327 resultados para Proteina ciliar


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In questa tesi è stato studiato l’effetto dell’esposizione della diatomea Skeletonema marinoi, una specie molto comune nel Nord Adriatico e importante per il suo annuale contributo alla produzione primaria, agli erbicidi maggiormente utilizzati nella pianura Padana e riscontrati in acque dolci e salmastre di zone limitrofe al mare Adriatico. Gli erbicidi scelti consistono in terbutilazina e metolachlor, i più frequentemente riscontrati sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee dell’area Padana, noti per avere un effetto di inibizione su vie metaboliche dei vegetali; inoltre è stato valutato anche l’effetto di un prodotto di degradazione della terbutilazina, la desetilterbutilazina, presente anch’esso in concentrazioni pari al prodotto di origine e su cui non si avevano informazioni circa la tossicità sul fitoplancton. L’esposizione delle microalghe a questi erbicidi può avere effetti che si ripercuotono su tutto l’ecosistema: le specie fitoplanctoniche, in particolare le diatomee, sono i produttori primari più importanti dell’ecosistema: questi organismi rivestono un ruolo fondamentale nella fissazione del carbonio, rappresentando il primo anello della catena alimentari degli ambienti acquatici e contribuendo al rifornimento di ossigeno nell’atmosfera. L’effetto di diverse concentrazioni di ciascun composto è stato valutato seguendo l’andamento della crescita e dell’efficienza fotosintetica di S. marinoi. Per meglio determinare la sensibilità di questa specie agli erbicidi, l’effetto della terbutilazina è stato valutato anche al variare della temperatura (15, 20 e 25°C). Infine, dal momento che gli organismi acquatici sono solitamente esposti a una miscela di composti, è stato valutato l’effetto sinergico di due erbicidi, entrambi somministrati a bassa concentrazione. Le colture di laboratorio esposte a concentrazioni crescenti di diversi erbicidi e, in un caso, anche a diverse temperature, indicano che l’erbicida al quale la microalga mostra maggiore sensibilità è la Terbutilazina. Infatti a parità di concentrazioni, la sensibilità della microalga alla Terbutilazina è risultata molto più alta rispetto al suo prodotto di degradazione, la Desetilterbutilazina e all’erbicida Metolachlor. Attraverso l’analisi di densità algale, di efficienza fotosintetica, di biovolume e di contenuto intracellulare di Carbonio e Clorofilla, è stato dimostrato l’effetto tossico dell’erbicida Terbutilazina che, agendo come inibitore del trasporto degli elettroni a livello del PS-II, manifesta la sua tossicità nell’inibizione della fotosintesi e di conseguenza sulla crescita e sulle proprietà biometriche delle microalghe. E’ stato visto come la temperatura sia un parametro ambientale fondamentale sulla crescita algale e anche sugli effetti tossici di Terbutilazina; la temperatura ideale per la crescita di S. marinoi è risultata essere 20°C. Crescendo a 15°C la microalga presenta un rallentamento nella crescita, una minore efficienza fotosintetica, variazione nei valori biometrici, mostrando al microscopio forme irregolari e di dimensioni inferiori rispetto alle microalghe cresciute alle temperature maggiori, ed infine incapacità di formare le tipiche congregazioni a catena. A 25° invece si sono rivelate difficoltà nell’acclimatazione: sembra che la microalga si debba abituare a questa alta temperatura ritardando così la divisione cellulare di qualche giorno rispetto agli esperimenti condotti a 15° e a 20°C. Gli effetti della terbutilazina sono stati maggiori per le alghe cresciute a 25°C che hanno mostrato un calo più evidente di efficienza fotosintetica effettiva e una diminuzione di carbonio e clorofilla all’aumentare delle concentrazioni di erbicida. Sono presenti in letteratura studi che attestano gli effetti tossici paragonabili dell’atrazina e del suo principale prodotto di degradazione, la deetilatrazina; nei nostri studi invece non sono stati evidenziati effetti tossici significativi del principale prodotto di degradazione della terbutilazina, la desetilterbutilazina. Si può ipotizzare quindi che la desetilterbutilazina perda la propria capacità di legarsi al sito di legame per il pastochinone (PQ) sulla proteina D1 all’interno del complesso del PSII, permettendo quindi il normale trasporto degli elettroni del PSII e la conseguente sintesi di NADPH e ATP e il ciclo di riduzione del carbonio. Il Metolachlor non evidenzia una tossicità severa come Terbutilazina nei confronti di S. marinoi, probabilmente a causa del suo diverso meccanismo d’azione. Infatti, a differenza degli enzimi triazinici, metolachlor agisce attraverso l’inibizione delle elongasi e del geranilgeranil pirofosfato ciclasi (GGPP). In letteratura sono riportati casi studio degli effetti inibitori di Metolachlor sulla sintesi degli acidi grassi e di conseguenza della divisione cellulare su specie fitoplanctoniche d’acqua dolce. Negli esperimenti da noi condotti sono stati evidenziati lievi effetti inibitori su S. marinoi che non sembrano aumentare all’aumentare della concentrazione dell’erbicida. E’ interessante notare come attraverso la valutazione della sola crescita non sia stato messo in evidenza alcun effetto mentre, tramite l’analisi dell’efficienza fotosintetica, si possa osservare che il metolachlor determina una inibizione della fotosintesi.

