318 resultados para Sindrome Hellp


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The arousal scoring in Obstructive Sleep Apnea Syndrome (OSAS) is important to clarify the impact of the disease on sleep but the currently applied American Academy of Sleep Medicine (AASM) definition may underestimate the subtle alterations of sleep. The aims of the present study were to evaluate the impact of respiratory events on cortical and autonomic arousal response and to quantify the additional value of cyclic alternating pattern (CAP) and pulse wave amplitude (PWA) for a more accurate detection of respiratory events and sleep alterations in OSAS patients. A retrospective revision of 19 polysomnographic recordings of OSAS patients was carried out. Analysis was focused on quantification of apneas (AP), hypopneas (H) and flow limitation (FL) events, and on investigation of cerebral and autonomic activity. Only 41.1% of FL events analyzed in non rapid eye movement met the AASM rules for the definition of respiratory event-related arousal (RERA), while 75.5% of FL events ended with a CAP A phase. The dual response (EEG-PWA) was the most frequent response for all subtypes of respiratory event with a progressive reduction from AP to H and FL. 87.7% of respiratory events with EEG activation showed also a PWA drop and 53,4% of the respiratory events without EEG activation presented a PWA drop. The relationship between the respiratory events and the arousal response is more complex than that suggested by the international classification. In the estimation of the response to respiratory events, the CAP scoring and PWA analysis can offer more extensive information compared to the AASM rules. Our data confirm also that the application of PWA scoring improves the detection of respiratory events and could reduce the underestimation of OSAS severity compared to AASM arousal.

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Il presente studio si concentra sull’analisi degli aspetti traslazionali nella ricerca farmacologica applicata alla Gastroenterologia. La trattazione si articola in due parti: una prima elaborazione teorica, che permette di inquadrare nel contesto della ricerca traslazionale il razionale scientifico ed etico alla base delle attività sperimentali eseguite durante il triennio; una seconda parte, nella quale si riportano i metodi, i risultati e le osservazioni conclusive derivanti dallo studio sperimentale. Nella prima parte vengono analizzate alcune caratteristiche delle procedure, adottate nella ricerca in ambito farmacologico gastrointestinale, che permettono di ottenere un dato verosimile derivabile da modelli diversi rispetto all’organismo umano. Sono inclusi nella trattazione gli aspetti etici dell’utilizzo di alcuni modelli animali di patologie intestinali organiche e funzionali in relazione al loro grado di predittività rispetto alla realtà sperimentale clinica. Nella seconda parte della trattazione, viene presentato uno studio esplorativo tissutale multicentrico sul ruolo del sistema oppioide e cannabinoide nella sindrome dell’intestino irritabile (IBS). Obiettivo dello studio è la valutazione dell’espressione e la localizzazione del recettore oppioide µ (µOR), del suo ligando β endorfina (β-END) e del recettore cannabinoide 2 (CB2) nei pazienti con IBS ad alvo costipato (IBS-C) e diarroico (IBS-D), ed in soggetti sani (HC). I dati ottenuti indicano un’implicazione del sistema oppioide e cannabinoide nella risposta immune alterata riscontrata nei pazienti con IBS ed in particolare nel sottogruppo IBS-C. La presente trattazione suggerisce come la creazione di nuovi sistemi di indagine sempre più validi da un punto di vista traslazionale possa dipendere, almeno in parte, dalla capacità di integrare realtà disciplinari, tecnologie ed esperienze metodologiche diverse nel contesto della ricerca in campo biomedico e farmacologico ed in particolare tramite un mutuo scambio di informazioni tra realtà clinica e ricerca di base

