965 resultados para Ameskar Valley, High Atlas Mountains


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This study intends to evaluate the effects of landscape physical elements (rocks and relief) associated with silviculture activities. The study was carried out on a small farm (Fazenda Santa Edwirges) covered by Eucalyptus forested situated in the Paraiba do Sul Basin, Southeast Brazil. The methodology consisted of detailed geological and geomorphological studies at 1:10,000 scale, and laboratory analysis of soil physical properties. The results showed three geologic-geomorphologic associations (ridge escarpment with granitic rocks, steep and gentle hills cut by shear zones and gentle hill with alluvial sediments) present high vulnerability for the development of the physical processes such as accelerated erosion landslides and flooding. In contrast, mountains associated with gneissic rocks present smaller vulnerability and high resilience for the development of the physical processes. The results have showed the importance of considering the interactions among landscape physical for the eucalyptus forest management contributing to a better selection area for eucalyptus cultivation and minimize adverse environment impact in road design.

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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

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O presente trabalho teve como objetivo principal caracterizar a variação prosódica dialetal do português falado na zona rural da cidade de Belém (PA), distrito de Mosqueiro. A pesquisa de campo foi feita com base na metodologia utilizada pelo projeto AMPER, com o corpus constituído de 102 frases, obedecendo às mesmas restrições fonético-sintáticas. Dessa forma, as frases utilizadas nas gravações para a composição do corpus da zona rural de Belém analisadas neste trabalho são do tipo SVC (Sujeito + Verbo + complemento) e suas expansões com a inclusão de Sintagmas Adjetivais e Adverbiais. As sentenças do corpus têm 10, 13 e 14 vogais, sendo que os dois últimos tipos apresentam sintagma com extensão adjetival ou adverbial, respectivamente, à direita do verbo, como em “O pássaro gosta do Renato nadador” ou “O pássaro gosta do Renato de Mônaco”. Cada sentença foi repetida seis vezes, formando um corpus total de 612 frases por cada informante. Os parâmetros acústicos utilizados foram: a duração, a frequência fundamental e a intensidade. A análise dos parâmetros foi feita por meio de dados gerados nos aplicativos PRAAT, Interface MatLab e gráficos gerados no Excel. A pesquisa reuniu dados referentes a seis informantes adultos, de ambos os sexos, com nível de escolaridade fundamental, médio e superior. Os resultados forneceram um desenho entoacional comparativo entre as frases declarativas e interrogativas, além de breves observações sobre o comportamento das vogais pretônicas, postônicas e tônicas, de acordo com as estruturas acentuais e das palavras em diferentes posições frásicas. O foco foi direcionado para o Sintagma Nominal Final e suas extensões sobre o qual verificamos que a sentença interrogativa inicia sua curva melódica baixa em decorrência do pico entoacional no verbo “gosta”, e posterior ascendência na sílaba tônica; e a declarativa inicia a curva com ascendência até a pré-tônica e posterior descendência no final do percurso melódico.

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Background: Iran is an area of particular interest for investigating goat diversity. Archaeological remains indicate early goat domestication (about 10 000 years ago) in the Iranian Zagros Mountains as well as in the high Euphrates valley and southeastern Anatolia. In addition, mitochondrial DNA data of domestic goats and wild ancestors (C. aegagrusor bezoar) suggest a pre-domestication management of wild populations in southern Zagros and central Iranian Plateau. In this study genetic diversity was assessed in seven Iranian native goat breeds, namely Markhoz, Najdi, Taleshi, Khalkhali, Naini, native Abadeh and Turki-Ghashghaei. A total of 317 animals were characterized using 14 microsatellite loci. Two Pakistani goat populations, Pahari and Teddy, were genotyped for comparison.Results: Iranian goats possess a remarkable genetic diversity (average expected heterozygosity of 0.671 across loci, 10.7 alleles per locus) mainly accounted for by the within-breed component (G(ST) = 5.9%). Positive and highly significant F-IS values in the Naini, Turki-Ghashghaei, Abadeh and Markhoz breeds indicate some level of inbreeding in these populations. Multivariate analyses cluster Iranian goats into northern, central and western groups, with the western breeds relatively distinct from the others. Pakistani breeds show some relationship with Iranian populations, even if their position is not consistent across analyses. Gene flow was higher within regions (west, north, central) compared to between regions but particularly low between the western and the other two regions, probably due to the isolating topography of the Zagros mountain range. The Turki-Ghashghaei, Najdi and Abadeh breeds are reared in geographic areas where mtDNA provided evidence of early domestication. These breeds are highly variable, located on basal short branches in the neighbor-joining tree, close to the origin of the principal component analysis plot and, although highly admixed, they are quite distinct from those reared on the western side of the Zagros mountain range.Conclusions: These observations call for further investigation of the nuclear DNA diversity of these breeds within a much wider geographic context to confirm or re-discuss the current hypothesis (based on maternal lineage data) of an almost exclusive contribution of the eastern Anatolian bezoar to the domestic goat gene pool.

