955 resultados para relatività generale, cosmologia, inflazione cosmologica, teorie della gravità, gravità f(R), inflazione R^2,


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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.

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This doctoral dissertation faces the debated topic of the traditions of Republicanism in the Modern Age assuming, as a point of view, the problem of the "mixed" government. The research therefore dwells upon the use of this model in Sixteenth-Century Italy, also in connection with the historical events of two standard Republics such as Florence and Venice. The work focuses on Donato Giannotti (1492-1573), Gasparo Contarini (1483-1542) and Paolo Paruta (1540-1598), as the main figures in order to reconstruct the debate on "mixed" constitution: in them, decisive in the attention paid to the peculiar structure of the Venetian Republic, the only of a certain dimension and power to survive after 1530. The research takes into account also the writings of Traiano Boccalini (1556-1613): he himself, though being involved in the same topics of debate, sets for some aspects his considerations in the framework of a new theme, that of Reason of State.

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Descrizione, tema e obiettivi della ricerca La ricerca si propone lo studio delle possibili influenze che la teoria di Aldo Rossi ha avuto sulla pratica progettuale nella Penisola Iberica, intende quindi affrontare i caratteri fondamentali della teoria che sta alla base di un metodo progettuale ed in particolar modo porre l'attenzione alle nuove costruzioni quando queste si confrontano con le città storiche. Ha come oggetto principale lo studio dei documenti, saggi e scritti riguardanti il tema della costruzione all'interno delle città storiche. Dallo studio di testi selezionati di Aldo Rossi sulla città si vuole concentrare l'attenzione sull'influenza che tale teoria ha avuto nei progetti della Penisola Iberica, studiare come è stata recepita e trasmessa successivamente, attraverso gli scritti di autori spagnoli e come ha visto un suo concretizzarsi poi nei progetti di nuove costruzioni all'interno delle città storiche. Si intende restringere il campo su un periodo ed un luogo precisi, Spagna e Portogallo a partire dagli anni Settanta, tramite la lettura di un importante evento che ha ufficializzato il contatto dell'architetto italiano con la Penisola Iberica, quale il Seminario di Santiago de Compostela tenutosi nel 1976. Al Seminario parteciparono numerosi architetti che si confrontarono su di un progetto per la città di Santiago e furono invitati personaggi di fama internazionale a tenere lezioni introduttive sul tema di dibattito in merito al progetto e alla città storica. Il Seminario di Santiago si colloca in un periodo storico cruciale per la Penisola Iberica, nel 1974 cade il regime salazarista in Portogallo e nel 1975 cade il regime franchista in Spagna ed è quindi di rilevante importanza capire il legame tra l'architettura e la nuova situazione politica. Dallo studio degli interventi, dei progetti che furono prodotti durante il Seminario, della relazione tra questo evento ed il periodo storico in cui esso va contestualizzato, si intende giungere alla individuazione delle tracce della reale presenza di tale eredità. Presupposti metodologici. Percorso e strumenti di ricerca La ricerca può quindi essere articolata in distinte fasi corrispondenti per lo più ai capitoli in cui si articola la tesi: una prima fase con carattere prevalentemente storica, di ricerca del materiale per poter definire il contesto in cui si sviluppano poi le vicende oggetto della tesi; una seconda fase di impronta teorica, ossia di ricerca bibliografica del materiale e delle testimonianze che provvedono alla definizione della reale presenza di effetti scaturiti dai contatti tra Rossi e la Penisola Iberica, per andare a costruire una eredità ; una terza fase che entra nel merito della composizione attraverso lo studio e la verifica delle prime due parti, tramite l'analisi grafica applicata ad uno specifico esempio architettonico selezionato; una quarta fase dove il punto di vista viene ribaltato e si indaga l'influenza dei luoghi visitati e dei contatti intrattenuti con alcuni personaggi della Penisola Iberica sull'architettura di Rossi, ricercandone i riferimenti. La ricerca è stata condotta attraverso lo studio di alcuni eventi selezionati nel corso degli anni che si sono mostrati significativi per l'indagine, per la risonanza che hanno avuto sulla storia dell'architettura della Penisola. A questo scopo si sono utilizzati principalmente tre strumenti: lo studio dei documenti, le pubblicazioni e le riviste prodotte in Spagna, gli scritti di Aldo Rossi in merito, e la testimonianza diretta attraverso interviste di personaggi chiave. La ricerca ha prodotto un testo suddiviso per capitoli che rispetta l'organizzazione in fasi di lavoro. A seguito di determinate condizioni storiche e politiche, studiate nella ricerca a supporto della tesi espressa, nella Penisola Iberica si è verificato il diffondersi della necessità e del desiderio di guardare e prendere a riferimento l'architettura europea e in particolar modo quella italiana. Il periodo sul quale viene focalizzata l'attenzione ha inizio negli anni Sessanta, gli ultimi prima della caduta delle dittature, scenario dei primi viaggi di Aldo Rossi nella Penisola Iberica. Questi primi contatti pongono le basi per intense e significative relazioni future. Attraverso l'approfondimento e la studio dei materiali relativi all'oggetto della tesi, si è cercato di mettere in luce il contesto culturale, l'attenzione e l'interesse per l'apertura di un dibattito intorno all'architettura, non solo a livello nazionale, ma europeo. Ciò ha evidenziato il desiderio di innescare un meccanismo di discussione e scambio di idee, facendo leva sull'importanza dello sviluppo e ricerca di una base teorica comune che rende coerente i lavori prodotti nel panorama architettonico iberico, seppur ottenendo risultati che si differenziano gli uni dagli altri. E' emerso un forte interesse per il discorso teorico sull'architettura, trasmissibile e comunicabile, che diventa punto di partenza per un metodo progettuale. Ciò ha reso palese una condivisione di intenti e l'assunzione della teoria di Aldo Rossi, acquisita, diffusa e discussa, attraverso la pubblicazione dei suoi saggi, la conoscenza diretta con l'architetto e la sua architettura, conferenze, seminari, come base teorica su cui fondare il proprio sapere architettonico ed il processo metodologico progettuale da applicare di volta in volta negli interventi concreti. Si è giunti così alla definizione di determinati eventi che hanno permesso di entrare nel profondo della questione e di sondare la relazione tra Rossi e la Penisola Iberica, il materiale fornito dallo studio di tali episodi, quali il I SIAC, la diffusione della rivista "2C. Construccion de la Ciudad", la Coleccion Arquitectura y Critica di Gustavo Gili, hanno poi dato impulso per il reperimento di una rete di ulteriori riferimenti. E' stato possibile quindi individuare un gruppo di architetti spagnoli, che si identificano come allievi del maestro Rossi, impegnato per altro in quegli anni nella formazione di una Scuola e di un insegnamento, che non viene recepito tanto nelle forme, piuttosto nei contenuti. I punti su cui si fondano le connessioni tra l'analisi urbana e il progetto architettonico si centrano attorno due temi di base che riprendono la teoria esposta da Rossi nel saggio L'architettura della città : - relazione tra l'area-studio e la città nella sua globalità, - relazione tra la tipologia edificatoria e gli aspetti morfologici. La ricerca presentata ha visto nelle sue successive fasi di approfondimento, come si è detto, lo sviluppo parallelo di più tematiche. Nell'affrontare ciascuna fase è stato necessario, di volta in volta, operare una verifica delle tappe percorse precedentemente, per mantenere costante il filo del discorso col lavoro svolto e ritrovare, durante lo svolgimento stesso della ricerca, gli elementi di connessione tra i diversi episodi analizzati. Tale operazione ha messo in luce talvolta nodi della ricerca rimasti in sospeso che richiedevano un ulteriore approfondimento o talvolta solo una rivisitazione per renderne possibile un più proficuo collegamento con la rete di informazioni accumulate. La ricerca ha percorso strade diverse che corrono parallele, per quanto riguarda il periodo preso in analisi: - i testi sulla storia dell'architettura spagnola e la situazione contestuale agli anni Settanta - il materiale riguardante il I SIAC - le interviste ai partecipanti al I SIAC - le traduzioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica - la rivista "2C. Construccion de la Ciudad" Esse hanno portato alla luce una notevole quantità di tematiche, attraverso le quali, queste strade vengono ad intrecciarsi e a coincidere, verificando l'una la veridicità dell'altra e rafforzandone il valore delle affermazioni. Esposizione sintetica dei principali contenuti esposti dalla ricerca Andiamo ora a vedere brevemente i contenuti dei singoli capitoli. Nel primo capitolo Anni Settanta. Periodo di transizione per la Penisola Iberica si è cercato di dare un contesto storico agli eventi studiati successivamente, andando ad evidenziare gli elementi chiave che permettono di rintracciare la presenza della predisposizione ad un cambiamento culturale. La fase di passaggio da una condizione di chiusura rispetto alle contaminazioni provenienti dall'esterno, che caratterizza Spagna e Portogallo negli anni Sessanta, lascia il posto ad un graduale abbandono della situazione di isolamento venutasi a creare intorno al Paese a causa del regime dittatoriale, fino a giungere all'apertura e all'interesse nei confronti degli apporti culturali esterni. E' in questo contesto che si gettano le basi per la realizzazione del I Seminario Internazionale di Architettura Contemporanea a Santiago de Compostela, del 1976, diretto da Aldo Rossi e organizzato da César Portela e Salvador Tarragó, di cui tratta il capitolo secondo. Questo è uno degli eventi rintracciati nella storia delle relazioni tra Rossi e la Penisola Iberica, attraverso il quale è stato possibile constatare la presenza di uno scambio culturale e l'importazione in Spagna delle teorie di Aldo Rossi. Organizzato all'indomani della caduta del franchismo, ne conserva una reminescenza formale. Il capitolo è organizzato in tre parti, la prima si occupa della ricostruzione dei momenti salienti del Seminario Proyecto y ciudad historica, dagli interventi di architetti di fama internazionale, quali lo stesso Aldo Rossi, Carlo Aymonino, James Stirling, Oswald Mathias Ungers e molti altri, che si confrontano sul tema delle città storiche, alle giornate seminariali dedicate all’elaborazione di un progetto per cinque aree individuate all’interno di Santiago de Compostela e quindi dell’applicazione alla pratica progettuale dell’inscindibile base teorica esposta. Segue la seconda parte dello stesso capitolo riguardante La selezione di interviste ai partecipanti al Seminario. Esso contiene la raccolta dei colloqui avuti con alcuni dei personaggi che presero parte al Seminario e attraverso le loro parole si è cercato di approfondire la materia, in particolar modo andando ad evidenziare l’ambiente culturale in cui nacque l’idea del Seminario, il ruolo avuto nella diffusione della teoria di Aldo Rossi in Spagna e la ripercussione che ebbe nella pratica costruttiva. Le diverse interviste, seppur rivolte a persone che oggi vivono in contesti distanti e che in seguito a questa esperienza collettiva hanno intrapreso strade diverse, hanno fatto emergere aspetti comuni, tale unanimità ha dato ancor più importanza al valore di testimonianza offerta. L’elemento che risulta più evidente è il lascito teorico, di molto prevalente rispetto a quello progettuale che si è andato mescolando di volta in volta con la tradizione e l’esperienza dei cosiddetti allievi di Aldo Rossi. Negli stessi anni comincia a farsi strada l’importanza del confronto e del dibattito circa i temi architettonici e nel capitolo La fortuna critica della teoria di Aldo Rossi nella Penisola Iberica è stato affrontato proprio questo rinnovato interesse per la teoria che in quegli anni si stava diffondendo. Si è portato avanti lo studio delle pubblicazioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, pubblica e traduce in lingua spagnola i più importanti saggi di architettura, tra i quali La arquitectura de la ciudad di Aldo Rossi, nel 1971, e Comlejidad y contradiccion en arquitectura di Robert Venturi nel 1972. Entrambi fondamentali per il modo di affrontare determinate tematiche di cui sempre più in quegli anni si stava interessando la cultura architettonica iberica, diventando così ¬ testi di riferimento anche nelle scuole. Le tracce dell’influenza di Rossi sulla Penisola Iberica si sono poi ricercate nella rivista “2C. Construccion de la Ciudad” individuata come strumento di espressione di una teoria condivisa. Con la nascita nel 1972 a Barcellona di questa rivista viene portato avanti l’impegno di promuovere la Tendenza, facendo riferimento all’opera e alle idee di Rossi ed altri architetti europei, mirando inoltre al recupero di un ruolo privilegiato dell’architettura catalana. A questo proposito sono emersi due fondamentali aspetti che hanno legittimato l’indagine e lo studio di questa fonte: - la diffusione della cultura architettonica, il controllo ideologico e di informazione operato dal lavoro compiuto dalla rivista; - la documentazione circa i criteri di scelta della redazione a proposito del materiale pubblicato. E’ infatti attraverso le pubblicazioni di “2C. Construccion de la Ciudad” che è stato possibile il ritrovamento delle notizie sulla mostra Arquitectura y razionalismo. Aldo Rossi + 21 arquitectos españoles, che accomuna in un’unica esposizione le opere del maestro e di ventuno giovani allievi che hanno recepito e condiviso la teoria espressa ne “L’architettura della città”. Tale mostra viene poi riproposta nella Sezione Internazionale di Architettura della XV Triennale di Milano, la quale dedica un Padiglione col titolo Barcelona, tres epocas tres propuestas. Dalla disamina dei progetti presentati è emerso un interessante caso di confronto tra le Viviendas para gitanos di César Portela e la Casa Bay di Borgo Ticino di Aldo Rossi, di cui si è occupato l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Nel corso degli studi è poi emerso un interessante risvolto della ricerca che, capovolgendone l’oggetto stesso, ne ha approfondito gli aspetti cercando di scavare più in profondità nell’analisi della reciproca influenza tra la cultura iberica e Aldo Rossi, questa parte, sviscerata nell’ultimo capitolo, La Penisola Iberica nel “magazzino della memoria” di Aldo Rossi, ha preso il posto di quello che inizialmente doveva presentarsi come il risvolto progettuale della tesi. Era previsto infatti, al termine dello studio dell’influenza di Aldo Rossi sulla Penisola Iberica, un capitolo che concentrava l’attenzione sulla produzione progettuale. A seguito dell’emergere di un’influenza di carattere prettamente teorica, che ha sicuramente modificato la pratica dal punto di vista delle scelte architettoniche, senza però rendersi esplicita dal punto di vista formale, si è preferito, anche per la difficoltà di individuare un solo esempio rappresentativo di quanto espresso, sostituire quest’ultima parte con lo studio dell’altra faccia della medaglia, ossia l’importanza che a sua volta ha avuto la cultura iberica nella formazione della collezione dei riferimenti di Aldo Rossi. L’articolarsi della tesi in fasi distinte, strettamente connesse tra loro da un filo conduttore, ha reso necessari successivi aggiustamenti nel percorso intrapreso, dettati dall’emergere durante la ricerca di nuovi elementi di indagine. Si è pertanto resa esplicita la ricercata eredità di Aldo Rossi, configurandosi però prevalentemente come un’influenza teorica che ha preso le sfumature del contesto e dell’esperienza personale di chi se ne è fatto ricevente, diventandone così un continuatore attraverso il proprio percorso autonomo o collettivo intrapreso in seguito. Come suggerisce José Charters Monteiro, l’eredità di Rossi può essere letta attraverso tre aspetti su cui si basa la sua lezione: la biografia, la teoria dell’architettura, l’opera. In particolar modo per quanto riguarda la Penisola Iberica si può parlare dell’individuazione di un insegnamento riferito alla seconda categoria, i suoi libri di testo, le sue partecipazioni, le traduzioni. Questo è un lascito che rende possibile la continuazione di un dibattito in merito ai temi della teoria dell’architettura, della sue finalità e delle concrete applicazioni nelle opere, che ha permesso il verificarsi di una apertura mentale che mette in relazione l’architettura con altre discipline umanistiche e scientifiche, dalla politica, alla sociologia, comprendendo l’arte, le città la morfologia, la topografia, mediate e messe in relazione proprio attraverso l’architettura.

