931 resultados para responsabilité sociale des entreprises (RSE)


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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

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Comment l'État haïtien organise-t-il aujourd'hui la protection et la promotion sociale des enfants et des adolescents? L’objectif central de ce rapport est de répondre à cette question, dans l'espoir que les éléments apportés puissent éclairer sur une autre interrogation: comment la caractérisation des politiques publiques de protection et de promotion sociale ciblées sur les enfants et les adolescents permet-elle de compléter le profil du système haïtien de protection sociale?

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La tesi di dottorato focalizza su quei fenomeni nei quali è particolarmente visibile una diffusa propensione all’assunzione di responsabilità nei confronti del significato e delle conseguenze del proprio agire di mercato. La tesi esamina le implicazioni connesse ad una nuova etica del consumo sia dal punto di vista del consumatore sia da quello dell’impresa, in particolare indaga l’atteggiamento di consumatori e produttori rispetto a pratiche di responsabilità sociale di impresa. Nel primo capitolo “Dimensioni di un consumo in evoluzione” le griglie concettuali interpretative del fenomeno del consumo vengono distinte da quelle peculiari del sistema produttivo, arrivando all’individuazione di strumenti che svelano le logiche proprie del fenomeno indagato. In questo scenario la società complessa corrisponde alla società dei consumi e il consumo diventa area esperienziale, capace anche di creare senso, orizzonti valoriali e di assumere valenze interattive e simboliche. Nel secondo capitolo “Il cittadino consumatore” è stato rappresentato il variegato mondo del consumatore, quel cittadino che si esprime politicamente non solo con il voto ma anche attraverso le proprie pratiche di consumo che veicolano scelte, ideali, valori. Sono rappresentati i tanti volti del consumatore “responsabile”, “critico” ed “etico”, attraverso lo studio del commercio equo e solidale, i Gas, la finanza etica, tutti significativi segnali di mutamento con cui governi e imprese sono chiamati a confrontarsi. Vengono prese in esame ricerche nazionali e internazionali per meglio comprendere quanto e con quali modalità sono diffuse, nella popolazione, pratiche di consumo responsabile rispetto a ben identificate pratiche di Rsi. Nel terzo capitolo “La Responsabilità Sociale d’Impresa” si approfondisce il concetto di responsabilità sociale di impresa: sono illustrate le evoluzioni che questa prassi ha subito nel corso della storia, le sue differenti declinazioni attuali, gli elementi che la distinguono, i suoi strumenti. Nel quarto capitolo “La responsabilità sociale di impresa e la grande distribuzione” vengono analizzate le relazioni esistenti tra la grande distribuzione (Coop e Conad) e la Rsi, considerando anche il ruolo della grande distribuzione, nella metropoli, nelle scelte di consumo. Nello specifico si vogliono comprendere le strategie aziendali, la struttura organizzativa, i servizi, i prodotti “etici” distribuiti e la loro relazione con il consumatore. Il quinto capitolo “La ricerca” contiene la ricerca empirica, 60 interviste in profondità somministrate a consumatori di Coop e Conad e a elementi rappresentativi (dirigenti) delle aziende in questione; l’elaborazione dei dati avviene con l’analisi di contenuto attraverso la costruzione di frasi chiave. Le conclusioni finali a cui perveniamo cercano di fare luce sul mondo del consumo e su quello dell’impresa nel momento in cui si confrontano con la responsabilità del proprio agire. Emergono diversi elementi per sostenere che la cultura della responsabilità assume un peso tutt’altro che marginale nelle strategie di azione delle imprese e nell’analisi del comportamento dei consumatori. Il sistema impresa assume la responsabilità come elemento qualificante la propria politica industriale, legandolo alla sostenibilità, alla reputazione, al rapporto fiduciario con il cliente. Analizzando il ruolo dei cittadini consumatori nello spazio di riferimento, nell’impegno e nel tentativo di decidere, attraverso determinati consumi, il modo di vivere il proprio territorio, abbiamo forse compreso qualcosa in più. Si veicola attraverso le scelte di consumo un’idea di vivere la città per cui è imprescindibile la qualità della vita, perseguita anche attraverso l’approvazione o, di converso, il disconoscimento delle imprese e dei rispettivi prodotti. Nell’analisi dell’atteggiamento partecipativo del cittadino verso la propria sfera pubblica possiamo sostenere che la dimensione del consumo tracima di gran lunga il mercato prefigurando un differente modello di società.

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Il presente lavoro, partendo dal tema della responsabilità sociale d’impresa (RSI), intesa come forma d’integrazione della sfera economica con le altre sfere sociali, si concentra poi sulle politiche di welfare aziendale (dimensione interna della RSI) a sostegno dell’articolazione delle responsabilità familiari e lavorative dei dipendenti. La ricerca empirica riguarda tre aziende all’interno delle quali è stata analizzata la cultura organizzativa, il pacchetto di misure di welfare family friendly implementato, l’impatto dei diversi dispositivi sulla vita personale, familiare e lavorativa dei dipendenti. Le conclusioni sono dedicate all’analisi delle configurazioni emergenti dei contratti lavorativi come contratti relazionali.