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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.

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Throughout the alpine domain, shallow landslides represent a serious geologic hazard, often causing severe damages to infrastructures, private properties, natural resources and in the most catastrophic events, threatening human lives. Landslides are a major factor of landscape evolution in mountainous and hilly regions and represent a critical issue for mountainous land management, since they cause loss of pastoral lands. In several alpine contexts, shallow landsliding distribution is strictly connected to the presence and condition of vegetation on the slopes. With the aid of high-resolution satellite images, it's possible to divide automatically the mountainous territory in land cover classes, which contribute with different magnitude to the stability of the slopes. The aim of this research is to combine EO (Earth Observation) land cover maps with ground-based measurements of the land cover properties. In order to achieve this goal, a new procedure has been developed to automatically detect grass mantle degradation patterns from satellite images. Moreover, innovative surveying techniques and instruments are tested to measure in situ the shear strength of grass mantle and the geomechanical and geotechnical properties of these alpine soils. Shallow landsliding distribution is assessed with the aid of physically based models, which use the EO-based map to distribute the resistance parameters across the landscape.

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Das Standardmodell der Teilchenphysik, das drei der vier fundamentalen Wechselwirkungen beschreibt, stimmt bisher sehr gut mit den Messergebnissen der Experimente am CERN, dem Fermilab und anderen Forschungseinrichtungen überein. rnAllerdings können im Rahmen dieses Modells nicht alle Fragen der Teilchenphysik beantwortet werden. So lässt sich z.B. die vierte fundamentale Kraft, die Gravitation, nicht in das Standardmodell einbauen.rnDarüber hinaus hat das Standardmodell auch keinen Kandidaten für dunkle Materie, die nach kosmologischen Messungen etwa 25 % unseres Universum ausmacht.rnAls eine der vielversprechendsten Lösungen für diese offenen Fragen wird die Supersymmetrie angesehen, die eine Symmetrie zwischen Fermionen und Bosonen einführt. rnAus diesem Modell ergeben sich sogenannte supersymmetrische Teilchen, denen jeweils ein Standardmodell-Teilchen als Partner zugeordnet sind.rnEin mögliches Modell dieser Symmetrie ist das R-Paritätserhaltende mSUGRA-Modell, falls Supersymmetrie in der Natur realisiert ist.rnIn diesem Modell ist das leichteste supersymmetrische Teilchen (LSP) neutral und schwach wechselwirkend, sodass es nicht direkt im Detektor nachgewiesen werden kann, sondern indirekt über die vom LSP fortgetragene Energie, die fehlende transversale Energie (etmiss), nachgewiesen werden muss.rnrnDas ATLAS-Experiment wird 2010 mit Hilfe des pp-Beschleunigers LHC mit einer Schwerpunktenergie von sqrt(s)=7-10 TeV mit einer Luminosität von 10^32 #/(cm^2*s) mit der Suche nach neuer Physik starten.rnDurch die sehr hohe Datenrate, resultierend aus den etwa 10^8 Auslesekanälen des ATLAS-Detektors bei einer Bunchcrossingrate von 40 MHz, wird ein Triggersystem benötigt, um die zu speichernde Datenmenge zu reduzieren.rnDabei muss ein Kompromiss zwischen der verfügbaren Triggerrate und einer sehr hohen Triggereffizienz für die interessanten Ereignisse geschlossen werden, da etwa nur jedes 10^8-te Ereignisse für die Suche nach neuer Physik interessant ist.rnZur Erfüllung der Anforderungen an das Triggersystem wird im Experiment ein dreistufiges System verwendet, bei dem auf der ersten Triggerstufe mit Abstand die höchste Datenreduktion stattfindet.rnrnIm Rahmen dieser Arbeit rn%, die vollständig auf Monte-Carlo-Simulationen basiert, rnist zum einen ein wesentlicher Beitrag zum grundlegenden Verständnis der Eigenschaft der fehlenden transversalen Energie auf der ersten Triggerstufe geleistet worden.rnZum anderen werden Methoden vorgestellt, mit denen es möglich ist, die etmiss-Triggereffizienz für Standardmodellprozesse und mögliche mSUGRA-Szenarien aus Daten zu bestimmen. rnBei der Optimierung der etmiss-Triggerschwellen für die erste Triggerstufe ist die Triggerrate bei einer Luminosität von 10^33 #/(cm^2*s) auf 100 Hz festgelegt worden.rnFür die Triggeroptimierung wurden verschiedene Simulationen benötigt, bei denen eigene Entwicklungsarbeit eingeflossen ist.rnMit Hilfe dieser Simulationen und den entwickelten Optimierungsalgorithmen wird gezeigt, dass trotz der niedrigen Triggerrate das Entdeckungspotential (für eine Signalsignifikanz von mindestens 5 sigma) durch Kombinationen der etmiss-Schwelle mit Lepton bzw. Jet-Triggerschwellen gegenüber dem bestehenden ATLAS-Triggermenü auf der ersten Triggerstufe um bis zu 66 % erhöht wird.