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Il progetto si sviluppa nell’area dell’ex Eridania di Forlì, un’area molto vasta, adiacente al centro storico e come tema della Tesi abbiamo deciso di studiare un progetto che potesse contenere funzioni pubbliche a disposizione di tutti i cittadini. Ci è sembrato interessante ragionare sull’area in questi termini poiché dagli studi effettuati è risultato che la città di Forlì è priva di un polo culturale compatto che possa costituire un punto di ritrovo per i forlivesi. Nelle nostre intenzioni gli spazi progettati dovranno ospitare attività espositive, concerti, spettacoli all’aperto, rappresentazioni teatrali, conferenze e laboratori artistici che coinvolgano tutte le fasce d’età. Importante per noi era portare all’interno di quest’area dismessa nuove funzioni culturali di cui Forlì è oggi carente. Dall’analisi svolta sulla città è emerso che gli spazi esistenti dedicati ad attività per lo spettacolo non sono sufficienti a soddisfare le esigenze dei cittadini sia a livello quantitativo che di assortimento. Abbiamo perciò deciso di inserire nel progetto auditorium, teatro, teatro all’aperto, laboratori artistici, zone espositive, attività annesse come uffici per l’amministrazione, biglietterie, info point e un grande parco. La prima problematica che abbiamo cercato di risolvere è stata quella dell’attraversamento della ferrovia e, più in particolare, di un collegamento con il centro storico della città e con lo sviluppo di Forlì in generale che l’ha sempre vista come un limite invalicabile. Il problema è stato affrontato ipotizzando la realizzazione di un edificio su via Vittorio Veneto adibito a commercio e terziario dal quale, attraverso un ponte che oltrepassa la ferrovia, si giunge a un edificio, all’interno dell’area, che ospita i servizi di risalita, alcuni uffici e un bar. La scelta è stata quella di non porci ortogonalmente agli edifici affacciati su questa importante arteria ma di legarci all’intero progetto che segue l’orientamento dettato dalle preesistenze. All’interno dell’area spicca per dimensioni il corpo principale dell’ex Eridania che, conserviamo eliminando le superfetazioni e intervenendo per la messa in sicurezza e per permetterne l’adeguata fruibilità. La scelta di riordinare il prospetto Nord di questo edificio nasce dalla volontà di realizzare una grande corte sulla quale si affacciassero tutti gli edifici ad esclusione dei vecchi magazzini che ne risultano racchiusi all’interno e del teatro all’aperto che rimane immerso nel verde. Per definire questa corte abbiamo pensato a un porticato che proseguisse, seguendone l’aspetto, le dimensioni e il ritmo dei pilastri, quello già esistente a lato dell’edificio conservato dell’ex zuccherificio e che fungesse da percorso coperto per raggiungere i diversi laboratori artistici che si innestano su questo. A chiudere il quarto lato della corte sono il teatro e l’auditorium, simmetrici rispetto all’asse del progetto che è dato dalle vasche originariamente usate per il lavaggio delle barbabietole, allineate con l’edificio principale dell’ex zuccherificio. Per rendere la direzione ancora più evidente decidiamo di proseguirla con un tratto d’acqua diretto verso il teatro all’aperto, conclusione della stessa. Gli edifici di progetto sono immersi in un grande parco caratterizzato dalla vegetazione già esistente nell’area, cresciuta durante l’abbandono della stessa. Così facendo manteniamo delle zone che possono definirsi boschive, dove la vegetazione è molto fitta e intricata, e altre invece più libere dagli alberi e quindi utilizzabili per altre funzioni ricreative. Un diverso trattamento è riservato alla zona di parco racchiusa tra i due percorsi rettilinei e simmetrici che collegano il teatro all’aperto alla piazza: qui si è preferito eliminare la vegetazione esistente ricavando un grande prato libero definito da filari di alberi opportunamente disposti per focalizzare l’attenzione sul teatro stesso.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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La presente tesi descrive l’implementazione in Java di un algoritmo per il ragionamento giuridico che cattura due sue importanti peculiarità: la defeasibility del ragionamento normativo e il concetto di tempo. “Defeasible” significa “ritrattabile” e sta ad indicare, appunto, quegli schemi di ragionamento nei quali è possibile rivedere o ritrattare le conclusioni tratte precedentemente. Il tempo è essenziale per un’accurata rappresentazione degli scenari presenti nel mondo reale e in particolare per gli scenari giuridici. I profili temporali delle norme sono essenzialmente due: (i) tempo esterno della norma, cioè il periodo durante il quale la norma è valida cioè appartiene al sistema giuridico; (ii) tempo interno della norma che fa riferimento al periodo in cui la norma si applica. In particolare quest’ultimo periodo di tempo coincide con il periodo in cui le condizioni presenti nella norma devono presentarsi affinché essa produca i suoi effetti. Inoltre, nella tesi viene presentata un’estensione della logica defeasible in grado di distinguere tra regole con effetti persistenti, che valgono non solo per l’istante in cui si verificano le premesse ma anche per ogni istante successivo, e regole con effetti transitori, che valgono per un singolo istante. L’algoritmo presentato in questa tesi presenta una complessità lineare nelle dimensioni della teoria in ingresso e può interagire con le applicazioni del web semantico poiché elabora teorie scritte in Rule-ML, un linguaggio basato su XML per la rappresentazione di regole.

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Questa tesi ha come oggetto la riqualificazione energetica e funzionale della scuola media statale “P. Amaducci” di Bertinoro e la realizzazione, all’interno della stessa area, di una scuola elementare che condivida, con la struttura esistente, spazi per attività parascolastiche e sportive. Il lotto di intervento è situato ai margini del centro urbano, circondato da un’area identificata dalla pubblica amministrazione come di possibile espansione residenziale; esso presenta diverse criticità, tra cui la poca sicurezza dei percorsi pedonali, la frammentarietà del sistema degli spazi aperti, la mancanza di adeguate aree di sosta e di parcheggio. Grazie alla sua posizione elevata e alla collocazione all’interno di un ambito di interesse paesaggistico, dall’area si gode di un’ampia visuale sul territorio circostante, caratterizzato dalla coltivazione della vite. L’attuale scuola media statale “P. Amaducci”, realizzata nel 1990, è un edificio di circa 17800 mc con disposizione planimetrica a corte aperta, sviluppato su tre piani, ad est del quale nel 2000 è stato collocato un edificio a blocco di 12000 mc, che ospita un palazzetto dello sport di rilevanza provinciale. Nonostante la sua recente costruzione, la struttura presenta diverse carenze progettali, tra cui lo sfavorevole orientamento delle aule per la didattica, che determina un elevato livello di discomfort, la scarsa prestazione energetica che colloca l’edificio in classe energetica E, e il generale sovradimensionamento del complesso e dei singoli spazi interni (circa 180% di spazio in più rispetto a quanto previsto dal D.M.del 