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In questa tesi viene ripercorsa la storia e l'evoluzione della teoria degli stakeholder, della responsabilità sociale di impresa e del bilancio sociale. Focalizzando l'attenzione su quest'ultimo, è stato riportato il bilancio sociale provvisorio di Conapi Soc. Coop. Agricola, ideato ed elaborato con la cooperativa e redatto secondo lo standard nazionale GBS.

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L'interrogativo da cui nasce la ricerca riguarda la possibilità di individuare, in controtendenza con la logica neoliberista, strategie per l'affermarsi di una cultura dello sviluppo che sia sostenibile per l'ambiente e rispettosa della dignità delle persone, in grado di valorizzarne le differenze e di farsi carico delle difficoltà che ognuno può incontrare nel corso della propria esistenza. Centrale è il tema del lavoro, aspetto decisivo delle condizioni di appartenenza sociale e di valorizzazione delle risorse umane. Vengono richiamati studi sulla realtà in cui siamo immersi, caratterizzata dal pensiero liberista diventato negli ultimi decenni dominante su scala globale e che ha comportato una concezione delle relazioni sociali basata su di una competitività esasperata e sull’esclusione di chi non sta al passo con le leggi di mercato: le conseguenze drammatiche dell'imbroglio liberista; la riduzione delle persone a consumatori; la fuga dalla comunità ed il rifugio in identità separate; il tempo del rischio, della paura e della separazione fra etica e affari. E gli studi che, in controtendenza, introducono a prospettive di ricerca di uno sviluppo inclusivo e umanizzante: le prospettive della decrescita, del business sociale, di una via cristiana verso un'economia giusta, della valorizzazione delle capacità delle risorse umane. Vengono poi indagati i collegamenti con le esperienze attive nel territorio della città di Bologna che promuovono, attraverso la collaborazione fra istituzioni, organizzazioni intermedie e cittadini, occasioni di un welfare comunitario che sviluppa competenze e diritti insieme a responsabilità: l'introduzione delle clausole sociali negli appalti pubblici per la realizzazione professionale delle persone svantaggiate; la promozione della responsabilità sociale d'impresa per l'inclusione socio-lavorativa; la valorizzazione delle risorse delle persone che vivono un’esperienza carceraria. Si tratta di esperienze ancora limitate, ma possono costituire un riferimento culturale e operativo di un modello di sviluppo possibile, che convenga a tutti, compatibile con i limiti ambientali e umanizzante.

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I cambiamenti e le innovazioni sociali, che hanno caratterizzato il secolo scorso, hanno generato mutamenti significativi nella struttura dei consumi, legati in particolare a una maggiore consapevolezza dei consumatori e allo scoppio della crisi economica. Assume sempre maggiore importanza, all’interno delle politiche di brand management, il ruolo della Responsabilità Sociale d’Impresa, che spinge la Grande Distribuzione Organizzata a proporre prodotti con più alti standard qualitativi e di sicurezza. Il caso analizzato è quello della linea biologica ViviVerde Coop, la cui offerta di prodotti biologici a private label ha avuto un impatto molto positivo sul mercato. L’analisi dell’elasticità della curva di domanda di alcuni di questi prodotti nel periodo gennaio 2010-maggio 2012 rivela diversi valori positivi e maggiori di 1, indice del fatto che il prezzo non abbia avuto effetti negativi sulle vendite dei prodotti considerati. Tale evidenza risulta rilevante proprio in un periodo di profonda crisi economica che ha interessato, in modo significativo, anche i consumi alimentari.

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Introduction : Les adolescents avec déficiences physiques en transition vers la vie adulte éprouvent des difficultés à établir une participation sociale optimale. Cette étude explore les retombées d'un programme de cirque social sur la participation sociale de ces jeunes selon leur point de vue et celui de leurs parents. Méthode : Étude qualitative exploratoire d’orientation phénoménologique. Neuf personnes avec déficiences physiques, âgées de 18 et 25 ans, ont participé au programme pendant neuf mois. Données recueillies : perceptions de leur qualité de participation sociale à partir d’entrevues semi-structurées en pré, mi-temps et post-intervention avec les participants et un de leurs parents. Le guide d’entrevue validé est ancré sur le Modèle du développement humain- Processus de production du handicap - 2 (HDM-PPH2). L’enregistrement audio des entretiens a été transcrit en verbatim. Le contenu a été analysé avec le logiciel Nvivo 9 à travers une grille de codage préalablement validée (co-codage, codage-inverse). Résultats : Corpus de 54 entrevues. L’âge moyen des jeunes était de 20,0 ± 1,4 années et de 51 ± 3,6 années pour les parents. Selon tous, la participation sociale des jeunes adultes a été optimisée, surtout sur le plan de la communication, des déplacements, des relations interpersonnelles, des responsabilités et de la vie communautaire. La perception de soi et les habiletés sociales, également améliorées, ont favorisé une plus grande auto-efficacité. Conclusion : Cette étude soutient donc le potentiel du cirque social comme approche novatrice et probante en réadaptation physique pour cette population, et appuie la pertinence d’autres études rigoureuses mesurant les diverses retombées possibles et identifiées.

