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Konditionale Modellsysteme zur Untersuchung der ERBB2-induzierten Tumorgenese Die Rezeptor-Tyrosinkinase ERBB2 ist in einer Vielzahl epithelialer Tumore, wie Mamma- und Ovarialkarzinomen, überexprimiert. Diese erhöhte Expression korreliert mit aggressivem Tumorwachstum, verstärkter Metastasierung und schlechter Prognose für den Patienten. Zur genaueren Untersuchung molekularer Mechanismen, die zur Tumorentstehung infolge der ERBB2-Überexpression führen, wurden im Rahmen dieser Arbeit mit Hilfe des Tet-Systems induzierbare MCF-7 Zelllinien generiert. Diese exprimieren bei Gabe von Doxyzyklin ERBB2 bzw. die zum humanen ERBB2 homologe und durch Punktmutation onkogen aktivierte Rattenvariante NeuT. Nachdem die stringente Regulierbarkeit durch Doxyzyklin für die untersuchten Zellklone gezeigt werden konnte, stellte sich bei der Charakterisierung der Zelllinien heraus, dass die Induktion von ERBB2 erstaunlicherweise nicht zur Proliferation der Zellen, sondern zum Wachstumsarrest führt. Bei der Untersuchung verschiedener Zellzyklusregulatoren konnte dieser Zellzyklusarrest dem CDK-Inhibitor P21 zugeordnet werden, dessen Expression durch ERBB2 induziert wird. In P21-Antisense-Experimenten konnte nachgewiesen werden, dass P21 eine Schlüsselrolle beim ERBB2-induzierten Zellzyklusarrest spielt. Neben der Induktion von P21 und der daraus resultierenden Wachstumsinhibition zeigten die Zellen starke morphologische Veränderungen und waren positiv beim Nachweis der Seneszenz-assoziierten -Galaktosidase. Erstmals konnte gezeigt werden, dass die Induktion des Onkogens ERBB2 nicht zur Proliferation, sondern zur Aktivierung eines verfrühten Seneszenz-Programms führt, welches der Zelle Schutz gegen die Onkogeneinwirkung bietet. Bei der Untersuchung verschiedener Signaltransduktionskaskaden mit Inhibitormolekülen konnte die Aktivierung dieses Seneszenz-Programms der Stress-aktivierten Proteinkinase P38 zugeordnet werden. Zur Identifizierung von Genen, die für die ERBB2-induzierte Tumorgenese relevant sind, wurde die differenzielle Genexpression eines NeuT-Klons nach 8- bzw. 48-stündiger Induktion mit Doxyzyklin in einem cDNA-Array untersucht. Dabei zeigte sich eine besonders starke Induktion von Integrin 5 und Integrin 1, die zusammen den Fibronektinrezeptor bilden. Der funktionale Nachweis des Rezeptors in einem Adhäsionsassay demonstrierte ein stark erhöhtes Adhäsionsverhalten ERBB2-überexprimierender Zellen an Fibronektin. Bei der Untersuchung von Mamma-, Ovarial- und Endometriumkarzinomen konnte die Expression von ERBB2 mit der von Integrin 5 korreliert werden. Diese Ergebnisse machen Integrin 5 zu einem potenziellen neuen Tumormarker und Therapieziel in ERBB2-überexprimierenden Tumoren. Ein weiteres interessantes Gen, das sich im Array durch ERBB2 überexprimiert zeigte, war die Matrix-Metalloproteinase MMP-9. In einem Zymografieassay konnte die erhöhte Gelatinaseaktivität von MMP-9 in Dox-induzierten Zellen nachgewiesen werden. Der Einsatz verschiedener Signaltransduktionsinhibitoren ergab, dass auch die ERBB2-induzierte Expression von MMP-9 über die Aktivierung von P38 läuft. Bei der Suche nach weiteren MMPs, die für die ERBB2-induzierte Tumorgenese relevant sein könnten, wurde MMP-13 untersucht. Erstmals konnte gezeigt werden, dass diese Matrix-Metalloproteinase von ERBB2 induziert wird. Dieser interessante Befund wurde auch in einem anderen Zellmodell in NIH3T3 Mausfibroblasten verifiziert. Durch ihre Matrix-degradierenden Eigenschaften sind MMPs potente „Werkzeuge“ für Tumorzellen und stellen ein wichtiges Ziel zur Unterbindung der Invasion und Metastasierung dieser Zellen dar. Neben den Zellkulturarbeiten wurden im Rahmen dieser Dissertation transgene Responder-Mäuse generiert, die NeuT unter Kontrolle eines Tet-responsiven Promotors exprimieren. Von vier transgenen Gründerlinien zeigten zwei eine unerwünschte, basale NeuT-Expression, für die beiden anderen Linien konnte sowohl in MEF-Assays, als auch nach Kreuzung mit rtTA- bzw. tTA-Effektor-Mäusen eine Dox-abhängige Regulation des Transgens gezeigt werden. Die Tiere dieser Linien sollen in Zukunft mit Effektor-Mäusen gepaart werden, die den rtTA bzw. tTA spezifisch in für die ERBB2-Tumorgenese relevanten Geweben, wie Ovarial- oder Lungenepithelzellen, exprimieren. So können individuelle Tumormodelle für die verschiedenen epithelialen Tumore, bei denen die Überexpression von ERBB2 von Bedeutung ist, entwickelt und untersucht werden.