1975 sull’edilizia scolastica. La scuola era originariamente progettata per ospitare tre sezioni, per un totale di 225 alunni; attualmente è frequentata da solo 132 studenti, con conseguente mancata utilizzazione di una parte consistente dell’edificio. Gli obiettivi dell’intervento sono quelli fissati dall’Amministrazione comunale e consistono essenzialmente in: - Riunificazione della scuola media con la scuola elementare in un unico polo scolastico, mettendo in comune una serie di ambienti quali l'auditorium, la mensa, le aule speciali, l’adiacente palazzetto dello sport. - Realizzazione di un ampliamento per la nuova scuola elementare, con capacità di 10 aule. Esso andrebbe realizzato a monte dell'attuale scuola media favorendo un ingresso separato dei due ordini di scuola. - Revisione di alcune soluzioni progettuali ed energetiche errate o non funzionali presenti nell'attuale struttura. A seguito di alcune analisi effettuate sulla popolazione di Bertinoro e sull’accesso ai plessi scolastici dalle frazioni vicine (Fratta Terme, Capocolle, Panighina) è emersa la scarsa dinamica demografica del comune, la quale ha suggerito di prevedere la riduzione degli spazi destinati alla scuola media e l’utilizzo dei locali eccedenti per ospitare aule per la didattica ad uso della nuova scuola elementare, prevedendo inoltre l’uso congiunto degli spazi per attività parascolastiche tra le due scuole (mensa, biblioteca, auditorium e palestra) e progettando un ampliamento per ospitare le altre attività necessarie al funzionamento della nuova scuola elementare. Il progetto ha assunto la sostenibilità e il minimo impatto sull’ambiente come principi generatori gli elementi del contesto naturale come risorse: mantiene l’edificio adagiato sul declivio del terreno e valorizza la vista verso la vallata circostante, in modo da aprirlo sul paesaggio. Per limitare una delle criticità funzionali rilevate, il progetto si è proposto di separare i percorsi pedonali da quelli carrabili inserendo zone filtro con la funzione di proteggere l’accesso al polo scolastico e al palazzetto dello sport e, al fine di evitare la promiscuità delle utenze, di differenziare altimetricamente gli ingressi dei diversi edifici e di prevedere due parcheggi, uno a monte dell’area (di pertinenza della nuova scuola primaria), e uno a valle (ad uso degli utenti della scuola secondaria di primo grado e della palestra). Nella nuova configurazione spaziale dell’edificio esistente, le aule per la didattica sono collocate sul fronte principale orientato a sud-est e dotate di ampie aperture provviste di schermature studiate sulla radiazione solare locale. Per raggiungere un ottimo livello di illuminamento si è “scavato” un canale di luce all’interno dell’edificio, che fornisce alle aule un apporto di luce naturale aggiuntivo rispetto a quello che entra dalle facciate. Sul fronte nord-ovest si localizzano invece le aule speciali e i servizi, affacciati sulla corte. L’ingresso e il vano scala esistenti, in rapporto al volume ridimensionato della scuola media, risultano così in posizione baricentrica. La tesi presenta due diverse ipotesi di ampliamento, che prevedono entrambe la collocazione dei nuovi volumi a monte dell’edificio esistente, connessi ad esso tramite lo spazio dell’ingresso e la localizzazione di quattro aule per la didattica in una parte dell’edificio esistente. Il primo progetto di ampliamento si propone di ridefinire e valorizzare la corte interna attraverso l’inserimento a monte dell’edificio esistente di un volume su un solo piano, che si va ad inserire nel profilo della collina, secondo il principio del minimo impatto sul paesaggio circostante. Il secondo progetto di ampliamento punta invece sulla continuità visiva tra gli spazi aperti e il paesaggio: per questo si è collocato il nuovo volume, che si sviluppa su due piani (nella ricerca di un ottimale rapporto di forma) in adiacenza all’edificio esistente,dando luogo ad un ampio spazio verde su cui si affacciano le aule esposte a sud-est.

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Il presente lavoro ha come obiettivo la definizione e la misura della complessità tecnologica, al fine di costruire strumenti a supporto di tutti gli operatori che si occupano dello sviluppo e della fabbricazione di un prodotto industriale, quali progettisti di prodotto e responsabili di produzione. La ricerca è stata sviluppata attraverso le fasi di seguito descritte. Analisi dello stato dell’arte su definizioni e misure della complessità in ambito industriale attraverso l’individuazione e studio di oltre un centinaio di pubblicazioni al riguardo. Classificazione dei metodi proposti in letteratura per la misura della complessità in cinque categorie e analisi critica dei punti di forza e di debolezza dei differenti metodi, ai fini di orientare la elaborazione di un nuovo metodo. Sono stati inoltre analizzati i principali metodi di Intelligenza Artificiali quali potenziali strumenti di calcolo della complessità. Indagine su tematiche correlate alla complessità quali indicatori, trasferimento tecnologico e innovazione. La complessità viene misurata in termini di un indice che appartiene alla categoria degli indicatori, utilizzati in molti ambiti industriali, in particolare quello della misura delle prestazioni di produzione. In particolare si è approfondito significato e utilizzo dell’OEE (Overall Equipment Effectiveness), particolarmente diffuso nelle piccole medie imprese emilianoromagnole e in generale dalle aziende che utilizzano un sistema produttivo di tipo job-shop. È stato implementato un efficace sistema di calcolo dell’OEE presso una azienda meccanica locale. L’indice di complessità trova una delle sue più interessanti applicazioni nelle operazioni di trasferimento tecnologico. Introdurre un’innovazione significa in genere aumentare la complessità del sistema, quindi i due concetti sono connessi. Sono stati esaminati diversi casi aziendali di trasferimento di tecnologia e di misura delle prestazioni produttive, evidenziando legami e influenza della complessità tecnologica sulle scelte delle imprese. Elaborazione di un nuovo metodo di calcolo di un indice di complessità tecnologica di prodotto, a partire dalla metodologia ibrida basata su modello entropico proposta dai Prof. ElMaraghy e Urbanic nel 2003. L’attenzione è stata focalizzata sulla sostituzione nella formula originale a valori determinati tramite interviste agli operatori e pertanto soggettivi, valori oggettivi. Verifica sperimentale della validità della nuova metodologia attraverso l’applicazione della formula ad alcuni componenti meccanici grazie alla collaborazione di un’azienda meccanica manifatturiera. Considerazioni e conclusioni sui risultati ottenuti, sulla metodologia proposta e sulle applicazioni del nuovo indice, delineando gli obiettivi del proseguo della ricerca. In tutto il lavoro si sono evidenziate connessioni e convergenze delle diverse fonti e individuati in diversi ambiti concetti e teorie che forniscono importanti spunti e considerazioni sul tema della complessità. Particolare attenzione è stata dedicata all’intera bibliografia dei Prof. ElMaraghy al momento riconosciuti a livello internazionale come i più autorevoli studiosi del tema della complessità in ambito industriale.

