316 resultados para Coins
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La tesi di ricerca si propone di esaminare due tipologie della canzone sociale nel XIX secolo, ed in particolare attorno al 1848. Lo studio del canto nei contesti presi in esame (l’Italia e la Francia) viene analizzato attraverso due piste di ricerca parallele tra loro. Da una parte si è utilizzato il concetto di sociabilité per conoscere i luoghi di produzione e di diffusione del canto (l’importanza della strada, dell’osteria, delle goguette parigine, degli chansonniers des rues e dei cantastorie) e le circostanze di utilizzazione della canzone (la canzone in quanto forma d’espressione orale ma anche come scrittura murale, foglio volante e volantino). Dall’altra l’analisi si è focalizzata sui contenuti dei testi musicali per mette in luce le differenti tematiche, le immagini linguistiche e le figure retoriche cantate dall’artigiano-operaio per far emergere le differenze dell’idea di nazione tra i due contesti presi in esame. L’attenzione posta alla comparazione condurrà all’evidenziazione di punti di contatto tra le due nazioni. Il canto, infatti, costituisce un terreno privilegiato per comprendere l’immagine dell’“altro”: quale immagine possedevano i lavoratori francesi dell’Italia risorgimentale? E gli artigiani italiani come percepivano la nazione francese? Il canto viene analizzato non solamente come un “testo” ma anche come una “pratica sociale”. Queste operazioni permetteranno di sondare più in profondità la funzione sociale svolta dalla canzone all’interno della cultura popolare e la sua importanza in quanto forma d’espressione e vettore di politicizzazione. La duplice utilizzazione del canto, in quanto “testo” e “pratica”, consente di inserire la ricerca all’interno di un filone storiografico che dalla storia sociale si muove a quella culturale. La canzone sociale rappresenta un fertile terreno di ricerca, non solamente all’interno di un singolo territorio nazionale, ma possiede un prezioso valore euristico in funzione comparativa.
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Gli scavi effettuati a Classe, a sud di Ravenna, presso i siti archeologici dell'area portuale e della Basilica di San Severo, hanno portato alla luce un numero abbondante di moneta, 2564 dall'area portuale e 224 dalla basilica, un totale di 2788 reperti monetali, di cui solo 863 sono leggibili e databili. La datazione dei materiali dell’area portuale, fondata agli inizi del V secolo, parte dal II secolo a.C. fino all’VIII secolo d.C.. La maggior parte dei reperti è relativa al periodo tra il IV e il VII secolo, il momento di massima importanza del porto commerciale, con testimonianza di scambi con altri porti del bacino mediterraneo, in particolare con l’Africa del Nord e il Vicino Oriente. La documentazione proveniente dalla Basilica di San Severo, fondata alla fine del VI secolo per la custodia delle reliquie del santo, mostra un trend diverso dal precedente, con monetazione che copre un arco cronologico dal I secolo a.C. fino al XIV secolo d.C.. La continuità dell’insediamento è dimostrato dall’evidenza numismatica, seppur scarsa, fino alla costruzione del monastero a sud della basilica, l’area dalla quale provengono la maggior parte delle monete. I quantitativi importanti di monetazione tardoantica, ostrogota e bizantina, in particolare di tipi specifici come il Felix Ravenna, ipoteticamente coniato a Roma, oppure il ½ e il 1/4 di follis di produzione saloniana emesso da Giustiniano I, hanno concesso uno studio dettagliato per quello che riguarda il peso, le dimensioni e lo stile di produzione di queste emissioni. Questi dati e la loro distribuizione sul territorio ha suggerito nuove ipotesi per quello che riguarda la produzione di questi due tipi presso la zecca di Ravenna. Un altro dato importante è il rinvenimento di emissioni di Costantino VIII, alcune rare e altre sconosciute, rinvenute solo nel territorio limitrofo a Classe e Ravenna.
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Il presente lavoro si pone l'obiettivo di fornire una rilettura filologica delle fonti numismatiche sui membri femminili della domus imperiale romana da Livia a Matidia Maggiore, supportata da una schedatura informatizzata del documento monetale. La compilazione è stata condotta tramite lo spoglio dei repertori di maggiore consultazione (RIC, BMCRE, BNCMER, HCC) e ha posto l'attenzione sia sugli elementi iconografici che su quelli epigrafici che vanno a comporre l'aspetto estrinseco della moneta. La scelta di tali elementi nelle emissioni imperiali è l'espressione di un vero e proprio linguaggio dotato di una logica comunicativa ben precisa e finalizzata a garantire la comprensibilità del messaggio. La sua decodifica consente di individuare possibili linee di definizione del ruolo pubblico e politico delle Auguste nel quadro dell'ideologia imperiale. A veicolare questo significato contribuiscono ugualmente gli elementi iconografici, con valore connotativo rispetto al soggetto raffigurato, e quelli epigrafici, con valore esplicativo ai fini della comprensione del dato visivo. La moneta rappresenta dunque un documento complesso, che necessita di una specifica metodologia di indagine volta a interpretarne tutti gli elementi.
