330 resultados para Effetto vincolante
Resumo:
Il vento di barriera (VB) è un fenomeno meteorologico a mesoscala che interessa il flusso nei bassi strati atmosferici ed è dovuto all'interazione con l'orografia. Se il numero di Froude upstream è sufficientemente piccolo si genera una deviazione orizzontale del flusso incidente. Si può raggiungere uno stato quasi-stazionario, nel quale un intenso vento soffia parallelo all'orografia nei bassi strati. Nel presente lavoro si è innanzitutto sviluppata una climatologia degli eventi di VB nella regione italiana su un periodo biennale. Gli eventi sono stati classificati per la velocità del flusso incidente e la velocità e direzione del VB a 950 hPa, e per il numero di Froude upstream. Si è poi studiata la distribuzione degli eventi rispetto al numero di Froude. La climatologia è risultata in buon accordo con la teoria idealizzata dei flussi sopra l'orografia. Tre casi di studio sono stati successivamente simulati utilizzando i modelli BOLAM e MOLOCH dell'istituto CNR-ISAC di Bologna. Per ciascun evento sono stati calcolati il numero di Froude upstream e i parametri principali, quali velocità, estensione, temperatura ecc. Per uno dei casi, riguardante le Alpi orientali, le simulazioni sono state confrontate con dati osservati di vento, pressione, temperatura e precipitazione. Sono poi stati condotti dei sensitivity tests con orografia diminuita su ognuno degli eventi. È stata così verificata l'importanza dell'effetto orografico e l'intensità del fenomeno del VB è stata associata al numero di Froude. Un indice, denominato Barrier Wind Index (BWI) è stato ideato a tale scopo. Le simulazioni hanno mostrato un buon accordo con la teoria, indicandone i limiti di applicabilità all'atmosfera reale. In particolare, il Barrier Wind Index tende ad aumentare linearmente al diminuire del numero di Froude. Le simulazioni hanno evidenziato l'elevata influenza del VB sulla circolazione atmosferica a mesoscala, sulla distribuzione e intensità della precipitazione e sull'avvezione di temperatura e umidità.
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La tesi di dottorato "Unione Europea e Sanità" è uno studio sistematico del diritto alla salute e della protezione della sanità pubblica nell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea. Il primo capitolo analizza le competenze sanitarie dell'Unione Europea, introdotte per la prima volta dal Trattato di Maastricht e definitivamente sistemate all'art. 168 TFUE. La norma identifica alcuni settori specifici nei quali l'Unione può agire e altri, quali l'organizzazione dei sistemi sanitari e la fornitura di cure mediche, che rimangono in capo agli Stati membri. Il secondo capitolo esamina le deroghe e le esigenze imperative connesse alla salvaguardia della salute nel mercato interno ed è suddiviso in tre sezioni dedicate alla libera circolazione delle merci, al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Nella prima ci si è occupati dello sviluppo della legislazione farmaceutica. Nella seconda si sono analizzati il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali e le legislazioni statali che restringono il diritto di stabilimento degli operatori sanitari transfrontalieri. Nella terza si è rivolta l'attenzione alla mobilità dei pazienti che, attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia, è stata trasfusa in un atto di diritto derivato. Il terzo capitolo si concentra sul ruolo del diritto alla salute nell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea in considerazione del valore vincolante della Carta dei diritti fondamentali. Coerentemente, si è scelto di mantenere una struttura tripartita. Nella prima sezione, ci si interroga sull'esistenza di tale diritto alla luce dei pochi casi presenti. Nella seconda, lo si analizza per il tramite delle obbligazioni di proteggere, rispettare ed adempiere, enucleate attraverso alcuni strumenti internazionali e si verifica il ruolo del principio di non discriminazione in relazione all'accesso alle cure. Nella terza, infine, si verifica il ruolo del consenso informato rispetto alla sperimentazione clinica ed alla donazione di materiale biologico.
