365 resultados para Mortalité proportionnelle
Resumo:
Gli squali bianchi sono tra i più importanti predatori dei Pinnipedi (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). La loro principale strategia di caccia consiste nel pattugliare le acque circostanti ad una colonia di otarie e nell’attaccarle quando queste sono in movimento, mentre si allontanano o avvicinano all’isola (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). Tuttavia, la strategia e la dinamica della predazione osservate anche in relazione al ciclo riproduttivo della preda e le tattiche comportamentali messe in atto dalla preda per ridurre la probabilità di predazione, e quindi diminuire la sua mortalità, sono ancora poco conosciute. Con questo studio, effettuato nell’area di Seal Island all’interno della baia di Mossel Bay in Sud Africa, abbiamo cercato di definire proprio questi punti ancora poco conosciuti. Per studiare la strategia e le dinamica di predazione dello squalo bianco abbiamo utilizzato il sistema di monitoraggio acustico, in modo da poter approfondire le conoscenze sui loro movimenti e quindi sulle loro abitudini. Per dare un maggiore supporto ai dati ottenuti con la telemetria acustica abbiamo effettuato anche un monitoraggio visivo attraverso l’attrazione (chumming) e l’identificazione fotografica degli squali bianchi. Per comprendere invece i loro movimenti e le tattiche comportamentali messi in atto dalle otarie orsine del capo per ridurre la probabilità di predazione nella baia di Mossel Bay, abbiamo utilizzato il monitoraggio visivo di 24 ore, effettuato almeno una volta al mese, dalla barca nell’area di Seal Island. Anche se gli squali bianchi sono sempre presenti intorno all’isola i dati ottenuti suggeriscono che la maggior presenza di squali/h si verifica da Maggio a Settembre che coincide con l’ultima fase di svezzamento dei cuccioli delle otarie del capo, cioè quando questi iniziano a foraggiare lontano dall'isola per la prima volta; durante il sunrise (alba) durante il sunset (tramonto) quando il livello di luce ambientale è bassa e soprattutto quando la presenza delle prede in acqua è maggiore. Quindi possiamo affermare che gli squali bianchi a Seal Island prendono delle decisioni che vanno ad ottimizzare la loro probabilità di catturare una preda. I risultati preliminari del nostro studio indicano anche che il numero di gruppi di otarie in partenza dall'isola di notte sono di gran lunga maggiori di quelle che partono durante il giorno, forse questo potrebbe riflettere una diminuzione del rischio di predazione; per beneficiare di una vigilanza condivisa, le otarie tendono in media a formare gruppi di 3-5 o 6-9 individui quando si allontanano dall’isola e questo probabilmente le rende meno vulnerabili e più attente dall’essere predate. Successivamente ritornano all’isola da sole o in piccoli gruppi di 2 o 3 individui. I gruppi più piccoli probabilmente riflettono la difficoltà delle singole otarie a riunirsi in gruppi coordinati all'interno della baia.
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Le fratture vertebrali sono tra le principali cause dell’incremento della mortalità. Queste sono dovute principalmente a traumi, tumori o particolari patologie metaboliche che colpiscono l’osso. Il tratto maggiormente interessato è quello toraco-lombare in quanto deve sopportare la maggior parte dei carichi. Risulta quindi necessario comprendere come la colonna vertebrale risponde ai carichi così da studiare e sviluppare nuovi protocolli e trattamenti per disordini del tratto spinale. Informazioni quantitative possono essere ottenute mediante test in vitro. Questi hanno alcune limitazioni dovute principalmente alla difficoltà di misurare le tensioni e le deformazioni in zone diverse dalla superficie, alla complessità e al costo delle prove. Un altro limite delle prove in vitro è rappresentato dal fatto che ciascun campione può essere testato a rottura una volta sola. Queste problematiche possono essere superate con l’utilizzo contemporaneo di modelli matematici e test in vitro. In particolare i test in vitro sono utilizzati in fase di validazione del modello matematico, ovvero nella determinazione di quanto il modello è una rappresentazione del comportamento reale che si sta simulando. Il presente lavoro di tesi si inserisce in un progetto di caratterizzazione di vertebre toraco-lombari utilizzate per la validazione di un modello agli elementi finiti. In particolare l’obiettivo dello studio è stata la realizzazione di prove meccaniche in modo da replicare l’anterior wedge fracture. Tali prove sono state effettuate presso il Laboratorio di Biomeccanica del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna. Gli spostamenti registrati durante le prove sono stati utilizzati dal Laboratorio di Tecnologia Medica dell’Istituto Ortopedico Rizzoli come condizioni al contorno per la realizzazione di un modello FE. Una volta validato e messo a punto, il modello sarà utilizzato per valutare lo stato di salute della colonna vertebrale in vivo.