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Mémoire numérisé par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal

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Mémoire numérisé par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal

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Alors que les activités anthropiques font basculer de nombreux écosystèmes vers des régimes fonctionnels différents, la résilience des systèmes socio-écologiques devient un problème pressant. Des acteurs locaux, impliqués dans une grande diversité de groupes — allant d’initiatives locales et indépendantes à de grandes institutions formelles — peuvent agir sur ces questions en collaborant au développement, à la promotion ou à l’implantation de pratiques plus en accord avec ce que l’environnement peut fournir. De ces collaborations répétées émergent des réseaux complexes, et il a été montré que la topologie de ces réseaux peut améliorer la résilience des systèmes socio-écologiques (SSÉ) auxquels ils participent. La topologie des réseaux d’acteurs favorisant la résilience de leur SSÉ est caractérisée par une combinaison de plusieurs facteurs : la structure doit être modulaire afin d’aider les différents groupes à développer et proposer des solutions à la fois plus innovantes (en réduisant l’homogénéisation du réseau), et plus proches de leurs intérêts propres ; elle doit être bien connectée et facilement synchronisable afin de faciliter les consensus, d’augmenter le capital social, ainsi que la capacité d’apprentissage ; enfin, elle doit être robuste, afin d’éviter que les deux premières caractéristiques ne souffrent du retrait volontaire ou de la mise à l’écart de certains acteurs. Ces caractéristiques, qui sont relativement intuitives à la fois conceptuellement et dans leur application mathématique, sont souvent employées séparément pour analyser les qualités structurales de réseaux d’acteurs empiriques. Cependant, certaines sont, par nature, incompatibles entre elles. Par exemple, le degré de modularité d’un réseau ne peut pas augmenter au même rythme que sa connectivité, et cette dernière ne peut pas être améliorée tout en améliorant sa robustesse. Cet obstacle rend difficile la création d’une mesure globale, car le niveau auquel le réseau des acteurs contribue à améliorer la résilience du SSÉ ne peut pas être la simple addition des caractéristiques citées, mais plutôt le résultat d’un compromis subtil entre celles-ci. Le travail présenté ici a pour objectifs (1), d’explorer les compromis entre ces caractéristiques ; (2) de proposer une mesure du degré auquel un réseau empirique d’acteurs contribue à la résilience de son SSÉ ; et (3) d’analyser un réseau empirique à la lumière, entre autres, de ces qualités structurales. Cette thèse s’articule autour d’une introduction et de quatre chapitres numérotés de 2 à 5. Le chapitre 2 est une revue de la littérature sur la résilience des SSÉ. Il identifie une série de caractéristiques structurales (ainsi que les mesures de réseaux qui leur correspondent) liées à l’amélioration de la résilience dans les SSÉ. Le chapitre 3 est une étude de cas sur la péninsule d’Eyre, une région rurale d’Australie-Méridionale où l’occupation du sol, ainsi que les changements climatiques, contribuent à l’érosion de la biodiversité. Pour cette étude de cas, des travaux de terrain ont été effectués en 2010 et 2011 durant lesquels une série d’entrevues a permis de créer une liste des acteurs de la cogestion de la biodiversité sur la péninsule. Les données collectées ont été utilisées pour le développement d’un questionnaire en ligne permettant de documenter les interactions entre ces acteurs. Ces deux étapes ont permis la reconstitution d’un réseau pondéré et dirigé de 129 acteurs individuels et 1180 relations. Le chapitre 4 décrit une méthodologie pour mesurer le degré auquel un réseau d’acteurs participe à la résilience du SSÉ dans lequel il est inclus. La méthode s’articule en deux étapes : premièrement, un algorithme d’optimisation (recuit simulé) est utilisé pour fabriquer un archétype semi-aléatoire correspondant à un compromis entre des niveaux élevés de modularité, de connectivité et de robustesse. Deuxièmement, un réseau empirique (comme celui de la péninsule d’Eyre) est comparé au réseau archétypique par le biais d’une mesure de distance structurelle. Plus la distance est courte, et plus le réseau empirique est proche de sa configuration optimale. La cinquième et dernier chapitre est une amélioration de l’algorithme de recuit simulé utilisé dans le chapitre 4. Comme il est d’usage pour ce genre d’algorithmes, le recuit simulé utilisé projetait les dimensions du problème multiobjectif dans une seule dimension (sous la forme d’une moyenne pondérée). Si cette technique donne de très bons résultats ponctuellement, elle n’autorise la production que d’une seule solution parmi la multitude de compromis possibles entre les différents objectifs. Afin de mieux explorer ces compromis, nous proposons un algorithme de recuit simulé multiobjectifs qui, plutôt que d’optimiser une seule solution, optimise une surface multidimensionnelle de solutions. Cette étude, qui se concentre sur la partie sociale des systèmes socio-écologiques, améliore notre compréhension des structures actorielles qui contribuent à la résilience des SSÉ. Elle montre que si certaines caractéristiques profitables à la résilience sont incompatibles (modularité et connectivité, ou — dans une moindre mesure — connectivité et robustesse), d’autres sont plus facilement conciliables (connectivité et synchronisabilité, ou — dans une moindre mesure — modularité et robustesse). Elle fournit également une méthode intuitive pour mesurer quantitativement des réseaux d’acteurs empiriques, et ouvre ainsi la voie vers, par exemple, des comparaisons d’études de cas, ou des suivis — dans le temps — de réseaux d’acteurs. De plus, cette thèse inclut une étude de cas qui fait la lumière sur l’importance de certains groupes institutionnels pour la coordination des collaborations et des échanges de connaissances entre des acteurs aux intérêts potentiellement divergents.