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Das Ziel dieser Arbeit bestand in der Untersuchung der Störungsverteilung und der Störungskinematik im Zusammenhang mit der Hebung der Riftschultern des Rwenzori Gebirges.rnDas Rwenzori Gebirge befindet sich im NNE-SSWbis N-S verlaufenden Albertine Rift, des nördlichsten Segments des westlichen Armes des Ostafrikanischen Grabensystems. Das Albertine Rift besteht aus Becken unterschiedlicher Höhe, die den Lake Albert, Lake Edward, Lake George und Lake Kivu enthalten. Der Rwenzori horst trennt die Becken des Lake Albert und des Lake Edward. Es erstreckt sich 120km in N-S Richtung, sowie 40-50km in E-W Richtung, der h¨ochste Punkt befindet sich 5111 ü. NN. Diese Studie untersucht einen Abschnitt des Rifts zwischen etwa 1°N und 0°30'S Breite sowie 29°30' und 30°30' östlicher Länge ersteckt. Auch die Feldarbeit konzentrierte sich auf dieses Gebiet.rnrnHauptzweck dieser Studie bestand darin, die folgende These auf ihre Richtigkeit zu überprüfen: ’Wenn es im Verlauf der Zeit tatsächlich zu wesentlichen Änderungen in der Störungskinematik kam, dann ist die starke Hebung der Riftflanken im Bereich der Rwenzoris nicht einfach durch Bewegung entlang der Graben-Hauptst¨orungen zu erklären. Vielmehr ist sie ein Resultat des Zusammenspiels mehrerer tektonische Prozesse, die das Spannungsfeld beeinflussen und dadurch Änderungen in der Kinematik hervorrufen.’ Dadurch konzentrierte sich die Studie in erster Linie auf die Störungsanalyse.rnrnDie Kenntnis regionaler Änderungen der Extensionsrichtung ist entscheidend für das Verständnis komplexer Riftsysteme wie dem Ostafrikanischen Graben. Daher bestand der Kern der Untersuchung in der Kartierung von Störungen und der Untersuchung der Störungskinematik. Die Aufnahme strukturgeologischer Daten konzentrierte sich auf die Ugandische Seite des Rifts, und Pal¨aospannungen wurden mit Hilfe von St¨orungsdaten durch Spannungsinversion rekonstruiert.rnDie unterschiedliche Orientierung spr¨oder Strukturen im Gelände, die geometrische Analyse der geologischen Strukturen sowie die Ergebnisse von Mikrostrukturen im Dünnschliff (Kapitel 4) weisen auf verschiedene Spannungsfelder hin, die auf mögliche Änderungen der Extensionsrichtung hinweisen. Die Resultate der Spannungsinversion sprechen für Ab-, Über- und Blattverschiebungen sowie für Schrägüberschiebungen (Kapitel 5). Aus der Orientierung der Abschiebungen gehen zwei verschiedene Extensionsrichtungen hervor: im Wesentlichen NW-SE Extension in fast allen Gebieten, sowie NNE-SSW Extension im östlichen Zentralbereich.rnAus der Analyse von Blattverschiebungen ergaben sich drei unterschiedliche Spannungszustände. Zum Einen NNW-SSE bis N-S Kompression in Verbindung mit ENE-WSW bzw E-W Extension wurde für die nördlichen und die zentralen Ruwenzoris ausgemacht. Ein zweiter Spannungszustand mit WNW-ESE Kompression/NNE-SSW Extension betraf die Zentralen Rwenzoris. Ein dritter Spannungszustand mit NNW-SSE Extension betraf den östlichen Zentralteil der Rwenzoris. Schrägüberschiebungen sind durch dazu schräge Achsen charakterisiert, die für N-S bis NNW-SSE Kompression sprechen und ausschließlich im östlichen Zentralabschnitt auftreten. Überschiebungen, die hauptsächlich in den zentralen und den östlichen Rwenzoris auftreten, sprechen für NE-SW orientierten σ2-Achsen und NW-SE Extension.rnrnEs konnten drei unterschiedliche Spannungseinflüsse identifiziert werden: auf die kollisionsbedingte Bildung eines Überschiebungssystem folgte intra-kratonische Kompression und schließlich extensionskontrollierte Riftbildung. Der Übergang zwischen den beiden letztgenannten Spannungszuständen erfolgte Schrittweise und erzeugte vermutlich lokal begrenzte Transpression und Transtension. Gegenw¨artig wird die Störungskinematik der Region durch ein tensiles Spannungsregime in NW-SE bis N-S Richtung bestimmt.rnrnLokale Spannungsvariationen werden dabei hauptsächlich durch die Interferenzrndes regionalen Spannungsfeldes mit lokalen Hauptst¨orungen verursacht. Weitere Faktoren die zu lokalen Veränderungen des Spannungsfeldes führen können sind unterschiedliche Hebungsgeschwindigkeiten, Blockrotation oder die Interaktion von Riftsegmenten. Um den Einfluß präexistenter Strukturen und anderer Bedingungen auf die Hebung der Rwenzoris zu ermitteln, wurde der Riftprozeß mit Hilfe eines analogen ’Sandbox’-Modells rekonstruiert (Kapitel 6). Da sich die Moho-Diskontinuität im Bereich des Arbeitsgebietes in einer Tiefe von 25 km befindet, aktive Störungen aber nur bis zu einer Tiefe von etwa 20 km beobachtet werden können (Koehn et al. 2008), wurden nur die oberen 25 km im Modell nachbebildet. Untersucht und mit Geländebeobachtungen verglichen wurden sowohl die Reihenfolge, in der Riftsegmente entstehen, als auch die Muster, die sich im Verlauf der Nukleierung und des Wachstums dieser Riftsegmente ausbilden. Das Hauptaugenmerk wurde auf die Entwicklung der beiden Subsegmente gelegt auf denen sich der Lake Albert bzw. der Lake Edward und der Lake George befinden, sowie auf das dazwischenliegende Rwenzori Gebirge. Das Ziel der Untersuchung bestand darin herauszufinden, in welcher Weise das südwärts propagierende Lake Albert-Subsegment mit dem sinistral versetzten nordwärts propagierenden Lake Edward/Lake George-Subsegment interagiert.rnrnVon besonderem Interesse war es, in welcherWeise die Strukturen innerhalb und außerhalb der Rwenzoris durch die Interaktion dieser Riftsegmente beeinflußt wurden. rnrnDrei verschiedene Versuchsreihen mit unterschiedlichen Randbedingungen wurden miteinander verglichen. Abhängig vom vorherrschenden Deformationstyp der Transferzone wurden die Reihen als ’Scherungs-dominiert’, ’Extensions-dominiert’ und als ’Rotations-dominiert’ charakterisiert. Die Beobachtung der 3-dimensionalen strukturellen Entwicklung der Riftsegmente wurde durch die Kombination von Modell-Aufsichten mit Profilschnitten ermöglicht. Von den drei genannten Versuchsreihen entwickelte die ’Rotationsdominierten’ Reihe einen rautenförmiger Block im Tranferbereich der beiden Riftsegmente, der sich um 5−20° im Uhrzeigersinn drehte. DieserWinkel liegt im Bereich des vermuteten Rotationswinkel des Rwenzori-Blocks (5°). Zusammengefasst untersuchen die Sandbox-Versuche den Einfluss präexistenter Strukturen und der Überlappung bzw. Überschneidung zweier interagierender Riftsegmente auf die Entwicklung des Riftsystems. Sie befassen sich darüber hinaus mit der Frage, welchen Einfluss Blockbildung und -rotation auf das lokale Stressfeld haben.

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In hadronischen Kollisionen entstehen bei einem Großteil der Ereignisse mit einem hohen Impulsübertrag Paare aus hochenergetischen Jets. Deren Produktion und Eigenschaften können mit hoher Genauigkeit durch die Störungstheorie in der Quantenchromodynamik (QCD) vorhergesagt werden. Die Produktion von \textit{bottom}-Quarks in solchen Kollisionen kann als Maßstab genutzt werden, um die Vorhersagen der QCD zu testen, da diese Quarks die Dynamik des Produktionsprozesses bei Skalen wieder spiegelt, in der eine Störungsrechnung ohne Einschränkungen möglich ist. Auf Grund der hohen Masse von Teilchen, die ein \textit{bottom}-Quark enthalten, erhält der gemessene, hadronische Zustand den größten Teil der Information von dem Produktionsprozess der Quarks. Weil sie eine große Produktionsrate besitzen, spielen sie und ihre Zerfallsprodukte eine wichtige Rolle als Untergrund in vielen Analysen, insbesondere in Suchen nach neuer Physik. In ihrer herausragenden Stellung in der dritten Quark-Generation könnten sich vermehrt Zeichen im Vergleich zu den leichteren Quarks für neue Phänomene zeigen. Daher ist die Untersuchung des Verhältnisses zwischen der Produktion von Jets, die solche \textit{bottom}-Quarks enthalten, auch bekannt als $b$-Jets, und aller nachgewiesener Jets ein wichtiger Indikator für neue massive Objekte. In dieser Arbeit werden die Produktionsrate und die Korrelationen von Paaren aus $b$-Jets bestimmt und nach ersten Hinweisen eines neuen massiven Teilchens, das bisher nicht im Standard-Modell enthalten ist, in dem invarianten Massenspektrum der $b$-Jets gesucht. Am Large Hadron Collider (LHC) kollidieren zwei Protonenstrahlen bei einer Schwerpunktsenergie von $\sqrt s = 7$ TeV, und es werden viele solcher Paare aus $b$-Jets produziert. Diese Analyse benutzt die aufgezeichneten Kollisionen des ATLAS-Detektors. Die integrierte Luminosität der verwendbaren Daten beläuft sich auf 34~pb$^{-1}$. $b$-Jets werden mit Hilfe ihrer langen Lebensdauer und den rekonstruierten, geladenen Zerfallsprodukten identifiziert. Für diese Analyse müssen insbesondere die Unterschiede im Verhalten von Jets, die aus leichten Objekten wie Gluonen und leichten Quarks hervorgehen, zu diesen $b$-Jets beachtet werden. Die Energieskala dieser $b$-Jets wird untersucht und die zusätzlichen Unsicherheit in der Energiemessung der Jets bestimmt. Effekte bei der Jet-Rekonstruktion im Detektor, die einzigartig für $b$-Jets sind, werden studiert, um letztlich diese Messung unabhängig vom Detektor und auf Niveau der Hadronen auswerten zu können. Hiernach wird die Messung zu Vorhersagen auf nächst-zu-führender Ordnung verglichen. Dabei stellt sich heraus, dass die Vorhersagen in Übereinstimmung zu den aufgenommenen Daten sind. Daraus lässt sich schließen, dass der zugrunde liegende Produktionsmechanismus auch in diesem neu erschlossenen Energiebereich am LHC gültig ist. Jedoch werden auch erste Hinweise auf Mängel in der Beschreibung der Eigenschaften dieser Ereignisse gefunden. Weiterhin können keine Anhaltspunkte für eine neue Resonanz, die in Paare aus $b$-Jets zerfällt, in dem invarianten Massenspektrum bis etwa 1.7~TeV gefunden werden. Für das Auftreten einer solchen Resonanz mit einer Gauß-förmigen Massenverteilung werden modell-unabhängige Grenzen berechnet.