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Le vene giugulari interne sembrano essere la via principale attraverso cui il sangue defluisce dal cervello verso il cuore, quando siamo in posizione supina. Nel 2008 il professor Paolo Zamboni ha scoperto che una diminuzione dell'attività giugulare può portare allo sviluppo di una condizione emodinamica chiamata CCSVI. Questa può causare ipossia, ritardi nella perfusione cerebrale e riduzione del drenaggio dei cataboliti, oltre ad un'attivazione infiammatoria delle piccole vene e dei tessuti vicini. Questa condizione è stata da subito associata alla sclerosi multipla e su questo argomento si sono dibattuti molti gruppi di ricerca. Inoltre, altre patologie sembrano essere associate alla CCSVI, come il morbo di Parkinson, l'Alzheimer e la sindrome di Meniere. Proprio quest'ultima è uno degli argomenti che attualmente interessa di più il gruppo di lavoro in cui mi sono inserita. Questa patologia comporta problemi uditivi, come sordità e tinnito, vertigini e nausea. Il gruppo Vascolar Disease Center (VDC) dell'Università di Ferrara ha previsto per l'anno 2015 uno studio multicentrico, in cui si cercherà di verificare la correlazione tra CCSVI e sindrome di Meniere. La mia tesi fa parte di un studio preliminare a quello multicentrico. All'inizio del lavoro mi sono dedicata ad un'analisi critica di un modello emodinamico per la quantificazione dei flussi sanguigni: il modello BMC, pubblicato nel 2013 dal gruppo VDC, effettuando in parallelo una ricerca bibliografica sullo stato dell'arte in materia. In seguito ho cominciato a studiare off-line diversi studi patologici e fisiologici, in modo da prendere confidenza con gli strumenti e con le metodologie da utilizzare. Sono stata poi coinvolta dal gruppo VDC per partecipare attivamente al miglioramento del protocollo legato al modello BMC. Infine ho analizzato, con due metodologie differenti, 35 studi effettuati su pazienti otorinolaringoiatrici. Con i risultati ottenuti ho potuto effettuare diverse analisi statistiche al fine di verificare l'equivalenza delle due metodologie. L'obiettivo ultimo era quello di stabilire quale delle due fosse la tecnica migliore da utilizzare, successivamente, nello studio multicentrico.

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Con Brain-Computer Interface si intende un collegamento diretto tra cervello e macchina, che essa sia un computer o un qualsiasi dispositivo esterno, senza l’utilizzo di muscoli. Grazie a sensori applicati alla cute del cranio i segnali cerebrali del paziente vengono rilevati, elaborati, classificati (per mezzo di un calcolatore) e infine inviati come output a un device esterno. Grazie all'utilizzo delle BCI, persone con gravi disabilità motorie o comunicative (per esempio malati di SLA o persone colpite dalla sindrome del chiavistello) hanno la possibilità di migliorare la propria qualità di vita. L'obiettivo di questa tesi è quello di fornire una panoramica nell'ambito dell'interfaccia cervello-computer, mostrando le tipologie esistenti, cercando di farne un'analisi critica sui pro e i contro di ogni applicazione, ponendo maggior attenzione sull'uso dell’elettroencefalografia come strumento per l’acquisizione dei segnali in ingresso all'interfaccia.

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I cardiomiociti derivanti da cellule staminali pluripotenti indotte (hiPSC-CMs) costituiscono un nuovo approccio per lo studio delle proprietà delle cellule cardiache sia degli individui sani che di quelli affetti da malattie ereditarie e possono rappresentare inoltre una piattaforma in vitro per la scoperta di nuovi farmaci e terapie rigenerative. Il grande impatto delle hiPSC-CMs nell’ambito della ricerca si deve soprattutto alle loro proprietà elettrofisiologiche: queste cellule non solo esprimono fenotipi genici e proprietà delle correnti ioniche tipiche delle cellule cardiache, ma sono anche in grado di riprodurre fenomeni aritmici, come le EAD, a seguito della somministrazione di farmaci. Grazie anche alla grande potenza di calcolo oggi disponibile è possibile supportare la pratica in vitro con modelli in silico, abbattendo sia i costi che i tempi richiesti dagli esperimenti in laboratorio. Lo scopo di questo lavoro è quello di simulare il comportamento delle hiPSC-CMs di tipo ventricolare in risposta alla somministrazione di farmaci che interagiscono con la corrente di potassio IKr, principale responsabile della ripolarizzazione cardiaca. L’assunzione di certi farmaci può comportare infatti una riduzione della IKr, con conseguente prolungamento della fase di ripolarizzazione del potenziale d’azione cardiaco. Questo meccanismo è causa dell’insorgenza della sindrome del QT lungo di tipo 2, che in casi estremi può degenerare in aritmie gravi. Ciò suggerisce che queste cellule rappresentano un importante strumento per la valutazione del rischio pro-aritmico che può essere facilitata da simulazioni in silico effettuate utilizzando modelli computazionali basati su dati fisiologici.

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In questa tesi vengono studiate alcune caratteristiche dei network a multiplex; in particolare l'analisi verte sulla quantificazione delle differenze fra i layer del multiplex. Le dissimilarita sono valutate sia osservando le connessioni di singoli nodi in layer diversi, sia stimando le diverse partizioni dei layer. Sono quindi introdotte alcune importanti misure per la caratterizzazione dei multiplex, che vengono poi usate per la costruzione di metodi di community detection . La quantificazione delle differenze tra le partizioni di due layer viene stimata utilizzando una misura di mutua informazione. Viene inoltre approfondito l'uso del test dell'ipergeometrica per la determinazione di nodi sovra-rappresentati in un layer, mostrando l'efficacia del test in funzione della similarita dei layer. Questi metodi per la caratterizzazione delle proprieta dei network a multiplex vengono applicati a dati biologici reali. I dati utilizzati sono stati raccolti dallo studio DILGOM con l'obiettivo di determinare le implicazioni genetiche, trascrittomiche e metaboliche dell'obesita e della sindrome metabolica. Questi dati sono utilizzati dal progetto Mimomics per la determinazione di relazioni fra diverse omiche. Nella tesi sono analizzati i dati metabolici utilizzando un approccio a multiplex network per verificare la presenza di differenze fra le relazioni di composti sanguigni di persone obese e normopeso.

