950 resultados para 345 Diritto penale (Classificare qui il Diritto internazionale penale)


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Nel Capitolo I abbiamo osservato come la legittimazione abbia per oggetto la fonte di produzione del diritto, mentre la legalità l’atto emanato dalla fonte nell’esercizio del potere. La legittimazione è fondamento del potere, attiene alla sua titolarità e giustifica l’obbedienza e l’uso della forza. La legalità si riferisce all’esercizio del potere, regolandolo. Si è visto come «quando si esige la legittimazione del potere, si chiede che colui che lo detiene abbia il diritto di averlo. Quando si invoca la legalità del potere, si domanda che chi lo detiene lo eserciti non secondo il proprio capriccio ma in conformità di regole stabilite ed entro i limiti di queste. Il contrario del potere legittimo è il potere di fatto, il contrario del potere legale è il potere arbitrario» . Si è poi precisato che legittimazione e legalità sono i fondamenti alla base dello Stato democratico: laddove non v’è legittimazione non vi può essere neppure democrazia, distinguendo la legittimazione formale, che riguarda chi è legittimato ad agire, ad esercitare il potere, compiendo atti giuridici prescrittivi; dalla legittimazione sostanziale, che riguarda invece che cosa non può e che cosa non può non essere deciso, ossia i limiti e i vincoli imposti all’esercizio del potere . La legittimazione è però presente in tutte le forme di Stato, tanto in quelli autoritari, quanto in quelli democratici. Ciò che distingue tra autoritarietà e democraticità dello Stato è il tipo di atto attraverso il quale si manifesta la legittimazione del potere. Il potere autoritario riceve la propria legittimazione attraverso atti di fede, quello democratico con atti di fiducia. Gli atti di fede possono solo essere spezzati, rotti. Al contrario, gli atti di fiducia possono essere rinnovati o revocati, e pertanto hanno bisogno di norme legali che ne regolino il funzionamento. In tal senso, modelli autoritari e democratici differiscono ulteriormente: nei primi, legittimato il potere, è legittimo tutto ciò che di esso è manifestazione; si può dire che la legittimazione resta tutta assorbita nella legalità. Diversamente, nei modelli democratici, è necessario vi siano norme che disciplinano quell’atto di fiducia legittimante il potere, ma non solo, ve ne devono anche essere altre che regolino l’esercizio del potere stesso. Non solo, ma la legittimazione per essere democratica deve avvenire periodicamente e ha bisogno di un pubblico attivo, informato, consapevole dei suoi diritti, perché è la democrazia ad aver bisogno di un pubblico, di un consenso sociale, che attraverso la propria legittimazione del potere controlli chi quel potere è chiamato ad esercitarlo. Si comprende, allora, perché il principio di legalità in sé e per sé non può garantire la democrazia. Esso garantisce la conformità alla legge, la non arbitrarietà nell’esercizio del potere, ma nulla dice su chi quella legge ha il potere di emanarla, e infatti l’art. 1 del Codice Rocco, durante il fascismo, non garantiva certo le libertà democratiche. Allo stesso modo, la legittimazione sociale in sé e per sé non garantisce la democrazia, perché anche forme di Stato autoritarie, plebiscitarie, hanno un consenso sociale che le sorregge e legittima tutto ciò che chi esercita il potere decide di fare, almeno fino a quando continuano ad avervi fede. Nel Capitolo II abbiamo mostrato come, attraverso la riserva di legge, la Costituzione garantisca entrambi i fondamenti democratici: quello della legalità nell’esercizio della potestà punitiva e quello della legittimazione del Parlamento che la esercita. Dunque, legalità e legittimazione periodica sono un binomio indissolubile, perché possa aversi uno Stato democratico; inoltre è necessario che l’esercizio del potere avvenga “in pubblico” e che l’opinione pubblica abbia una coscienza critica che le consenta di valutare e orientare le proprie scelte. È stato poi sostenuto nel Capitolo III come lo stesso Parlamento non possa – in democrazia – essere libero di sanzionare con pena tutto ciò che vuole, ma sia vincolato direttamente dalla Costituzione rigida e almeno indirettamente dal consenso sociale, che dovrebbe impedire che sia trasformato in illecito penale tutto ciò per la collettività non dovrebbe essere sanzionato come tale. In questo l’informazione, attraverso i mezzi di comunicazione, rappresenta un postulato necessario per ogni modello democratico in grado di influenzare i cittadini nella percezione della realtà. In quest’ultimo Capitolo IV, infine, abbiamo messo in luce come una distorta percezione della realtà, da parte del consenso sociale, alteri “patologicamente” la legittimazione democratica, facendole perdere ogni sua funzione di garanzia nel delimitare il potere politico.

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"Del delitti e delle pene" (text): p. [379]-462.

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L’oggetto della tesi di dottorato è costituito, nel quadro delle reciproche relazioni tra assetti territoriali e sviluppo economico, dalla dimensione giuridica del governo del territorio. Il diritto del governo del territorio, infatti, sta attraversando, con un ritmo ed una intensità crescenti, una fase di profonde e non sempre lineari trasformazioni. Questi mutamenti, lungi dal limitarsi ad aspetti specifici e particolari, incidono sui «fondamentali» stessi della «materia», arrivando a mettere in discussione le ricostruzioni teoriche più accreditate e le prassi applicative maggiormente consolidate. A dispetto della rilevanza delle innovazioni, però, la dimensione giuridica del governo del territorio seguita ad essere un campo segnato da una notevole continuità ed ambiguità di fondo, dove le innovazioni stesse procedono di pari passo con le contraddizioni. Un’ambiguità che, fatalmente, si riflette sull’azione delle pubbliche amministrazioni cui sono attribuiti compiti in materia. Queste, infatti, trovandosi spesso tra l’«incudine» (delle innovazioni) ed il «martello» (delle contraddizioni), sono costrette ad operare in un contesto fortemente disomogeneo e disarticolato già sul piano normativo. Da qui deriva, altresì, la difficoltà di restituirne una cifra complessiva che non sia la riproposizione di piatte descrizioni del processo di progressivo, ma costante incremento della «complessità» - normativa, organizzativa e funzionale - del sistema giuridico di disciplina del territorio, a cui corrisponde ciò che appare sempre di più come una forma implicita di «rinuncia» a logiche e moduli d’azione più o meno unitari nella definizione degli assetti territoriali: in questo senso, pertanto, vanno lette le ricorrenti affermazioni relative allo stato di crisi che, anche prescindendo dai difetti congeniti della disciplina per come si è venuta giuridicamente a configurare, caratterizza il sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica. Si spiega così perché, nonostante il profluvio di interventi da parte dei diversi legislatori, specialmente regionali, si sia ancora ben lontani dal fornire una risposta adeguata ai molteplici profili di criticità del sistema giuridico di disciplina del territorio: tra i quali, su tutti, va sicuramente menzionata la sempre più marcata asimmetria tra la configurazione «ontologicamente» territoriale e spaziale degli strumenti cui si tende a riconoscere la funzione di «motore immobile» dei processi di governo del territorio - i piani - e la componente temporale degli stessi in relazione alle vorticose modificazioni del contesto socio-economico di riferimento. Né, a dire il vero, gli «antidoti» alla complessità, via via introdotti in sede regionale, sembrano aver sortito - almeno fino ad ora - gli effetti sperati. L’esito di tutto ciò, però, non può che essere il progressivo venir meno di logiche unitarie e, soprattutto, «sistemiche» nella definizione degli assetti territoriali. Fenomeno, questo, che - paradossalmente - si manifesta con maggiore intensità proprio nel momento in cui, stante il legame sempre più stretto tra sviluppo socio-economico e competitività dei singoli sistemi territoriali, l’ordinamento dovrebbe muovere nella direzione opposta. Date le premesse, si è dunque strutturato il percorso di ricerca e analisi nel modo seguente. In primo luogo, si sono immaginati due capitoli nei quali sono trattati ed affrontati i temi generali dell’indagine e lo sfondo nel quale essa va collocata: le nozioni di governo del territorio e di urbanistica, nonché quella, eminentemente descrittiva, di governo degli assetti territoriali, i loro contenuti e le funzioni maggiormente rilevanti riconducibili a tali ambiti; la tematica della competitività e degli interessi, pubblici, privati e collettivi correlati allo sviluppo