment en arrivons-nous à connaître? Quels liens mettons-nous à ce qu'on doit être connu? Pourquoi suivons-nous certaines vois au lieu d'autres? Comment en arrivons-nous à formuler des opinions et à prendre des décisions? Quelle valeur a la connaissance qu'on a déjà acquise par l'élaboration des nouvelles expériences? En particulier, quelle est l'importance des attentes et des souvenirs dans cette évolution? Quel est le rapport entre expérience, connaissance e mémoire? Comment fixons et rappelons-nous nos souvenirs? Quel est le rapport entre conscience et mémoire? Ces sont quelques-unes des questions que l'auteur se pose dans cette perspective et aux quelles essaie de répondre a partir de l'analyse et l'évaluation du dialogue-débat entre fra J.-P. Changeux et P. Ricoeur, pour en apprendre le langage, comprendre les problèmes soulevés, s'adapter à la complexité du sujet. Dans le contexte de la philosophie du cerveau, la "lecture" du dialogue reparcourt les parcours des deux interlocuteurs par l'analyse de leur ouvrages, d'une part celles du savant (sur la structure et la dynamique du cerveau, la théorie de l'épigenèse et stabilisation sélective; les spéculations sur l'homme neuronal et les commentaires anthropologiques; les théories de la connaissance et de la conscience, de même que sur la connaissance de la mathématique, les sujets d'esthétique et étique; d'autre part celles du philosophe (du Cogito réflexif à la découverte de l'herméneutique, de les hétérogènes réflexions sur le Conflit des interprétations à la grande théorie sur la créativité du langage, les conclusions théoriques sur l'herméneutique du soi et l'ontologie de l'agir). L'issue est la determination des relatives positions: celle de Changeux parmi les neuro-scientifiques qui s'occupent de questions philosophiques, épistémologiques et éthiques, et celle de Ricoeur parmi les philosophes qui s'occupent de neurosciences. La conclusion de la thèse se développe dans un approfondissement théorétique que de la notion de "trace" à l'expérience de la "mémoire", à l'effet de nouer les fils de la discussion passée en revue et d'assurer un appui pas forcé au débat plus vaste. Le thème de la mémoire a été choisi pour des raisons intrinsèques, puisqu'il est un des thèmes principaux des neurosciences, de la philosophie de l'esprit et de la phénoménologie. Sur un premier plan épistémologique il est établi une comparaison entre la proposition de la neurophénoménologie (Varala, par exemple) et la position soutenue en particulier par Ricoeur au sujet de ce courant phénoménologique et de son "projet unifiant", position défilée et, à certains égards, critiquement hésitante sur le fait qu'on puisse vraiment en venir à un "troisième discours". On rend compte du grand intérêt et des résultats les plus significatifs de la réflexion phénoménologique ancienne et moderne sur la mémoire. Sur un second plan neurophénoménologique on illustre des plans de recherche récents sur cet argument au-dedans des sciences cognitives et on rend compte des résultats les plus distinctives. Sur un troisième et conclusif plan on approfondit le sens théologique de la mémoire.
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Collection : Bibliothèque de l'Institut français de Florence ; 1
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La prima parte della ricerca è un approfondito studio dell'endecasillabo della Gerusalemme Liberata: in particolar modo, analizzo con un metodo statistico-quantitativo morfologia prosodica e tipologie del verso epico tassiano e distribuzione dei diversi tipi ritmici all'interno dell'ottava, tenendo naturalmente conto della necessaria connessione tra fisionomia ritmico-prosodica del verso e le strutture retoriche e sintattiche. Tale analisi, condotta con una prospettiva comparativa nei confronti di altre opere tassiane (Rinaldo, Conquistata) e della precedente tradizione in ottave, porta a riscontrare delle linee evolutive coerenti nella direzione di un progressivo innalzamento verso il modello lirico petrarchesco e dellacasiano e di un complessivo 'aggravamento' delle strutture stilistiche. I risultati permettono di mettere in discussione la vulgata critica che considererebbe monotono l'endecasillabo della Liberata: questo è negato, oltre che dall'evidenza delle statistiche, dal piano melodico e intonativo del verso, dato che diversi fattori stilistici interagenti (inarcature; struttura prevalentemente paratattica; dispositio molto mossa; moltiplicazione delle pause interne al verso) contribuiscono a minare la stabilità intonativa dell'endecasillabo, nella direzione del contrappunto tra movimento della frase e cadenze del verso. Analogamente, lo studio della fisionomia dell'ottava (seconda parte della ricerca) mostra da un lato il mantenimento di un modello di stanza 'pari', sostanzialmente affine al modello ariostesco, dall'altro una disposizione dei materiali verbali tesa a sommuovere internamente l'incedere per distici. Questo è legato alla strategia narrativa, di disposizione delle sequenze diegetiche: si possono infatti notare sovente aggregazioni di distici la cui continuità logico-argomentativa travalica la misura dell'ottava, rinnovando il rapporto dinamico e contrappuntistico tra forme metriche e fluire della narrazione. Ciò ha una funzione solidale proprio con lo sviluppo narrativo, dato che diversi espedienti stilistici paiono concorrere alla realizzazione di quella varietà nell'unità aristotelicamente centrale nell'elaborazione teorica tardocinquecentesca e tassiana in particolare. Nella terza parte del lavoro, infine, provo ad allontanare la lente dalla microscopia metrica e cerco di porre in relazione i dati metrico-stilistici con quelli sintattico-retorici già studiati dalla critica, provando a verificare nella concreta prassi poetica la teoria della commistione degli stili, così come viene progressivamente definendosi nella ricca produzione teorica del Tasso: centrale è la questione del dosaggio di artifici simmetrici, tipici del genere lirico, e asimmetrici, caratteristici dello stile grave, dosaggio coerente che si rivela in grado di illuminare da una prospettiva appunto stilistica le oscillazioni e le screziature del più grande poema tardorinascimentale.