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Phase 1: To validate Near-Infrared Reflectance Analysis (NIRA) as a fast, reliable and suitable method for routine evaluation of human milk’s nitrogen and fat content. Phase 2: To determine whether fat content, protein content and osmolality of HM before and after fortification may affect gastroesophageal reflux (GER) in symptomatic preterm infants. Patients and Methods: Phase 1: 124 samples of expressed human milk (55 from preterm mothers and 69 from term mothers) were used to validate NIRA against traditional methods (Gerber method for fat and Kjeldhal method for nitrogen). Phase 2: GER was evaluated in 17 symptomatic preterm newborns fed naïve and fortified HM by combined pH/intraluminal-impedance monitoring (pH-MII). HM fat and protein content was analysed by a Near-Infrared-Reflectance-Analysis (NIRA). HM osmolality was tested before and after fortification. GER indexes measured before and after fortification were compared, and were also related with HM fat and protein content and osmolality before and after fortification. Results: Phase 1: · A strong agreement was found between traditional methods’ and NIRA’s results (expressed as g/100 g of milk), both for fat and nitrogen content in term (mean fat content: NIRA=2.76; Gerber=2.76; mean nitrogen content: NIRA=1.88; Kjeldhal =1.92) and preterm (mean fat content: NIRA=3.56; Kjeldhal=3.52; mean nitrogen content: NIRA=1.91; Kjeldhal =1.89) mother’s milk. · Nitrogen content of the milk samples, measured by NIRA, ranged from 1.18 to 2.71 g/100 g of milk in preterm milk and from 1.48 to 2.47 in term milk; fat content ranged from 1.27 to 6.23 g/100 g of milk in preterm milk and from 1.01 to 6.01 g/100 g of milk in term milk. Phase 2: · An inverse correlation was found between naïve HM protein content and acid reflux index (RIpH: p=0.041, rho=-0.501). · After fortification, osmolality often exceeded the values recommended for infant feeds; furthermore, a statistically significant (p<.05) increase in non acid reflux indexes was observed. Conclusions: NIRA can be used as a fast, reliable and suitable tool for routine monitoring of macronutrient content of human milk. Protein content of naïve HM may influence acid GER in preterm infants. A standard fortification of HM may worsen non acid GER indexes and, due to the extreme variability in HM composition, may overcome both recommended protein intake and HM osmolality. Thus, an individualized fortification, based on the analysis of the composition of naïve HM, could optimize both nutrient intake and feeding tolerance.

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Background: Almost 10-15% of patients with active Ulcerative Colitis are refractory to conventional therapy. Infliximab is a treatment of proven efficacy in this group of patients. Aims: To evaluate the role of Inliximab in inducing and maintaining remission in patients with chronically active moderate-severe Ulcerative Colitis. Materials and methods: 53 patients were enrolled, 47 patients entered the study and were treated with a dose of 5 mg/kg. The remission was evaluated through endoscopy and clinical criteria. (Mayo Score). The primary endpoint were clinical and endoscopic remission in moderate-severe Ulcerative Colitis refractory to standard therapy, the secondary out point was the maintenance of remission in the long period. Results: 47 patients started the study, 43 completed the study, 4 dropped out for worsening disease or adverse events; 27 patients were treated with 3 infusions, 9 patients with 4 infusions, 7 patients with > o = 5 infusions. 34 /47 patients (72.3%) were responders 12 (25.5%) improved their symptoms, 22 ( 46.8%) were in remission after the treatment. Among the responders, 21/34 (61.8%) stopped the steroid therapy after 3 infusions, the others reduced the dose or maintained just topic therapy. 13/47 patients (27.7%) were non responders (p <0.001). After 3 months all 22 patients which had reached remission maintained low Mayo Score; 10/12 (83.3%) patients with clinical response maintained their low score, 2 relapsed . Conclusions: Infliximab is a valid therapy for the treatment of Ulcerative Colitis and can avoid surgery in selected patients.

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Questo lavoro si è posto l’obiettivo di valutare l’effetto dei processi di combustione della biomassa sulla composizione chimica del particolato atmosferico. Sono state analizzate le polveri totali sospese (TSP) e le sotto-frazioni PM10 e PM2.5. Il sito di campionamento è collocato in un’area suburbana costiera nella provincia di Rimini. L’area di studio è soggetta all’apporto di contaminanti derivanti dalle emissioni del traffico autoveicolare (urbano e della vicina autostrada A14) e di piccole attività industriali, tra cui la più importante è l’inceneritore di rifiuti solidi urbani. Il campionamento è stato effettuato nei mesi marzo-aprile 2011. Durante questo periodo ricorre la tradizionale festa popolare delle “Focheracce” dove si bruciano enormi cataste di legna per salutare l’inverno ed accogliere la primavera. In corrispondenza proprio di questa giornata si registra in atmosfera un forte incremento della concentrazione di polveri accompagnato da una variazione nella loro composizione chimica. Il levoglucosano (LG), marker specifico dei processi di combustione della biomassa, mostra concentrazioni di un ordine più elevato rispetto a tutto il periodo di campionamento. Incrementi si registrano, più in generale, per tutti quei composti direttamente imputabili ai processi di combustione incompleta, come CO, CE ed IPA. Il campionamento in occasione dei fuochi ha inoltre evidenziato maggiori concentrazioni in atmosfera di potassio, magnesio, ammonio, nitrati e carbonati nella frazione TSP-PM10. In conclusione, dai risultati della caratterizzazione chimica nelle diverse frazioni granulometriche delle polveri è possibile affermare che i processi di combustione della biomassa, hanno nell’area di studio un ruolo importante nel determinare il carico complessivo delle PM. La correlazione inversa tra temperatura atmosferica e concentrazione di levoglucosano induce a pensare che il contributo dovuto alla combustione di biomassa sulle PM sia imputabile al riscaldamento domestico.