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Il fitoplancton è costituito da organismi molto importanti per l'ambiente marino e molto diversificati sia dal punto di vista morfologico che fisiologico.Questi organismi sono normalmente soggetti ai cambiamenti stagionali e alle variazioni dell'ambiente dovute sia a fenomeni naturali che all'impatto antropico, sempre più rilevante. Con questa tesi si è voluto approfondire l'effetto di erbicidi comunemente usati dall'uomo in agricoltura su delle microalghe flagellate rappresentative del Mar Adriatico. L'inquinante scelto è la Terbutilazina, sostanza utilizzata per il diserbo del mais e diffusa in tutta l'area padano-venera, come dimostrano i dati dei campionamenti ARPA, che riportano la presenza di Terbutilazina e del suo prodotto di degradazione Desetil-Terbutilazina a concentrazioni superiori al limite fissato sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee. Anche in mare come riportato in letteratura (Carafa et. al 2009)è stato riscontrato a concentrazioni superiori al limite previsto dalla normativa vigente in Italia. In particolare il meccanismo d'azione di questo erbicida interferisce con la fotosintesi, agendo sulle proteine di membrana dei cloroplasti, rimpiazzando il chinone accettore di elettroni QB della proteina D1 del fotosistema II. Più specie di microalghe fatte crescere in colture 'batch' sono state testate a diverse concentrazioni di erbicida in condizione di luce nutrienti costanti. Questi esperimenti sono stati inoltre condotti a due diverse temperature (20 e 25°C) per studiare l'effetto di questo inquinante in correlazione con l'attuale aumento di temperatura in atto nel pianeta. In una prima fase di screening è stato valutato l'effetto della Terbutilazina su 9 specie di flagellate rappresentative dell'Adriatico, tramite misure dell'efficienza fotosintetica. Grazie a questa prima fase sono state individuate le microalghe e le relative concentrazioni di Terbutilazina da utilizzare negli esperimenti. Per gli esperimenti, sono state scelte le due specie algali Gonyaulax spinifera e Prorocentrum minimum sulle quali si è approfondito lo studio dell'effetto dell'inquinante alle due temperature, attraverso una serie di analisi volte ad individuare le risposte in termini di crescita e di fisiologia delle alghe quali: conteggio delle cellule, torbidità, efficienza fotosintetica, consumo di nutrienti, quantità di clorofilla e di polisaccaridi extracellulari prodotti. La scelta di queste microalghe è stata dettata dal fatto che Gonyaulax spinifera si è rivelata la microalga più sensibile a concentrazioni di erbicida più vicine a quelle ambientali fra tutte le alghe valutate, mentre Prorocentrum minimum è fra le dinoflagellate più frequenti e rappresentative del Mar Adriatico (Aubry et al. 2004), anche se non particolarmente sensibile; infatti P. minimum è stato testato ad una concentrazione di erbicida maggiore rispetto a quelle normalmente ritrovate in ambiente marino. Dai risultati riportati nella tesi si è visto come l'erbicida Terbutilazina sia in grado di influenzare la crescita e la fotosintesi di microalghe flagellate dell'Adriatico anche a concentrazioni pari a quelle rilevate in ambiente, e si è evidenziato che gli effetti sono maggiori alle temperature in cui le microalghe hanno una crescita meno efficiente. Questi studi hanno messo in evidenza anche l'utilità delle misure di fotosintesi tramite fluorimetro PAM nel valutare le risposte delle microalghe agli erbicidi triazinici. Inoltre la diversa risposta delle microalghe osservata, potrebbe avere conseguenze rilevanti sulle fioriture estive di fitoplancton in caso di presenza in mare di Terbutilazina, anche a concentrazioni non particolarmente elevate. Questo lavoro si inserisce in un contesto più ampio di ricerca volto alla modellizzazione della crescita algale in presenza di inquinanti ed in concomitanza con le variazioni di temperatura. Infatti i dati ottenuti insieme a misure di carbonio cellulare, non ancora effettuate, saranno utili per la messa a punto di nuove parametrizzazioni che si avvicinino maggiormente ai dati reali, per poi simulare i possibili scenari futuri variando le condizioni ambientali e le concentrazioni dell'inquinante studiato.

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Studi recenti sull’utilizzo di sonde organometalliche per bioconiugazione sfruttano la possibilità di interazione di queste con una proteina, l’avidina, per la sua capacità di coordinarsi selettivamente ad una particolare molecola organica, la biotina. In questa tesi viene descritta la sintesi di due leganti bi-funzionali contenenti sia un’unità capace di fungere da legante per un opportuno metallo, che un’unità di biotina in grado di legarsi all’avidina. La differenza fra i due leganti risiede nello spaziatore che collega le due unità funzionali della molecola. Una volta ottenuti i leganti progettati, sono stati sintetizzati i corrispondenti complessi di Ir (III) e Re (I). Le proprietà fotofisiche sono state misurate sia in solvente organico che in soluzione acquosa e quindi sono state effettuate titolazioni dell’avidina con soluzioni acquose a titolo noto dei complessi sintetizzati, con il fine di comprendere come le proprietà luminescenti dei complessi vengano influenzate dalla bio-coniugazione tra biotina ed avidina.