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Cette thèse se compose de trois articles sur les politiques budgétaires et monétaires optimales. Dans le premier article, J'étudie la détermination conjointe de la politique budgétaire et monétaire optimale dans un cadre néo-keynésien avec les marchés du travail frictionnels, de la monnaie et avec distortion des taux d'imposition du revenu du travail. Dans le premier article, je trouve que lorsque le pouvoir de négociation des travailleurs est faible, la politique Ramsey-optimale appelle à un taux optimal d'inflation annuel significativement plus élevé, au-delà de 9.5%, qui est aussi très volatile, au-delà de 7.4%. Le gouvernement Ramsey utilise l'inflation pour induire des fluctuations efficaces dans les marchés du travail, malgré le fait que l'évolution des prix est coûteuse et malgré la présence de la fiscalité du travail variant dans le temps. Les résultats quantitatifs montrent clairement que le planificateur s'appuie plus fortement sur l'inflation, pas sur l'impôts, pour lisser les distorsions dans l'économie au cours du cycle économique. En effet, il ya un compromis tout à fait clair entre le taux optimal de l'inflation et sa volatilité et le taux d'impôt sur le revenu optimal et sa variabilité. Le plus faible est le degré de rigidité des prix, le plus élevé sont le taux d'inflation optimal et la volatilité de l'inflation et le plus faible sont le taux d'impôt optimal sur le revenu et la volatilité de l'impôt sur le revenu. Pour dix fois plus petit degré de rigidité des prix, le taux d'inflation optimal et sa volatilité augmentent remarquablement, plus de 58% et 10%, respectivement, et le taux d'impôt optimal sur le revenu et sa volatilité déclinent de façon spectaculaire. Ces résultats sont d'une grande importance étant donné que dans les modèles frictionnels du marché du travail sans politique budgétaire et monnaie, ou dans les Nouveaux cadres keynésien même avec un riche éventail de rigidités réelles et nominales et un minuscule degré de rigidité des prix, la stabilité des prix semble être l'objectif central de la politique monétaire optimale. En l'absence de politique budgétaire et la demande de monnaie, le taux d'inflation optimal tombe très proche de zéro, avec une volatilité environ 97 pour cent moins, compatible avec la littérature. Dans le deuxième article, je montre comment les résultats quantitatifs impliquent que le pouvoir de négociation des travailleurs et les coûts de l'aide sociale de règles monétaires sont liées négativement. Autrement dit, le plus faible est le pouvoir de négociation des travailleurs, le plus grand sont les coûts sociaux des règles de politique monétaire. Toutefois, dans un contraste saisissant par rapport à la littérature, les règles qui régissent à la production et à l'étroitesse du marché du travail entraînent des coûts de bien-être considérablement plus faible que la règle de ciblage de l'inflation. C'est en particulier le cas pour la règle qui répond à l'étroitesse du marché du travail. Les coûts de l'aide sociale aussi baisse remarquablement en augmentant la taille du coefficient de production dans les règles monétaires. Mes résultats indiquent qu'en augmentant le pouvoir de négociation du travailleur au niveau Hosios ou plus, les coûts de l'aide sociale des trois règles monétaires diminuent significativement et la réponse à la production ou à la étroitesse du marché du travail n'entraîne plus une baisse des coûts de bien-être moindre que la règle de ciblage de l'inflation, qui est en ligne avec la littérature existante. Dans le troisième article, je montre d'abord que la règle Friedman dans un modèle monétaire avec une contrainte de type cash-in-advance pour les entreprises n’est pas optimale lorsque le gouvernement pour financer ses dépenses a accès à des taxes à distorsion sur la consommation. Je soutiens donc que, la règle Friedman en présence de ces taxes à distorsion est optimale si nous supposons un modèle avec travaie raw-efficace où seule le travaie raw est soumis à la contrainte de type cash-in-advance et la fonction d'utilité est homothétique dans deux types de main-d'oeuvre et séparable dans la consommation. Lorsque la fonction de production présente des rendements constants à l'échelle, contrairement au modèle des produits de trésorerie de crédit que les prix de ces deux produits sont les mêmes, la règle Friedman est optimal même lorsque les taux de salaire sont différents. Si la fonction de production des rendements d'échelle croissant ou decroissant, pour avoir l'optimalité de la règle Friedman, les taux de salaire doivent être égales.