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Lo scopo di questa dissertazione è quello di costruire un modello di promozione della salute nel contesto di lavoro in relazione al consumo di sostanze psicoattive fra lavoratori, attraverso il confronto tra la situazione italiana e inglese. L’ipotesi di fondo rimanda all’idea che i luoghi di lavoro possano rappresentare setting d’elezione per i progetti di prevenzione non solo perché alcuni studi dimostrano l’esistenza di fattori di rischio connessi alla mansione rispetto alle condotte relative allo stile di vita, ma anche perché il consumo di alcol e droghe è altamente diffuso tra i lavoratori e questo comporta rischi per la sicurezza e la salute personale nonché quella dei colleghi di lavoro. Si tratta quindi di indagare il rapporto tra contesto lavorativo e utilizzo di sostanze al fine di suggerire  alla luce degli studi internazionali in materia e delle riflessioni condotte dai soggetti coinvolti nella ricerca che si andrà a presentare  linee guida e indicazioni operative per la realizzazione di interventi di promozione alla salute nei contesti professionali. A tal fine, saranno analizzati gli esiti di 13 focus group che hanno coinvolto esperti italiani e 6 interviste somministrate a esperti inglesi volti a definire la situazione attuale in Italia e Gran Bretagna in materia di prevenzione del consumo di alcol e droghe nei luoghi di lavoro. In particolare, l’analisi verterà sulle seguenti aree: - Percezione circa la diffusione dei consumi nei luoghi di lavoro - Presentazione delle politiche adottate, in logica comparativa, tra i due paesi. - Analisi critica degli interventi e problematiche aperte. L’analisi del materiale empirico permette di delineare due modelli costruiti sulla base dei focus group e delle interviste: - in Italia si può affermare che prevalga il cd. modello della sicurezza: di recente trasformazione, questo sistema enfatizza la dimensione del controllo, tanto che si parla di sorveglianza sanitaria. É orientato alla sicurezza concepita quale rimozione dei fattori di rischio. Il consumo di sostanze (anche sporadico) è inteso quale espressione di una patologia che richiede l’intervento sanitario secondo modalità previste dal quadro normativo: una procedura che annulla la discrezionalità sia del datore di lavoro sia del medico competente. Si connota inoltre per contraddizioni interne e trasversali rispetto alle categorie lavorative (i controlli non si applicano alle professioni associate a maggiore prestigio sociale sebbene palesemente associate a rischio, come per esempio i medici) e alle sostanze (atteggiamento repressivo soprattutto verso le droghe illegali); - in Gran Bretagna, invece, il modello si configura come responsabilità bilaterale: secondo questo modello, se è vero che il datore di lavoro può decidere in merito all’attuazione di misure preventive in materia di alcol e droghe nei luoghi di lavoro, egli è ritenuto responsabile della mancata vigilanza. D’altro canto, il lavoratore che non rispetta quanto previsto nella politica scritta può essere soggetto a licenziamento per motivi disciplinari. Questo modello, particolarmente attento al consumo di tutte le sostanze psicoattive (legali e illegali), considera il consumo quale esito di una libera scelta individuale attraverso la quale il lavoratore decide di consumare alcol e droghe così come decide di dedicarsi ad altre condotte a rischio. Si propone di ri-orientare le strategie analizzate nei due paesi europei presi in esame attraverso la realizzazione di un modello della promozione della salute fondato su alcuni punti chiave: – coinvolgimento di tutti i lavoratori (e non solo coloro che svolgono mansioni a rischio per la sicurezza) al fine di promuovere benessere secondo un approccio olistico di salute, orientato ad intervenire non soltanto in materia di consumo di sostanze psicoattive (legali e illegali), ma più in generale sulle condotte a rischio; – compartecipazione nelle diverse fasi (programmazione, realizzazione e valutazione del progetto) del lavoratore, datore di lavoro e medico competente secondo una logica di flessibilità, responsabilizzazione condivisa fra i diversi attori, personalizzazione e co-gestione dell’intervento; – azione volta a promuovere i fattori di protezione agendo simultaneamente sul contrasto dei fattori di rischio (stress, alienazione, scarso riconoscimento del ruolo svolto), attraverso interventi che integrano diverse strategie operative alla luce delle evidenze scientifiche (Evidence-Based Prevention); – ricorso a strumenti di controllo (drug testing) subordinato all’esigenza di tutelare l’incolumità fisica del lavoratore e dei colleghi, da attuarsi sempre e comunque attraverso prassi che non violino la privacy e attraverso strumenti in grado di verificare l’effettivo stato di alterazione psico-fisica sul luogo di lavoro; – demedicalizzazione delle situazioni di consumo che non richiedono un intervento prettamente sanitario, ma che al contrario potrebbero essere affrontate attraverso azioni incentrate sul care anziché la cure; – messa a disposizione di servizi ad hoc con funzione di supporto, counselling, orientamento per i lavoratori, non stigmatizzanti e con operatori di formazione non solamente sanitaria, sull’esempio degli EAPs (Employee Assistence Programs) statunitensi. Si ritiene che questo modello possa trasformare i contesti di lavoro da agenzie di controllo orientate alla sicurezza a luoghi di intervento orientati al benessere attraverso un’azione sinergica e congiunta volta a promuovere i fattori di protezione a discapito di quelli di rischio in modo tale da intervenire non soltanto sul consumo di sostanze psicotrope, ma più in generale sullo stile di vita che influenza la salute complessiva.