economico dei singoli sistemi territoriali; la presunta centralità riconosciuta, in questo quadro, al sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica in una prospettiva promozionale dello sviluppo economico; ma, soprattutto, i riflessi ed i mutamenti indotti al sistema giuridico di disciplina del territorio dall’azione delle dinamiche cosiddette glocal: questo, sia per quanto concerne le modalità organizzative e procedimentali di esercizio delle funzioni da parte dei pubblici poteri, sia per quanto attiene, più in generale, alla composizione stessa degli interessi nella definizione degli assetti territoriali. In secondo luogo, si è reputato necessario sottoporre a vaglio critico il sistema pianificatorio, cercando di evidenziare i fattori strutturali e gli ulteriori elementi che hanno determinato il suo insuccesso come strumento per realizzare le condizioni ‘ottimali’ per lo sviluppo economico delle collettività che usano il territorio. In terzo luogo, poi, si è rivolto lo sguardo al quadro delle soluzioni individuate dalla normativa e, per certi versi, offerte dalla prassi alla crisi che ha investito il sistema di pianificazione del territorio, soffermandosi, specificatamente e con approccio critico, sull’urbanistica per progetti e sull’urbanistica consensuale nelle loro innumerevoli articolazioni e partizioni. Infine, si è provato a dar conto di quelle che potrebbero essere le linee evolutive dell’ordinamento, anche in un’ottica de jure condendo. Si è tentato, cioè, di rispondere, sulla base dei risultati raggiunti, alla domanda se e a quali condizioni il sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica possa dirsi il modello preferibile per un governo degli assetti territoriali funzionale a realizzare le condizioni ottimali per lo sviluppo economico.

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Il tema generale di ricerca oggetto della presente trattazione è rappresentato dal diritto di difesa nel procedimento de libertate. Esso costituisce un tema da sempre controverso, materia di vivaci e mai sopiti dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza, poiché si colloca in un punto nevralgico non solo del procedimento penale, ma, addirittura, dell’intero ordinamento giuridico di uno stato, poiché in esso si incontrano, e sovente si scontrano, le istanze di garanzia del cittadino contro indebite limitazioni ante iudicium della libertà personale, da un lato, e le esigenze di tutela della collettività e del processo dai pericula libertatis (inquinamento delle prove, rischio di fuga, pericolo di reiterazione dei reati), dall’altro. Detto in altri termini, il procedimento de libertate è esattamente il luogo in cui un ordinamento che voglia definirsi liberale, nella sua naturale e incessante evoluzione, tenta faticosamente di trovare un equilibrio tra autorità e libertà. Trattandosi, per ovvie ragioni, di un argomento vastissimo, che spazia dall’esercizio del diritto di difesa nella fase applicativa delle misure cautelari personali, alle impugnazioni delle misure medesime, dalla revoca o sostituzione delle stesse al giudicato cautelare sulle decisioni de libertate, etc., il campo della ricerca è stato circoscritto a due temi specifici che interessano direttamente il diritto di difesa, limitatamente alla fase dell’applicazione delle misure cautelari personali, e che presentano profili di originalità, per alcune importanti modifiche intervenute a livello sia di legislazione ordinaria che di legislazione costituzionale: 1) l’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza; 2) il principio del contraddittorio nel procedimento cautelare, alla luce dell’art. 111 Cost. Siffatti temi, apparentemente disomogenei, sono, in realtà, profondamente correlati tra loro, rappresentando, per usare una locuzione spicciola, l’uno la “sostanza” e l’altro “la forma” del procedimento de libertate, ed insieme concorrono ad individuare un modello di giusto processo cautelare.