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Introduzione. Le cellule mesenchimali derivate dal tessuto adiposo (hASC) rappresentano un importante strumento per la terapia cellulare, in quanto derivano da un tessuto adulto abbondante e facilmente reperibile. Con il dispositivo medico Lipogems l’isolamento di tali cellule è eseguito esclusivamente mediante sollecitazioni meccaniche. Il prodotto ottenuto è quindi minimamente manipolato e subito utilizzabile. Ad oggi, il condizionamento pro-differenziativo delle staminali è per lo più attuato mediante molecole di sintesi. Tuttavia, altri fattori possono modulare la fisiologia cellulare, come gli stimoli fisici e molecole naturali. Onde elettromagnetiche hanno indotto in modelli cellulari staminali l’espressione di alcuni marcatori di differenziamento e, in cellule adulte, una riprogrammazione, mentre estratti embrionali di Zebrafish sono risultati antiproliferativi sia in vitro che in vivo. Metodi. La ricerca di nuove strategie differenziative sia di natura fisica che molecolare, nel particolare onde acustiche ed estratti embrionali di Zebrafish, è stata condotta utilizzando come modello cellulare le hASC isolate con Lipogems. Onde acustiche sono state somministrate mediante l’utilizzo di due apparati di trasduzione, un generatore di onde meccaniche e il Cell Exciter . I trattamenti con gli estratti embrionali sono stati effettuati utilizzando diverse concentrazioni e diversi tempi sperimentali. Gli effetti sull’espressione dei marcatori di staminalità e differenziamento relativi ai trattamenti sono stati saggiati in RT-PCR quantitativa relativa e/o in qPCR. Per i trattamenti di tipo molecolare è stata valutata anche la proliferazione. Risultati e conclusioni. La meta-analisi dei dati delle colture di controllo mostra la stabilità d’espressione genica del modello. I trattamenti con i suoni inducono variazioni dell’espressione genica, suggerendo un ruolo regolatorio di tali stimoli, in particolare del processo di commitment cardiovascolare. Due degli estratti embrionali di Zebrafish testati inibiscono la proliferazione alle 72 ore dalla somministrazione. L’analisi d’espressione associata ai trattamenti antiproliferativi suggerisce che tale effetto abbia basi molecolari simili ai processi di differenziamento.
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La ricerca è dedicata a verificare se e come, a livello dell’Unione europea, la lotta alla criminalità (ed in particolare quella organizzata) venga condotta nel rispetto di diritti e libertà fondamentali, e se la cooperazione tra Stati membri su questo fronte possa giungere a promuovere standard omogenei ed elevati di tutela degli stessi. Gli ambiti di cooperazione interessati sono principalmente quello giudiziario in materia penale e quello di polizia, e la ritrosia degli Stati a cedere all’Unione competenze in materia si è accompagnata ad un ritardo ancora maggiore dell’emersione, nell’ambito degli stessi, della dimensione dei diritti. Ciò ha reso molto difficile lo sviluppo completo ed equilibrato di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (art. 67 TFUE). L’assetto istituzionale introdotto dal Trattato di Lisbona e l’attribuzione di valore giuridico vincolante alla Carta hanno però posto le basi per il superamento della condizione precedente, anche grazie al fatto che, negli ambiti richiamati, la salvaguardia dei diritti è divenuta competenza ed obiettivo esplicito dell’Unione. Centrale è per la ricerca la cooperazione giudiziaria in materia penale, che ha visto la ricca produzione normativa di stampo repressivo recentemente bilanciata da interventi del legislatore europeo a finalità garantista e promozionale. L’analisi degli strumenti nella prospettiva indicata all’inizio dell’esposizione è quindi oggetto della prima parte dell’elaborato. La seconda parte affronta invece la cooperazione di polizia e quello degli interventi volti alla confisca dei beni e ad impedire il riciclaggio, misure – queste ultime - di particolare rilievo soprattutto per il contrasto al crimine organizzato. Sottesi all’azione dell’Unione in queste materie sono, in modo preponderante, due diritti: quello alla salvaguardia dei dati personali e quello al rispetto della proprietà privata. Questi, anche in ragione delle peculiarità che li caratterizzano e della loro natura di diritti non assoluti, sono analizzati con particolare attenzione.