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La micosi fungoide (MF) è un linfoma a cellule T primitivo della cute usualmente indolente negli stadi iniziali, ma con prognosi decisamente peggiore nelle fasi avanzate, ove attualmente non sono presenti strategie terapeutiche tali da indurre remissioni durature. Recenti osservazioni indicano che alti livelli di espressione del vascular endothelial growth factor (VEGF) nelle cellule della MF sembrano correlare con una prognosi peggiore. Nel presente studio, sono state vagliate le eventuali differenze di espressione di VEGF nella MF e nei linfociti T normali. In primo luogo sono stati raffrontati 63 casi di MF con 20 campioni corrispondenti alle diverse sottopopolazioni di linfociti T normali, per stabilire quale fra questi esprimesse maggiori livelli di VEGF. Tale esperimento ha dimostrato che il gene è notevolmente più espresso nella MF. Si è provveduto a stabilire se tale dato sia da correlarsi ad un fenomeno patologico o fisiologico. Quindi sono state eseguite indagini di gene expression profiling (GEP) allo scopo di vagliare i livelli di VEGF nella popolazione linfocitaria T normale (CD4+, CD8+, HLA-DR+ e HLA-DR-): da ciò è risultato che i linfociti T attivati esprimono maggiormente VEGF e che il loro GEP è globalmente paragonabile a quello della MF. Pertanto, i linfociti T attivati sono stati considerati la controparte normale delle cellule della MF. Successivamente si è confrontata l’espressione quantitativa di VEGF nei linfociti T attivati e nelle cellule della MF, evidenziando come questa sia maggiore nella popolazione neoplastica indipendentemente dallo stadio della malattia. Le indagini immunoistochimiche condotte su 18 casi di MF, hanno confermato quanto evidenziato attraverso il GEP. Concludendo, la ricerca ha dimostrato per la prima volta l’espressione di VEGF negli elementi della MF. Ciò porta a supporre che la de-regolazione genica della via di VEGF sia correlata nella patogenesi della MF e che tale molecola possa considerarsi un potenziale bersaglio terapeutico.

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In quest’ultimi decenni si è assistito ad un notevole miglioramento nella terapia delle Leucemie Acute (LA) pediatriche, nonostante tutto si assiste oggi ad una fase di plateau della curva di sopravvivenza e le leucemie continuano a costituire la principale causa di morte pediatrica per malattia. Ulteriori progressi nel trattamento delle LA potrebbero essere ottenuti mediante studi di farmacogenomica che, identificando le componenti genetiche associate alla risposta individuale ai trattamenti farmacologici, consentono il disegno di terapie personalizzate e tumore-specifiche, ad alta efficacia e bassa tossicità per ciascun paziente. Il lavoro svolto è stato, dunque, finalizzato allo studio della farmacogenomica del farmaco antitumorale Clofarabina (CLO) nel trattamento delle LA pediatriche al fine di identificare marcatori genetici predittivi di risposta delle cellule leucemiche al farmaco, delucidare i meccanismi di resistenza cellulare ed individuare nuovi bersagli verso cui indirizzare terapie più mirate ed efficaci. L’analisi in vitro della sensibilità alla CLO di blasti provenienti da pazienti pediatrici affetti da Leucemia Acuta Linfoblastica (LAL) e Mieloide (LAM) ha consentito l’identificazione di due sottopopolazioni di cellule LAL ad immunofenotipo T a diversa sensibilità alla CLO. Mediante DNA-microarrays, si è identificata la “signature” genetica specificamente associata alla diversa risposta delle cellule LAL-T al farmaco. Successivamente, la caratterizzazione funzionale dei geni differenziali e l’analisi dei pathways hanno consentito l’identificazione specifica di potenziali biomarcatori di risposta terapeutica aprendo nuove prospettive per la comprensione dei meccanismi di resistenza cellulare alla CLO e suggerendo un nuovo bersaglio terapeutico per le forme LAL-T a bassa sensibilità al farmaco. In conclusione, nel lavoro svolto si sono identificati set di geni e pathways di rilievo biologico per la risposta delle cellule LAL-T alla CLO suggerendo marcatori genetici in grado di identificare i soggetti eleggibili per il trattamento o verso cui disegnare terapie innovative. Il lavoro è paradigma per l’applicazione della farmacogenomica in altre neoplasie.