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I pattern di espressione genica permettono di valutare se gli organismi siano soggetti a stress ambientali, spesso associati a stress ossidativo e produzione di specie reattive dell’ossigeno, che possono essere analizzate per studiare gli effetti sub-letali indotti dall’ambiente negli organismi. Scopo di questa ricerca è stato valutare la possibilità di utilizzo dell’ascidia coloniale B. schlosseri come biomarker in ambiente lagunare. Le colonie, esposte a diverse condizioni ambientali nella Laguna di Venezia, sono state confrontate con esemplari allevati in condizioni di controllo. La ricerca si è concentrata in 2 siti con diverso grado di idrodinamicità e impatto antropico. Mentre nel sito 1, più vicino alla bocca di porto, si è rilevata la presenza di Tunicati, il sito 2 ne è privo. Il sito 2 ha registrato valori di pH e temperatura più alti. Inoltre, nel sito 2 è stata rilevata una mortalità maggiore delle colonie e alterazioni della morfologia nelle colonie sopravvissute. Ciò suggerisce che il sito 2 presenti condizioni avverse per B. schlosseri. Sui campioni di B. schlosseri sono state eseguite PCR semiquantitative per analizzare l’espressione di un gruppo di geni coinvolto nella risposta allo stress ossidativo: la glutammato cistein ligasi la glutatione sintetasi, 2 isoforme di glutatione perossidasi e la superossido dismutasi (SOD). Tutti i geni presentano livelli di trascrizione doppi nelle colonie del sito 1 rispetto al controllo. Viceversa, il sito 2 mostra livelli di espressione di poco superiori al controllo. Analisi spettrofotometriche evidenziano che le attività enzimatiche di SOD e catalasi sono più alte nel sito 2 rispetto al sito 1. Si può pertanto ipotizzare che le colonie esposte al sito 2 siano soggette a un maggiore stress. B. schlosseri appare dunque un buon indicatore dello stato ecologico dell’ambiente lagunare, entro parametri di pH e temperatura in cui abitualmente vive.
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Siracusa, importante città della Sicilia sud orientale, si affaccia sul Mar Ionio ed è situata in una zona altamente esposta al pericolo di tsunami, di tipo locale e non: fra i numerosi eventi che hanno colpito quest’area si ricordano i maremoti dell’11 gennaio 1693 e del 28 dicembre 1908. L’obiettivo di questa Tesi è studiare la vulnerabilità sociale, esposizione e rischio legati a un’eventuale inondazione di Siracusa dovuta a tsunami. Il presente lavoro è strutturato come segue. Innanzitutto, si fornisce una descrizione della regione interessata illustrandone gli aspetti geografici e geologici e tracciando una breve sintesi della sequenza degli tsunami che l’hanno colpita. Successivamente si prende in esame la vulnerabilità, in particolare la vulnerabilità sociale, facendo un breve excursus dei concetti e delle metodologie di analisi. Nella Tesi lo studio della vulnerabilità sociale sarà diviso in tre fasi che si differenziano sia per l’approccio utilizzato che per le dimensioni dell’area in esame. Nella prima fase viene studiata tutta la costa orientale della Sicilia con l’obiettivo di calcolare la vulnerabilità sociale su base comunale. Per ogni comune della costa verrà calcolato un indice di vulnerabilità noto nella letteratura specialistica come SoVI (Social Vulnerability Index). Nella seconda fase ci si concentra sul comune di Siracusa e si stima il numero di persone potenzialmente colpite da tsunami sulla base di dati statistici disponibili a livello municipale. La terza fase consiste in un’analisi ancora più dettagliata che studia puntualmente le strutture che si trovano nella zona inondata e quantifica il danno sia per le persone che per le costruzioni considerando per queste ultime anche il loro valore economico.
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Durante la mia tesi mi sono occupata di una grave patologia, l’Aneurisma Cerebrale, che rappresenta una delle principali cause di ospedalizzazione provocando il 10/12% della mortalità globale annua nei paesi industrializzati. In Italia , l’incidenza di aneurismi cerebrali è di 100.000 nuovi casi all’anno. In generale , nei paesi industrializzati, la prevalenza è stimata a circa 600 per 100.000 abitanti . Tuttavia la prevalenza degli aneurismi cerebrali nelle popolazioni in generale , è molto più elevato stimato intorno al 2,3%,il che suggerisce indirettamente che la maggior parte degli aneurismi non va mai incontro a rottura. Negli ultimi vent’anni lo sviluppo della tecnologia ha visto significativi progressi che ci hanno permesso di agire sul problema in modo sempre migliore. Nei primi capitoli ho descritto alcune apparecchiature biomediche che sono di fondamentale importanza nello studio degli aneurismi cerebrali, mettendo in evidenza le varie peculiarità che le contraddistinguono. A seguire, ho parlato del trattamento endovascolare, che consiste nell’esclusione della cavità aneurismatica dal flusso di sangue, il quale viene incanalato in una protesi posizionata all’interno del lume vasale eliminando il rischio di rottura o di embolizzazione di materiale trombotico proveniente dalla sacca aneurismatica. I vantaggi della tecnica endovascolare consistono nella minore invasività rispetto alla tecnica chirurgica standard, la craniotomia. A fronte di ciò, si deduce quanto l’ingegneria biomedica sia una disciplina in evoluzione. Le condizioni di vita delle persone che subiscono questi tipi di interventi sono notevolmente migliorate ottenendo risultati di completa o semi-completa guarigione.
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La malattia aterosclerotica presenta elevate morbilità e mortalità in gran parte del mondo e poterla diagnosticare prima che essa porti a un evento acuto (ictus) comporta indiscutibili vantaggi per la sanità. Il problema a monte della malattia è la presenza di placche aterosclerotiche nei vasi arteriosi. La placca può essere classificata in base alle sue componenti isto-morfologiche in fibrosa, fibrocalcifica o fibroadiposa, che comportano diversi livelli di rischio. In questo elaborato è presentata la procedura CAPSU, che permette la rilevazione e la segmentazione delle placche in modo automatico in immagini eco; è valutata l’efficacia di un tool che permette la classificazione automatica delle placche, già segmentate con il metodo CAPSU. Un esperto ha classificato le placche appartenenti a 44 immagini ecografiche che poi sono state sottoposte all’elaborazione automatica; i risultati si sono rivelati concordi. Sono stati valutati alcuni fattori che potrebbero differenziare univocamente i tipi di placche tra loro (area, eccentricità, minimo, massimo e medio livello di grigio, ecogenicità ed eterogeneità) e a parte i primi due tutti si sono mostrati validi in almeno un confronto tra due tipi di placche. Si è concluso che una classificazione automatica del tutto efficace delle placche carotidee potrebbe essere possibile in seguito a ulteriori sviluppi di questa tecnica.
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Mandraka possède de nombreux écosystèmes, dominés surtout par les forêts. Cette zone est située sur la première falaise orientale malgache et affiche des reliefs accidentés (pentes supérieures à 60%). Elle est exposée à un régime climatique à forte influence orientale se traduisant par une humidité permanente et un régime cyclonique fréquent. Les paramètres stationnels sont ainsi rudes, or ils sont écologiquement très importants car plusieurs caractéristiques physionomiques et comportementales des espèces forestières en dépendent. Cette étude s'intéresse à la station forestière de Mandraka, particulièrement à l'arboretum. Ce dernier fût créé dans les années cinquante et est actuellement géré par le Département des Eaux et Forêts. Ce site est actuellement à vocation pédagogique et écotouristique. Son état écologique est inconnu jusqu'à maintenant, et depuis sa création, aucun système n'a été mis en place pour mesurer et suivre sa viabilité. D'où, l'intitulé de ce travail de mémoire : « Définition d'un état zéro et mise en place d'un système de suivi écologique permanent de l'arboretum de la station forestière de Mandraka ». Les objectifs étant de collecter des données concernant l'état écologique actuel du site, d'identifier des indicateurs de suivi pour mesurer sa viabilité, et d'inclure un système de suivi écologique permanent dans une proposition de plan d'aménagement pour l'arboretum. Le suivi est en effet un outil très important pour l'analyse des ressources forestières. Il permet de cadrer toutes les interventions. Les diverses analyses menées lors de cette étude ont révélé une viabilité moyenne de l'arboretum. Cela est induit par une qualité de peuplement moyennement stable, une mortalité élevée (plus de 14%), et un potentiel d'avenir très faible, voire inexistant (taux de régénération à 0%). L'envahissement de la forêt artificielle par les espèces autochtones constitue la pression la plus importante de cet arboretum vu qu'il se trouve au milieu des forêts naturelles. L'analyse sylvicole effectuée sur les deux types dendrologiques révèle que les peuplements de conifères présentent des caractéristiques sylvicoles plus favorables que les feuillus. Ce niveau moyen de viabilité de l'arboretum implique ainsi la proposition d'un plan d'aménagement pour l'améliorer; le suivi est une activité primordiale, d'où la proposition d'un plan de suivi permanent pour l'arboretum. A noter que malgré la considération du critère de représentativité pour l'échantillonnage, toutes les questions ne pourront être répondues du fait que plusieurs mosaïques de peuplements artificiels de différentes espèces constituent l'arboretum, et que chacune de ces espèces plantées ont leurs propres caractéristiques. La mise en place des plots permanents d'observation ne servira ainsi que de référence (Etat zéro), mais on propose de prévoir un suivi intégral ainsi que diverses interventions pour l'arboretum en général. Ce travail constitue ainsi une base de données pour l'arboretum et pour la station forestière de Mandraka, mais il ne représente qu'une des facettes à prendre en considération dans une finalité d'amélioration de la viabilité. L'élaboration de cartes thématiques et d'évolution spatio-temporelle à l'issue de SIG (Système d'Information Géographique) permettra d'enrichir les informations établies et admettra un suivi plus précis.
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El objetivo del trabajo fue estudiar el efecto del tiempo de maceración sobre la composición tánica, el color y la astringencia de vinos Cabernet Sauvignon y Malbec, provenientes de la Zona Alta del Río Mendoza y saber qué tiempo de maceración permite una mayor expresión del color y del cuerpo del vino. A partir de dos vinificaciones industriales, se realizaron muestreos para determinar las curvas de extracción de los componentes fenólicos y del color. Además, se llevaron a cabo dos experimentos probando un tiempo de maceración corto, de 5 días, uno “clásico" en la región, de 10 días, y uno largo, de 20 días. En los vinos resultantes se determinó el perfil fenólico, discriminando los componentes tánicos y del color, durante el primer año de conservación en vasijas de vidrio. Se utilizaron técnicas de espectrometría VIS y UV y los vinos fueron evaluados por un panel de expertos degustadores. La variedad Cabernet S. siguió un patrón de extracción de antocianos y taninos durante la maceración acorde con lo que indica la bibliografía. La magnitud del color rojo alcanzó un máximo cerca del 10º día y luego sufrió una caída que, en la maceración de 20 días, significó una pérdida de alrededor de un 10%. Los taninos aumentaron rápidamente hasta el 10º día y luego continuaron creciendo muy lentamente. Los vinos Cabernet S. obtenidos con maceración de 10 días y de 20 días resultaron muy superiores en cuanto a los contenidos de antocianos, color polimérico y taninos. También provocaron sensaciones de concentración y untuosidad mayores. Además resultaron más ásperos, astringentes y secantes que los de 5 días, pero estas sensaciones fueron moderadas. Los vinos de 20 días fueron similares a los de 10 días salvo en que alcanzaron un contenido mayor de polifenoles totales y de taninos no astringentes. La variedad Malbec siguió un patrón de extracción de antocianos y taninos similar al Cabernet S. hasta el 10º día, pero luego ambos mostraron una caída pronunciada, como consecuencia de un deterioro oxidativo. La maceración de 10 días resultó óptima y los vinos se destacaron por su mayor contenido en polifenoles totales, antocianos, color polimérico y taninos. Estos atributos provocaron sensaciones de concentración y untuosidad destacadas y similares a las de los Cabernet S. de 10 y 20 días. Las sensaciones de secante, áspero y astringente fueron menores que en los Cabernet. Los Malbec de 5 días resultaron muy pobres en atributos y los de 20 días con característics intermedias entre los de 5 y los de 10 días. En ambas variedades la pérdida en los contenidos de antocianos copigmentados se acompañó de un aumento proporcional en los contenidos de antocianos polimerizados. Durante el estacionamiento todos los vinos Cabernet S. y Malbec sufrieron una degradación de polifenoles totales, antocianos y taninos. El ritmo de degradación de cada compuesto fue similar para los distintos vinos, sin importar las concentraciones iniciales del compuesto. En ambas variedades los polifenoles totales y los taninos se correlacionaron positivamente con la aspereza, la astringencia, lo secante, la untuosidad y la concentración. Lo secante se asoció negativamente con la proporción de taninos no precipitables con gelatina. La espectrometría VIS y UV, como método instrumental de análisis, resultó suficientemente potente como para permitir una la apreciación del perfil fenólico y diferenciar los vinos Cabernet S. de los Malbec, independientemente del tiempo de maceración con que fueron elaborados.