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INTRODUCTION The ATP-binding cassette (ABC) transporter A1 (ABCA1) and ABCG1 are highly expressed in the placenta in various compartments, including the villous syncytiotrophoblast (V-STB) and foetal endothelial cells. Among other not yet characterized functions, they play a role in the foeto-maternal transport of cholesterol and other lipophilic molecules. In humans, preliminary data suggest expressional changes of ABCA1 and ABCG1 in pathologic gestation, particularly under hypoxic conditions, but a systematic expression analysis in common human pregnancy diseases has never been performed. OBJECTIVES The aim of the present study was to characterize ABCA1 and ABCG1 expression in a large series of pathologic placentas, in particular from preeclampsia (PE) and intrauterine growth restriction (IUGR) which are associated with placental hypoxia. METHODS Placentas from 152 pathological pregnancies, including PE and/or HELLP (n=24) and IUGR (n=21), and 20 normal control placentas were assessed for their ABCA1 and ABCG1 mRNA and protein expression with quantitative RT-PCR and semi-quantitative immunohistochemical analysis, respectively. RESULTS ABCA1 protein expression in the V-STB was significantly less extensive in PE compared with normal controls (<10% of V-STB stained for ABCA1 in 58% PE placentas vs. 25% controls; p=0.035). Conversely, it was significantly more wide-spread in IUGR (>75% of V-STB stained in 57% IUGR placentas vs. 15% controls; p=0.009). Moreover, there was an insignificant trend for increased ABCA1 expression in fetal endothelial cells of stem villi in PE (p=0.0588). ABCA1 staining levels in V-STB were significantly associated with placental histopathological features related with hypoxia: they were decreased in placentas exhibiting syncytial knotting (p=0.033) and decidual vasculopathy (p=0.0437) and increased in low weight placentas (p=0.015). The significant and specific alterations in ABCA1 protein expression found at a specific cellular level were not paralleled by changes in ABCA1 mRNA abundance of total placental tissue. ABCG1 staining was universally extensive in the V-STB of normal placentas, always affecting more than 90% of V-STB surface. In comparison, ABCG1 staining of the V-STB was generally often reduced in pregnancy diseases. In particular, less than 90% of V-STB exhibited ABCG1 staining in 26% of PE placentas (p=0.022) and 35% of IUGR placentas (p=0.003). Similarly to ABCA1, ABCG1 mRNA expression in total placental tissue was not significantly different between controls and PE or IUGR. CONCLUSION ABCA1 and ABCG1 proteins are differentially expressed, with either down- or up-regulation, in the V-STB of placentas exhibiting features of chronic hypoxia, such as in PE and IUGR. This suggests that other factors in addition to hypoxia regulate the expression of placental lipid transporters. The specific changes on a cellular level were masked when only total tissue mRNA was analysed underlining the importance of cell specific expression analysis. The potential effects of decreased placental ABCA1 and ABCG1 expression on foetal nutrition and development remain to be elucidated.

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INTRODUCTION Transplacental feto-maternal lipid exchange through the ATP-binding cassette transporters ABCA1 and ABCG1 is important for normal fetal development. However, only scarce and conflicting data exist on the involvement of these transporters in gestational disease. METHODS Placenta samples (n = 72) derived from common gestational diseases, including pre-eclampsia (PE), HELLP, intrauterine growth restriction (IUGR), intrahepatic cholestasis of pregnancy and gestational diabetes, were assessed for their ABCA1 and ABCG1 expression levels and compared to age-matched control placentas with qRT-PCR and immunohistochemistry. ABCA1 expression was additionally investigated with immunoblot in placental membrane vesicles. Furthermore, placental cholesterol and phospholipid contents were assessed. RESULTS ABCA1 mRNA levels differed significantly between preterm and term control placentas (p = 0.0013). They were down-regulated in isolated PE and PE with IUGR (p = 0.0006 and p = 0.0012, respectively), but unchanged in isolated IUGR, isolated HELLP and other gestational diseases compared to gestational age-matched controls. Correspondingly, in PE, ABCA1 protein expression was significantly reduced in the apical membrane of the villous syncytiotrophoblast (p = 0.011) and in villous fetal endothelial cells (p = 0.036). Furthermore, in PE there was a significant increase in the placental content of total and individual classes of phospholipids which were partially correlated with diminished ABCA1 expression. Conversely, ABCG1 mRNA and protein levels were stable in the investigated conditions. CONCLUSIONS In gestational disease, there is a specific down-regulation of placental ABCA1 expression at sites of feto-maternal lipid exchange in PE. At a functional level, the increase in placental lipid concentrations provides indirect evidence of an impaired transport capacity of ABCA1 in this disease.

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QUESTION UNDER STUDY The epidemiology of preeclampsia in Switzerland is known only from a retrospective registry study. This analysis aimed to prospectively determine the incidence of preeclampsia in a cohort of pregnant women in Switzerland. METHODS Pregnant women presenting at gestational week 11-14 at their obstetrician's office were consecutively included and prospectively followed-up until the end of pregnancy. Ultrasound characteristics, blood pressure measurements, body mass index, and personal history were recorded. Duration of pregnancy, occurrence of preeclampsia, birth weight and Apgar scores were recorded as outcomes. RESULTS There were 1,300 pregnancies with follow-up available for analysis. Median age was 30 years (interquartile range [IQR] 27-33), median body mass index (BMI) 23.3 kg/m² (IQR 21.2-26.1), median systolic blood pressure 117 mm Hg (IQR 109-126) and median diastolic blood pressure 70 mm Hg (IQR 64-77). A total of 30 women developed preeclampsia, corresponding to an incidence of 2.31% (95% confidence interval [CI] 1.62%-3.28%). Of the women with preeclampsia, 6.66% (95% CI 2.04%-21.42%) had early-onset preeclampsia, 13.33% (95% CI 5.45%-29.83%) progressed to eclampsia, whereas 10% (95% CI 3.63%-28.75%) developed HELLP syndrome (haemolysis, elevated liver enzymes, low platelet count). Nulliparity and prior history of preeclampsia were more frequently seen in pregnancies with preeclampsia than in pregnancies without preeclampsia. BMI, as well as systolic and diastolic blood pressure were higher in pregnancies subsequently developing preeclampsia. CONCLUSION The incidence of preeclampsia in Switzerland is in line with frequencies observed elsewhere in the world. Extrapolation to a national level indicates that about 1,911 (range 1,340-2,713) preeclampsia cases per year can be expected to occur in Switzerland.

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The complex relation between thrombotic thrombocytopenic purpura (TTP) and pregnancy is concisely reviewed. Pregnancy is a very strong trigger for acute disease manifestation in patients with hereditary TTP caused by double heterozygous or homozygous mutations of ADAMTS13 (ADisintegrin And Metalloprotease with ThromboSpondin type 1 domains, no. 13). In several affected women disease onset during their first pregnancy leads to the diagnosis of hereditary TTP. Without plasma treatment mother and especially fetus are at high risk of dying. The relapse risk during a next pregnancy is almost 100% but regular plasma transfusion starting in early pregnancy will prevent acute TTP flare-up and may result in successful pregnancy outcome. Pregnancy may also constitute a mild risk factor for the onset of acute acquired TTP caused by autoantibody-mediated severe ADAMTS13 deficiency. Women having survived acute acquired TTP may not be at very high risk of TTP relapse during an ensuing next pregnancy but seem to have an elevated risk of preeclampsia. Monitoring of ADAMTS13 activity and inhibitor titre during pregnancy may help to guide management and to avoid disease recurrence. Finally, TTP needs to be distinguished from the much more frequent hypertensive pregnancy complications, preeclampsia and especially HELLP (Hemolysis, Elevated Liver Enzymes, Low Platelet count) syndrome.

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En este trabajo se desarrolla el tema de los diagnósticos tempranos en los que se rotula a un niño como deficitario y de las dificultades de los adolescentes que llegan a esa etapa crítica de la vida portando algún “cartel" que los señala como un “sindrome" o un “trastorno de...". Este estigma suele dificultarles el rearmado narcisista, la relación con el grupo de pares y la salida exogámica. Se habla de la crisis adolescente y de los avatares particulares de la sexualidad en estos casos.

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El Síndrome de Prader Willi es una enfermedad presente al nacer que fue descrita en 1956 por los doctores suizos Prader, Labarth y Willi, que involucra obesidad, disminución del tono muscular, trastornos cognitivos y que representa un reto para el profesional odontólogo cuando aparecen trastornos de conducta importantes. El tratamiento del paciente con este síndrome requiere una aproximación multidisciplinar para su cuidado. Aunque el síndrome se diagnostica a menudo en el periodo neonatal, puede no ser sospechado hasta la aparición de la obesidad unos años más tarde en la infancia. La incidencia y frecuencia publicada es muy variable, aceptándose que 1 de cada 15.000 niños nace con esta compleja alteración genética. La combinación de problemas nutricionales, médicos y de conducta es un desafío que debe afrontarse en un equipo de profesionales en el que el Odontólogo compartirá saberes para mejorar la salud integral de estos pacientes.