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Tanchirasi (TNKS) è un membro della superfamiglia delle PARP (Poli ADP-Ribosio Polimerasi). TNKS è coinvolta nella stabilizzazione della subunità catalitca del complesso proteico DNA-PK (protein chinasi DNA-dipendente), la DNA-PKcs. Questa proteina è fondamentale per il corretto funzionamento del meccanismo di riparo del DNA chiamato "Saldatura Non Omologa delle Estremità" (NHEJ). La deplezione di TNKS induce una degradazione della DNA-PKcs e una maggiore sensibilità alle radiazioni ionizzanti (RI). TNKS è inoltre un regolatore negativo di axina e di conseguenza un attivatore del pathway di WNT; l'inibizione quindi di TNKS induce anche una inibizione del pathway di WNT. Alterazioni in questo signalling si riscontrano frequentemente nel Medulloblastoma (MB), il tumore cerebrale embrionale più comune dell'infanzia. La radioterapia post-operatoria risulta essere molto efficacia in questa neoplasia, ma causa gravi effetti collaterali e un terzo dei pazienti presenta radioresistenza intrinseca. Un'importante sfida per la ricerca è quindi l'aumento della radiosensibilità tumorale. In questo lavoro, abbiamo studiato gli effetti dell'inibizione farmacologica di TNKS in linee cellulari di MB umano, mediante la small molecule XAV939, potente e specifico inibitore di TNKS. Il trattamento con XAV939 induce una consistente inibizione della capacità proliferativa e clonogenica, non correlata ad un aumento della mortalità cellulare, indicando una bassa tossicità legata alla molecola. Il co-trattamento di XAV939 e RI (γ-ray, dose 2 Gy) causa una ulteriore inibizione della proliferazione cellulare e della capacità di formare colonie. Abbiamo inoltre constatato, mediante Neutral Comet Assay, una minore efficacia nel riparo del DNA in cellule irradiate trattate con XAV939, indicando un effettivo aumento della radiosensibilità in cellule di MB trattate con l'inibitore di TNKS. L'aumentata mortalità cellulare in cellule tumorali trattate con XAV939 e RI ha confermato la nostra ipotesi. Il nostro studio in vitro indica come TNKS possa essere un utile target terapeutico per rendere più efficace l'attuale terapia contro il MB.

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Tra i liposarcomi, il tumore lipomatoso atipico/liposarcoma ben differenziato e il liposarcoma dedifferenziato rappresentano i sottotipi più frequenti. Spesso è difficile distinguere questi tumori da altri con caratteristiche morfologiche simili. Da un punto di vista citogenetico sono caratterizzati dalla presenza di cromosomi soprannumerari giganti e cromosomi ad anello costituiti principalmente da sequenze amplificate della regione 12q13-15. In questa regione mappano numerosi geni tra cui il gene MDM2 (murine double minute-2). La caratterizzazione molecolare di tali sottotipi diventa estremamente importante sia a fini diagnostici sia per un corretto indirizzo terapeutico, soprattutto oggi, dopo l’introduzione nella pratica clinica di terapie biologiche mirate (targeted therapies). Nel presente studio viene analizzato il ruolo dell’analisi FISH per la valutazione dello status di MDM2 nelle neoplasie lipomatose e per stabilire se questo marcatore possa essere utilizzato nella diagnosi differenziale di questi tumori. Sebbene questo studio confermi l’utilità diagnostica dell’amplificazione di MDM2 nella diagnosi del tumore lipomatoso atipico/liposarcoma ben differenziato ed il liposarcoma dedifferenziato, questo marcatore potrebbe avere in futuro anche una più ampia applicazione. Data la recente introduzione degli inibitori selettivi di MDM2 tale ricerca risulta importante non solo a fini diagnostici ma anche per la selezione dei pazienti che potranno in futuro beneficiare del trattamento con tali inibitori. Questo studio è stato effettuato anche per analizzare la rilevanza biologica del percorso che vede coinvolto il gene AKT nel liposarcoma ben differenziato e dedifferenziato e per stabilire se questo percorso possa rappresentare un utile bersaglio terapeutico in questi tumori. I dati ottenuti dimostrano che AKT è espresso ed attivato in tutti i casi di tumore lipomatoso atipico/liposarcoma ben differenziato e liposarcoma dedifferenziato.

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L’insorgenza di fenomeni coinvolti nello sviluppo della farmacoresistenza costituisce al momento la principale causa di mancata risposta al trattamento chemioterapico nell’osteosarcoma. Questo è in parte dovuto ad una sovraespressione di diversi trasportatori ABC nelle cellule tumorali che causano un aumento dell’efflusso extracellulare del chemioterapico e pertanto una ridotta risposta al trattamento farmacologico. L'oncogene C-MYC è coinvolto nella resistenza al metothrexate, alla doxorubicina e al cisplatino ed è un fattore prognostico avverso, se sovraespresso al momento della diagnosi, in pazienti affetti da osteosarcoma. C-MYC è in grado di regolare l'espressione di diversi trasportatori ABC, probabilmente coinvolti nella resistenza ai farmaci nell’osteosarcoma, e questo potrebbe spiegare l’impatto prognostico avverso dell’oncogene in questo tumore. L’espressione genica di C-MYC e di 16 trasportatori ABC, regolati da C-MYC e / o responsabili dell'efflusso di diversi chemioterapici, è stata valutata su due diverse casistiche cliniche e su un pannello di linee cellulari di osteosarcoma umano mediante real-time PCR. L'espressione della proteina è stata valutata per i 9 trasportatori ABC risultati più rilevanti.Infine l'efficacia in vitro di un inibitore, specifico per ABCB1 e ABCC1, è stata valutata su linee cellulari di osteosarcoma. ABCB1 e ABCC1 sono i trasportatori più espressi nelle linee cellulari di osteosarcoma. ABCB1 è sovraespresso al momento della diagnosi in circa il 40-45% dei pazienti affetti da osteosarcoma e si conferma essere un fattore prognostico avverso se sovraespresso al momento della diagnosi. Pertanto ABCB1 diventa il bersaglio di elezione per lo sviluppo di strategie terapeutiche alternative, nel trattamento dell’osteosarcoma, atte al superamento della farmacoresistenza. L’inibizione dell'attività di tale trasportatore causa un aumento della sensibilità al trattamento chemioterapico nelle linee cellulari di osteosarcoma farmacoresistenti, indicando questo approccio come una possibile strategia per superare il problema della mancata risposta al trattamento farmacologico nei pazienti con osteosarcoma che sovraesprimono ABCB1.