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Le encefalopatie spongiformi trasmissibili (EST), o malattie da prioni, sono malattie neurodegenerative che colpiscono l'uomo e gli animali. Le più note tra le EST animali sono la scrapie della pecora e della capra, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), la Sindrome del dimagrimento cronico (CWD) dei cervidi. Negli uomini ricordiamo la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) nelle sue diverse forme (sporadica, genetica, iatrogenica e variante). La dimostrazione che la variante della CJD (vCJD) sia causata dallo stesso agente eziologico della BSE, ha evidenziato il potenziale zoonotico di queste malattie. Le EST sono caratterizzate da tempi di incubazione estremamente lunghi ed esito invariabilmente fatale. Il momento patogenetico centrale comune a tutte queste malattie è rappresentato dalla modificazione conformazionale di una proteina cellulare denominata PrPC (proteina prionica cellulare) in una isoforma patologica denominata PrPSc, insolubile e caratterizzata da una parziale resistenza alle proteasi, che tende a depositarsi sotto forma di fibrille amiloidee nel SNC dei soggetti colpiti. La suscettibilità degli ovini alla scrapie è largamente influenzata dal genotipo del gene dell’ospite che codifica per la PrP (PRNP), e più precisamente da tre polimorfismi presenti ai codoni 136, 154 e 171. Questi si combinano in cinque principali alleli, ARQ, VRQ, AHQ, ARH e ARR, correlati a differenti gradi di suscettibilità alla malattia. Risultati ottenuti da un precedente studio d’infezione sperimentale di ovini di razza Sarda con scrapie classica (Vaccari G et al 2007), hanno suggeriscono l’ordine di suscettibilità ARQ>AHQ>ARH. L’allele ARR, è risultato invece associato ai più alti livelli di protezione dalla malattia. Dallo stesso studio di trasmissione sperimentale e da uno studio epidemiologico di tipo caso-controllo, è inoltre emerso che nella razza Sarda, ovini con l’allele ARQ, con sostituzione amminoacidica al codone 137 Metionina (M)/Treonina (T) (AT137RQ) o al 176 Asparagina (N)/Lisina (K) (ARQK176) in eterozigosi sono protetti dalla scrapie. Inoltre studi di trasmissione sperimentale della BSE in ovini della stessa razza con tre differenti genotipi (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR), hanno dimostrato come la BSE abbia un targeting genetico molto simile a quello della scrapie, evidenziando il genotipo ARQ/ARQ come il più suscettibile. L’obbiettivo della seguente tesi è stato quello di verificare se fosse possibile riprodurre in vitro la differente suscettibilità genetica degli ovini alle EST evidenziata in vivo, utilizzando il PMCA (Protein Misfolding Cyclic Amplification), la metodica ad oggi più promettente e di cui è stata dimostrata la capacità di riprodurre in vitro diverse proprietà biologiche dei prioni. La tecnica, attraverso cicli ripetuti di sonicazione/incubazione, permette la conversione in vitro della PrPC presente in un omogenato cerebrale (substrato), da parte di una quantità minima di PrPSc (inoculo) che funge da “innesco” della reazione. Si è voluto inoltre utilizzare il PMCA per indagare il livello di protezione in omozigosi di alleli rari per i quali, in vivo, si avevano evidenze di protezione dalla scrapie solo in eterozigosi, e per studiare la suscettibilità degli ovini alla BSE adattata in questa specie. È stata quindi testata in PMCA la capacità diversi substrati ovini recanti differenti genotipi, di amplificare la PrPSc dello stesso isolato di scrapie classica impiegato nel precedente studio in vivo o di un inoculo di BSE bovina. Inoltre sono stati saggiati in vitro due inoculi di BSE costituiti da omogenato cerebrale di due ovini sperimentalmente infettati con BSE (BSE ovina) e recanti due differenti genotipi (ARQ/ARQ e ARR/ARR). Per poter descrivere quantitativamente il grado di correlazione osservato i risultati ottenuti in vitro e i quelli riscontrati dallo studio di sperimentazione con scrapie, espressi rispettivamente come fattori di amplificazione e tempi d’incubazione registrati in vivo, sono stati analizzati con un modello di regressione lineare. Per quanto riguarda la scrapie, i risultati ottenuti hanno evidenziato come i genotipi associati in vivo a suscettibilità (ARQ/ARQ, ARQ/AHQ and AHQ/ARH) siano anche quelli in grado di sostenere in PMCA l’amplificazione della PrPSc, e come quelli associati a resistenza (ARQ/ARR and ARR/ARR) non mostrino invece nessuna capacità di conversione. Dall’analisi di regressione lineare è inoltre emerso come l’efficienza di amplificazione in vitro dei differenti genotipi testati sia inversamente proporzionale ai tempi d’incubazione registrati in vivo. Inoltre nessuna amplificazione è stata riscontrata utilizzando il substrato con genotipo raro ARQK176/ARQK176 suggerendo come anche questo possa essere associato a resistenza, almeno nei confronti dell’isolato di scrapie classica utilizzato. Utilizzando come inoculo in PMCA l’isolato di BSE bovina, è stato possibile riscontrare, nei tre genotipi analizzati (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR) un evidente amplificazione per il solo genotipo ARQ/ARQ, sottolineando anche in questo caso l’esistenza di una correlazione tra suscettibilità riscontrata in vivo e capacità di conversione in PMCA. I tre i substrati analizzati mostrano inoltre una buona efficienza di amplificazione, per altro simile, se si utilizza la PrPSc dell’inoculo di BSE sperimentalemente trasmessa agli ovini. Questi genotipi sembrerebbero dunque ugualmente suscettibili se esposti a BSE adattata alla specie ovina. I risultati di questa tesi indicano dunque una correlazione diretta tra la capacità di conversione della PrPC con il PMCA e la suscettibilità osservata in vivo per i differenti genotipi analizzati. Mostrano inoltre come il PMCA possa essere una valida alternativa agli studi di trasmissione in vivo e un rapido strumento utile non soltanto per testare, ma anche per predire la suscettibilità genetica degli ovini a diversi ceppi di EST, rappresentando un valido aiuto per l’individuazione di ulteriori genotipi resistenti, così da incrementare la variabilità genetica dei piani di selezione attuati per gli ovini per il controllo di queste malattie.