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La tesi si prefigge l'obbiettivo di offrire una ricostruzione logico sistematica della disciplina giuridica che regola i trasporti pubblici locali in ambito regionale, statale e comunitario, affrontando le principali questioni interpretative e di coordinamento che esse pongono. Nella primo capitolo, viene analizzato l'evoluzione storica della normativa nazionale che regola il trasporto pubblico locale, soffermandosi soprattutto sulla riforma del trasporto pubblico locale introdotte dal d.lgs. 422/1997. Particolare attenzione è stata posta agli aspetti di programmazione e finanziamento nonché alle modalità di gestione del trasporto pubblico locale, in quanto il quadro normativo applicabile è caratterizzato da un’estrema complessità dovuta ai numerosi interventi legislativi. Nel secondo capitolo viene esaminato l'evoluzione dell'intervento comunitario in materi di trasporto pubblico locale, partendo dal (CE) n. 1191/69 che si limitava a disciplinare gli aiuti di Stato, fino alla normativa quadro per il settore (Regolamento (CE) n. 1370/2007). L'obbiettivo è quello di verificare se le scelte del legislatore italiano, per quanto concerne le modalità di gestione del trasporto pubblico locale possano dirsi coerenti con le scelte a livello comunitario previste dal Regolamento (CE) n. 1370/2007. Viene inoltre affronta la questione dell'articolazione della potestà normativa e amministrativa del settore dei trasporti pubblici locali nelle disposizioni del Titolo V della Costituzione. Lo studio si sofferma soprattutto sulla giurisprudenza della Corte costituzionale per tracciare una chiara individuazione del riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia. Infine nell'ultima parte, esamina le diverse problematiche interpretative e applicative della normativa che disciplina il settore del TPL, dovute all'azzeramento della normativa generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in seguito al referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011, nonché della illegittimità costituzionale della normativa contenuta nell'art 4 del d.l. n. 138/2011, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012.

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La tesi della candidata presenta - attraverso lo studio della normativa e della giurisprudenza rilevanti in Italia, Francia e Germania – un’analisi dell'ambito soggettivo di applicazione del diritto costituzionale d'asilo e del suo rapporto con il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, nonchè della sua interazione con le altre forme di protezione della persona previste dal diritto comunitario e dal sistema CEDU di salvaguardia dei diritti fondamentali. Dal breve itinerario comparatistico percorso, emerge una forte tendenza alla neutralizzazione dell’asilo costituzionale ed alla sua sovrapposizione con la fattispecie del rifugio convenzionale quale carattere comune agli ordinamenti presi in esame, espressione di una consapevole scelta di politica del diritto altresì volta ad assimilare la materia alla disciplina generale dell’immigrazione al fine di ridimensionarne le potenzialità espansive (si pensi alla latitudine delle formule costituzionali di cui agli artt. 10, co. 3 Cost. it. e 16a, co. 1 Grundgesetz) e di ricondurre l'asilo entro i tradizionali confini della discrezionalità amministrativa quale sovrana concessione dello Stato ospitante. L'esame delle fonti comunitarie di recente introduzione illumina l’indagine: in particolare, la stessa Direttiva 2004/83CE sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione sussidiaria consolida quanto stabilito dalle disposizioni convenzionali, ma ne estende la portata in modo significativo, recependo gli esiti della lunga evoluzione giurisprudenziale compiuta dalle corti nazionali e dal Giudice di Strasburgo nell’interpretazione del concetto di “persecuzione” (specialmente, in relazione all’individuazione delle azioni e degli agenti persecutori). Con riferimento al sistema giuridico italiano, la tesi si interroga sulle prospettive di attuazione del dettato dell’art. 10, terzo comma della Costituzione, ed inoltre propone la disamina di alcuni istituti chiave dell’attuale normativa in materia di asilo, attraverso cui si riscontrano importanti profili di incompatibilità con la natura di diritto fondamentale costituzionalmente tutelato, conferita al diritto di asilo dalla volontà dei Costituenti e radicata nella ratio della norma stessa (il trattenimento del