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Lo studio indaga le relazioni tra la scelta del percorso dei ciclisti e le caratteristiche operativo – funzionali delle diverse dotazioni ciclabili, partendo dall’ osservazione che alcuni archi realizzati in promiscuità con pedoni vengono esclusi dalla scelta del percorso di alcuni utenti. Uno dei fattori cui viene posta maggiore, soprattutto tra coloro che utilizzano la bicicletta per spostamenti sistematici casa-lavoro o scuola, è la velocità media. Se su un arco tale velocità risulta bassa l'utente può associare a tale arco una bassa utilità ed escluderlo quindi durante la fase di scelta del percorso. La condivisione dello spazio con pedoni determina interferenze e conflitti, che possono indurre una riduzione della velocità media, che può determinare una minore attrattività della dotazione. È stata condotta una campagna di indagine su tre archi ciclabili della rete ciclabile del Comune di Bologna, che ha visto l’utilizzo di telecamera portatile montata su casco di sicurezza, consentendo di poter usufruire di diversi vantaggi nel verificare l’entità delle interferenze e quantificarne l’ effetto sulla prestazione di velocità. Attraverso l’analisi statistica, non solo della velocità media mantenuta dagli operatori su pista e su strada, ma anche della sua variazione percentuale, si definisce il peso che viene attribuito alla presenza di altri utenti, pedoni, nell’ utilizzo delle infrastrutture ciclabili condivise attraverso la determinazione di un coefficiente di equivalenza bici-pedoni.
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Introduzione Attualmente i principali punti critici del trattamento dell’HCC avanzato sono: 1) la mancanza di predittori di risposta alla terapia con sorafenib, 2) lo sviluppo resistenze al sorafenib, 3) la mancanza di terapie di seconda linea codificate. Scopo della tesi 1) ricerca di predittori clinico-laboratoristici di risposta al sorafenib in pazienti ambulatoriali con HCC; 2) valutazione dell’impatto della sospensione temporanea-definitiva del sorafenib in un modello murino di HCC mediante tecniche ecografiche; 3) valutazione dell’efficacia della capecitabina metronomica come seconda linea dell’HCC non responsivo a sorafenib. Risultati Studio-1: 94 pazienti con HCC trattato con sorafenib: a presenza di metastasi e PVT-neoplastica non sembra inficiare l’efficacia del sorafenib. AFP basale <19 ng/ml è risultata predittrice di maggiore sopravvivenza, mentre lo sviluppo di nausea di una peggiore sopravvivenza. Studio -2: 14 topi con xenografts di HCC: gruppo-1 trattato con placebo, gruppo-2 trattato con sorafenib con interruzione temporanea del farmaco e gruppo-3 trattato con sorafenib con sospensione definitiva del sorafenib. La CEUS targettata per il VEGFR2 ha mostrato al giorno 13 valori maggiori di dTE nel gruppo-3 confermato da un aumento del VEGFR2 al Western-Blot. I tumori del gruppo-2 dopo 2 giorni di ritrattamento, hanno mostrato un aumento dell’elasticità tissutale all’elastonografia. Studio-3:19 pazienti trattati con capecitabina metronomica dopo sorafenib. Il TTP è stato di 5 mesi (95% CI 0-10), la PFS di 3,6 mesi (95% CI 2,8-4,3) ed la OS di 6,3 mesi (95% CI 4-8,6). Conclusioni Lo sviluppo di nausea ed astenia ed AFP basale >19, sono risultati predittivi di una minore risposta al sorafenib. La sospensione temporanea del sorafenib in un modello murino di HCC non impedisce il ripristino della risposta tumorale, mentre una interruzione definitiva tende a stimolare un “effetto rebound” dell’angiogenesi. La capecitabina metronomica dopo sorafenib ha mostrato una discreta attività anti-neoplastica ed una sicurezza accettabile.
