348 resultados para norme de Rauzy
Resumo:
La presente tesi tratta delle analisi di sicurezza delle intersezioni sia esistenti, sia di nuova progettazione. Nel primo capitolo vengono definite le intersezioni secondo il D.M. 19-04-06 âNorme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradaliâ. Sono descritte le manovre possibili, le problematiche ed i punti di conflitto che si vengono a creare durante lâattraversamento, definendo le varie tipologie. Successivamente si affronta una classificazione tipologica delle intersezioni rappresentando per mezzo di una matrice simbolica tutti i possibili nodi. Questi vengono suddivisi in base alla possibilità di connessione. Ampio spazio è dato alla descrizione dellâintersezione a raso dove vengono esaminate le caratteristiche geometriche tra cui le configurazioni delle corsie e le tipologie di isole divisionali. Vengono esaminate le particolarità dellâintersezione semaforizzata definendo il ciclo semaforico e gli elementi che lo compongono, la fasatura, il livello di servizio (LOS), il ritardo, definendo gli elementi che lo compongono per mezzo di formule empiriche. Nella seconda parte del capitolo viene descritta lâintersezione a rotatoria in base al D.M. 19-04-06. Inizialmente si introduce lâargomento con nozioni storiche a carattere informativo, quindi si da una classificazione generale degli elementi che la caratterizzano. Viene descritta lâisola divisionale spiegandone la tipologia costruttiva e rappresentando i parametri di classificazione geometrica. A titolo di esempio sono state inserite varie rappresentazioni di rotatorie suddivise per tipologie costruttive. Nellâultima parte viene affrontato lâelemento rotatoria definendo la distanza di visibilità e i criteri per il calcolo della capacità . Il secondo capitolo parla delle analisi di sicurezza delle intersezioni. Inizialmente viene descritta la circolare 3699 âLinee guida per le analisi di sicurezza delle stradeâ definendo il concetto di analisi di sicurezza ed esaminando le differenze tra le due tipologie di analisi: Road safety review e Road safety audit. In seguito si descrivono gli obbiettivi dellâanalisi di sicurezza, vantaggi e svantaggi e la valutazione dellâapproccio concettuale. Viene descritta più approfonditamente la tipologia del Road safety review evidenziando lâutilità , gli elementi che la caratterizzano, le figure professionali che prendono parte a queste analisi con le azioni che devono seguire. Dopo si analizzano i criteri per affrontare gli studi sulla sicurezza e le fasi per le procedure di analisi. Si procede con la descrizione di una tipologia di ispezione, analizzando le problematiche e la stesura del rapporto di analisi con la descrizione dei tempi di attuazione. Nella parte centrale del capitolo viene descritta la direttiva del parlamento europeo e del consiglio sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali con i relativi obbiettivi che si prefigge. Vengono riportati i 13 articoli che si compone con i relativi 4 allegati inerenti a: - Valutazione di impatto sulla sicurezza; - Audit della sicurezza stradale; - Gestione dei tratti stradali ad alto rischio, gestione della sicurezza della rete e ispezione di sicurezza; - Dati che devono figurare nelle relazioni di incidenti. Lâultimo argomento preso in esame riguarda le norme per gli interventi di adeguamento delle strade esistenti. Vengono descritte le categorie di intervento e gli obbiettivi da raggiungere distinguendoli in obbiettivi prestazionali, di funzionalità operativa e sicurezza della circolazione. Vengono affrontate le caratteristiche e le differenze tra interventi strutturali e non strutturali con i relativi obbiettivi valutando gli effetti che si ottengono dallâadeguamento delle strade. Successivamente vengono descritte le campagne di monitoraggio con le relative procedure e tempistiche. Infine si valutano le responsabilità degli interventi. Nel capitolo 3 viene descritta lâanalisi dello stato di fatto. Si è proceduto con la classificazione della infrastruttura descrivendo i tratti di strada interessati dallâintervento ed utilizzando delle foto per individuare alcune problematiche emerse nellâintersezione. Utilizzando lâelaborato âazzonamento del territorio comunale di Carpiâ è stata descritta la zona oggetto di studio. Poi con la macroclassificazione del territorio con scala 1:10000 viene mostrato graficamente il territorio urbanizzato, in corso di urbanizzazione e a destinazione urbana. Lâultimo elaborato preso in esame riguarda la classificazione acustica del territorio. Infine si è proceduto con lâanalisi del traffico e di incidentalità . Utilizzando i dati rilevati dalla polizia municipale del comune di Carpi sono stati costruiti i grafici e studiati gli andamenti nel periodo di tempo di riferimento dal 2000 al 2008. Utilizzando poi i dati dei flussi di traffico si sono analizzati le tipologie e i volumi di traffico nellâintersezione. Nellâultimo capitolo viene studiato il Road safety review dellâintersezione. Si procede con una descrizione generale dellâintersezione, e si prosegue poi con lâindividuazione delle problematiche lungo il tracciato. Inizialmente sono state scattate numerose foto nella zona interessata poi sono state divise per tipologia di problema. Per ogni problema si è cercato una soluzione descrivendo e motivando la scelta. Nelle conclusioni si sono descritti i risultati ottenuti nellâanalisi di sicurezza elencando le principali raccomandazioni emerse dallâanalisi.
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L'Autore opera una ricostruzione teorica del concetto di unità della successione, apprezzandone diverse sfumature: un significato più ristretto, per cui esso si lega al concetto di universitas ed individua appunto come unico il complesso delle situazioni giuridiche soggettive riferibili al de cuius; un secondo concetto più ampio, per cui unitarietà della successione mortis causa è il fenomeno per cui la successione nella somma delle posizioni giuridiche spettanti al defunto riceve una unica regolazione legislativa; un terzo profilo, che abbandona il concetto di successione mortis causa in senso giuridico, per accostarsi ad un concetto (piuttosto di natura economica)di unità della vicenda successoria. Se il concetto di unità della successione possiede un triplice, valore, anche la deroga ad esso potrà assumere diverse vesti, a seconda che incida sul primo, sul secondo o sul terzo di questi significati. Se il terzo profilo riguarda piuttosto un concetto economico e non tecnico di successione, ed importa conseguentemente deroghe solo indirette all’unità della successione, l’anomalia può essere di due tipi: possono essere dettate regole particolari per singoli beni, che però rimangono entro l’unica massa ereditaria, pur avendo una destinazione loro propria, e può invece essere creata dal legislatore una separata massa per cui si fa luogo ad una distinta regolazione successoria. Procedendo nella classificazione, le ipotesi di una deroga del primo tipo possono essere definite successioni speciali, riservando alla seconda classe di anomalie il nome di successioni separate. