800 resultados para Strategic Spatial Planning


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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

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Pós-graduação em Geografia - IGCE

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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Os empreendimentos hidrelétricos são alternativas favoráveis economicamente em função do grande potencial hidrelétrico disponível no território brasileiro. Apesar de serem notórias em causar significativa degradação ambiental, conformam historicamente uma importante controvérsia do setor energético brasileiro. Orientado por esta problemática, o presente trabalho tem como objetivo principal analisar o histórico e as tendências do planejamento espacial de usinas hidrelétricas no Brasil, interpretando-os a partir da relação entre o potencial hidrelétrico disponível no espaço e o grau de disciplinamento do uso e ocupação do espaço no tempo. Até a década de 1970, a implantação de hidrelétricas ocorreu, relativamente, à luz de menor grau de disciplinamento de uso e ocupação do espaço, como foi o caso das hidrelétricas de Balbina e Tucuruí, as quais também induziram a primeira grande crise ambiental do setor e favoreceram a criação dos instrumentos de política ambiental, em 1981. As décadas de 1980 e 1990 são caracterizadas por um vazio de planejamento de hidrelétricas, o que é retomado a partir de 2000 em função de um ambiente econômico internacional favorável aos investimentos em infraestrutura, resultando no aumento da exploração do potencial hidrelétrico orientada especialmente para a região Amazônica. Porém, esta reorientação depara-se com um maior grau de disciplinamento do uso do espaço que acaba vinculando novas dimensões para o planejamento espacial de hidrelétricas, especialmente em regiões com alta sensibilidade socioambiental, como é o caso da Amazônica. Ainda assim, esta região é aquela que ainda detêm o maior potencial hidrelétrico a ser explorado, o que faz dela a escolhida como a fronteira hidrelétrica da década de 2010.

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[ES] Se propone una metodología para la valoración de las relaciones entre la ciudad, el turismo y la planificación del territorio desde la perspectiva del paisaje y el medio ambiente. Para ello, analizamos como las estrategias de mejora de la competitividad turística de las ciudades tienen su traslación en la planificación urbanística de los ayuntamientos y la relación o integración de los elementos que configuran ambientalmente el espacio urbano. Con este objeto genérico, se selecciona el ejemplo de Las Palmas de Gran Canaria como laboratorio de experiencias de ordenación del espacio, mediante las cuales puede observarse los indicadores y dificultades en el tratamiento de la calidad ambiental. Nos interesa distinguir cómo estos elementos ambientales se planifican como recursos turísticos y la relevancia que tienen en las estrategias públicas de la ordenación del territorio.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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La ricerca proposta si pone l’obiettivo di definire e sperimentare un metodo per un’articolata e sistematica lettura del territorio rurale, che, oltre ad ampliare la conoscenza del territorio, sia di supporto ai processi di pianificazione paesaggistici ed urbanistici e all’attuazione delle politiche agricole e di sviluppo rurale. Un’approfondita disamina dello stato dell’arte riguardante l’evoluzione del processo di urbanizzazione e le conseguenze dello stesso in Italia e in Europa, oltre che del quadro delle politiche territoriali locali nell’ambito del tema specifico dello spazio rurale e periurbano, hanno reso possibile, insieme a una dettagliata analisi delle principali metodologie di analisi territoriale presenti in letteratura, la determinazione del concept alla base della ricerca condotta. E’ stata sviluppata e testata una metodologia multicriteriale e multilivello per la lettura del territorio rurale sviluppata in ambiente GIS, che si avvale di algoritmi di clustering (quale l’algoritmo IsoCluster) e classificazione a massima verosimiglianza, focalizzando l’attenzione sugli spazi agricoli periurbani. Tale metodo si incentra sulla descrizione del territorio attraverso la lettura di diverse componenti dello stesso, quali quelle agro-ambientali e socio-economiche, ed opera una sintesi avvalendosi di una chiave interpretativa messa a punto allo scopo, l’Impronta Agroambientale (Agro-environmental Footprint - AEF), che si propone di quantificare il potenziale impatto degli spazi rurali sul sistema urbano. In particolare obiettivo di tale strumento è l’identificazione nel territorio extra-urbano di ambiti omogenei per caratteristiche attraverso una lettura del territorio a differenti scale (da quella territoriale a quella aziendale) al fine di giungere ad una sua classificazione e quindi alla definizione delle aree classificabili come “agricole periurbane”. La tesi propone la presentazione dell’architettura complessiva della metodologia e la descrizione dei livelli di analisi che la compongono oltre che la successiva sperimentazione e validazione della stessa attraverso un caso studio rappresentativo posto nella Pianura Padana (Italia).