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L'interesse per il tema dell'onere della prova nell'inadempimento contrattuale è giustificato dalla circostanza che il noto intervento delle Sezioni Unite in materia, al quale originariamente si è pensato di attribuire una portata indifferenziata e assoluta, non ha avuto l'effetto di porre fine ai numerosi contrasti interpretativi. Al contrario, lo stesso ha determinato il sorgere di nuove incertezze e profili problematici, subendo, peraltro, continue smentite in diversi settori della responsabilità civile. Lo scopo della presente indagine è stato quello di verificare in quali contesti la regola fissata dalla Cassazione venisse applicata e in quali disattesa, procedendo, quindi, ad accertare la modulazione dell'onere della prova in alcuni settori considerati emblematici. Si è, così, tentato di individuare le ragioni della limitazione dell'indirizzo in parola, nonché i criteri in base ai quali determinare l'allocazione dell'onere della prova.
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L’elaborato costituisce la fase di approfondimento conclusivo del lavoro scientifico svolto negli anni precedenti. In quest’ottica, a circa tre anni dalla sua entrata in vigore, esso risulta prevalentemente incentrato sull’analisi delle principali innovazioni imposte dalla legge 30 dicembre 2010, n . 240, recante "Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario", nel tentativo di individuare quali soluzioni ,più o meno differenziate in base alle specificità delle diverse realtà, gli atenei italiani abbiano prefigurato mediante la revisione dei propri statuti, organi e strutture, al fine di rispettare ed attuare il dettato legislativo e non comprimere i propri spazi di autonomia. Contemporaneamente, esso approfondisce l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in materia, la quale proprio nel corso di quest’anno ha avuto più di un’occasione di pronunciarsi in merito, per effetto dell’impugnazione ministeriale di molti dei nuovi statuti di autonomia. Infine, non viene tralasciata l’analisi dei profili e aspetti del sistema universitario italiano non intaccati dal cambiamento, ai fini del loro coordinamento con quelli riformati, cercando di percorrere parallelamente più strade: dalla ricognizione e lo studio dei più autorevoli contributi che la dottrina ha recentemente elaborato in materia, all’inquadramento delle scelte effettuate in sede di attuazione dai singoli atenei, anche alla luce dei decreti applicativi emanati. Il tutto al fine di individuare, anche grazie a studi di tipo comparato, con particolare riferimento all’ordinamento spagnolo, nuove soluzioni per il sistema universitario che, senza la pretesa di giungere a percorsi di cambiamento validamente applicabili per tutti gli atenei, possano risultare utili alla definizione di principi e modelli base, nel pieno rispetto del dettato costituzionale e dei parametri individuati a livello europeo con il processo di Bologna e la strategia di Lisbona.
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La distrofia muscolare di Emery-Dreifuss (EDMD) è una miopatia degenerativa ereditaria caratterizzata da debolezza e atrofia dei muscoli senza coinvolgimento del sistema nervoso. Individui EDMD presentano, inoltre, cardiomiopatia con difetto di conduzione che provoca rischio di morte improvvisa. Diversi studi evidenziano un coinvolgimento di citochine in diverse distrofie muscolari causanti infiammazione cronica, riassorbimento osseo, necrosi cellulare. Abbiamo effettuato una valutazione simultanea della concentrazione di citochine, chemochine, fattori di crescita, presenti nel siero di un gruppo di 25 pazienti EDMD. L’analisi effettuata ha evidenziato un aumento di citochine quali IL-17, TGFβ2, INF-γ e del TGFβ1. Inoltre, una riduzione del fattore di crescita VEGF e della chemochina RANTES è stata rilevata nel siero dei pazienti EDMD rispetto ai pazienti controllo. Ulteriori analisi effettuate tramite saggio ELISA hanno evidenziato un aumento dei livelli di TGFβ2 e IL-6 nel terreno di coltura di fibroblasti EDMD2. Per testare l’effetto nei muscoli, di citochine alterate, abbiamo utilizzato terreno condizionante di fibroblasti EDMD per differenziare mioblasti murini C2C12. Una riduzione del grado di differenziamento è stata osservata nei mioblasti condizionati con terreno EDMD. Trattando queste cellule con anticorpi neutralizzanti contro TGFβ2 e IL-6 si è avuto un miglioramento del grado di differenziamento. In C2C12 che esprimevano la mutazione H222P del gene Lmna,non sono state osservate alterazioni di citochine e benefici di anticorpi neutralizzanti. I dati mostrano un effetto patogenetico delle citochine alterate come osservato in fibroblasti e siero di pazienti, suggerendo un effetto sul tessuto fibrotico di muscoli EDMD. Un effetto intrinseco alla mutazione della lamina A è stato rilevato sul espressione di caveolina 3 in mioblasti differenziati EDMD. I risultati si aggiungono a dati forniti sulla patogenesi dell' EDMD confermando che fattori intrinseci ed estrinseci contribuiscono alla malattia. Utilizzo di anticorpi neutralizzanti specifici contro fattori estrinseci potrebbe rappresentare un approccio terapeutico come mostrato in questo studio.