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Das Glioblastoma multiforme zählt zu den häufigsten glialen Neoplasien des Menschen und weist zudem unter den Gliomen die höchste Malignität auf. Glioblastompatienten haben trotz aggressiver therapeutischer Ansätze eine mittlere Überlebenszeit von weniger als einem Jahr. Die diffuse Invasion in das umliegende Hirngewebe ist einer der Hauptgründe für die Rezidivbildung und die infauste Prognose von Glioblastompatienten. Neuere Untersuchungen lassen vermuten, dass die starke Invasion auch einer der Gründe für die beobachtete anti-angiogene Resistenz bei der Behandlung von Glioblastomen ist. Das bidirektionale EphB/Ephrin-B-System wurde bei der axonalen Wegfindung als Vermittler repulsiver Signale identifiziert und auch im Zusammenhang der Migration und Invasion von Zellen überprüft. In der vorliegenden Arbeit sollte daher die Funktion der bidirektionalen Eph- und Ephrin-Signaltransduktion in Bezug auf die Glioblastominvasion und Progression untersucht werden. rn Genetische und epigenetische Untersuchungen der EphB/Ephrin-B-Familie in einer Kohorte von Gliompatienten unterschiedlicher Malignitätsgrade identifizierten Ephrin-B2 als mögliches Tumorsuppressorgen. In Übereinstimmung damit führte die Inaktivierung von Ephrin-B2 in einem murinen Gliommodell zu einer verstärkten Invasion und einem erhöhtem Tumorwachstum in vivo. Dies konnte in verschiedenen Invasion-Assays in vitro bestätigt werden. Weiterhin zeigten unsere Untersuchungen, dass Ephrin-B2 transkriptionell durch das hypoxische Mikromilieu HIF-1α-vermittelt reprimiert wird. Da HIF-1α als transkriptioneller Aktivator Ephrin-B2 nicht direkt reprimieren kann, wurden potentielle HIF-1α-regulierte Repressoren untersucht, die für die Ephrin-B2 Herunterregulation verantwortlich sein könnten. Dabei wurde anhand von Ephrin-B2-Promotoranalysen und ChIP-Assays ZEB2 als HIF-1α-induzierbarer Repressor von Ephrin-B2 identifiziert. Zur Bestätigung der Hypothese, dass ZEB2 ein wichtiger Regulator der Tumorinvasion ist, wurden humane ZEB2-Knockdown-Glioblastomzellen generiert und in vitro sowie in vivo untersucht. Im Hinblick auf mögliche therapeutische Anwendungen wurden die ZEB2-Knockdown-Glioblastomzellen zusätzlich im Zusammenhang anti-Angiogenese-induzierter Invasion analysiert. Der Verlust von ZEB2 führte dabei zu einer verringerten Glioblastominvasion und Progression in einem Maus-Xenograft Modell. Die Behandlung der Tumoren mit dem anti-VEGF-Antikörper Avastin resultierte in einer stark erhöhten Invasion, die durch die Inaktivierung von ZEB2 und der dadurch reaktivierten repulsiven Signale von Ephrin-B2 wieder aufgehoben werden konnte. Zusammenfassend konnte in der vorliegenden Arbeit erstmals gezeigt werden, dass Ephrin-B2 als Tumorsuppressor in Gliomen agiert und durch verschiedene Mechanismen wie der genetischen und epigenetischen Kontrolle, aber auch der HIF-1α-vermittelten, ZEB2-abhängigen Repression inaktiviert wird. Dies resultiert in einer Blockade repulsiver Signale, so dass Tumorzellen diffus in das Parenchym und zu den Blutgefäßen migrieren können. Der in dieser Arbeit neu identifizierte Signalweg stellt ein attraktives therapeutisches Ziel zur Inhibition der Tumorzellinvasion dar und ermöglicht darüber hinaus der Ausbildung von Resistenzen gegenüber anti-angiogener Behandlung entgegenzuwirken. rn

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La PKCε e la PKCδ, chinasi ubiquitariamente distribuite e ad azione pleiotropica, sono implicate del differenziamento, sopravvivenza e proliferazione cellulare. Esse sono coinvolte nel processo differenziativo delle cellule staminali ematopoietiche e in fenomeni patologici associati al compartimento sanguigno. In questa tesi sono presentati i risultati riguardanti lo studio in vitro del ruolo di PKCε e PKCδ nel contesto del differenziamento megacariocitario, in particolare si caratterizza l’espressione e la funzione di queste chinasi nel modello umano e nel modello murino di Megacariocitopoiesi, normale e patologica. Confrontando le cinetiche dei due modelli presi in analisi nello studio è stato possibile osservare come in entrambi PKCε e PKCδ dimostrino avere una chiara e specifica modulazione nel progredire del processo differenziativo. Questi dati, se confrontati, permettono di affermare che PKCε e PKCδ presentano un pattern di espressione opposto e, nel modello umano rispetto a quello murino, reciproco: nell’uomo i livelli di PKCε devono essere down-modulati, mentre nel topo, al contrario, i livelli della chinasi risultano up-modulati durante lo stesso processo. Analogamente, le CD34+ in differenziazione presentano una costante e maggiore espressione di PKCδ durante la maturazione MK, mentre nel modello murino tale proteina risulta down-modulata nella fase più tardiva di formazione della piastrina. Le chinasi mostrano in oltre di agire, nei due modelli, attraverso pathways distinti e cioè RhoA nel topo e Bcl-xL nell’uomo. È stato inoltre verificato che l’aberrante differenziamento MK osservato nella mielofibrosi primaria (PMF), è associato a difetti di espressione di PKCε e di Bcl-xL e che una forzata down-modulazione di PKCε porta ad un ripristino di un normale livello di espressione di Bcl-xL così come della popolazione di megacariociti formanti propiastrine. I dati ottenuti indicano quindi che PKCε e PKCδ svolgono un ruolo importante nel corretto differenziamento MK e che PKCε potrebbe essere un potenziale nuovo target terapeutico nelle PMF.

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Im Rahmen dieser Arbeit wurde das in Kopf-Hals-Tumoren überexprimierte, hinsichtlich seiner Funktion jedoch kontrovers diskutierte Protein OSF-2 (Osteoblast specific factor-2) molekularbiologisch charakterisiert und funktionell analysiert. Die endogene OSF-2-Expression wurde in verschiedenen Zelllinien, Geweben, sowie in Primärzellen untersucht. Die durch das N-terminale Sekretionssignal verursachte Proteinsekretion konnte sowohl morphologisch als auch biochemisch nachgewiesen werden. In Microarray-Experimenten konnte gezeigt werden, dass sowohl Tumorzellen als auch Tumor- assoziierte Fibroblasten OSF-2 exprimieren, wobei allerdings keine OSF-2-Isoformsignatur nachgewiesen werden konnte. In funktionellen Assays zeigte OSF-2 zwar keinen Einfluß auf die Proliferation von Kopf-Hals-Tumorzellen, stellte sich jedoch als wichtig für die Zellmigration und das Überleben der Zellen unter ungünstigen Wachstumsbedingungen heraus. Diese Ergebnisse konnten anhand von in vivo-Untersuchungen bestätigt werden. Das verbesserte Überleben der Zellen lässt sich wahrscheinlich durch die OSF-2-induzierte Aktivierung des “Survival Pathways“ Akt/PKB über die PI3-Kinase erklären. Bei den im Rahmen dieser Arbeit durchgeführten Untersuchungen humanen Tumorgewebes war es möglich eine neue Tumorzelllinie des frontalen Sinus zu etablieren und charakterisieren. Hierbei konnte gezeigt werden, dass es sich um HPV-negative, morphologisch äußerst heterogene Zellen mit geringer Migrationsgeschwindigkeit handelt, die eine große Zahl an Chromosomenaberrationen aufweisen. Sie konnten ungünstige Wachstumsbedingungen wie Nährstoffmangel besser überleben als die im Vergleich untersuchte Kopf-Hals-Tumorzelllinie und waren dazu in der Lage nach subkutaner Injektion Tumorwachstum in immundefizienten Nacktmäusen zu initiieren. Aus der Tumorzellpopulation isolierte CD133+ Zellen erhöhten die Tumorinitiation erheblich, was auf das Vorhandensein von Tumorstammzellen innerhalb der CD133+ Zellfraktion hindeutet. Um die Bedeutung von OSF-2 als Zielstruktur für neue Krebsmedikamente einschätzen zu können, sind allerdings weitere Informationen über dessen funktionelle Bedeutung notwendig.

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Triple negative breast cancer (TNBC) is a very aggressive tumor subtype characterized by the lack of expression of estrogen receptor 1 (ESR1), due in the most of cases to an increased expression of DNA methyltransferases (DNMTs) and hypermethylation in CpG islands, resulting in gene silencing. Furthermore, in ESR1- negative breast cancers, androgen receptor (AR) is highly expressed and some studies suggest that it can drive tumor progression and might represent a therapeutic target. A correlation between microRNAs, small non-coding RNAs that regulate gene expression, and DNMTs was investigated in a TNBC cell line to restore a normal methylation pattern of ESR1, leading to its re-expression and conferring again sensitivity to selective estrogen receptor modulators (SERMs). miR-148A and miR-29B were found to be involved in the reduction of the expression of DNMT1 and DNMT3A and in a slight increase of ESR1 expression, but not at protein level. Then, we found a down-regulation of AR by miRs-7, -9, -27a, -27b, -29a, -29b, -29c, -127-3p, -127-5p and -376 at 48h post transfection and an up-regulation by miR-15a and miR-16 at every time considered. We concomitantly investigated a possible increase of Tamoxifen, Herceptin and Metformin sensitivity after AR silencing in MDA-MB 453 and T-47D cell lines. Cells seemed more sensitive when silenced for AR only in MDA-MB-453 at 24h post Tamoxifen treatment. Studies on Metformin have basically confirmed an increase of drug sensitivity due to AR silencing in both cell lines. Analysis of Herceptin showed how MDA-MB 453 samples silenced for AR have a slight decrease in the percentage of proliferating cells, demonstrating a possible increase in the response to treatment. These preliminary data provide the basis for further study of the modulation of the expression of AR by microRNAs and it will be interesting to understand the molecular mechanisms underlying these interactions.