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La ricerca è stata incentrata su di una fonte di grande importanza per una più puntuale comprensione della vita del regno di Federico II: il Quaternus excadenciarum Capitinate. Essa ha tenuto presenti le altre fonti coeve: Liber Augustalis, Registro della Cancelleria di Federico II degli anni 1239-1240, fonti cronachistiche. Il Quaternus è un inventario di talune particolari categorie di beni demaniali, le excadencie, la cui concessione è scaduta e pertanto ritornano al fisco. Tali beni sono situati in 33 località del Giustizierato di Capitanata. Senza data, è stato redatto tra il 1249 e il 1250 (risultano inseriti i beni confiscati a Pier della Vigna, bollato di tradimento nel febbraio 1249). Obiettivo della ricerca è stato duplice: 1) analizzare e approfondire le questioni di natura giuridico-istituzionale ed economica implicate nel documento e tentare di ricostruire uno spaccato della Capitanata del XIII sec.; 2) offrire una nuova e più corretta edizione del testo. La prima parte dello studio ha inteso inquadrare il documento nel contesto delle esigenze proprie delle monarchie del tempo di tenere sotto controllo i beni immobili di ciascun regno ed analizzare la politica economica fridericiana (capp. I, II). La seconda parte è stata dedicata agli approfondimenti innanzi ricordati. Essa è struttura in sette capitoli (I. Il Quaternus excadenciarum Capitinate; II. Beni e diritti costituenti le excadencie Capitinate; III. Il Quaternus come specchio di una politica dispotica; IV. La gestione delle excadencie; V. Pesi e misure; VI. Monete e valori; VII. Il Quaternus come documento sullo stato della Capitanata nel XIII secolo). In appendice: tabelle che offrono per ciascuna delle 33 località considerate, puntuali indicazioni dei beni e diritti censiti, dei nomi dei titolari delle concessioni (spesso personaggi di rango) e delle relative rendite.
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Four seasons of excavations at Horvat Kur in the Galilee (250570/754485) have exposed the remains of a broadhouse synagogue from the Byzantine period. The building was entered through a portico on the west or a doorway on the south. The fill beneath the portico included the discarded remains of a once colored mosaic as well as more than 1000 coins. A low bench of basalt stones (some of which were plastered) runs along the interior walls, interrupted only by a stone bemah in the center of the southern wall. The synagogue is thus oriented toward Jerusalem. Near the bemah, an ornamented limestone seat was found in situ atop the bench. The building underwent several changes and repairs in the course of its lifespan. On either side of the bemah, north-south rows of columns rested on stylobate. A basalt stone table was found in re-use in the eastern stylobate. Nicknamed “the Horvat Kur stone,” this monolith features geometric figures on three sides and figurative representations on one side. Its original function is as yet subject of research. A narrow test-trench into the sediment of a cistern located outside the northern wall of the synagogue has produced nearly thirty intact vessels of the early Byzantine period, mostly cooking pots and water jars. In addition a dense sequence of pollen samples has been taken. Preliminary interpretation of these finds indicates that the Horvat Kur synagogue illustrates Byzantine synagogue construction, decoration, and use in the setting of a Galilean village of modest economic circumstances.
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The present article deals exemplarily with the remarkable iconographic attestations connected with the Wadi ed-Daliye (WD) findings. The discussed bullae were attached to papyri which provide a clear dating of the hoard between 375-335 BCE. Considering style and convention the preserved motives are to be classified as Persian, Greek or Greco-Persian. A major goal of the following presentation is the contextualization of the very material; this is achieved by taking into account local parallels as well as relevant attestations of the dominant / “imperial” cultures of Persia and Greece. The correlation of motives with the (often more complex, more detailed or more contoured) examples stemming from the “source-cultures” follows a clear agenda: It is methodologically based on the approach that was employed by Silvia Schroer and Othmar Keel throughout the project „Die Ikonographie Palästinas/Israels und der Alte Orient (IPIAO). Eine Religionsgeschichte in Bildern” (2005, 23ff). The WD-findings demand a careful analysis since the influencing cultures behind the imagery are deeply rooted in the field of Greek mythology and iconography. Special attention has to be drawn to the bullae, as far as excavated, from a huge Punic temple archive of Carthago (Berges 1997 and 2002) as well as those from the archive of the satrap seat in Daskyleion in the Northwest of Asia Minor (Kaptan 2002), which are chronologically close (end 5th and 4th century BCE) to the WD-finds. Not each and every single motive and artifact of the WD-corpus comprising more than 120 items can be dealt with in detail throughout the following pages. We refer to the editio princeps by Leith (1990, 1997) respectively to the concerning chapter in Keel’s Corpus volume II (Keel 2010, 340-379). The article gives a brief history of research (2.), some basic remarks on the development of style (3.) and a selection of detail-studies (4.). A crosscheck with other relevant corpora of stamp-seals (5.) as well as a compressed synthesis (6.) are contributions in order to characterize and classify the unique iconographic assemblage. There are rather few references to the late Persian coins from Samaria (Meshorer/Qedar 1999), which have been impressed about contemporaneous with the WD-bullae (372-333 BCE), as there is an article by Patrick Wyssmann in this volume about that specific corpus. Through the perspective of the late Persian iconography, Samaria appears as a dazzling metropolis at the crossroads of Greek and Persian culture, which is far away from a strict and revolutionary religious orthodoxy
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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.