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I potenziali evocati visivi steady state (ssVEPs) consistono in una perturbazione dell’attività elettrica cerebrale spontanea e insorgono in presenza di stimoli visivi come luci monocromatiche modulate sinusoidalmente. Nel tracciato EEG si instaurano oscillazioni di piccola ampiezza ad una frequenza pari a quella dello stimolo. L’analisi nel dominio delle frequenze permette di mettere in evidenza queste oscillazioni che si presentano con un picco ben distinto in corrispondenza della frequenza dello stimolo. L’obiettivo di questo lavoro è quello di capire se la stimolazione transcranica in corrente continua (tDCS) ha degli effetti a breve e a medio termine sui SSVEPs. Si è studiato gli effetti della stimolazione anodica utilizzando un montaggio di stimolazione extra-cefalico (anodo posizionato su Oz e catodo sul braccio destro). L’esperimento prevede il flickering a 3 frequenze di interesse (12, 15, 20 Hz) di 3 quadrati colorati (rosso e giallo) su sfondo nero. Sono state quindi messe a confronto 4 condizioni operative: baseline, stimolazione sham, stimolazione anodica, condizione Post Anodica.L’esperimento è stato sottoposto a 6 soggetti di età tra i 21 e i 51 anni. Il segnale è stato acquisito da due canali bipolari localizzati nella regione occipitale (O1-PO7 e O2-PO8). È stato effettuato un filtraggio tra 3-60 Hz e a 50 Hz. Si sono stimate le PSD normalizzate rispetto alla condizione di riposo in baseline e le potenze nell’intorno della frequenze di interesse (12,15,20 Hz). I dati chiaramente artefattuali sono stati scartati mediante un’analisi esplorativa. Da qui è stato deciso di non includere nella statistica la stimolazione anodica. L’analisi statistica considera tre aspetti: effetto stimolazione, effetto frequenza ed effetto colore. In alcune configurazioni la stimolazione post anodica si è rivelata significativamente differente con ranghi medi delle colonne inferiori alle altre stimolazioni. Non ci sono differenze significative tra le frequenze. Il colore giallo è risultato significativamente maggiore al colore rosso.
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Il primo obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di sviluppare il primo modello matematico di potenziale d'azione pacemaker umano: è vero che gli studi elettrofisiologici pubblicati sull'uomo non hanno ancora raggiunto la mole di risultati ottenuti, invece, sugli altri mammiferi da laboratorio, ma i tempi possono ritenersi "maturi", in quanto i dati disponibili in letteratura sono sufficienti e adeguati allo scopo. Il secondo obiettivo di questo lavoro di tesi nasce direttamente dall'esigenza clinica di definire le relazioni causa-effetto tra la mutazione T78M della proteina caveolina-3 e le varie forme di aritmie cardiache riscontrate, ad essa associate. Lo scopo è quello di stabilire quale sia il link tra genotipo della mutazione e fenotipo risultante, ovvero colmare il gap esistente tra i dati sperimentali in vitro in possesso ed i meccanismi di alterazione delle correnti ioniche affette, per arrivare a osservare l'effetto che ne deriva sull'attività elettrica delle cellule. Proprio in relazione a quest'ultimo punto, i due obiettivi del lavoro convergono: l'analisi degli effetti indotti dalla mutazione T78M è, infatti, effettuata sul modello di potenziale d'azione di nodo senoatriale umano sviluppato (oltre che su altri modelli atriali).