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The physico-chemical characterization, structure-pharmacokinetic and metabolism studies of new semi synthetic analogues of natural bile acids (BAs) drug candidates have been performed. Recent studies discovered a role of BAs as agonists of FXR and TGR5 receptor, thus opening new therapeutic target for the treatment of liver diseases or metabolic disorders. Up to twenty new semisynthetic analogues have been synthesized and studied in order to find promising novel drugs candidates. In order to define the BAs structure-activity relationship, their main physico-chemical properties (solubility, detergency, lipophilicity and affinity with serum albumin) have been measured with validated analytical methodologies. Their metabolism and biodistribution has been studied in “bile fistula rat”, model where each BA is acutely administered through duodenal and femoral infusion and bile collected at different time interval allowing to define the relationship between structure and intestinal absorption and hepatic uptake ,metabolism and systemic spill-over. One of the studied analogues, 6α-ethyl-3α7α-dihydroxy-5β-cholanic acid, analogue of CDCA (INT 747, Obeticholic Acid (OCA)), recently under approval for the treatment of cholestatic liver diseases, requires additional studies to ensure its safety and lack of toxicity when administered to patients with a strong liver impairment. For this purpose, CCl4 inhalation to rat causing hepatic decompensation (cirrhosis) animal model has been developed and used to define the difference of OCA biodistribution in respect to control animals trying to define whether peripheral tissues might be also exposed as a result of toxic plasma levels of OCA, evaluating also the endogenous BAs biodistribution. An accurate and sensitive HPLC-ES-MS/MS method is developed to identify and quantify all BAs in biological matrices (bile, plasma, urine, liver, kidney, intestinal content and tissue) for which a sample pretreatment have been optimized.

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Negli ultimi anni si è assistito ad un miglioramento della qualità di vita dei piccoli animali che, oltre ad aumentarne l'aspettativa di vita, ha determinato un aumento della frequenza di patologie associate all'età medio-avanzata, quali le patologie renali croniche. Il presente studio si fonda sulla necessità, sempre più sentita nella pratica clinica veterinaria, di poter fornire al proprietario del paziente affetto da CKD, una serie di parametri che, oltre a fungere da target terapeutico, possano aiutare a comprenderne la prognosi. Lo studio ha valutato una popolazione di cani affetti da CKD e ne ha seguito o ricostruito il follow-up, per tutto il periodo di sopravvivenza fino al momento dell’exitus. Di tali soggetti sono stati raccolti dati relativi ad anamnesi, esame clinico, misurazione della pressione arteriosa, diagnostica per immagini, esami ematochimici, analisi delle urine ed eventuale esame istologico renale. È stato possibile individuare alcuni importanti fattori prognostici per la sopravvivenza in pazienti con CKD. Oltre a fattori ben noti in letteratura, come ad esempio elevati valori di creatinina e fosforo, o la presenza di proteinuria, è stato possibile anche evidenziare il ruolo prognostico negativo di alcuni parametri meno noti, ed in particolare delle proteine di fase acuta positive e negative, e del rapporto albumina/globuline. Una possibile spiegazione del valore prognostico di tali parametri risiede nel ruolo prognostico negativo dell’infiammazione nel paziente con CKD: tale ruolo è stato suggerito e dimostrato nell’uomo e avrebbe alla base numerosi possibili meccanismi (sviluppo di anemia, complicazioni gastroenteriche, neoplasie, etc.), ma dati analoghi sono mancanti in medicina veterinaria. Una seconda possibile spiegazione risiede nel fatto che potenzialmente i livelli delle proteine di fase acuta possono essere influenzati dalla presenza di proteinuria nel paziente con CKD e di conseguenza potrebbero essere una conferma di come la proteinuria influenzi negativamente l'outcome.

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Epileptic seizures are the manifestations of epilepsy, which is a major neurological disorder and occurs with a high incidence during early childhood. A fundamental mechanism underlying epileptic seizures is loss of balance between neural excitation and inhibition toward overexcitation. Glycine receptor (GlyR) is ionotropic neurotransmitter receptor that upon binding of glycine opens an anion pore and mediates in the adult nervous system a consistent inhibitory action. While previously it was assumed that GlyRs mediate inhibition mainly in the brain stem and spinal cord, recent studies reported the abundant expression of GlyRs throughout the brain, in particular during neuronal development. But no information is available regarding whether activation of GlyRs modulates neural network excitability and epileptiform activities in the immature central nervous system (CNS). Therefore the study in this thesis addresses the role of GlyRs in the modulation of neuronal excitability and epileptiform activity in the immature rat brain. By using in vitro intact corticohippocampal formation (CHF) of rats at postnatal days 4-7 and electrophysiological methods, a series of pharmacological examinations reveal that GlyRs are directly implicated in the control of hippocampal excitation levels at this age. In this thesis I am able to show that GlyRs are functionally expressed in the immature hippocampus and exhibit the classical pharmacology of GlyR, which can be activated by both glycine and the presumed endogenous agonist taurine. This study also reveals that high concentration of taurine is anticonvulsive, but lower concentration of taurine is proconvulsive. A substantial fraction of both the pro- and anticonvulsive effects of taurine is mediated via GlyRs, although activation of GABAA receptors also considerably contributes to the taurine effects. Similarly, glycine exerts both pro- and anticonvulsive effects at low and high concentrations, respectively. The proconvulsive effects of taurine and glycine depend on NKCC1-mediated Cl- accumulation, as bath application of NKCC1 inhibitor bumetanide completely abolishes proconvulsive effects of low taurine and glycine concentrations. Inhibition of GlyRs with low concentration of strychnine triggers epileptiform activity in the CA3 region of immature CHF, indicating that intrinsically an inhibitory action of GlyRs overwhelms its depolarizing action in the immature hippocampus. Additionally, my study indicates that blocking taurine transporters to accumulate endogenous taurine reduces epileptiform activity via activation of GABAA receptors, but not GlyRs, while blocking glycine transporters has no observable effect on epileptiform activity. From the main results of this study it can be concluded that in the immature rat hippocampus, activation of GlyRs mediates both pro- and anticonvulsive effects, but that a persistent activation of GlyRs is required to prevent intrinic neuronal overexcitability. In summary, this study uncovers an important role of GlyRs in the modulation of neuronal excitability and epileptiform activity in the immature rat hippocampus, and indicates that glycinergic system can potentially be a new therapeutic target against epileptic seizures of children.