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Cette thèse tente de comprendre l’impact des restructurations des entreprises multinationales sur les stratégies syndicales. Les acteurs syndicaux locaux sont-ils déterminés par l’appartenance à des régimes nationaux et à des contingences organisationnelles ou peuvent-ils influencer des décisions objectives comme les restructurations ? Cette recherche s’insère dans une problématique large qui fait la jonction entre la mondialisation économique sur une base continentale, la réorganisation productive des entreprises multinationales et l’action syndicale. Au plan théorique, nous confrontons trois grandes approches analytiques, à savoir : le néo-institutionnalisme et les structures d’opportunités ; l’économie politique critique et la question du pouvoir syndical ; la géographie économique critique mettant de l’avant les contingences, l’encastrement et l’espace concurrentiel. Sur la base de ces trois familles, nous présentons un modèle d’analyse multidisciplinaire. Au plan méthodologique, cette thèse est structurée autour de quatre études de cas locales qui ont subi des menaces de restructurations. Cette collecte a été effectuée dans deux pays (la France et le Canada) et dans un secteur particulier (les équipementiers automobiles). Trois sources qualitatives forment le cœur empirique de cette thèse : des statistiques descriptives, des documents de sources secondaires et des entretiens semi-dirigés (44), principalement avec des acteurs syndicaux. L’analyse intra et inter régime national éclaire plusieurs aspects de la question des stratégies syndicales en contexte de restructurations. Les principales contributions de cette thèse touchent : 1. l’impact des facteurs relationnels et des ressources de pouvoir développées par les syndicats locaux sur les structures d’opportunités institutionnelles; 2. l’importance des aspects « cognitifs » et d’envisager le pouvoir de manière multi-niveaux; 3. l’importance de l’encastrement social et des dynamiques relationnelles entre syndicats et patronats; 4. l’influence de la concurrence internationale/nationale/régionale/locale dans le secteur des équipementiers automobiles; et 5. l’importance des arbitrages et des relations entre les acteurs de l’entreprise par rapport à la théorie de la contingence pour comprendre les marges structurelles des syndicats locaux. Notre recherche invite les acteurs sociaux à repenser leur action dans le cadre des restructurations. En particulier, les syndicats locaux se doivent d’explorer de nouveaux répertoires stratégiques pour répondre aux nombreux défis que posent le changement économique et les restructurations.