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Internet está evolucionando hacia la conocida como Live Web. En esta nueva etapa en la evolución de Internet, se pone al servicio de los usuarios multitud de streams de datos sociales. Gracias a estas fuentes de datos, los usuarios han pasado de navegar por páginas web estáticas a interacturar con aplicaciones que ofrecen contenido personalizado, basada en sus preferencias. Cada usuario interactúa a diario con multiples aplicaciones que ofrecen notificaciones y alertas, en este sentido cada usuario es una fuente de eventos, y a menudo los usuarios se sienten desbordados y no son capaces de procesar toda esa información a la carta. Para lidiar con esta sobresaturación, han aparecido múltiples herramientas que automatizan las tareas más habituales, desde gestores de bandeja de entrada, gestores de alertas en redes sociales, a complejos CRMs o smart-home hubs. La contrapartida es que aunque ofrecen una solución a problemas comunes, no pueden adaptarse a las necesidades de cada usuario ofreciendo una solucion personalizada. Los Servicios de Automatización de Tareas (TAS de sus siglas en inglés) entraron en escena a partir de 2012 para dar solución a esta liminación. Dada su semejanza, estos servicios también son considerados como un nuevo enfoque en la tecnología de mash-ups pero centra en el usuarios. Los usuarios de estas plataformas tienen la capacidad de interconectar servicios, sensores y otros aparatos con connexión a internet diseñando las automatizaciones que se ajustan a sus necesidades. La propuesta ha sido ámpliamante aceptada por los usuarios. Este hecho ha propiciado multitud de plataformas que ofrecen servicios TAS entren en escena. Al ser un nuevo campo de investigación, esta tesis presenta las principales características de los TAS, describe sus componentes, e identifica las dimensiones fundamentales que los defines y permiten su clasificación. En este trabajo se acuña el termino Servicio de Automatización de Tareas (TAS) dando una descripción formal para estos servicios y sus componentes (llamados canales), y proporciona una arquitectura de referencia. De igual forma, existe una falta de herramientas para describir servicios de automatización, y las reglas de automatización. A este respecto, esta tesis propone un modelo común que se concreta en la ontología EWE (Evented WEb Ontology). Este modelo permite com parar y equiparar canales y automatizaciones de distintos TASs, constituyendo un aporte considerable paraa la portabilidad de automatizaciones de usuarios entre plataformas. De igual manera, dado el carácter semántico del modelo, permite incluir en las automatizaciones elementos de fuentes externas sobre los que razonar, como es el caso de Linked Open Data. Utilizando este modelo, se ha generado un dataset de canales y automatizaciones, con los datos obtenidos de algunos de los TAS existentes en el mercado. Como último paso hacia el lograr un modelo común para describir TAS, se ha desarrollado un algoritmo para aprender ontologías de forma automática a partir de los datos del dataset. De esta forma, se favorece el descubrimiento de nuevos canales, y se reduce el coste de mantenimiento del modelo, el cual se actualiza de forma semi-automática. En conclusión, las principales contribuciones de esta tesis son: i) describir el estado del arte en automatización de tareas y acuñar el término Servicio de Automatización de Tareas, ii) desarrollar una ontología para el modelado de los componentes de TASs y automatizaciones, iii) poblar un dataset de datos de canales y automatizaciones, usado para desarrollar un algoritmo de aprendizaje automatico de ontologías, y iv) diseñar una arquitectura de agentes para la asistencia a usuarios en la creación de automatizaciones. ABSTRACT The new stage in the evolution of the Web (the Live Web or Evented Web) puts lots of social data-streams at the service of users, who no longer browse static web pages but interact with applications that present them contextual and relevant experiences. Given that each user is a potential source of events, a typical user often gets overwhelmed. To deal with that huge amount of data, multiple automation tools have emerged, covering from simple social media managers or notification aggregators to complex CRMs or smart-home Hub/Apps. As a downside, they cannot tailor to the needs of every single user. As a natural response to this downside, Task Automation Services broke in the Internet. They may be seen as a new model of mash-up technology for combining social streams, services and connected devices from an end-user perspective: end-users are empowered to connect those stream however they want, designing the automations they need. The numbers of those platforms that appeared early on shot up, and as a consequence the amount of platforms following this approach is growing fast. Being a novel field, this thesis aims to shed light on it, presenting and exemplifying the main characteristics of Task Automation Services, describing their components, and identifying