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[Coutume. Messine. 1901]
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Résumé de la thèseLe présent travail analyse la notion d'autonomie en éthique biomédicale et en propose unecompréhension à partir des théories de la délibération éthique. La thèse s'articule en deux parties.La première partie consiste en l'examen de la conception de l'autonomie développée en éthiquebiomédicale. Notamment, on retrace les origines de la notion de l'autonomie du patient dans lecontexte états-unien, on analyse l'élaboration de l'autonomie sous la forme de principe éthique, etl'on considère les critiques qui lui ont été adressées. Cette première partie débouche sur la thèsesuivante: en éthique biomédicale, l'autonomie est pensée comme un outil pour la légitimation deschoix, des pratiques, ou des politiques de santé, non pas comme réflexion critique sur les raisonspour agir ou sur les conditions des choix. Le risque est que l'autonomie se réduise à un dispositif dereproduction des normes et des conditions de l'interaction, sans pour autant remettre en discussionla rationalité médicale qui prédispose les options de choix et qui justifie les pratiques et lespolitiques dans le contexte du soin. Cette conception de l'autonomie présuppose une théorie de ladélibération éthique «en troisième personne». Selon cette théorie, la délibération consiste en uneprise de distance du point de vue subjectif de l'agent, pour assumer un point de vue plus objectif: lepoint de vue d'un «spectateur» impartial. Ainsi, le but de la délibération éthique est l'élaboration deraisons morales objectives, partageables par toute personne raisonnable, pouvant générer unconsensus sur la justification des actions. Cette théorie de la délibération a une implicationimportante pour la conception de l'autonomie en éthique biomédicale: l'autonomie est représentéecomme un principe moral partageable, comme le résultat d'un processus d'abstraction réflexive.Selon une théorie de la délibération éthique différente, que l'on appelle «en première personne», onpeut apprécier la valeur de l'autonomie seulement du point de vue de l'«agent». Ainsi, l'autonomieest la véritable modalité de la délibération éthique, dont le but est la constitution de soi-même, deson intégrité et identité morale. Dans ce travail, on s'est donc demandé si et comment cette manièrede concevoir la délibération du point de vue de l'agent peut apporter quelque chose à lacompréhension de la valeur de l'autonomie personnelle en éthique biomédicale.La deuxième partie de la thèse explore deux modèles de l'autonomie en première personnedéveloppés dans le débat philosophique plus récent: le modèle «hiérarchique» et le modèle«constructiviste kantien». Les deux modèles débouchent sur une compréhension «monologique» del'autonomie, qui est centrée sur l'agent et qui ne tient pas suffisamment compte du contexterelationnel du soin. Pour apprécier la valeur de l'autonomie dans les relations intersubjectives il fautadopter une perspective différente, que l'on appelle «en deuxième personne». Selon cette théorie, ladélibération est un dialogue entre les agents et l'autonomie est issue d'une relation de respect etreconnaissance réciproque. Comme l'autonomie est toujours issue d'une relation de réciprocité,comme elle est essentiellement relationnelle, elle n'est pas une entreprise simplement singulièremais toujours et inévitablement plurielle, collective. Ainsi, l'autonomie peut représenter un idéalnon seulement personnel mais aussi public. Il s'agit d'un idéal qu'on peut adopter dans nos relationsréciproques, un idéal normatif qui nous demande d'interroger la praticabilité de l'autonomie, c'est-àdired'identifier les sources de sa vulnérabilité. Cette vulnérabilité se situe à trois niveaux: au niveaudes relations interpersonnelles, au niveau des pratiques et des institutions, et au niveau des liensd'appartenance à des communautés culturelles ou à des groupes sociaux, qui contribuent à définirles relations réciproques et donc l'exercice de l'autonomie. Ces trois sources de vulnérabilité del'autonomie se retrouvent, toutes les trois, dans le contexte du soin. Selon cette conception del'autonomie, le but de la délibération n'est ni l'élaboration des raisons objectives, ni simplement laconstitution de sa propre identité ou intégrité, quant plutôt la construction de notre monde social.Ainsi, l'autonomie est quelque chose dont on est responsables, quelque chose qui nous engage àentrer en dialogue avec l'autre comme interlocuteurs dans une communauté morale.