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Top quark studies play an important role in the physics program of the Large Hadron Collider (LHC). The energy and luminosity reached allow the acquisition of a large amount of data especially in kinematic regions never studied before. In this thesis is presented the measurement of the ttbar production differential cross section on data collected by ATLAS in 2012 in proton proton collisions at \sqrt{s} = 8 TeV, corresponding to an integrated luminosity of 20.3 fb^{−1}. The measurement is performed for ttbar events in the semileptonic channel where the hadronically decaying top quark has a transverse momentum above 300 GeV. The hadronic top quark decay is reconstructed as a single large radius jet and identified using jet substructure properties. The final differential cross section result has been compared with several theoretical distributions obtaining a discrepancy of about the 25% between data and predictions, depending on the MC generator. Furthermore the kinematic distributions of the ttbar production process are very sensitive to the choice of the parton distribution function (PDF) set used in the simulations and could provide constraints on gluons PDF. In particular in this thesis is performed a systematic study on the PDF of the protons, varying several PDF sets and checking which one better describes the experimental distributions. The boosted techniques applied in this measurement will be fundamental in the next data taking at \sqrt{s}=13 TeV when will be produced a large amount of heavy particles with high momentum.

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Although the period of the historic “Celtic migrations” is archaeologically extensively studied, the long-lasting question whether mass migration or increased individual mobility caused the expansion of the La Tène culture throughout continental Europe persist. Strontium (Sr) and in part oxygen (O) isotope analysis of human remains from the early La Tène cemeteries of Nebringen (Germany), Münsingen-Rain (Switzerland), Monte Bibele (Italy) and the Czech cemeteries of Radovesice I, Radovesice II and Kutná Hora was, therefore, carried out to investigate the importance of residential changes during this time period. These isotope analyses showed that most analysed individuals either came from the area they were buried in or from the surrounding area of the cemetery. An exception was formed by the Czech cemeteries, where almost a quarter of the studied individuals appeared non-local. Together with Nebringen, these cemeteries also had the most varied Sr isotope ratios, which suggest highly mobile communities in which individuals regularly changed their residency. The isotopic ratios of the cemeteries of Münsingen-Rain and Monte Bibele appeared far less varied. In part, these differences might be explained by the community structures of these cemeteries. Morphological kinship analysis in Münsingen-Rain demonstrated biological relatedness among most of the analysed individuals. These related individuals also shared similar isotope signatures, which suggest an origin from the surrounding Aar Valley. In the vicinity of the cemetery of Monte Bibele, an associated settlement site was discovered. The deceased presumably not only shared this settlement, but also cultivated the same land plots. Dispersed settlement structures were suggested for Nebringen, Radovesice and Kutná Hora, as these agriculturally favourable landscapes were densely populated during prehistoric times. Connected to these community structures are the prevailing geological conditions in these areas. Both Münsingen-Rain and Monte Bibele are located in a region where homogeneous geological conditions prevail, whereas the landscapes of Nebringen, Radovesice and Kutná Hora are characterised by complex heterogeneous geological conditions. As the majority of individuals in Nebringen and the Czech cemeteries correspond to the expected isotope values for the studied areas, regularly changing land plots might have contributed to the observed variation. Although mass migration as depicted by the historical sources was not observed individual mobility of a small part of these studied communities certainly played a role. Males appeared, thereby, to have slightly more often a non-local birthplace or moved during childhood. Male mobility was, however, not always associated with burial as a warrior. Females, on the other hand, originated more often from the region. Patrilocal residential patterns, with the exception of the Czech cemeteries, were nevertheless not observed. Objects and ideas also seem to have been exchanged freely, as there are no indications that individuals with particular grave goods came from specific areas. It rather appears that the individuals buried with them were either local or had different places of origin. This can be explained by the fact that the exact origin of grave goods is difficult to establish and the occurrence of similar 87Sr/86Sr values in different areas. This study provided important new insights on the period of the “Celtic migrations” and the way of life of these prehistoric people.