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El virus del papiloma humano (VPH) (HPV en su sigla en inglés) es un virus ADN con especial afinidad por células epiteliales, tanto cutáneas como mucosas, que incluyen el epitelio del cérvix, región anogenital y orofaríngea. Existen más de 120 subtipos de VPH subdivididos en dos grupos según su bajo o alto riesgo de inducir actividad oncogénica. En cavidad oral la manifestación clínica benigna de la infección es el papiloma plano.Sin embargo, un 12% de los carcinoma~ o rofaríngeos son causados por este virus. Se ha demostrado que la infección por VPH tiene un papel independiente como factor de riesgo para el desarrollo de carcinoma espinocelular en cavidad oral.

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As condições inadequadas vivenciadas nas organizações afligem não só os trabalhadores da iniciativa privada, pois são igualmente encontradas no segmento estatal, contrariando a expectativa de que o aparato governamental eliminaria as condições insalubres e criaria outras melhores nas quais prevalecesse à promoção de saúde. Diante desse panorama questionou-se porque, uma vez que, pelo menos do ponto de vista da sociedade leiga, esses servidores estão submetidos a condições privilegiadas de trabalho. O presente estudo objetivou identificar e descrever possíveis relações entre o clima organizacional e o burnout em servidores públicos de uma instituição federal de ensino. Objetivou-se ainda descrever o clima organizacional predominante. A pesquisa realizada teve cunho quantitativo, tipo estudo de caso e exploratória. A coleta de dados deu-se por meio das escalas ECO (escala de clima organizacional), ECB (escala de caracterização do burnout) e um questionário sociodemográfico, todos os instrumentos autoaplicáveis eletronicamente disponíveis à instituição. Participaram do estudo 201 servidores públicos federais, com idade média de 37 anos, majoritariamente de nível superior e casados. Os resultados revelaram que cerca de um quarto dos participantes raramente experimentaram burnout, no entanto outra quarta parte deles frequentemente experimentaram altos níveis de burnout, resultado bastante expressivo. Os servidores perceberam clima organizacional mediano, destacando-se a boa coesão entre os colegas de trabalho e a percepção de baixa recompensa. Merece destaque a grande dispersão entre as percepções de clima, o que permite inferir haver subclimas não identificados nesta investigação, possivelmente ocasionados por uma força de clima fraca e pela participação dos servidores de unidades de ensino geograficamente distintas, geridas por gestores locais com relativa autonomia. Os resultados dos cálculos de correlação revelaram que, quanto menos os participantes percebem apoio da chefia e da organização, coesão entre colegas, e mais controle/pressão, mais exaustos se sentem, mais desumanizam as pessoas com quem tratam e mais se decepcionam no trabalho e vice-versa. Conforto físico menor está associado a maior desumanização e a mais decepção no trabalho e vice-versa; e que controle/pressão, relaciona-se positiva e fracamente com desumanização e vice-versa. Desta forma, a hipótese de que existe associação entre burnout e clima organizacional foi confirmada. Os resultados também revelaram que os servidores com burnout, perceberam pior clima organizacional que os seus pares sem burnout, confirmando a segunda hipótese. Esses servidores também se mostraram neutros quanto à percepção de apoio da chefia e conforto físico; não percebem controle pressão, nem recompensa; todavia percebem coesão entre os colegas. Esses resultados sugerem que os participantes têm se apoiado nessas relações para suportar a indiferença e ausência de estímulos experimentados no trabalho. Os resultados obtidos nesse estudo permitiram concluir que o clima organizacional é fraco, provavelmente influenciado por uma cultura organizacional fraca, explicando a heterogeneidade da percepção do clima organizacional pelos servidores. Além disso, embora haja burnout entre poucos participantes, há que se atentar que cerca de um quarto deles, encontra-se acometido desta síndrome e isto poderá contagiar os demais.