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Negli ultimi decenni le nuove scoperte mediche e il miglioramento dello stile di vita nei paesi occidentali hanno determinato un aumento del consumo di sostanze terapeutiche, nonché della gamma di prodotti farmaceutici e parafarmaceutici comunemente utilizzati. Gli studi di cinetica dei farmaci dimostrano con certezza che essi, seppur metabolizzati, mantengono inalterato il loro potere d’azione, rimanendo biodisponibili anche una volta escreti dall’organismo. A causa della loro eccessiva polarità tali molecole sono inoltre difficilmente trattenute dai convenzionali impianti di depurazione dei reflui urbani, dai quali confluiscono inevitabilmente verso le acque fluviali e/o costiere le quali risultano. In ragione di ciò, la valutazione degli effetti che la loro presenza può provocare sulla qualità dei sistemi di approvigionamento idrico e sulla biologia delle specie tipiche degli ecosistemi acquatici, ha classificato tali composti come una nuova classe di inquinanti emergenti, il cui impatto ambientale non risulta ancora del tutto arginato attraverso adeguate contromisure legislative. I farmaci sono sostanze bioattive progettate per avere effetti specifici a bassissime concentrazioni negli organismi target attraverso specifici meccanismi d’azione. Nel caso in cui i bersagli cellulari su cui agiscono siano evolutivamente conservati negli organismi non target, essi possono esercitare le proprie funzioni attraverso i medesimi meccanismi di regolazione fisiologica attivati nelle specie target, dando origine a effetti specifici, o anche aspecifici, nel caso in cui tali bersagli siano deputati alla regolazioni di funzioni differenti. Pertanto lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di analizzare le possibili alterazioni di carattere fisiologico in individui di mitilo mediterraneo (Mytilus galloprovincialis) esposti a concentrazioni ambientali di fluoxetina, farmaco antidepressivo appartenente alla classe degli inibitori selettivi del riassorbimento presinaptico della serotonina (SSRI). Più nel dettaglio, a seguito di un’esposizione per 7 giorni a dosaggi compresi tra 0.03 e 300 ng/L di FX, sono stati analizzati i livelli intracellulari di AMPc e l’attività dell’enzima PKA nei diversi trattamenti sperimentali effettuati. Inoltre sono stati valutati i livelli di espressione genica del recettore serotoninergico 5HTmyt1 e della la P-glicoproteina (Pgp, gene ABCB1), trasportatore di membrana responsabile del sistema di detossificazione noto come Multi-xenobiotic resistance (MXR). Nella ghiandola digestiva, la FX causa una diminuzione statisticamente significativa dei livelli di AMPc, dell’attività della PKA e dell’espressione del gene ABCB1 rispetto al controllo. Al contrario nel mantello il farmaco non produce alterazioni dei livelli intracellulari di AMPc e dell’attività della PKA mentre si apprezza una sottoespressione del gene ABCB1 nei trattamenti a dosaggi intermedi. In entrambi i tessuti si nota un aumento dell’espressione genica di 5HTmyt1 alle minori concentrazioni di FX, mentre ai dosaggi più alti non si registrano alterazioni significative rispetto al controllo. Nel loro insieme i risultati indicano che nei mitili, concentrazioni ambientali di FX producono significative alterazioni di diversi parametri fisiologici attraverso una modulazione specifica dei medesimi bersagli molecolari coinvolti nella terapia umana. La riduzione dei livelli di AMPc/PKA apprezzata nella ghiandola digestiva risulta in linea con la funzione inibitoria svolta dal recettore 5HTmyt1 su tale via di trasduzione, mentre l’assenza di variazioni significative registrata nel mantello supporta l’ipotesi di un’interazione tra il sistema serotoninergico e catecolaminergico nella regolazione dei processi legati al ciclo riproduttivo che si verificano in tale tessuto. In conclusione, i dati dimostrano che l’espressione del gene codificante la proteina Pgp è regolata dalla FX attraverso uno specifico meccanismo d'azione AMPc-dipendente modulato dalla serotonina; tuttavia, è ipotizzabile anche un effetto non specifico indotto dalla FX stessa, per esempio attraverso l’induzione di stress ossidativo. Inoltre essi evidenziano la presenza di un meccanismo di regolazione retroattivo sulla espressione dei recettori 5HTmyt1 in funzione delle concentrazioni extracellulari di serotonina modulate dall’azione della FX.