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Problématique Les réformes du système québécois de la santé et des services sociaux débutées en 2003 visent à le transformer en profondeur. La mise en œuvre de réseaux intégrés de services destinés aux personnes âgées en perte d’autonomie fonctionnelle s’inscrit dans ce mouvement de réformes. L’intégration des services nécessite toutefois des changements importants dans les modalités de régulation des systèmes sociosanitaires afin d’être en mesure d’assurer une meilleure réponse aux problèmes multidimensionnels et chroniques des personnes âgées en perte d’autonomie fonctionnelle vivant à domicile. La standardisation des pratiques professionnelles vise ainsi à réguler l’action des multiples acteurs et organisations concernés par la prise en charge des problèmes sociosanitaires. Nous avons analysé le contexte politique dans lequel s’inscrit ce mouvement de standardisation au moyen de deux logiques de performance. La première, la logique managériale, correspond à l’adoption par l’État social de principes néolibéraux s’inscrivant dans la nouvelle gestion publique. La deuxième logique, dite clinique, est construite autour de la standardisation des pratiques professionnelles par l’entremise des pratiques fondées sur des résultats probants. L’arrimage parfois complémentaire et parfois contradictoire entre ces deux logiques rend le débat sur la standardisation des professions particulièrement complexe, particulièrement dans les métiers relationnels comme le travail social (TS). Pour ses promoteurs, la standardisation fait en sorte de rendre le travail social plus scientifique et plus rationnel ce qui constitue un gage de qualité, d’efficacité et d’efficience. Pour ses détracteurs, la standardisation se présente comme une menace à l’autonomie des TS. Elle est considérée comme une attaque contre le praticien réflexif autonome qui n’est pas conciliable avec les fondements de la profession. Ainsi la compréhension du rapport des TS à la standardisation constitue un enjeu particulièrement important non seulement pour soutenir la mise en œuvre de réseaux de services intégrés destinés aux personnes âgées (RSIPA), mais aussi pour comprendre l’évolution en cours du travail social. L’usage d’outils cliniques standardisés s’accompagne de plusieurs formes de standardisations, soit des standards de conception, des standards terminologiques, des standards de performance et des standards procéduraux. Objectifs L’objectif général de cette thèse est de comprendre le rapport des TS aux différentes dimensions de la standardisation de leur pratique professionnelle en contexte de RSIPA. Plus spécifiquement, nous voulons : 1) Décrire les formes de standardisation émergentes en contexte de RSIPA; 2) Dégager les éléments de contexte et les caractéristiques perçues des outils standardisés qui influent sur leur appropriation par les TS; 3) Élucider la participation des TS au processus de régulation des pratiques professionnelles; et 4) Repérer les composantes des outils standardisés qui agissent comme des conditions structurantes de la pratique et celles qui se caractérisent par leur adaptabilité. Cadre théorique Cette thèse s’appuie sur deux perspectives théoriques complémentaires. La première, la théorie de la régulation sociale (Reynaud, 1997) nous permet d’analyser la standardisation comme un processus de régulation, afin de mettre à jour les ensembles de règles avec lesquelles les TS doivent composer ainsi que les adaptations et la part de jeu stratégique que l’on retrouve dans l’usage de ces règles. Notre deuxième perspective théorique, la sociologie des usages (Vedel, 1994), que nous en avons adaptée en appui sur la composition technique de Nélisse (1998) s’intéresse à l’activité sociale des acteurs relativement à leur utilisation des technologies. L’analyse des usages dans un contexte donné permet de comprendre de quelle manière les formes de standardisation qui accompagnent l’usage des outils cliniques standardisés peuvent potentiellement structurer la pratique professionnelle des TS, soit en la soutenant, soit en l’entravant. Méthodologie Cette thèse s’appuie sur une méthodologie qualitative, compréhensive et exploratoire. En appuie sur les principes de l’ergonomie cognitive (Falzon, 2004), nous avons examiné les prescriptions relatives aux usages des outils cliniques avec les usages de ces outils standardisés dans l’activité des intervenantes sociales (IS) formées en travail social. Nous avons opté pour une étude de cas multiples imbriquée comportant deux cas, en l’occurrence les équipes de programme perte d’autonomie liée au vieillissement (PALV), dans deux Centres de santé et de services sociaux (CSSS) où ont été implantés des réseaux de services intégrés destinés aux personnes âgées. Dans le premier, la mise en œuvre des RSIPA était à ses débuts alors que dans le deuxième, l’implantation était plus ancienne. Dans chacun des cas, quatre IS ont été recrutées. Nous avons triangulé quatre collectes de données distinctes et complémentaires soit une collecte de type documentaire pour chacun des deux cas. Avec chacune des IS, nous avons effectué trois jours d’observations directes de leur activité; un entretien compréhensif sur le sens général de la standardisation dans leur pratique; un entretien de type explicitation portant sur leur usage de l’outil d’évaluation multiclientèle (OEMC) dans un contexte particulier et un entretien compréhensif rétrospectif. Nous avons progressivement condensé et codé nos données en nous appuyant sur une stratégie de codage mixte. Les formes de standardisation émergentes en contexte de RSIPA Le rapport des IS aux outils standardisés comporte deux valences. La valence positive se manifeste lorsque les outils standardisés peuvent soutenir l’exercice du jugement professionnel des IS tout en préservant leur autonomie décisionnelle concernant les actions à mener dans leurs activités. Ainsi les IS ne manifestent pas de résistance particulièrement significatives par rapport aux formes de standardisation procédurales, conceptuelles et terminologiques qui accompagnent le modèle d’intégration de services implanté dans les deux CSSS à l’étude parce que globalement, ces formes de standardisation laissent une marge d’autonomie suffisante pour