942 resultados para Electrical impedance tomography, Calderon problem, factorization method


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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Pós-graduação em Engenharia Elétrica - FEIS

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Pós-graduação em Engenharia Elétrica - FEIS

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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Pós-graduação em Química - IQ

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Pós-graduação em Química - IQ

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Objective: Based on evidence showing that electrical stimulation of the nervous system is an effective method to decrease chronic neurogenic pain, we aimed to investigate whether the combination of 2 methods of electrical stimulation-a method of peripheral stimulation [transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS)] and a method of noninvasive brain stimulation (transcranial direct current stimulation (tDCS)]-induces greater pain reduction as compared with tDCS alone and sham stimulation. Methods: We performed a preliminary, randomized, sham-controlled, crossover, clinical study in which 8 patients were randomized to receive active tDCS/active TENS (""tDCS/TENS"" group), active tDCS/sham TENS (""tDCS"" group), and sham tDCS/sham TENS (""sham"" group) stimulation. Assessments were performed immediately before and after each condition by a blinded rater. Results: The results showed that there was a significant difference in pain reduction across the conditions Of stimulation (P = 0.006). Post hoc tests showed significant pain reduction as compared with baseline after the tDCS/TENS condition [reduction by 36.5% (+/- 10.7), P = 0.004] and the tDCS condition [reduction by 15.5% (+/- 4.9), P = 0.014], but not after sham stimulation (P = 0.35). In addition, tDCS/TENS induced greater pain reduction than tDCS (P = 0.02). Conclusions: The results of this pilot study suggest that the combination of TENS with tDCS has a superior effect compared with tDCS alone.

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Nelle attuali organizzazioni sanitarie non è raro trovare operatori sanitari i quali ritengono che la relazione con il paziente consista nell'avere adeguate competenze tecniche inerenti la professione e nell'applicarle con attenzione e diligenza. Peraltro si tende ad invocare il “fattore umano”, ma si lamenta poi che l’operatore si rapporti col paziente in modo asettico e spersonalizzato. Da un punto di vista scientifico il termine “relazione” in psicologia si riferisce essenzialmente ai significati impliciti e quasi sempre non consapevoli veicolati da qualunque relazione: dipende pertanto dalla struttura psichica dei due interlocutori investendo in particolare la sfera dell’affettività e procede per processi comunicativi che travalicano il linguaggio verbale e con esso le intenzioni razionali e coscienti. La relazione interpersonale quindi rientra nel più ampio quadro dei processi di comunicazione: sono questi o meglio i relativi veicoli comunicazionali, che ci dicono della qualità delle relazioni e non viceversa e cioè che i processi comunicazionali vengano regolati in funzione della relazione che si vuole avere (Imbasciati, Margiotta, 2005). Molti studi in materia hanno dimostrato come, oltre alle competenze tecnicamente caratterizzanti la figura dell’infermiere, altre competenze, di natura squisitamente relazionale, giochino un ruolo fondamentale nel processo di ospedalizzazione e nella massimizzazione dell’aderenza al trattamento da parte del paziente, la cui non osservanza è spesso causa di fallimenti terapeutici e origine di aumentati costi sanitari e sociali. Questo aspetto è però spesso messo in discussione a favore di un maggiore accento sugli aspetti tecnico professionali. Da un “modello delle competenze” inteso tecnicisticamente prende origine infatti un protocollo di assistenza infermieristica basato sull’applicazione sistematica del problem solving method: un protocollo preciso (diagnosi e pianificazione) guida l’interazione professionale fra infermiere e la persona assistita. A lato di questa procedura il processo di assistenza infermieristica riconosce però anche un versante relazionale, spesso a torto detto umanistico riferendosi alla soggettività dei protagonisti interagenti: il professionista e il beneficiario dell’assistenza intesi nella loro globalità bio-fisiologica, psicologica e socio culturale. Nel pensiero infermieristico il significato della parola relazione viene però in genere tradotto come corrispondenza continua infermiere-paziente, basata sulle dimensioni personali del bisogno di assistenza infermieristica e caratterizzata da un modo di procedere dialogico e personalizzato centrato però sugli aspetti assistenziali, in cui dall’incontro degli interlocutori si determinerebbe la natura delle cure da fornire ed i mezzi con cui metterle in opera (Colliere, 1992; Motta, 2000). Nell’orientamento infermieristico viene affermata dunque la presenza di una relazione. Ma di che relazione si tratta? Quali sono le capacità necessarie per avere una buona relazione? E cosa si intende per “bisogni personali”? Innanzitutto occorre stabilire cosa sia la buona relazione. La buona o cattiva relazione è il prodotto della modalità con cui l’operatore entra comunque in interazione con il proprio paziente ed è modulata essenzialmente dalle capacità che la sua struttura, consapevole o no, mette in campo. DISEGNO DELLA LA RICERCA – 1° STUDIO Obiettivo del primo studio della presente ricerca, è un’osservazione delle capacità relazionali rilevabili nel rapporto infermiere/paziente, rapporto che si presume essere un caring. Si è voluto fissare l’attenzione principalmente su quelle dimensioni che possono costituire le capacità relazionali dell’infermiere. Questo basandoci anche su un confronto con le aspettative di relazione del paziente e cercando di esplorare quali collegamenti vi siano tra le une e le altre. La relazione e soprattutto la buona relazione non la si può stabilire con la buona volontà, né con la cosiddetta sensibilità umana, ma necessita di capacità che non tutti hanno e che per essere acquisite necessitano di un tipo di formazione che incida sulle strutture profonde della personalità. E’ possibile ipotizzare che la personalità e le sue dimensioni siano il contenitore e gli elementi di base sui quali fare crescere e sviluppare capacità relazionali mature. Le dimensioni di personalità risultano quindi lo snodo principale da cui la ricerca può produrre i suoi risultati e da cui si è orientata per individuare gli strumenti di misura. La motivazione della nostra scelta dello strumento è da ricercare quindi nel tentativo di esplorare l’incidenza delle dimensioni e sottodimensioni di personalità. Tra queste si è ritenuto importante il costrutto dell’Alessitimia, caratteristico nel possesso e quindi nell’utilizzo, più o meno adeguato, di capacità relazionali nel processo di caring,