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L’enzima IDO interviene nella via di degradazione del triptofano, essenziale per la vita cellulare; l’iperespressione di IDO favorisce la creazione di un microambiente immunotollerante. Nelle LAM IDO è funzionalmente attivo nelle cellule blastiche e determina l’acquisizione di un fenotipo regolatorio da parte delle cellule T alloreattive; l’espressione della proteina aumenta in modo consensuale con l’evoluzione clinica della patologia. Scopo della Tesi è indagare l’esistenza di una correlazione tra l’iperespressione di IDO da parte delle cellule leucemiche, le caratteristiche di rischio alla diagnosi e l’outcome dei pazienti. Sono stati esaminati 45 pazienti adulti affetti da LAM afferiti all’Istituto di Ematologia di Bologna. I pazienti sono stati stratificati a seconda di: età di insorgenza della leucemia, secondarietà a Mielodisplasia o radio chemioterapia, iperleucocitosi, citogenetica, biologia molecolare (sono state valutate le alterazioni a carico dei geni FLT3 ed NPM). I pazienti sono stati analizzati per l’espressione del gene IDO mediante RT-PCR, seguita da Western Blot, allo scopo di stabilire la presenza di una proteina attiva; successivamente si è proceduto a verificare l’esistenza di una correlazione tra l’espressione di IDO e le caratteristiche di rischio alla diagnosi per identificare una relazione tra l’espressione del gene ed un subset di pazienti a prognosi favorevole o sfavorevole. Dei 45 pazienti adulti affetti da LAM il 28,9% è risultato negativo per l’espressione di IDO, mentre il rimanente 71,1% è risultato positivo ed è stato suddiviso in tre ulteriori categorie, in base ai livelli di espressione. I dati non sembrano al momento suggerire l’esistenza di una correlazione tra l’espressione di IDO e le caratteristiche di rischio alla diagnosi. Nel gruppo di pazienti ad elevata espressione di IDO si riscontra un rate di resistenza alla chemioterapia di induzione più elevato, con una quota di pazienti resistenti pari al 71,4%, contro il 23,1% nel gruppo di pazienti IDO-negativi.

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It has been proved that naphthalene diimide (NDI) derivatives display anticancer properties as intercalators and G-quadruplex-binding ligands, leading to DNA damage, senescence and down-regulation of oncogene expression. This thesis deals with the design and synthesis of disubstituted and tetrasubstituted NDI derivatives endowed with anticancer activity, interacting with DNA together with other targets implicated in cancer development. Disubstituted NDI compounds have been designed with the aim to provide potential multitarget directed ligands (MTDLs), in order to create molecules able to simultaneously interact with some of the different targets involved in this pathology. The most active compound, displayed antiproliferative activity in submicromolar range, especially against colon and prostate cancer cell lines, the ability to bind duplex and quadruplex DNA, to inhibit Taq polymerase and telomerase, to trigger caspase activation by a possible oxidative mechanism, to downregulate ERK 2 protein and to inhibit ERKs phosphorylation, without acting directly on microtubules and tubuline. Tetrasubstituted NDI compounds have been designed as G-quadruplex-binding ligands endowed with anticancer activity. In order to improve the cellular uptake of the lead compound, the N-methylpiperazine moiety have been replaced with different aromatic systems and methoxypropyl groups. The most interesting compound was 1d, which was able to interact with the G-quadruplexes both telomeric and in HSP90 promoter region, and it has been co-crystallized with the human telomeric G-quadruplex, to directly verify its ability to bind this kind of structure, and also to investigate its binding mode. All the morpholino substituted compounds show antiproliferative activity in submicromolar values mainly in pancreatic and lung cancer cell lines, and they show an improved biological profile in comparison with that of the lead compound. In conclusion, both these studies, may represent a promising starting point for the development of new interesting molecules useful for the treatment of cancer, underlining the versatility of the NDI scaffold.