adapter les règles afin de répondre aux contingences cliniques propres aux situations singulières avec lesquelles elles doivent composer dans leur pratique. Nous avons cependant constaté que le mouvement de standardisation qui accompagne la mise en œuvre des RSIPA a été nettement érodé par un mouvement de standardisation des résultats qui découle de la logique de performance managériale notamment en contexte de reddition de compte. Ce dernier mouvement a en effet engendré des distorsions dans le premier. En ce sens, la standardisation des résultats se présente comme une contrainte sensiblement plus forte sur activité des IS que la standardisation procédurale associée à l’usage des outils standardisés RSIPA. La participation des TS au processus de régulation des pratiques professionnelles Nos résultats montrent une adhésion de principe des IS à la régulation de contrôle. Cette adhésion s’explique par la nature même des règles qui encadrent leur activité prudentielle. Puisque ces règles générales nécessitent d’être constamment interprétées à la lumière du jugement professionnel en jeu dans chacune des situations cliniques singulières, l’activité routinière des IS vise moins à les contourner qu’à les adapter dans les limites prévues dans l’espace de jeu autorisé. En ce sens, ce n’est que dans certaines circonstances que les IS expriment une résistance par rapport à la régulation de contrôle interne à leur organisation. C’est plutôt par rapport aux contraintes engendrées par certaines formes de régulation de contrôle externe que s’exprime cette résistance parce que ces dernières sont en mesure de peser significativement sur la régulation de l’activité des IS. Ainsi, la logique de performance managériale qui s’exerce à travers la reddition de comptes a pour effet d’entacher la portée des sources traditionnelles de régulation et de modifier les rapports de force entre les acteurs au sein des CSSS. En outre, la capacité régulatrice de certaines instances externes, comme l’hôpital, des mécanismes de plaintes utilisés par les usagers ou de certification de la qualité, est renforcée par le fait que ces instances sont médiatrices de formes de régulation de contrôle externe, comme la logique de performance managériale ou par des effets de médiatisation. Tous les acteurs de la hiérarchie en viennent ainsi à composer avec les régulations de contrôle pour répondre aux contraintes qui s’exercent sur eux ce qui se traduit dans un processus réflexif de régulation marqué par le jeu des uns et des autres, par des micro-déviances, ainsi que par des arrangements locaux. Étant donné que la régulation de contrôle autorise une marge d’autonomie importante, la régulation autonome paraît d’une certaine manière moins prégnante, voire moins nécessaire pour réguler l’activité des IS. Les formes de régulation autonome que nous avons mise à jour se déclinent en deux espaces d’autonomie distincts que les IS veulent préserver. Le premier, l’espace d’autonomie professionnelle a pour objet la capacité d’action générale des IS dans leur activité professionnelle et est donc transversal à l’ensemble de leur activité. Le second, l’espace d’autonomie de la singularité clinique, porte sur la marge d’autonomie des IS au regard de leur activité d’intervention auprès des usagers. Cet espace constitue une sorte de non-lieu normatif, non pas parce qu’aucune règle n’y régule les actions, mais bien parce que les règles qui y jouent se situent en partie en dehors du champ d’influence de l’ensemble des forces de standardisation agissant sur l’activité des IS. La régulation conjointe apparaît lorsque la négociation prend place à l’extérieur des limites de l’espace de jeu autorisé par les règles existantes ou que, au terme de la négociation, ces limites sont modifiées. La majorité des compromis observés ne se traduisent pas forcément sous une forme écrite et contractuelle. Certains d’entre eux se présentent comme une adaptation locale et circonstanciée et prennent la forme de régulations conjointes ad hoc alors que d’autres, les régulations conjointes institutionnalisées, s’inscrivent davantage dans la durée. Ces dernières se manifestent autour de situations cliniques pour lesquelles les règles existantes s’avèrent insuffisantes à réguler l’activité. Dans ces conditions, les négociations entre les acteurs visent à redéfinir les nouvelles limites de l’espace de jeu. Ce processus est alimenté par le cumul jurisprudentiel de chacune des situations singulières collectivisées. Les règles ainsi produites ne s’inscrivent jamais de manière dyschronique par rapport aux aspects de l’activité des IS qu’elles doivent réguler, ce qui tend à renforcer le caractère pérenne de leur capacité régulatrice. Le caractère habilitant et contraignant des dispositifs informatiques Il est difficile de comprendre la capacité régulatrice d’un dispositif informatique comme la plateforme RSIPA que l’on retrouve en PALV, en examinant uniquement ses paramètres de conception. L’analyse de ses usages en contexte s’avère indispensable. Des dispositifs informatiques comme le RSIPA possèdent la capacité d’inscrire l’intervention clinique dans un ensemble de procédures sous-jacentes, qui peuvent être plus ou moins explicites, mais qui ont la capacité d’engendrer une certaine standardisation des activités, qui peut être simultanément procédurale, terminologique et conceptuelle. Ces dispositifs informatiques détiennent ainsi la capacité d’opérer une médiation des régulations de contrôle dont ils sont porteurs. Bien qu’ils limitent l’espace de jeu clandestin, ces dispositifs ne sont pas en mesure d’enrayer complètement la capacité des IS à jouer avec les règles, notamment parce qu’ils se prêtent à des tricheries de leur part. Néanmoins, la capacité de ces plateformes informatiques à se comporter comme des instances de visualisation de l’activité peut réduire la capacité des IS à jouer et à déjouer les règles. Or, ces formes de déviance leur permettent de composer avec l’ensemble des contingences auxquelles elles sont confrontées dans leur pratique professionnelle. Cette bivalence dans l’usage de ces dispositifs informatiques soulève des enjeux relativement à leur conception afin de favoriser les meilleurs arrimages possible entre leurs fonctions cliniques et administratives.