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SUMMARY The Porcine Reproductive and Respiratory Syndrome (PRRS) virus is one of the most spread pathogens in swine herds all over the world and responsible for a reproductive and respiratory syndrome that causes severe heath and economical problems. This virus emerged in late 1980’s but although about 30 years have passed by, the knowledge about some essential facets related to the features of the virus (pathogenesis, immune response, and epidemiology) seems to be still incomplete. Taking into account that the development of modern vaccines is based on how innate and acquire immunity react, a more and more thorough knowledge on the immune system is needed, in terms of molecular modulation/regulation of the inflammatory and immune response upon PRRSV infection. The present doctoral thesis, which is divided into 3 different studies, is aimed to increase the knowledge about the interaction between the immune system and the PRRS virus upon natural infection. The objective of the first study entitled “Coordinated immune response of memory and cytotoxic T cells together with IFN-γ secreting cells after porcine reproductive and respiratory syndrome virus (PRRSV) natural infection in conventional pigs” was to evaluate the activation and modulation of the immune response in pigs naturally infected by PRRSV compared to an uninfected control group. The course of viremia was evaluated by PCR, the antibody titres by ELISA, the number of IFN-γ secreting cells (IFN- SC) by an ELISPOT assay and the immunophenotyping of some lymphocyte subsets (cytotoxic cells, memory T lymphocytes and cytotoxic T lymphocytes) by flow cytometry. The results showed that the activation of the cell-mediated immune response against PRRSV is delayed upon infection and that however the levels of IFN-γ SC and lymphocyte subsets subsequently increase over time. Furthermore, it was observed that the course of the different immune cell subsets is time-associated with the levels of PRRSV-specific IFN-γ SC and this can be interpreted based on the functional role that such lymphocyte subsets could have in the specific production/secretion of the immunostimulatory cytokine IFN-γ. In addition, these data support the hypothesis that the age of the animals upon the onset of infection or the diverse immunobiological features of the field isolate, as typically hypothesized during PRRSV infection, are critical conditions able to influence the qualitative and quantitative course of the cell-mediated immune response during PRRSV natural infection. The second study entitled “Immune response to PCV2 vaccination in PRRSV viremic piglets” was aimed to evaluate whether PRRSV could interfere with the activation of the immune response to PCV2 vaccination in pigs. In this trial, 200 pigs were divided into 2 groups: PCV2-vaccinated (at 4 weeks of age) and PCV2-unvaccinated (control group). Some piglets of both groups got infected by PRRSV, as determined by PRRSV viremia detection, so that 4 groups were defined as follows: PCV2 vaccinated - PRRSV viremic PCV2 vaccinated - PRRSV non viremic PCV2 unvaccinated - PRRSV viremic PCV2 unvaccinated - PRRSV non viremic The following parameters were evaluated in the 4 groups: number of PCV2-specific IFN-γ secreting cells, antibody titres by ELISA and IPMA. Based on the immunological data analysis, it can be deduced that: 1) The low levels of antibodies against PCV2 in the PCV2-vaccinated – PRRSV-viremic group at vaccination (4 weeks of age) could be related to a reduced colostrum intake influenced by PRRSV viremia. 2) Independently of the viremia status, serological data of the PCV2-vaccinated group by ELISA and IPMA does not show statistically different differences. Consequently, it can be be stated that, under the conditions of the study, PRRSV does not interfere with the antibody response induced by the PCV2 vaccine. 3) The cell-mediated immune response in terms of number of PCV2-specific IFN-γ secreting cells in the PCV2-vaccinated – PRRSV-viremic group seems to be compromised, as demonstrated by the reduction of the number of IFN-γ secreting cells after PCV2 vaccination, compared to the PCV2-vaccinated – PRRSV-non-viremic group. The data highlight and further support the inhibitory role of PRRSV on the development and activation of the immune response and highlight how a natural infection at early age can negatively influence the immune response to other pathogens/antigens. The third study entitled “Phenotypic modulation of porcine CD14+ monocytes, natural killer/natural killer T cells and CD8αβ+ T cell subsets by an antibody-derived killer peptide (KP)” was aimed to determine whether and how the killer peptide (KP) could modulate the immune response in terms of activation of specific lymphocyte