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Recenti analisi sull’intero trascrittoma hanno rivelato una estensiva trascrizione di RNA non codificanti (ncRNA), le quali funzioni sono tuttavia in gran parte sconosciute. In questo lavoro è stato dimostrato che alte dosi di camptotecina (CPT), un farmaco antitumorale inibitore della Top1, aumentano la trascrizione di due ncRNA antisenso in 5’ e 3’ (5'aHIF-1α e 3'aHIF-1α rispettivamente) al locus genico di HIF-1α e diminuiscono i livelli dell’mRNA di HIF-1α stesso. Gli effetti del trattamento sono Top1-dipendenti, mentre non dipendono dal danno al DNA alla forca di replicazione o dai checkpoint attivati dal danno al DNA. I ncRNA vengono attivati in risposta a diversi tipi di stress, il 5'aHIF-1α è lungo circa 10 kb e possiede sia il CAP in 5’ sia poliadenilazione in 3’ (in letteratura è noto che il 3'aHIF-1α è un trascritto di 1,7 kb, senza 5’CAP né poliadenilazione). Analisi di localizzazione intracellulare hanno dimostrato che entrambi sono trascritti nucleari. In particolare 5'aHIF-1α co-localizza con proteine del complesso del poro nucleare, suggerendo un suo possibile ruolo come mediatore degli scambi della membrana nucleare. È stata dimostrata inoltre la trascrizione dei due ncRNA in tessuti di tumore umano del rene, evidenziandone possibili ruoli nello sviluppo del cancro. È anche noto in letteratura che basse dosi di CPT in condizioni di ipossia diminuiscono i livelli di proteina di HIF-1α. Dopo aver dimostrato su diverse linee cellulari che i due ncRNA sopracitati non potessero essere implicati in tale effetto, abbiamo studiato le variazioni dell’intero miRnoma alle nuove condizioni sperimentali. In tal modo abbiamo scoperto che il miR-X sembra essere il mediatore molecolare dell’abbattimento di HIF-1α dopo trattamento con basse dosi di CPT in ipossia. Complessivamente, questi risultati suggeriscono che il fattore di trascrizione HIF-1α venga finemente regolato da RNA non-codificanti indotti da danno al DNA.

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La sindrome nefrosica (SN) è definita come la presenza concomitante di una proteinuria maggiore di 3.5g/24 h, ipoalbuminemia, ipercolesterolemia e presenza di edemi. I pazienti con SN sono più a rischio di quelli che presentano una nefropatia glomerulare non nefrosica (NNGD) per lo sviluppo di ipertensione, ipernatremia, complicazioni tromboemboliche e comparsa di insufficienza renale. In Medicina Veterinaria, la Letteratura riguardante l’argomento è molto limitata e non è ben nota la correlazione tra SN e gravità della proteinuria, ipoalbuminemia e sviluppo di tromboembolismo. L’obiettivo del presente studio retrospettivo è stato quello di descrivere e caratterizzare le alterazioni cliniche e clinicopatologiche che si verificano nei pazienti con rapporto proteine urinarie:creatinina urinaria (UPC) >2 con lo scopo di inquadrare con maggiore precisione lo stato clinico di questi pazienti e individuare le maggiori complicazioni a cui possono andare incontro. In un periodo di nove anni sono stati selezionati 338 cani e suddivisi in base ad un valore cut-off di UPC≥3.5. Valori mediani di creatinina, urea, fosforo, albumina urinaria, proteina C reattiva (CRP) e fibrinogeno sono risultati al di sopra del limite superiore dell’intervallo di riferimento, valori mediani di albumina sierica, ematocrito, antitrombina al disotto del limite inferiore di riferimento. Pazienti con UPC≥3.5 hanno mostrato concentrazioni di albumine, ematocrito, calcio, Total Iron Binding Capacity (TIBC), significativamente minori rispetto a quelli con UPC<3.5, concentrazioni di CRP, di urea e di fosforo significativamente maggiori. Nessuna differenza tra i gruppi nelle concentrazioni di creatinina colesterolo, trigliceridi, sodio, potassio, cloro, ferro totale e pressione sistolica. I pazienti con UPC≥3.5 si trovano verosimilmente in uno “stato infiammatorio” maggiore rispetto a quelli con UPC<3.5, questa ipotesi avvalorata dalle concentrazioni minori di albumina, di transferrina e da una concentrazione di CRP maggiore. I pazienti con UPC≥3.5 non presentano concentrazioni di creatinina più elevate ma sono maggiormente a rischio di anemia.

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Le cellule staminali/stromali mesenchimali umane (hMSC) sono attualmente applicate in diversi studi clinici e la loro efficacia è spesso legata alla loro capacità di raggiungere il sito d’interesse. Poco si sa sul loro comportamento migratorio e i meccanismi che ne sono alla base. Perciò, questo studio è stato progettato per comprendere il comportamento migratorio delle hMSC e il coinvolgimento di Akt, nota anche come proteina chinasi B. L’espressione e la fosforilazione della proteinchinasi Akt è stata studiata mediante Western blotting. Oltre al time-lapse in vivo imaging, il movimento cellulare è stato monitorato sia mediante saggi tridimensionali, con l’uso di transwell, che mediante saggi bidimensionali, attraverso la tecnica del wound healing. Le prove effettuate hanno rivelato che le hMSC hanno una buona capacità migratoria. E’ stato osservato che la proteinchinasi B/Akt ha elevati livelli basali di fosforilazione in queste cellule. Inoltre, la caratterizzazione delle principali proteine di regolazione ed effettrici, a monte e a valle di Akt, ha permesso di concludere che la cascata di reazioni della via di segnale anche nelle hMSC segue un andamento canonico. Specifici inibitori farmacologici sono stati utilizzati per determinare il potenziale meccanismo coinvolto nella migrazione cellulare e nell'invasione. L’inibizione della via PI3K/Akt determina una significativa riduzione della migrazione. L’utilizzo di inibitori farmacologici specifici per le singole isoforme di Akt ha permesso di discriminare il ruolo diverso di Akt1 e Akt2 nella migrazione delle hMSC. E’ stato infatti dimostrato che l'inattivazione di Akt2, ma non quella di Akt1, diminuisce significativamente la migrazione cellulare. Nel complesso i risultati ottenuti indicano che l'attivazione di Akt2 svolge un ruolo critico nella migrazione della hMSC; ulteriori studi sono necessari per approfondire la comprensione del fenomeno. La dimostrazione che l’isoforma Akt2 è necessaria per la chemiotassi diretta delle hMSC, rende questa chinasi un potenziale bersaglio farmacologico per modulare la loro migrazione.

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Il sarcoma di Ewing (ES) è un tumore maligno pediatrico dell’apparato scheletrico; è associato a una traslocazione specifica codificante la proteina di fusione EWS-FLI1 e all’alta espressione di CD99, una glicoproteina di membrana fisiologicamente coinvolta in diversi processi biologici. EWS-FLI1 e CD99, sono riportati avere ruoli divergenti nella modulazione della malignità e del differenziamento di ES. CD99 inoltre è riportato modulare il pathway di MAPK, il quale interagendo con molteplici fattori di trascrizione partecipa a processi di proliferazione e differenziamento. In questo studio abbiamo investigato in due linee cellulari di ES silenziate per CD99 (TC-71shCD99 e IOR/CARshCD99) l’attività basale di diversi fattori trascrizionali quali: NF-kBp65, AP1, Elk-1, E2F e CREB. L’unico fattore trascrizionale statisticamente significativo è risultato essere NF-kBp65 e abbiamo valutato il suo ruolo nel differenziamento neurale di cellule di ES e la relazione con EWS-FLI1 e CD99. L’attività trascrizionale di NF-kB è stata valutata attraverso gene reporter assay in linee cellulari di ES a diversa espressione di CD99, EWS-FLI1 e NF-kB stesso. Il differenziamento neurale è stato valutato come espressione di βIII-Tubulin in immunofluorescenza. Il silenziamento di CD99 induce una down-modulazione dell’attività trascrizionale di NF-kB, mentre il knockdown di EWS-FLI1 ne induce un’aumento. Inoltre, il silenziamento di EWS-FLI1 non è in grado di contrastare la riduzione dell’attività di NF-kB osservata dopo silenziamento di CD99, suggerendo un ruolo dominante del CD99 nel signaling di NF-kB. Cellule deprivate di CD99 ma non di EWS-FLI1, mostrano un fenotipo differenziato in senso neurale, fenotipo che viene perso quando le cellule sono indotte a sovraesprimere NF-kB. Inoltre, in cellule CD99 positive, il silenziamento di NF-kB induce un leggero differenziamento neurale. In conclusione, questi dati hanno evidenziato il ruolo di NF-kB nel differenziamento di cellule di ES e che potrebbe essere un potenziale target nel ridurre la progressione di questo tumore.

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The cardiomyocyte is a complex biological system where many mechanisms interact non-linearly to regulate the coupling between electrical excitation and mechanical contraction. For this reason, the development of mathematical models is fundamental in the field of cardiac electrophysiology, where the use of computational tools has become complementary to the classical experimentation. My doctoral research has been focusing on the development of such models for investigating the regulation of ventricular excitation-contraction coupling at the single cell level. In particular, the following researches are presented in this thesis: 1) Study of the unexpected deleterious effect of a Na channel blocker on a long QT syndrome type 3 patient. Experimental results were used to tune a Na current model that recapitulates the effect of the mutation and the treatment, in order to investigate how these influence the human action potential. Our research suggested that the analysis of the clinical phenotype is not sufficient for recommending drugs to patients carrying mutations with undefined electrophysiological properties. 2) Development of a model of L-type Ca channel inactivation in rabbit myocytes to faithfully reproduce the relative roles of voltage- and Ca-dependent inactivation. The model was applied to the analysis of Ca current inactivation kinetics during normal and abnormal repolarization, and predicts arrhythmogenic activity when inhibiting Ca-dependent inactivation, which is the predominant mechanism in physiological conditions. 3) Analysis of the arrhythmogenic consequences of the crosstalk between β-adrenergic and Ca-calmodulin dependent protein kinase signaling pathways. The descriptions of the two regulatory mechanisms, both enhanced in heart failure, were integrated into a novel murine action potential model to investigate how they concur to the development of cardiac arrhythmias. These studies show how mathematical modeling is suitable to provide new insights into the mechanisms underlying cardiac excitation-contraction coupling and arrhythmogenesis.

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L’osteosarcoma (OS) è il tumore primitivo dell’osso più comune in età pediatrica e adolescenziale. L’OS è stato recentemente riconsiderato come una patologia da de-differenziamento, legata all’interruzione del processo cui vanno incontro i precursori osteoblastici, quali le cellule staminali mesenchimali (MSCs), per trasformarsi in osteoblasti maturi. Il sistema IGF è coinvolto nella regolazione della proliferazione e del differenziamento di cellule di OS. IRS-1 è un mediatore critico di tale via di segnalazione e il suo livello di espressione modula il differenziamento di cellule ematopoietiche. Lo scopo di questa tesi è stato quello di definire il ruolo di IRS-1 nel differenziamento osteoblastico di MSCs e cellule di OS. Il potenziale differenziativo di cellule di OS umano e murino e di MSCs derivate da midollo osseo è stato valutato tramite Alizarin Red staining e Real Time-PCR. Dai dati ottenuti è emerso come i livelli di espressione di IRS-1 diminuiscano durante il differenziamento osteoblastico. Conseguentemente, i livelli di espressione di IRS-1 sono stati manipolati utilizzando shRNA per down-regolare l’espressione della proteina o un plasmide per sovra-esprimerla. Sia la down-regolazione sia la sovra-espressione di IRS-1 hanno inibito il differenziamento osteoblastico delle linee cellulari considerate. Allo scopo di valutare il contributo di IRS-1 nella via di segnalazione di IGF-1R è stato utilizzato l’inibitore di tale recettore, αIR-3. Anche in questo caso è stata osservata una riduzione della capacità differenziativa. L’inibitore del proteasoma MG-132 ha portato ad un aumento dei livelli di IRS-1, portando nuovamente all’inibizione del differenziamento osteoblastico e suggerendo che l’ubiquitinazione di questa proteina potrebbe avere un ruolo importante nel mantenimento di appropriati livelli di espressione di IRS-1. I risultati ottenuti indicano la criticità dei livelli di espressione di IRS-1 nella determinazione della capacità differenziativa sia di cellule di OS umano e murino, sia delle MSCs.

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Tanchirasi (TNKS) è un membro della superfamiglia delle PARP (Poli ADP-Ribosio Polimerasi). TNKS è coinvolta nella stabilizzazione della subunità catalitca del complesso proteico DNA-PK (protein chinasi DNA-dipendente), la DNA-PKcs. Questa proteina è fondamentale per il corretto funzionamento del meccanismo di riparo del DNA chiamato "Saldatura Non Omologa delle Estremità" (NHEJ). La deplezione di TNKS induce una degradazione della DNA-PKcs e una maggiore sensibilità alle radiazioni ionizzanti (RI). TNKS è inoltre un regolatore negativo di axina e di conseguenza un attivatore del pathway di WNT; l'inibizione quindi di TNKS induce anche una inibizione del pathway di WNT. Alterazioni in questo signalling si riscontrano frequentemente nel Medulloblastoma (MB), il tumore cerebrale embrionale più comune dell'infanzia. La radioterapia post-operatoria risulta essere molto efficacia in questa neoplasia, ma causa gravi effetti collaterali e un terzo dei pazienti presenta radioresistenza intrinseca. Un'importante sfida per la ricerca è quindi l'aumento della radiosensibilità tumorale. In questo lavoro, abbiamo studiato gli effetti dell'inibizione farmacologica di TNKS in linee cellulari di MB umano, mediante la small molecule XAV939, potente e specifico inibitore di TNKS. Il trattamento con XAV939 induce una consistente inibizione della capacità proliferativa e clonogenica, non correlata ad un aumento della mortalità cellulare, indicando una bassa tossicità legata alla molecola. Il co-trattamento di XAV939 e RI (γ-ray, dose 2 Gy) causa una ulteriore inibizione della proliferazione cellulare e della capacità di formare colonie. Abbiamo inoltre constatato, mediante Neutral Comet Assay, una minore efficacia nel riparo del DNA in cellule irradiate trattate con XAV939, indicando un effettivo aumento della radiosensibilità in cellule di MB trattate con l'inibitore di TNKS. L'aumentata mortalità cellulare in cellule tumorali trattate con XAV939 e RI ha confermato la nostra ipotesi. Il nostro studio in vitro indica come TNKS possa essere un utile target terapeutico per rendere più efficace l'attuale terapia contro il MB.

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L’infiammazione cronica è un fattore di rischio di insorgenza del cancro, e la citochina infiammatoria IL-6 gioca un ruolo importante nella tumorigenesi. In questo studio abbiamo dimostrato che L’IL-6 down-regola l'espressione e l'attività di p53. In linee cellulari umane, IL-6 stimola la trascrizione dell’rRNA mediante espressione della proteina c-myc a livello post-trascrizionale in un meccanismo p38MAPK-dipendente. L'up-regolazione della biogenesi ribosomiale riduce l'espressione di p53 attraverso l'attivazione della via della proteina ribosomale-MDM2. La down-regolazione di p53 produce l’acquisizione di modifiche fenotipiche e funzionali caratteristiche della epitelio mesenchimale di transizione, un processo associato a trasformazione maligna e progressione tumorale. I nostri dati mostrano che questi cambiamenti avvengono anche nelle cellule epiteliali del colon di pazienti affetti da colite ulcerosa, un esempio rappresentativo di una infiammazione cronica soggetta a trasformazione neoplastica, che scompaiono dopo trattamento con farmaci antinfiammatori. Questi risultati svelano un nuovo effetto oncogenico indotto dall’IL-6 che può contribuire notevolmente ad aumentare il rischio di sviluppare il cancro non solo in pazienti con infiammazioni croniche, ma anche in quei pazienti con condizioni patologiche caratterizzate da elevato livello di IL-6 nel plasma, quali l'obesità e e il diabete mellito di tipo 2.