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Il presente lavoro di tesi si propone di confrontare la risposta delle comunità bentoniche associate a una macroalga “habitat-former”, Cystoseira crinita (Duby), sottoposte a diverse intensità e frequenze di calpestio, tramite un esperimento di manipolazione in campo. Tale simulazione si è svolta in un tratto di costa rocciosa nel SIC (Sito di Importanza Comunitaria) di “Berchida-Bidderosa”, Sardegna Nord-Orientale. I risultati di questo esperimento mostrano come, in conseguenza del calpestio, si possa osservare una significativa perdita di biomassa di Cystoseira crinita. La perdita di biomassa si registra principalmente nei campioni sottoposti a calpestio con frequenze/intensità maggiori di 50 passi per unità di area. Le aree sottoposte a medio-alta frequenza/intensità di calpestio non mostrano nel breve periodo un significativo recupero della biomassa algale. Nel presente studio il confronto tra intensità e frequenze di calpestio rivela che il calpestio ripetuto in più giornate non mostra differenze significative rispetto a quello effettuato in un unica giornata. Il fattore che sembra incidere maggiormente sulla perdita di biomassa di Cystoseira crinita è dunque l’intensità di calpestio. L’analisi dei campioni meiobentonici ha rivelato una ricca comunità animale associata a Cystoseira crinita, con 29 taxa identificati. Analizzando gli effetti del calpestio si osserva come la meiofauna risenta negativamente dell’effetto del calpestio in termini di perdita di densità totale e di riduzione del numero di taxa, anche a basse intensità. I campioni meiofaunali sottoposti a medio alte intensità di calpestio non mostrano un recupero nel breve periodo. I risultati ottenuti sull’insieme dei popolamenti, in termini multivariati mostrano un evoluzione della struttura di comunità nel tempo, indicando una variazione delle relazioni di dominanza fra i taxa, che si modificano fra i diversi trattamenti e tempi. Anche nel caso delle analisi condotte sulla meiofauna non si riscontrano differenze tra intensità di calpestio e frequenze. Per valutare quanto la risposta dei popolamenti meiobentonici sia correlata alle variazioni di biomassa di Cystoseira crinita rispetto che ad un effetto diretto del calpestio, tutte le analisi sono state condotte pesando le densità dei diversi taxa in funzione della biomassa algale. Le analisi multivariate mostrano una chiara correlazione tra la biomassa algale e struttura della comunità meiobentoniche. L’effetto del calpestio riduce le abbondanze di organismi meiobentonici in maniera diretta, mentre il successivo ripopolamento dei differenti taxa è legato al recupero o meno di biomassa di Cystoseira crinita. In conclusione, i risultati di questo studio confermano che il calpestio umano sulle coste rocciose possa danneggiare una specie considerata ad alto valore ecologico, come Cystoseira crinita, producendo inoltre effetti negativi diretti ed indiretti sui popolamenti meiobentonici ad essa associati.
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I dati derivanti da spettroscopia NMR sono l'effetto di fenomeni descritti attraverso la trasformata di Laplace della sorgente che li ha prodotti. Ci si riferisce a un problema inverso con dati discreti ed in relazione ad essi nasce l'esigenza di realizzare metodi numerici per l'inversione della trasformata di Laplace con dati discreti che è notoriamente un problema mal posto e pertanto occorre ricorrere a metodi di regolarizzazione. In questo contesto si propone una variante ai modelli presenti il letteratura che fanno utilizzo della norma L2, introducendo la norma L1.