subsets. This is a preliminary approach also aimed to subsequently evaluate such KP with a potential antivural role or as adjuvant. In this work, pig peripheral blood mononuclear cells (PBMC) were stimulated with three KP concentrations (10, 20 and 40 g/ml) for three time points (24, 48 and 72 hours). TIME POINTS (hours) KP CONCENTRATIONS (g/ml) 24 0-10-20-40 48 0-10-20-40 72 0-10-20-40 By using flow cytometry, the qualitative and quantitative modulation of the following immune subsets was evaluated upon KP stimulation: monocytes, natural killer (NK) cells, natural killer T (NKT) cells, and CD4+ and CD8α/β+ T lymphocyte subsets. Based on the data, it can be deduced that: 1) KP promotes a dose-dependent activation of monocytes, particularly after 24 hours of stimulation, by inducing a monocyte phenotypic and maturation shift mainly involved in sustaining the innate/inflammatory response. 2) KP induces a strong dose-dependent modulation of NK and NKT cells, characterized by an intense increase of the NKT cell fraction compared to NK cells, both subsets involved in the antibody-dependent cell cytotoxicity (ADCC). The increase is observed especially after 24 hours of stimulation. 3) KP promotes a significant activation of the cytotoxic T lymphocyte subset (CTL). 4) KP can modulate both the T helper and T cytotoxic phenotype, by inducing T helper cells to acquire the CD8α thus becoming doube positive cells (CD4+CD8+) and by inducing CTL (CD4-CD8+high) to acquire the double positive phenotype (CD4+CD8α+high). Therefore, KP may induce several effects on different immune cell subsets. For this reason, further research is needed aimed at characterizing each “effect” of KP and thus identifying the best use of the decapeptide for vaccination practice, therapeutic purposes or as vaccine adjuvant. RIASSUNTO Il virus della PRRS (Porcine Reproductive Respiratory Syndrome) è uno dei più diffusi agenti patogeni negli allevamenti suini di tutto il mondo, responsabile di una sindrome riproduttiva e respiratoria causa di gravi danni ad impatto sanitario ed economico. Questo virus è emerso attorno alla fine degli anni ’80 ma nonostante siano passati circa una trentina di anni, le conoscenze su alcuni punti essenziali che riguardano le caratteristiche del virus (patogenesi, risposta immunitaria, epidemiologia) appaiono ancora spesso incomplete. Considerando che lo sviluppo dei vaccini moderni è basato sui principi dell’immunità innata e acquisita è essenziale una sempre più completa conoscenza del sistema immunitario inteso come modulazione/regolazione molecolare della risposta infiammatoria e immunitaria in corso di tale infezione. Questo lavoro di tesi, suddiviso in tre diversi studi, ha l’intento di contribuire all’aumento delle informazioni riguardo l’interazione del sistema immunitario, con il virus della PRRS in condizioni di infezione naturale. L’obbiettivo del primo studio, intitolato “Associazione di cellule memoria, cellule citotossiche e cellule secernenti IFN- nella risposta immunitaria in corso di infezione naturale da Virus della Sindrome Riproduttiva e Respiratoria del Suino (PRRSV)” è stato di valutare l’attivazione e la modulazione della risposta immunitaria in suini naturalmente infetti da PRRSV rispetto ad un gruppo controllo non infetto. I parametri valutati sono stati la viremia mediante PCR, il titolo anticorpale mediante ELISA, il numero di cellule secernenti IFN- (IFN- SC) mediante tecnica ELISPOT e la fenotipizzazione di alcune sottopopolazioni linfocitarie (Cellule citotossiche, linfociti T memoria e linfociti T citotossici) mediante citofluorimetria a flusso. Dai risultati ottenuti è stato possibile osservare che l’attivazione della risposta immunitaria cellulo-mediata verso PRRSV appare ritardata durante l’infezione e che l’andamento, in termini di IFN- SC e dei cambiamenti delle sottopopolazioni linfocitarie, mostra comunque degli incrementi seppur successivi nel tempo. E’ stato inoltre osservato che gli andamenti delle diverse sottopopolazioni immunitarie cellulari appaiono temporalmente associati ai livelli di IFN- SC PRRSV-specifiche e ciò potrebbe essere interpretato sulla base del ruolo funzionale che tali sottopopolazioni linfocitarie potrebbero avere nella produzione/secrezione specifica della citochina immunoattivatrice IFN-. Questi dati inoltre supportano l’ipotesi che l’età degli animali alla comparsa dell’infezione o, come tipicamente ipotizzato nell’infezione da PRRSV, le differenti caratteristiche immunobiologiche dell’isolato di campo, sia condizioni critiche nell’ influenzare l’andamento qualitativo e quantitativo della risposta cellulo-mediata durante l’infezione naturale da PRRSV. Il secondo studio, dal titolo “Valutazione della risposta immunitaria nei confronti di una vaccinazione contro PCV2 in suini riscontrati