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Le nombre d’étudiantes et étudiants participant à une mobilité internationale étudiante a considérablement augmenté au cours des dernières années. Dans le contexte de la mondialisation, les activités d’internationalisation sont devenues une priorité des établissements d’enseignement (Association des collèges communautaires du Canada, 2010a). Le recrutement des étudiantes et étudiants étrangers apporte plusieurs avantages au pays et à l’établissement d’accueil (Ibid.). De ce fait, pour favoriser ce recrutement et la mobilité internationale étudiante, les gouvernements ont mis en place des politiques d’immigration et les universités ont signé différentes alliances et accords bilatéraux entre elles. Toutefois, si les mobilités se font principalement vers les pays industrialisés (Lerot, 2001), le Canada est en retard sur sa proportion de personnes étudiantes effectuant une mobilité internationale étudiante dans ses collèges et universités (Association des collèges communautaires du Canada, 2010b). De même que le Québec qui voit sa proportion de l’effectif total de ses étudiantes et étudiants étrangers diminuer, alors que celle-ci augmente dans les autres régions du Canada (McMullen et Élias, 2011). À cet effet, les universitaires représentent la majorité des étudiantes et étudiants étrangers au Québec (Gouvernement du Québec, 2014a), mais la proportion globale d’universitaires internationaux diffère selon le type de région. En ce sens, celle-ci est la moins élevée dans les régions intermédiaires et la plus élevée dans les régions centrales (Gouvernement du Québec, 2013, 2014b, 2015), alors que ces régions sont toutes deux des grands centres de population. Ainsi, pour contribuer à mieux saisir ce que recouvre cette moins grande attractivité des régions intermédiaires, la question générale de recherche est : quels sont les motifs de choix, à chacune des dimensions du choix du lieu d’étude, d’effectuer une mobilité internationale étudiante dans une université située en région intermédiaire au Québec ? Pour répondre à cette question, et en se basant sur un cadre d’analyse à deux dimensions et sur l’état de connaissances à ce sujet, quatre objectifs spécifiques sont définis : 1) décrire les motifs de migration pour études, 2) examiner les associations entre les motifs de choix dans chaque catégorie pour y déceler d’éventuels regroupements sous-jacents, 3) examiner les associations entre ces regroupements de motifs et les caractéristiques des personnes étudiantes (âge, sexe, pays d’origine, domaine d’études, etc.), 4) déterminer si le choix de l’établissement d’accueil se fait avant ou après le choix du pays d’accueil. Pour y répondre, une recherche quantitative descriptive corrélationnelle, utilisant une analyse d’interdépendance (analyse factorielle), est menée, à l’aide d’un questionnaire anonyme disponible en ligne qui intègre plusieurs échelles de mesure, auprès des universitaires internationaux inscrits pour la première fois à l’Université de Sherbrooke à l’automne 2014. Au total, l’échantillon se compose de 141 universitaires internationaux. Ils sont âgés de 17 à 29 ans, proviennent des différents domaines, cycles et régimes d’études et il y a autant d’hommes que de femmes qui composent l’échantillon. De plus, les trois quarts de l’échantillon sont originaires de la France. L’analyse des données recueillies dans le questionnaire montre que l’importance accordée aux items du questionnaire représentant les motifs de migration pour études varie selon les dimensions du choix du lieu d’étude et qu’il existe des écarts dans les résultats. Synthétisés en facteurs, les résultats font ressortir trois facteurs liés au pays d’origine qui interviennent dans le choix d’étudier à l’international : 1) PO_La pauvreté de l’enseignement, 2) PO_Les contextes politiques et économiques, 3) PO_Les politiques d’éducation, et quatre facteurs personnels qui interviennent dans ce choix : 1) PER_le désir d’exploration, 2) PER_Le désir de changement, 3) PER_Les considérations familiales, 4) PER_Les aspirations personnelles et professionnelles. Aussi, il y a sept facteurs de choix du pays d’accueil : 1) PA_Les perspectives d’avenir, 2) PA_L’information disponible, 3) PA_Le dépaysement, 4) PA_Les considérations culturelles, 5) PA_Les liens au pays d’origine et la sécurité, 6) PA_Le cadre financier et environnemental, 7) PA_Les relations sociales. Puis, les résultats décrivent quatre facteurs de choix de l’établissement d’accueil : 1) EA_Les services de l’établissement, 2) EA_La qualité de la formation offerte, 3) EA_L’accessibilité et l’ouverture, 4) EA_Les possibilités d’emploi et les partenariats. Parmi l’ensemble de ces facteurs, seul deux d’entre eux, PER_Le désir d’exploration et PA_Le dépaysement, ont en moyenne une importance élevée dans le choix des universitaires internationaux d’étudier en région intermédiaire au Québec, alors que les facteurs liés au pays d’origine ont quant à eux, de manière générale, peu ou pas d’influence. Toutefois, il existe des écarts parmi les personnes répondantes à l’étude et les résultats montrent la présence d’associations entre certains facteurs et des caractéristiques des personnes étudiantes, soit la nature de l’expérience à international, la durée du séjour et la provenance des répondantes et répondants selon la typologie économique et sociale des pays du monde, ce qui laisse supposer la présence de groupe parmi les personnes répondantes à l’étude. Ainsi, les différents résultats de l’étude pourraient servir de guide aux conseillers et conseillères d’orientation du Québec, intervenant auprès des universitaires internationaux en région intermédiaire dans cette province, ainsi qu’aux universités situées dans ces régions. En effet, ces résultats pourraient influencer la pratique des conseillers et conseillères d’orientation du Québec quant au principal défi des universitaires internationaux, et les universités pourraient adapter leurs stratégies de recrutement selon l’importance accordée aux différents facteurs de migration pour études et ainsi attirer un plus grand nombre d’étudiantes et étudiants étrangers.