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Ziel war Herstellung und Charakterisierung festkörperunterstützter Membransysteme aus Glykolipopolymeren auf Goldoberflächen, mit elektrischen Eigenschaften, die denen der Schwarzfilmmembranen entsprechen. Um diese Eigenschaften mit impedanzspektroskopischen Techniken messen zu können, ist die Präparation der Membranen auf Goldfilmen notwendig. Eine direkte Verankerung der Glykolipopolymermoleküle (GLP) auf der Goldoberfläche ist nicht möglich, daher werden die untersuchten GLP mit Hilfe von photoreaktiven Molekülen kovalent auf der Goldoberfläche immobilisiert. Untersuchten Abstandhalter waren Thio-Polyethylenglykol und eine Mischung zweier Alkanthiole, bestehend aus 1-Thiohexanol und Bis-(Aminododecyl)-disulfid. Thio-PEG-Monoschichten zeigten sehr unterschiedliche Schichtdicken, weil die Moleküle auf der Oberfläche sehr unterschiedliche Konformationen annehmen können, die eine regelmässige Anordnung erschweren. Langmuir-Blodgett Übertrag sowie die durchgeführte photochemische Fixierung der GLP-Moleküle auf Thio-PEG Schichten führte zu Eigenschaften, die auf den Aufbau einer Lipidmonolage hinweisen. Diese stellte jedoch im Bereich der Lipidmoleküle keine geschlossene Schicht dar. Es kommen als Abstandhaltermoleküle für die Photofunktionalisierung nur Moleküle in Frage, die aufgrund ihrer Eigenschaften eine regelmässige Anordnung auf der Goldoberfläche anstreben. Diese Voraussetzung erfüllt am besten die Gruppe der Alkanthiole. Terminal funktionalisierte Alkanthiole müssen jedoch mit nicht oder anderweitig funktionalisierten Alkanthiolen verdünnt assembliert werden, um weitergehende Funktionalisierungen einzugehen. Die untersuchten GLP lassen sich aufgrund ihrer amphiphilen Struktur an der Wasser-Luft Grenzfläche vororientieren. In allen Fällen gelingt auch der Langmuir-Blodgett Übertrag der komprimierten Schicht, sowie, nach der für die Anbindung notwendigen Trocknung, die photochemisch kovalente Fixierung der Monoschicht durch Bestrahlung mit UV-Licht. Damit konnte erstmals die photochemisch kovalente Fixierung von GLPs auf der Goldoberfläche gezeigt werden. Untersuchungen erfolgten an einem Copolymer sowie zwei unterschiedlichen Homopolymermolekülen. Der unterschiedliche molekulare Aufbau der GLP spiegelt sich in ihrem Verhalten an der Wasser-Luft Grenzfläche sowie in den Eigenschaften der gebildeten Monoschichten wieder. Die Copolymer-Schichten zeigten sehr unterschiedliche Schichtdicken. Auch die EIS-Daten sind schlecht reproduzierbar. Dies ist auf die molekulare Struktur des Copolymers zurückzuführen. Gänzlich unterschiedlich verhalten sich die Homopolymere. Aufgrund ihrer Struktur lassen sie sich zu dichten Schichten komprimieren. Messungen der Fluoreszenzerholung nach Photobleichung (FRAP) zeigen homogene aber nicht fluide Schichten. Die photochemisch kovalente Fixierung des Moleküls auf der Goldoberfläche konnte durch SPR- sowie EIS-Messungen nachgewiesen werden. Die EIS-Messungen zeigen Werte, die sich in Bereichen der idealen Modellmembran bewegen. Der erfolgreiche Einbau von Valinomycin konnte bestätigt werden. FRAP Untersuchungen zeigten die Bildung homogener Schichten. Diese sind jedoch im Bereich der proximalen Lipidschicht nicht fluide. Um die Fluidität in Anlehnung an die Eigenschaften der natürlichen Membranen zu erhöhen, wurden die photochemisch kovalent fixierten Anker-Glykolipopolymer-Moleküle durch Mischung mit freien Lipiden lateral verdünnt. Auch die kovalente Fixierung der GLP-Bausteine innerhalb gemischten Schichten konnte erfolgreich demonstriert werden. Die Schichten zeigten sich jedoch, mit Ausnahme der Schichten aus 50mol% Homopolymer und 50mol% Lipid, inhomogen. Nach Photobleichung durch den Laserblitz kam es nur bei den 50mol%:50mol% -Schichten (Ho: Lipid) zur Erholung der Fluoreszenz, was auf das Vorliegen von beweglichen Lipidmolekülen innerhalb der Membran schliessen lässt. Der Versuch der Inkorporation von Valinomycin gelang ebenfalls. Alle genannten Ergebnisse deuten darauf hin, dass die molekulare Architektur der hergestellten Schichten durch die unterschiedlichen Längendimensionen des Homopolymer-Moleküls einerseits, sowie des Lipids andererseits nicht für alle Mischungsverhältnisse ausreichend stabil ist. Die für die kovalente Fixierung erforderliche Trocknung der Schicht führt zu einer deutlichen Verminderung des Wassergehaltes des Systems und einer daraus resultierenden starken Destabilisierung der aufgebauten Schichten. Insgesamt gesehen stellt somit die photochemische Fixierung der glykosidischen Homopolymer-Membranen ein vielversprechendes Modellsystem dar.

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For the detection of hidden objects by low-frequency electromagnetic imaging the Linear Sampling Method works remarkably well despite the fact that the rigorous mathematical justification is still incomplete. In this work, we give an explanation for this good performance by showing that in the low-frequency limit the measurement operator fulfills the assumptions for the fully justified variant of the Linear Sampling Method, the so-called Factorization Method. We also show how the method has to be modified in the physically relevant case of electromagnetic imaging with divergence-free currents. We present numerical results to illustrate our findings, and to show that similar performance can be expected for the case of conducting objects and layered backgrounds.

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The aim of the work was to study the correlation between the orientation and excited-state lifetimes of organic dyes close to dielectric interfaces. For this purpose, an experimental setup was designed and built, guiding the light through a prism in total internal reflection geometry. Fluorescence intensities and lifetimes for an ensemble of dye molecules were analyzed as a function of the excitation and detection polarizations. Working close to the total internal reflection angle, the differences between polarization combinations were enhanced. A classical electromagnetic model that assumes a chromophore as a couple of point-like electrical dipoles was developed. A numerical method to calculate the excitation and emission of dye molecules embedded in a multilayer system was implemented, by which full simulation of the time resolved fluorescence experiments was achieved. Free organic dyes and organic dyes covalently bound to polyelectrolyte chains were used. The polymer functionalization process avoided aggregation and provided control over the dyes position, within a few nanometers to the interface. Moreover, by varying the pH, the polymer chains could be deposited on different substrates with different conformations and the resulting fluorescence characteristics analyzed. Initially the fluorescence of organic dyes embedded in a polymer matrix was studied as a function of the distance between the fluorophores and the polymer-air interface. The non-radiative decay rate, vacuum decay rate and the relative angle between the excitation and emission dipoles of the chromophores could be determined. Different free organic dyes were deposited onto different dielectric spacers, as close as possible to the air-dielectric interface. Surprisingly, the fluorescence characteristics of dyes deposited onto polyelectrolyte layer were in good agreement with theoretical predictions of dyes in a polymer matrix, even when the layer was only 2 nm thick. When functionalized chains were deposited at low pH, on top of a polyelectrolyte spacer, the fluorescence had the characteristics of emitters embedded in a polymer matrix as well. Surface deposition at high pH showed an intermediate behaviour between emitters embedded in polymer and on top of the surface, in air. In general, for low pH values, the chains are deposited on a substrate in a train-like conformation. For high pH values, the chains are deposited in a loop-like conformation. As a consequence at low pH the functionalized polymer strongly interdigitates with the polyelectrolyte chains of the spacer, bringing most of the dyes inside the polymer. Thus, the fluorophores may experience the polymer as surrounding environment. On the other hand, for high pH values the dye-loaded chains adsorbed have a conformational arrangement of dense loops that extend away from the surface. Therefore many fluorophores experience the air as surrounding environment. Changing the spacer from polyelectrolyte to negatively charged silane produced contradictory results for lifetimes and intensities. The fluorescence intensities indicated the behaviour of emitters embedded in a polymer matrix, regardless of the pH value. On the other hand, for low pH values, the excited-state lifetimes showed that the emitters behaved as in air. For higher pH values, an intermediate behaviour between fluorophores located within and above of a dielectric film was observed. The poor agreement between theoretical and experimental data may be due to the simplified model utilized, by which the dipoles are assumed either in one side or in the other with respect to a geometrical air-dielectric interface. In the case when the dielectric film is constituted by the functionalized polymer chains themselves, reality is more complex and a different model may apply. Nevertheless, possible applications of the technique arise from a qualitative analysis.