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The thesis analyses the hydrodynamic induced by an array of Wave energy Converters (WECs), under an experimental and numerical point of view. WECs can be considered an innovative solution able to contribute to the green energy supply and –at the same time– to protect the rear coastal area under marine spatial planning considerations. This research activity essentially rises due to this combined concept. The WEC under exam is a floating device belonging to the Wave Activated Bodies (WAB) class. Experimental data were performed at Aalborg University in different scales and layouts, and the performance of the models was analysed under a variety of irregular wave attacks. The numerical simulations performed with the codes MIKE 21 BW and ANSYS-AQWA. Experimental results were also used to calibrate the numerical parameters and/or to directly been compared to numerical results, in order to extend the experimental database. Results of the research activity are summarized in terms of device performance and guidelines for a future wave farm installation. The device length should be “tuned” based on the local climate conditions. The wave transmission behind the devices is pretty high, suggesting that the tested layout should be considered as a module of a wave farm installation. Indications on the minimum inter-distance among the devices are provided. Furthermore, a CALM mooring system leads to lower wave transmission and also larger power production than a spread mooring. The two numerical codes have different potentialities. The hydrodynamics around single and multiple devices is obtained with MIKE 21 BW, while wave loads and motions for a single moored device are derived from ANSYS-AQWA. Combining the experimental and numerical it is suggested –for both coastal protection and energy production– to adopt a staggered layout, which will maximise the devices density and minimize the marine space required for the installation.

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In the Dominican Republic economic growth in the past twenty years has not yielded sufficient improvement in access to drinking water services, especially in rural areas where 1.5 million people do not have access to an improved water source (WHO, 2006). Worldwide, strategic development planning in the rural water sector has focused on participatory processes and the use of demand filters to ensure that service levels match community commitment to post-project operation and maintenance. However studies have concluded that an alarmingly high percentage of drinking water systems (20-50%) do not provide service at the design levels and/or fail altogether (up to 90%): BNWP (2009), Annis (2006), and Reents (2003). World Bank, USAID, NGOs, and private consultants have invested significant resources in an effort to determine what components make up an “enabling environment” for sustainable community management of rural water systems (RWS). Research has identified an array of critical factors, internal and external to the community, which affect long term sustainability of water services. Different frameworks have been proposed in order to better understand the linkages between individual factors and sustainability of service. This research proposes a Sustainability Analysis Tool to evaluate the sustainability of RWS, adapted from previous relevant work in the field to reflect the realities in the Dominican Republic. It can be used as a diagnostic tool for government entities and development organizations to characterize the needs of specific communities and identify weaknesses in existing training regimes or support mechanisms. The framework utilizes eight indicators in three categories (Organization/Management, Financial Administration, and Technical Service). Nineteen independent variables are measured resulting in a score of sustainability likely (SL), possible (SP), or unlikely (SU) for each of the eight indicators. Thresholds are based upon benchmarks from the DR and around the world, primary data collected during the research, and the author’s 32 months of field experience. A final sustainability score is calculated using weighting factors for each indicator, derived from Lockwood (2003). The framework was tested using a statistically representative geographically stratified random sample of 61 water systems built in the DR by initiatives of the National Institute of Potable Water (INAPA) and Peace Corps. The results concluded that 23% of sample systems are likely to be sustainable in the long term, 59% are possibly sustainable, and for 18% it is unlikely that the community will be able to overcome any significant challenge. Communities that were scored as unlikely sustainable perform poorly in participation, financial durability, and governance while the highest scores were for system function and repair service. The Sustainability Analysis Tool results are verified by INAPA and PC reports, evaluations, and database information, as well as, field observations and primary data collected during the surveys. Future research will analyze the nature and magnitude of relationships between key factors and the sustainability score defined by the tool. Factors include: gender participation, legal status of water committees, plumber/operator remuneration, demand responsiveness, post construction support methodologies, and project design criteria.