several dimensions to classify them. This thesis coins the term Task Automation Services (TAS) by providing a formal definition of them, their components (called channels), as well a TAS reference architecture. There is also a lack of tools for describing automation services and automations rules. In this regard, this thesis proposes a theoretical common model of TAS and formalizes it as the EWE ontology This model enables to compare channels and automations from different TASs, which has a high impact in interoperability; and enhances automations providing a mechanism to reason over external sources such as Linked Open Data. Based on this model, a dataset of components of TAS was built, harvesting data from the web sites of actual TASs. Going a step further towards this common model, an algorithm for categorizing them was designed, enabling their discovery across different TAS. Thus, the main contributions of the thesis are: i) surveying the state of the art on task automation and coining the term Task Automation Service; ii) providing a semantic common model for describing TAS components and automations; iii) populating a categorized dataset of TAS components, used to learn ontologies of particular domains from the TAS perspective; and iv) designing an agent architecture for assisting users in setting up automations, that is aware of their context and acts in consequence.
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Este trabajo se cuestiona la potencialidad de la arqueología para reconocer los rasgos y, sobre todo datar los hitos del proceso de islamización en al-Andalus. Se plantea la posibilidad de aportar indicadores materiales precisos para reconocer el ritmo y la magnitud de dicho proceso formativo, estableciendo sus fases. Se analizan los principales aspectos materiales y arqueológicos.
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Les trouvailles de monnaies carolingiennes dans la péninsule ibérique sont peu abondantes, surtout pour les pièces frappées dans la Marche d’Espagne. Cet article présente l’état des connaissances sur cette question à propos d’un fragment de denier carolingien trouvé dans les fouilles archéologiques du site d’El Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete, Espagne). Il s’agit d’une émission de Charlemagne de l’atelier de Roda, situé dans la Marche d’Espagne, atelier dont on ne connaissait jusqu’à maintenant qu’une seule pièce pour ce souverain franc. Le contexte stratigraphique de ce denier apporte une donnée intéressante sur le moment de son utilisation et en fait un des plus anciens exemples de la circulation de monnaies carolingiennes dans la Péninsule ibérique.
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Presentamos un conjunto de 424 monedas y 4 objetos de oro recuperados durante la excavación de una vivienda islámica en la calle Jabonerías de Murcia construida en el siglo XI. Las monedas se hallaban en el interior de una vasija cerámica que se ocultaba en uno de los muros de dicha casa. El tesorillo está compuesto por moneda procedente del norte de África y Sicilia, mayoritariamente fatimí, y fracciones de dinar de las taifas andalusíes.
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Los trabajos arqueológicos realizados en El Tolmo de Minateda (Hellín, Albacete) han permitido sacar a la luz los vestigios de una civitas visigoda creada a finales del siglo VI o inicios del VII. El material numismático recuperado en los niveles de uso y abandono de esta civitas está formado fundamentalmente por numerario de cobre de adscripción romana bajoimperial, y por tremises de oro de baja ley emitidos por el Estado visigodo. La contextualización estratigráfica y espacial de estas monedas ha permitido plantear diversas cuestiones referidas a la presencia y uso del numerario en época visigoda.
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En el año 2002 fueron descubiertos en la zona SO de la ciudad de Ávila los restos de una villa romana suburbana con una cronología aproximada del siglo I d.C. al siglo II d.C. En este trabajo se estudian las monedas halladas en esta intervención. Además de la catalogación de estas monedas y la valoración conjunta de todos los elementos exhumados, nos aproximamos a la historia romana de la ciudad de Ávila.
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This review refers to the Silphium (Apiaceae), one of the most enigmatic plants in the history of the Mediterranean. In Greco-Roman world, it was a panacea and especially, a powerful aphrodisiac which left many written historical references, in addition to their image mosaics and coins. Silphium extinction, due to over-exploitation is certainly a good example for the conservation of biodiversity and for the defense of sustainable use of natural resources.
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Folded leaf containing handwritten notes and figures related to tax acts, including a section of notes related to the use of "Sevill, Pillar, or Mexico" foreign silver coins. A section of the text is written in very faded pencil.