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Der Transkriptionsfaktor Hypoxie-induzierbarer Faktor (HIF) gibt dem Organismus die Möglichkeit, sich auf zellulärer Ebene an unterschiedliche Sauerstoffverhältnisse anzupassen. Vor allem Tumorzellen weisen aufgrund ihres ungeregelten Wachstums und der daraus resultierenden unzureichenden Durchblutung (hypoxisches Milieu) eine erhöhte HIF-Expression auf. Die erhöhte HIF-Expression stellt somit ein interessantes Ziel in der Tumortherapie dar. Dendritische Zellen (DCs) besitzen eine bedeutende Rolle in der Generierung und Modulierung von Antitumor-Immunantworten. Aus diesem Grund ist es überaus wichtig zu wissen, welche Effekte Antitumor-Agenzien, im Besonderen HIF-Inhibitoren, auf DCs und somit auch auf die Generierung von adäquaten Immunantworten besitzen.rnIm ersten Teil dieser Arbeit wurde aus diesem Grund der Einfluss der Antitumor-Agenzien Geldanamycin (GA) und Topotecan (TPT) auf den Phänotyp und die Funktion von DCs untersucht. Hierfür wurden Monozyten aus humanen, mononukleären, peripheren Blutzellen isoliert und unter DC-differenzierenden Konditionen kultiviert. Diese immaturen monozytenabgeleiteten DCs (Mo-DCs) wurden mithilfe eines Reifungscocktails ausgereift. Die Applikation der Antitumor-Agenzien erfolgte während der Differenzierungs- bzw. Ausreifungsphase. Abhängig vom Reifungsgrad der Mo-DCs konnte ein differentieller Einfluss von GA bzw. TPT auf die DC-Aktivierung beobachtet werden. Eine Behandlung von unstimulierten Mo-DCs mit GA resultierte in einer partiellen DC-Aktivierung basierend auf einem noch unbekannten Mechanismus. Ebenso führte eine Behandlung von unstimulierten Mo-DCs mit TPT zu einer funktionellen Aktivierung der DCs, die mit einer vermehrten AKT-Expression korrelierte. Die jeweilige Koapplikation der Antitumor-Agenzien mit dem DC-Reifungscocktail führte zu einer reduzierten DC-Aktivierung, die sich in einer verminderten NF-κB-Aktivierung, einer verringerten Oberflächenexpression der getesteten kostimulatorischen Moleküle, einer verringerten Migrationsfähigkeit und einem reduzierten Zellstimulierungspotential widerspiegelte.rnDie autosomal dominant vererbte Tumorerkrankung von Hippel-Lindau (VHL) wird häufig durch genetische Mutationen des als HIF-Negativregulator fungierenden VHL-Gens hervorgerufen. Patienten, die an dem VHL-Syndrom erkrankt sind, weisen oft benigne oder maligne Tumore und Zysten in den verschiedensten Organsystemen auf. Wie schon zuvor erwähnt, besitzen DCs eine essentielle Rolle in der Initiierung und Aufrechterhaltung von Antitumor-Immunantworten. Deshalb wurde im zweiten Abschnitt der vorliegenden Arbeit untersucht, inwieweit ein partieller Verlust von VHL Auswirkungen auf die Ausprägung desrnPhänotyps und der Funktion von DCs hat. Mittels Cre/lox-Technologie wurden transgene Mäuse mit einem heterozygoten Verlust von Exon 1 bzw. Exon 2 des VHL-Gens generiert. Aus diesen Mäusen wurden Knochenmarkszellen isoliert und unter DC-differenzierenden Konditionen kultiviert. Die immaturen knochenmarkabgeleiteten DCs (BM-DCs) wurden mit LPS ausgereift. Weder der heterozygote Verlust von Exon 1 noch von Exon 2 des VHL-Gens bewirkte eine Veränderung der Oberflächenmarkerexpression, der in vitro-Migrations- undrnEndozytosekapazität, sowie der allogenen T-Zellstimulierungskapazität. Allerdings zeigten Mäuse mit einem partiellen Verlust von Exon 2 im Vergleich zu Kontrollmäusen nach Immunisierung und Provokation mit dem Modellallergen OVA eine verminderte Atemwegshyperreaktion, die möglicherweise auf die beobachtete Abnahme der Migrationsfähigkeit in vivo und die verminderte OVA-spezifische T-Zellstimulierungskapazität der DCs zurückzuführen ist.