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Nel sesso maschile il carcinoma della prostata (CaP) è la neoplasia più frequente ed è tra le prime cause di morte per tumore. Ad oggi, sono disponibili diverse strategie terapeutiche per il trattamento del CaP, ma, come comprovato dall’ancora alta mortalità, spesso queste sono inefficaci, a causa soprattutto dello sviluppo di fenomeni di resistenza da parte delle cellule tumorali. La ricerca si sta quindi focalizzando sulla caratterizzazione di tali meccanismi di resistenza e, allo stesso tempo, sull’individuazione di combinazioni terapeutiche che siano più efficaci e capaci di superare queste resistenze. Le cellule tumorali sono fortemente dipendenti dai meccanismi connessi con l’omeostasi proteica (proteostasi), in quanto sono sottoposte a numerosi stress ambientali (ipossia, carenza di nutrienti, esposizione a chemioterapici, ecc.) e ad un’aumentata attività trascrizionale, entrambi fattori che causano un accumulo intracellulare di proteine anomale e/o mal ripiegate, le quali possono risultare dannose per la cellula e vanno quindi riparate o eliminate efficientemente. La cellula ha sviluppato diversi sistemi di controllo di qualità delle proteine, tra cui gli chaperon molecolari, il sistema di degradazione associato al reticolo endoplasmatico (ERAD), il sistema di risposta alle proteine non ripiegate (UPR) e i sistemi di degradazione come il proteasoma e l’autofagia. Uno dei possibili bersagli in cellule tumorali secretorie, come quelle del CaP, è rappresentato dal reticolo endoplasmatico (RE), organello intracellulare deputato alla sintesi, al ripiegamento e alle modificazioni post-traduzionali delle proteine di membrana e secrete. Alterazioni della protestasi a livello del RE inducono l’UPR, che svolge una duplice funzione nella cellula: primariamente funge da meccanismo omeostatico e di sopravvivenza, ma, quando l’omeostasi non è più ripristinabile e lo stimolo di attivazione dell’UPR cronicizza, può attivare vie di segnalazione che conducono alla morte cellulare programmata. La bivalenza, tipica dell’UPR, lo rende un bersaglio particolarmente interessante per promuovere la morte delle cellule tumorali: si può, infatti, sfruttare da una parte l’inibizione di componenti dell’UPR per abrogare i meccanismi adattativi e di sopravvivenza e dall’altra si può favorire il sovraccarico dell’UPR con conseguente induzione della via pro-apoptotica. Le catechine del tè verde sono composti polifenolici estratti dalle foglie di Camellia sinesis che possiedono comprovati effetti antitumorali: inibiscono la proliferazione, inducono la morte di cellule neoplastiche e riducono l’angiogenesi, l’invasione e la metastatizzazione di diversi tipi tumorali, tra cui il CaP. Diversi studi hanno osservato come il RE sia uno dei bersagli molecolari delle catechine del tè verde. In particolare, recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno messo in evidenza come il Polyphenon E (estratto standardizzato di catechine del tè verde) sia in grado, in modelli animali di CaP, di causare un’alterazione strutturale del RE e del Golgi, un deficit del processamento delle proteine secretorie e la conseguente induzione di uno stato di stress del RE, il quale causa a sua volta l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR. Nel presente studio su due diverse linee cellulari di CaP (LNCaP e DU145) e in un nostro precedente studio su altre due linee cellulari (PNT1a e PC3) è stato confermato che il Polyphenon E è capace di indurre lo stress del RE e di determinare l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR, le quali possono fungere da meccanismo di sopravvivenza, ma anche contribuire a favorire la morte cellulare indotta dalle catechine del tè verde (come nel caso delle PC3). Considerati questi effetti delle catechine del tè verde in qualità di induttori dell’UPR, abbiamo ipotizzato che la combinazione di questi polifenoli bioattivi e degli inibitori del proteasoma, anch’essi noti attivatori dell’UPR, potesse comportare un aggravamento dell’UPR stesso tale da innescare meccanismi molecolari di morte cellulare programmata. Abbiamo quindi studiato l’effetto di tale combinazione in cellule PC3 trattate con epigallocatechina-3-gallato (EGCG, la principale tra le catechine del tè verde) e due diversi inibitori del proteasoma, il bortezomib (BZM) e l’MG132. I risultati hanno dimostrato, diversamente da quanto ipotizzato, che l’EGCG quando associato agli inibitori del proteasoma non produce effetti sinergici, ma che anzi, quando viene addizionato al BZM, causa una risposta simil-antagonistica: si osserva infatti una riduzione della citotossicità e dell’effetto inibitorio sul proteasoma (accumulo di proteine poliubiquitinate) indotti dal BZM, inoltre anche l’induzione dell’UPR (aumento di GRP78, p-eIF2α, CHOP) risulta ridotta nelle cellule trattate con la combinazione