richiedente asilo; la procedura di esame della domanda, l’onere probatorio e le cause ostative al suo accoglimento; l’effettività della tutela giurisdizionale). Le questioni più problematiche ancora irrisolte investono proprio tali aspetti del procedimento - previsto per ottenere quello che alcuni atti europei, tra cui l'art. 18 della Carta di Nizza, definiscono right to asylum - come rivela la disciplina contenuta nella Direttiva 2005/85CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Infine, il fenomeno della esternalizzazione dei controlli compromette lo stesso accesso alle procedure, nella misura in cui rende "mobile" il confine territoriale dell’area Schengen (attraverso l'introduzione del criterio dello "Stato terzo sicuro", degli strumenti dell'esame preliminare delle domande e della detenzione amministrativa nei Paesi di transito, nonché per mezzo del presidio delle frontiere esterne), relegando il trattamento dei richiedenti asilo ad uno spazio in cui non sempre è monitorabile l'effettivo rispetto del principio del non refoulement, degli obblighi internazionali relativi all’accoglienza dei profughi e delle clausole di determinazione dello Stato competente all'esame delle domande ai sensi del Regolamento n. 343/03, c.d. Dublino II (emblematico il caso del pattugliamento delle acque internazionali e dell'intercettazione delle navi prima del superamento dei confini territoriali). Questi delicati aspetti di criticità della disciplina procedimentale limitano il carattere innovativo delle recenti acquisizioni comunitarie sull’ambito di operatività delle nuove categorie definitorie introdotte (le qualifiche di rifugiato e di titolare di protezione sussidiaria e la complessa nozione di persecuzione, innanzitutto), richiedendo, pertanto, l’adozione di un approccio sistemico – piuttosto che analitico – per poter rappresentare in modo consapevole le dinamiche che concretamente si producono a livello applicativo ed affrontare la questione nodale dell'efficienza dell'attuale sistema multilivello di protezione del richiedente asilo.

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L’oggetto della presente tesi di ricerca è l’analisi della situazione attuale della protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee, oltre che le sue prospettive di futuro. Il lavoro è suddiviso in due grandi parti. La prima studia il regime giuridico del Diritto sanzionatorio comunitario, cioè, la competenza sanzionatoria dell’Unione Europea. Questa sezione è stata ricostruita prendendo in considerazione i precetti normativi del Diritto originario e derivato, oltre che le principali sentenze della Corte di Giustizia, tra cui assumono particolare rilievo le sentenze di 27 ottobre 1992, Germania c. Commissione, affare C-240/90 e di 13 settembre 2005 e di 23 ottobre 2007, Commissione c. Consiglio, affari C-176/03 e C-440/05. A questo segue l’analisi del ruolo dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario, così come la rilevanza della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il secondo capitolo si sofferma particolarmente sullo studio delle sanzioni comunitarie, classificandole in ragione della loro natura giuridica alla luce anche dei principi generali di legalità, di proporzionalità, di colpevolezza e del non bis in idem. La seconda sezione sviluppa un’analisi dettagliata del regime giuridico della protezione degli interessi finanziari comunitari. Questa parte viene costruita indagando tutta l’evoluzione normativa e istituzionale, in considerazione anche delle novità più recenti (ad esempio, l’istituzione del Pubblico Ministero Europeo). In questo contesto si definisce il contenuto del concetto di interessi finanziari comunitari, dato che non esiste un’analoga definizione comunitaria della fattispecie. L’attenzione del dottorando si concentra poi sulla Convenzione avente ad oggetto la tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee e i regolamenti del Consiglio n. 2988/95 e 2185/96, che costituiscono la parte generale del Diritto sanzionatorio comunitario. Alla fine si esamina la ricezione della Convenzione PIF nel Codice Penale spagnolo e i principali problemi di cui derivano. L’originalità dell’approccio proposto deriva dell’assenza di un lavoro recente che, in modo esclusivo e concreto, analizzi la protezione amministrativa e penale degli interessi finanziari della Comunità. Inoltre, la Carta Europea di Diritti Fondamentali e il Trattato di Lisbona sono due grandi novità che diventeranno una realtà tra poco tempo.