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Die Quantenchromodynamik ist die zugrundeliegende Theorie der starken Wechselwirkung und kann in zwei Bereiche aufgeteilt werden. Harte Streuprozesse, wie zum Beispiel die Zwei-Jet-Produktion bei hohen invarianten Massen, können störungstheoretisch behandelt und berechnet werden. Bei Streuprozessen mit niedrigen Impulsüberträgen hingegen ist die Störungstheorie nicht mehr anwendbar und phänemenologische Modelle werden für Vorhersagen benutzt. Das ATLAS Experiment am Large Hadron Collider am CERN ermöglicht es, QCD Prozesse bei hohen sowie niedrigen Impulsüberträgen zu untersuchen. In dieser Arbeit werden zwei Analysen vorgestellt, die jeweils ihren Schwerpunkt auf einen der beiden Regime der QCD legen:rnDie Messung von Ereignisformvariablen bei inelastischen Proton--Proton Ereignissen bei einer Schwerpunktsenergie von $sqrt{s} = unit{7}{TeV}$ misst den transversalen Energiefluss in hadronischen Ereignissen. rnDie Messung des zweifachdifferentiellen Zwei-Jet-Wirkungsquerschnittes als Funktion der invarianten Masse sowie der Rapiditätsdifferenz der beiden Jets mit den höchsten Transversalimpulsen kann genutzt werden um Theorievorhersagen zu überprüfen. Proton--Proton Kollisionen bei $sqrt{s} = unit{8}{TeV}$, welche während der Datennahme im Jahr 2012 aufgezeichnet wurden, entsprechend einer integrierten Luminosität von $unit{20.3}{fb^{-1}}$, wurden analysiert.rn

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Measurements of the self coupling between bosons are important to test the electroweak sector of the Standard Model (SM). The production of pairs of Z bosons through the s-channel is forbidden in the SM. The presence of physics, beyond the SM, could lead to a deviation of the expected production cross section of pairs of Z bosons due to the so called anomalous Triple Gauge Couplings (aTGC). Proton-proton data collisions at the Large Hadron Collider (LHC) recorded by the ATLAS detector at a center of mass energy of 8 TeV were analyzed corresponding to an integrated luminosity of 20.3 fb-1. Pairs of Z bosons decaying into two electron-positron pairs are searched for in the data sample. The effect of the inclusion of detector regions corresponding to high values of the pseudorapidity was studied to enlarge the phase space available for the measurement of the ZZ production. The number of ZZ candidates was determined and the ZZ production cross section was measured to be: rn7.3±1.0(Stat.)±0.4(Sys.)±0.2(lumi.)pb, which is consistent with the SM expectation value of 7.2±0.3pb. Limits on the aTGCs were derived using the observed yield, which are twice as stringent as previous limits obtained by ATLAS at a center of mass energy of 7 TeV.