di EGCG e BZM rispetto alle cellule trattate col solo BZM. Gli stessi effetti non si osservano invece nelle cellule PC3 trattate con l’EGCG in associazione con l’MG132, dove non si registra alcuna variazione dei parametri di vitalità cellulare e dei marcatori di inibizione del proteasoma e di UPR (rispetto a quelli osservati nel singolo trattamento con MG132). Essendo l’autofagia un meccanismo compensativo che si attiva in seguito all’inibizione del proteasoma o allo stress del RE, abbiamo valutato che ruolo potesse avere tale meccanismo nella risposta simil-antagonistica osservata in seguito al co-trattamento con EGCG e BZM. I nostri risultati hanno evidenziato, in cellule trattate con BZM, l’attivazione di un flusso autofagico che si intensifica quando viene addizionato l’EGCG. Tramite l’inibizione dell’autofagia mediante co-somministrazione di clorochina, è stato possibile stabilire che l’autofagia indotta dall’EGCG favorisce la sopravvivenza delle cellule sottoposte al trattamento combinato tramite la riduzione dell’UPR. Queste evidenze ci portano a concludere che per il trattamento del CaP è sconsigliabile associare le catechine del tè verde con il BZM e che in futuri studi di combinazione di questi polifenoli con composti antitumorali sarà importante valutare il ruolo dell’autofagia come possibile meccanismo di resistenza.
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La présence d’Escherichia coli pathogènes en élevages porcins entraine des retards de croissance et la mortalité. La transmission des E. coli pathogènes entre les élevages et l'abattoir d’un même réseau de production n'est pas bien décrite. La détection des gènes de virulence des E. coli pathogènes pourrait permettre d’identifier un marqueur de contamination dans le réseau. L’objectif de cette étude a été d’identifier un marqueur de contamination E. coli dans un réseau de production porcine défini afin de décrire certains modes de transmission des E. coli pathogènes. Pour ce faire, une région géographique comprenant 10 fermes d’engraissement, un abattoir et un réseau de transport a été sélectionnée. Trois lots de production consécutifs par ferme ont été suivis pendant 12 mois. Des échantillons environnementaux ont été prélevés à l’intérieur et à l’extérieur des fermes (3 visites d’élevage), dans la cour de l’abattoir (2 visites lors de sorties de lot) et sur le camion de transport. La détection des gènes de virulence (eltB, estA, estB, faeG, stxA, stx2A, eae, cnf, papC, iucD, tsh, fedA) dans les échantillons a été réalisée par PCR multiplexe conventionnelle. La distribution temporelle et spatiale des gènes de virulence a permis d’identifier le marqueur de contamination ETEC/F4 défini par la détection d’au moins un gène d’entérotoxine ETEC (estB, estA et eltB) en combinaison avec le gène de l’adhésine fimbriaire (faeG). La distribution des échantillons positifs ETEC/F4 qualifie la cour de l’abattoir comme un réservoir de contamination fréquenté par les transporteurs, vecteurs de contamination entre les élevages. Ceci suggère le lien microbiologique entre l’élevage, les transporteurs et l’abattoir jouant chacun un rôle dans la dissémination des microorganismes pathogènes et potentiellement zoonotiques en production porcine.
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La maladie du greffon contre l’hôte (GvHD) est un effet secondaire sérieux de la transplantation de cellules souches hématopoïétiques (HSCT). Cette maladie entraine une haute mortalité et ses symptômes sont dévastateurs. Les traitements actuels de la GvHD comportent plusieurs produits, tels les corticostéroïdes, mais ces derniers sont immunosuppresseurs et leurs effets secondaires sont aussi très dommageables pour les patients et leur guérison. Les cellules stromales mésenchymateuses (MSC) représentent une alternative ou une addition potentielle de traitement pour la GvHD et ces cellules ne semblent pas posséder les effets secondaires des traitements classiques. Un nombre important d’études cliniques faisant l’objet des MSC ont été enregistrées. Malgré cet engouement, le mécanisme de leur immunomodulation reste encore à élucider. Notre objectif est donc de mieux définir ce mécanisme. Nous avons utilisé un modèle simplifié pour simuler la GvHD in vitro. Ce modèle se base sur la stimulation de lymphocytes CD4+ par des cellules dendritiques allogéniques. La mesure de la prolifération de ces cellules stimulées sert d’indicateur de leur réactivité. Selon les résultats obtenus par la technologie CRISPR de génie génétique, les MSC exerceraient leur immunosuppression sur les cellules T CD4+ principalement par la sécrétion de l’enzyme IDO1. Les MSC seraient également capables d’induire certaines cellules CD4+ en cellules régulatrices, un processus indépendant de la sécrétion d’IDO1. Toutefois, ces cellules ne semblent pas correspondre aux cellules Treg conventionnelles.