PRRSV viremici e non viremici alla vaccinazione” ha avuto lo scopo di valutare se il virus della PRRS potesse andare ad interferire sull’attivazione della risposta immunitaria indotta da vaccinazione contro PCV2 nel suino. In questo lavoro sono stati arruolati 200 animali divisi in due gruppi, PCV2 Vaccinato (a 4 settimane di età) e PCV2 Non Vaccinato (controllo negativo). Alcuni suinetti di entrambi i gruppi, si sono naturalmente infettati con PRRSV, come determinato con l’analisi della viremia da PRRSV, per cui è stato possibile creare quattro sottogruppi, rispettivamente: PCV2 vaccinato - PRRSV viremico PCV2 vaccinato - PRRSV non viremico PCV2 non vaccinato - PRRSV viremico PCV2 non vaccinato - PRRSV non viremico Su questi quattro sottogruppi sono stati valutati i seguenti parametri: numero di cellule secernenti IFN- PCV2 specifiche, ed i titoli anticorpali mediante tecniche ELISA ed IPMA. Dall’analisi dei dati immunologici derivati dalle suddette tecniche è stato possibile dedurre che:  I bassi valori anticorpali nei confronti di PCV2 del gruppo Vaccinato PCV2-PRRSV viremico già al periodo della vaccinazione (4 settimane di età) potrebbero essere messi in relazione ad una ridotta assunzione di colostro legata allo stato di viremia da PRRSV  Indipendentemente dallo stato viremico, i dati sierologici del gruppo vaccinato PCV2 provenienti sia da ELISA sia da IPMA non mostrano differenze statisticamente significative. Di conseguenza è possibile affermare che in questo caso PRRSV non interferisce con la risposta anticorpale promossa dal vaccino PCV2.  La risposta immunitaria cellulo-mediata, intesa come numero di cellule secernenti IFN- PCV2 specifiche nel gruppo PCV2 vaccinato PRRS viremico sembra essere compromessa, come viene infatti dimostrato dalla diminuzione del numero di cellule secernenti IFN- dopo la vaccinazione contro PCV2, comparata con il gruppo PCV2 vaccinato- non viremico. I dati evidenziano ed ulteriormente sostengono il ruolo inibitorio del virus della PRRSV sullo sviluppo ed attivazione della risposta immunitaria e come un infezione naturale ad età precoci possa influenzare negativamente la risposta immunitaria ad altri patogeni/antigeni. Il terzo studio, intitolato “Modulazione fenotipica di: monociti CD14+, cellule natural killer (NK), T natural killer (NKT) e sottopopolazioni linfocitarie T CD4+ e CD8+ durante stimolazione con killer peptide (KP) nella specie suina” ha avuto come scopo quello di stabilire se e come il Peptide Killer (KP) potesse modulare la risposta immunitaria in termini di attivazione di specifiche sottopopolazioni linfocitarie. Si tratta di un approccio preliminare anche ai fini di successivamente valutare tale KP in un potenziale ruolo antivirale o come adiuvante. In questo lavoro, periferal blood mononuclear cells (PBMC) suine sono state stimolate con KP a tre diverse concentrazioni (10, 20 e 40 g/ml) per tre diversi tempi (24, 48 e 72 ore). TEMPI DI STIMOLAZIONE (ore) CONCENTRAZIONE DI KP (g/ml) 24 0-10-20-40 48 0-10-20-40 72 0-10-20-40 Mediante la citometria a flusso è stato dunque possibile analizzare il comportamento qualitativo e quantitativo di alcune sottopopolazioni linfocitarie sotto lo stimolo del KP, tra cui: monociti, cellule Natural Killer (NK), cellule T Natural Killer (NKT) e linfociti T CD4 e CD8+. Dai dati ottenuti è stato possibile dedurre che: 1) KP promuove un’attivazione dei monociti dose-dipendente in particolare dopo 24 ore di stimolazione, inducendo uno “shift” fenotipico e di maturazione monocitaria maggiormente coinvolto nel sostegno della risposta innata/infiammatoria. 2) KP induce una forte modulazione dose-dipendente di cellule NK e NKT con un forte aumento della frazione delle cellule NKT rispetto alle NK, sottopopolazioni entrambe coinvolte nella citotossicità cellulare mediata da anticorpi (ADCC). L’aumento è riscontrabile soprattutto dopo 24 ore di stimolazione. 3) KP promuove una significativa attivazione della sottopopolazione del linfociti T citotossici (CTL). 4) Per quanto riguarda la marcatura CD4+/CD8+ è stato dimostrato che KP ha la capacità di modulare sia il fenotipo T helper che T citotossico, inducendo le cellule T helper ad acquisire CD8 diventando quindi doppio positive (CD4+CD8+) ed inducendo il fenotipo CTL (CD4-CD8+high) ad acquisire il fenotipo doppio positivo (CD4+CD8α+high). Molti dunque potrebbero essere gli effetti che il decapeptide KP potrebbe esercitare sulle diverse sottopopolazioni del sistema immunitario, per questo motivo va evidenziata la necessità di impostare e attuare nuove ricerche che portino alla caratterizzazione di ciascuna “abilità” di KP e che conducano successivamente alla scoperta del migliore utilizzo che si possa fare del decapeptide sia dal punto di vista vaccinale, terapeutico oppure sotto forma di adiuvante vaccinale.