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Questo elaborato si pone l'obiettivo di analizzare e valutare la sostenibilità dell'intera filiera dell'olio di palma, che viene importato da paesi del Sud Est asiatico per essere utilizzato in Europa per scopi sia energetici che alimentari. Nell'introduzione è inquadrata la problematica dei biocombustibili e degli strumenti volontari che possono essere utilizzati per garantire ed incentivare la sostenibilità in generale e dei biocombustibili; è presente inoltre un approfondimento sull'olio di palma, sulle sue caratteristiche e sulla crescita che ha subito negli ultimi anni in termini di produzione e compra/vendita. Per questa valutazione sono stati impiegati tre importanti strumenti di analisi e certificazione della sostenibilità, che sono stati applicati ad uno specifico caso di studio: l'azienda Unigrà SpA. La certificazione RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) è uno strumento volontario per la garanzia della sostenibilità della filiera dell'olio di palma in termini economici (vitalità nel mercato), ambientali (risparmio delle emissioni di gas ad effetto serra o GHG, conservazione delle risorse naturali e della biodiversità) e sociali (preservazione delle comunità locali e miglioramento nella gestione delle aree di interesse). La Global Reporting Initiative è un'organizzazione che prevede la redazione volontaria di un documento chiamato bilancio di sostenibilità secondo delle linee guida standardizzate che permettono alle organizzazioni di misurare e confrontare le loro performance economiche, sociali e ambientali nel tempo. La Direttiva Comunitaria 2009/28/CE (Renewable Energy Directive o RED) è invece uno strumento cogente nel caso in cui le organizzazioni intendano utilizzare risorse rinnovabili per ottenere incentivi finanziari. A seguito di un calcolo delle emissioni di GHG, le organizzazioni devono dimostrare determinate prestazioni ambientali attraverso il confronto con delle soglie presenti nel testo della Direttiva. Parallelamente alla valutazione delle emissioni è richiesto che le organizzazioni aderiscano a dei criteri obbligatori di sostenibilità economica, ambientale e sociale, verificabili grazie a degli schemi di certificazione che rientrano all'interno di politiche di sostenibilità globale. Questi strumenti sono stati applicati ad Unigrà, un'azienda che opera nel settore della trasformazione e della vendita di oli e grassi alimentari, margarine e semilavorati destinati alla produzione alimentare e che ha recentemente costruito una centrale da 58 MWe per la produzione di energia elettrica, alimentata in parte da olio di palma proveniente dal sud-est asiatico ed in parte dallo scarto della lavorazione nello stabilimento. L'adesione alla RSPO garantisce all'azienda la conformità alle richieste dell'organizzazione per la commercializzazione e la vendita di materie prime certificate RSPO, migliorando l'immagine di Unigrà all'interno del suo mercato di riferimento. Questo tipo di certificazione risulta importante per le organizzazioni perché può essere considerato un mezzo per ridurre l'impatto negativo nei confronti dell'ambiente, limitando deforestazione e cambiamenti di uso del suolo, oltre che consentire una valutazione globale, anche in termini di sostenibilità sociale. Unigrà ha visto nella redazione del bilancio di sostenibilità uno strumento fondamentale per la valutazione della sostenibilità a tutto tondo della propria organizzazione, perché viene data uguale rilevanza alle tre sfere della sostenibilità; la validazione esterna di questo documento ha solo lo scopo di controllare che le informazioni inserite siano veritiere e corrette secondo le linee guida del GRI, tuttavia non da giudizi sulle prestazioni assolute di una organizzazione. Il giudizio che viene dato sulle prestazioni delle organizzazioni e di tipo qualitativo ma non quantitativo. Ogni organizzazione può decidere di inserire o meno parte degli indicatori per una descrizione più accurata e puntuale. Unigrà acquisterà olio di palma certificato sostenibile secondo i principi previsti dalla Direttiva RED per l'alimentazione della centrale energetica, inoltre il 10 gennaio 2012 ha ottenuto la certificazione della sostenibilità della filiera secondo lo schema Bureau Veritas approvato dalla Comunità Europea. Il calcolo delle emissioni di tutte le fasi della filiera dell'olio di palma specifico per Unigrà è stato svolto tramite Biograce, uno strumento di calcolo finanziato dalla Comunità Europea che permette alle organizzazioni di misurare le emissioni della propria filiera in maniera semplificata ed adattabile alle specifiche situazioni. Dei fattori critici possono però influenzare il calcolo delle emissioni della filiera dell'olio di palma, tra questi i più rilevanti sono: cambiamento di uso del suolo diretto ed indiretto, perché possono provocare perdita di biodiversità, aumento delle emissioni di gas serra derivanti dai cambiamenti di riserve di carbonio nel suolo e nella biomassa vegetale, combustione delle foreste, malattie respiratorie, cambiamenti nelle caratteristiche dei terreni e conflitti sociali; presenza di un sistema di cattura di metano all'oleificio, perché gli effluenti della lavorazione non trattati potrebbero provocare problemi ambientali; cambiamento del rendimento del terreno, che può influenzare negativamente la resa delle piantagioni di palma da olio; sicurezza del cibo ed aspetti socio-economici, perché, sebbene non inseriti nel calcolo delle emissioni, potrebbero provocare conseguenze indesiderate per le popolazioni locali. Per una valutazione complessiva della filiera presa in esame, è necessario ottenere delle informazioni puntuali provenienti da paesi terzi dove però non sono di sempre facile reperibilità. Alla fine della valutazione delle emissioni, quello che emerge dal foglio di Biograce e un numero che, sebbene possa essere confrontato con delle soglie specifiche che descrivono dei criteri obbligatori di sostenibilità, non fornisce informazioni aggiuntive sulle caratteristiche della filiera considerata. È per questo motivo che accanto a valutazioni di questo tipo è necessario aderire a specifici criteri di sostenibilità aggiuntivi. Il calcolo delle emissioni dell'azienda Unigrà risulta vantaggioso in quasi tutti i casi, anche considerando i fattori critici; la certificazione della sostenibilità della filiera garantisce l'elevato livello di performance anche nei casi provvisti di maggiore incertezza. L'analisi del caso Unigrà ha reso evidente come l'azienda abbia intrapreso la strada della sostenibilità globale, che si traduce in azioni concrete. Gli strumenti di certificazione risultano quindi dei mezzi che consentono di garantire la sostenibilità della filiera dell'olio di palma e diventano parte integrante di programmi per la strategia europea di promozione della sostenibilità globale. L'utilizzo e l'implementazione di sistemi di certificazione della sostenibilità risulta per questo da favorire.