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Contexte: La régurgitation mitrale (RM) est une maladie valvulaire nécessitant une intervention dans les cas les plus grave. Une réparation percutanée de la valve mitrale avec le dispositif MitraClip est un traitement sécuritaire et efficace pour les patients à haut risque chirurgical. Nous voulons évaluer les résultats cliniques et l'impact économique de cette thérapie par rapport à la gestion médicale des patients en insuffisance cardiaque avec insuffisance mitrale symptomatique. Méthodes: L'étude a été composée de deux phases; une étude d'observation de patients souffrant d'insuffisance cardiaque et de régurgitation mitrale traitée avec une thérapie médicale ou le MitraClip, et un modèle économique. Les résultats de l'étude observationnelle ont été utilisés pour estimer les paramètres du modèle de décision, qui a estimé les coûts et les avantages d'une cohorte hypothétique de patients atteints d'insuffisance cardiaque et insuffisance mitrale sévère traitée avec soit un traitement médical standard ou MitraClip. Résultats: La cohorte de patients traités avec le système MitraClip était appariée par score de propension à une population de patients atteints d'insuffisance cardiaque, et leurs résultats ont été comparés. Avec un suivi moyen de 22 mois, la mortalité était de 21% dans la cohorte MitraClip et de 42% dans la cohorte de gestion médicale (p = 0,007). Le modèle de décision a démontré que MitraClip augmente l'espérance de vie de 1,87 à 3,60 années et des années de vie pondérées par la qualité (QALY) de 1,13 à 2,76 ans. Le coût marginal était 52.500 $ dollars canadiens, correspondant à un rapport coût-efficacité différentiel (RCED) de 32,300.00 $ par QALY gagné. Les résultats étaient sensibles à l'avantage de survie. Conclusion: Dans cette cohorte de patients atteints d'insuffisance cardiaque symptomatique et d insuffisance mitrale significative, la thérapie avec le MitraClip est associée à une survie supérieure et est rentable par rapport au traitement médical.
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Le cancer de la prostate (CP) est le cancer le plus fréquemment diagnostiqué en Amérique du Nord et est au troisième rang en termes de létalité chez les hommes. Suite aux traitements de première ligne, 20 à 30% des patients diagnostiqués avec un cancer localisé auront une récidive biochimique de la maladie. La déplétion androgénique mène fréquemment au développement du stade de résistance à la castration (RC). Ce dernier est associé avec une augmentation de la morbidité (métastases osseuses) et de la mortalité avec une survie moyenne inférieure à deux ans. L’évolution du CP est très hétérogène dans la population et il n’existe actuellement aucun biomarqueur pronostique permettant d’identifier les patients à risque de récurrence biochimique, de métastases osseuses et de développement d’une résistance à la castration. De nombreuses études ont démontré que les cytokines inflammatoires IL-6 et IL-8 jouent un rôle dans la pathogénèse du CP, notamment dans le développement de la résistance à la castration. Par ailleurs, les niveaux sériques élevés de ces cytokines ont été associés à un mauvais pronostic. Précédemment, notre laboratoire a démontré in vitro que la protéine IKKε entraîne une augmentation de la sécrétion de ces cytokines dans les cellules du CP et qu’elle est exprimée davantage dans les tissus de cancers plus avancés. Le premier objectif du présent mémoire fut d’évaluer dans des tissus humains la corrélation d’IKKε, IL-6 et IL-8 avec des paramètres cliniques. Nos résultats soulignent le potentiel d’IKKε comme biomarqueur tissulaire pronostique de récurrence biochimique et de métastases osseuses. Nous n’avons trouvé aucune association entre IL-6/IL-8 et les paramètres cliniques inclus dans l’étude. Le second objectif de ce projet fut d’évaluer la coexpression de ces trois molécules dans l’épithélium du CP. Nos résultats confirment les observations in vitro en mettant en évidence une forte association entre l’expression d’IKKε, IL-6 et IL-8. Le troisième objectif fut d’évaluer la relation entre les niveaux sériques et tissulaires d’IL-6 et d’IL-8. Aucune relation significative n’a été établie, suggérant que les cytokines sériques ne sont pas uniquement d’origine prostatique. En conclusion, mon projet de maîtrise aura permis de préciser le potentiel d’IKKε comme biomarqueur tissulaire pronostique et de valider pour la première fois dans des tissus humains sa co-expression avec les cytokines IL-6 et IL-8, dont le rôle dans la pathogénèse de la maladie est bien établi. Une étude plus exhaustive des voies de signalisation d’IKKε reste d’intérêt pour élucider notamment les mécanismes par lesquels IKKε stimule la production de cytokines et par quels moyens cette protéine pourrait être impliquée dans le développement d’un état résistant à la castration.