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L'exchange bias, fenomeno legato allo spostamento del ciclo di isteresi lungo l'asse del campo magnetico, è osservato nei materiali ferromagnetici(FM)-antiferromagnetici(AFM) accoppiati per scambio. Il suo studio, soprattutto nelle nanostrutture, è interessante sia da un punto di vista fenomenologico sia per ragioni tecnologiche. In campo teorico, la riduzione delle dimensioni laterali nei sistemi FM-AFM può portare a sostanziali cambiamenti nell'entità dello spostamento del ciclo e nella coercitività. Da un punto di vista tecnologico, lo studio del fenomeno di exchange bias è incentivato dal grande sviluppo dello storage magnetico e della spintronica; le testine di lettura sono tipicamente composte da valvole di spin o strutture a giunzione tunnel, nelle quali i bistrati FM-AFM accoppiati per scambio costituiscono una parte essenziale. Inoltre, è stato recentemente dimostrato che le interazioni di scambio FM-AFM possono essere usate per migliorare la stabilità dei mezzi di registrazione magnetica. Questo lavoro di tesi riporta lo studio del fenomeno di exchange bias in film sottili di IrMn/NiFe ed in dots di uguale composizione ma con diverse dimensioni (1000, 500 e 300nm), allo scopo di comprendere come il confinamento spaziale influenzi il meccanismo di accoppiamento di scambio e la sua evoluzione magnetotermica. I campioni sono stati preparati mediante litografia a fascio di elettroni e dc-magnetron sputtering e caratterizzati strutturalmente attraverso tecniche di microscopia elettronica. Lo studio delle proprietà magnetiche è stato realizzato mediante magnetometria ad effetto Kerr magneto-ottico, tecnica molto efficace per indagini su film sottili e nanostrutture, di cui la tesi riporta un'ampia trattazione. Infine, i risultati sperimentali sono stati affiancati a simulazioni micromagnetiche, così da ottenere un quadro completo dell'effetto di exchange bias nel sistema IrMn/NiFe.
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Obiettivo del lavoro è stato lo sviluppo e la validazione di nuovi bioassay e biomarker quali strumenti da utilizzare in un approccio ecotossicologico integrato per il biomonitoraggio di ambienti marino-costieri interessati da impatto antropico negli organismi che vivono in tali ambienti. L’ambiente reale impiegato per l’applicazione in campo è la Rada di Augusta (Siracusa, Italia). Una batteria di bioassay in vivo e in vitro è stata indagata quale strumento di screening per la misura della tossicità dei sedimenti. La batteria selezionata ha dimostrato di possedere i requisiti necessari ad un applicazione di routine nel monitoraggio di ambienti marino costieri. L’approccio multimarker basato sull’impiego dell’organismo bioindicatore Mytilus galloprovincialis in esperimenti di traslocazione ha consentito di valutare il potenziale applicativo di nuovi biomarker citologici e molecolari di stress chimico parallelamente a biomarker standardizzati di danno genotossico ed esposizione a metalli pesanti. I mitili sono stati traslocati per 45 giorni nei siti di Brucoli (SR) e Rada di Augusta, rispettivamente sito di controllo e sito impattato. I risultati ottenuti supportano l’applicabilità delle alterazioni morfometriche dei granulociti quale biomarker di effetto, direttamente correlato allo stato di salute degli organismi che vivono in un dato ambiente. Il significativo incremento dell’area dei lisosomi osservato contestualmente potrebbe riflettere un incremento dei processi degradativi e dei processi autofagici. I dati sulla sensibilità in campo suggeriscono una valida applicazione della misura dell’attività di anidrasi carbonica in ghiandola digestiva come biomarker di stress in ambiente marino costiero. L’utilizzo delle due metodologie d’indagine (bioassay e biomarker) in un approccio ecotossicologico integrato al biomonitoraggio di ambienti marino-costieri offre uno strumento sensibile e specifico per la valutazione dell’esposizione ad inquinanti e del danno potenziale esercitato dagli inquinanti sugli organismi che vivono in un dato ambiente, permettendo interventi a breve termine e la messa a punto di adeguati programmi di gestione sostenibile dell’ambiente.