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Dengue-Fieber ist eine durch Stechmücken der Gattungen Aedes aegypti und Aedes albopticus übertragene, virale Infektionskrankheit des Menschen, welche eine zunehmende Bedrohung für die Weltbevölkerung darstellt; das Infektionsrisiko betrifft vorwiegend Menschen, die in tropischen und subtropischen Gebieten der Erde (Asien, Afrika, Amerika) leben. Bei dem Erreger handelt es sich um ein Flavivirus, bestehend aus einer positiv polarisierten Einzelstrang-RNA, welches in vier verschiedenen Serotypen existiert. Eine Infektion mit Dengue-Viren zeigt sich durch drei mögliche Krankheitsbilder: Klassisches Dengue-Fieber (DF), hämorrhagisches Dengue-Fieber (DHF) oder Dengue-Schock-Syndrom (DSS). Das Dengue-Virus-Genom codiert eine Serin-Protease mit einer klassischen katalytischen Triade, bestehend aus den Aminosäuren His51, Asp75 und Ser135. Die Funktion der Dengue-Virus-Protease besteht in der post-translationalen, proteolytischen Prozessierung des viralen Polyprotein-Vorläufers, womit sie essentiell für die Virus-Replikation ist und damit einen wichtigen therapeutischen Ansatz für die Entwicklung neuer Wirkstoffe gegen Dengue-Fieber darstellt. Die Ziele der vorliegenden Arbeit bestanden darin, neue potentielle Inhibitoren der Dengue-Virus Typ 2 NS2B-NS3 Protease (DEN-2 NS2B-NS3pro) zu synthetisieren, deren Hemmwirkung sowie den Inhibitionstyp mithilfe fluorimetrischer Enzym-Assays zu bestimmen, Struktur-Wirkungs-Beziehungen (u.a. mithilfe von Molecular Docking-Rechnungen) zu analysieren und die erhaltenen Leitstrukturen zu optimieren. In der vorliegenden Arbeit wurden zwei Substanzklassen und damit zwei Teilprojekte behandelt: Phenylacrylsäureamide im ersten Teilprojekt, Benzothiazole und Diarylthioether zusammen im zweiten Teilprojekt. Im ersten Teilprojekt zeigten einige Phenylacrylsäureamide eine schwache Hemmung der DEN-2 NS2B-NS3pro zwischen ca. 50 und 61 % bei einer Inhibitorkonzentration von 50 µM sowie eine nicht-kompetitive Hemmung, welche jedoch durch vielfältige Derivatisierung kaum verändert oder verbessert werden konnte. Darüber hinaus wurden die endogenen Serin-Proteasen alpha-Chymotrypsin und Trypsin durch einige Phenylacrylsäureamide erheblich stärker gehemmt als die DEN-2 NS2B-NS3pro. Das zweite Teilprojekt befasste sich mit der Synthese und Testung von Diarylthioethern mit hydroxy-substituierten Benzothiazol-Bausteinen sowie der Testung einiger methoxy-substituierter Synthese-Vorstufen der Endverbindungen, um die Relevanz und den Einfluss der einzelnen Bausteine auf die Hemmung der DEN-2 NS2B-NS3pro zu untersuchen. Der in der vorliegenden Arbeit synthetisierte, potenteste Inhibitor der DEN-2 NS2B-NS3pro (Hemmung: 90 % [50 µM]; IC50 = 3.6 +/- 0.11 µM) und der DEN-3 NS2B-NS3pro (Hemmung: >99 % [100 µM]; IC50 = 9.1 +/- 1.02 µM), SH65, ein Diarylthioether-Benzothiazol-Derivat, entstand aufgrund der Vorhersage zweier möglicher Bindungsmodi (kompetitiv und nicht-kompetitiv) mithilfe von Molecular Docking-Experimenten an der Röntgen-Kristall-struktur der DEN-3 NS2B-NS3pro (PDB-Code: 3U1I). Nach experimenteller Bestimmung der IC50-Werte bei unterschiedlichen Substratkonzentrationen erwies sich SH65 jedoch als nicht-kompetitiver Inhibitor der DEN-2 NS2B-NS3pro. Trypsin wurde von SH65 vergleichbar stark gehemmt (96% [50 µM]; IC50 = 6.27 +/- 0.68 µM) wie die beiden getesteten Dengue-Virus-Proteasen, nicht jedoch alpha-Chymotrypsin (nur 21% Hemmung bei 50 µM), wodurch diesem Inhibitor zumindest eine relative Selektivität gegenüber Serin-Proteasen zugeschrieben werden kann. SH65 zeigte lediglich Protease-Hemmung in den Enzym-Assays, jedoch keine antivirale Aktivität bei der Testung an Dengue-Virus-infizierten Zellen, was aber wiederum bei der synthetisierten Vorstufe von SH65, welche anstelle der beiden Hydroxy-Gruppen über Methoxy-Gruppen verfügt, der Fall war. Diarylthioether mit mehrfach hydroxy-substituiertem Benzothiazol-Baustein stellen hiermit eine neue, vielversprechende Wirkstoffgruppe zur Hemmung sowohl der Dengue-Virus Typ 2- als auch der Dengue-Virus Typ 3 NS2B-NS3 Protease dar.