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Travail dirigé présenté en vue de l’obtention du grade de maîtrise en criminologie option sécurité intérieure
Resumo:
L’insuffisance cardiaque (IC) est associée à un taux de mortalité et d’hospitalisations élevé causant un fardeau économique important. Les deux causes majeures de décès de l’IC sont les arythmies ventriculaires létales et les sidérations myocardiques. Il est maintenant reconnu que l’angiotensine II (ANGII) est l'un des principaux médiateurs de l’IC. Ses effets délétères découlent de l’activation du récepteur de type 1 de l’ANGII (AT1) et entraînent le développement d’hypertrophie. Toutefois, son rôle dans la genèse d’arythmies demeure incompris. De ce fait, l'étude des mécanismes électriques et contractiles sous-jacents aux effets pathologiques de l’ANGII s’avère essentielle afin de mieux comprendre et soigner cette pathologie. Il est souvent perçu que les femmes sont protégées envers les maladies cardiovasculaires. Cependant, le nombre total de femmes décédant d’IC est plus grand que le nombre d’hommes. Également, l’impact des facteurs de risque diffère entre chaque sexe. Ces différences existent, mais les mécanismes sous-jacents sont encore peu connus. De plus, les femmes reçoivent fréquemment un diagnostic ou un traitement inapproprié en raison d’un manque d’information sur les différences entre les sexes dans la manifestation d’une pathologie. Ce manque de données peut découler du fait que les sujets de sexe féminin sont souvent sous-représentés dans les essais cliniques ou la recherche fondamentale ce qui a grandement limité l’avancement de nos connaissances sur ~50 % de la population. Ainsi, il semble plus que nécessaire d’approfondir notre compréhension des différences entre les sexes, notamment dans la progression de l’IC. L’utilisation d’un modèle de souris transgénique surexprimant le récepteur AT1 (souris AT1R) a permis d’étudier les changements électriques, structurels et contractiles avant et après le développement d’hypertrophie. Premièrement, chez les souris AT1R mâles, un ralentissement de la conduction ventriculaire a été observé indépendamment de l’hypertrophie. Ce résultat était expliqué par une réduction de la densité du courant Na+, mais pas de l’expression du canal. Ensuite, le rôle des protéines kinases C (PKC) dans la régulation du canal Na+ par l’ANGII a été exploré. Les évidences ont suggéré que la PKCα était responsable de la modulation de la diminution du courant Na+ chez les souris AT1R mâles et dans les cardiomyocytes humains dérivés de cellules souches induites pluripotentes (hiPSC-CM) en réponse à un traitement chronique à l’ANGII. Ensuite, les différences entre les sexes ont été comparées chez la souris AT1R. Une plus grande mortalité a été constatée chez les femelles AT1R suggérant qu’elles sont plus sensibles à la surexpression de AT1R. Le remodelage électrique ventriculaire a donc été comparé entre les souris AT1R des deux sexes. Les courants ioniques étaient altérés de façon similaire entre les sexes excluant ainsi leur implication dans la mortalité plus élevée chez les femelles. Ensuite, l’homéostasie calcique et la fonction cardiaque ont été étudiées. Il a été démontré que les femelles développaient une hypertrophie et une dilatation ventriculaire plus sévère que les mâles. De plus, les femelles AT1R avaient de petits transitoires calciques, une extrusion du Ca2+ plus lente ainsi qu’une augmentation de la fréquence des étincelles Ca2+ pouvant participer à des troubles contractiles et à la venue de post-dépolarisations précoces. En conclusion, l’ANGII est impliquée dans le remodelage électrique, structurel et calcique associé à l'émergence de l’IC. De surcroît, ces altérations affectent plus sévèrement les femelles soulignant la présence de différences entre les sexes dans le développement de l’IC.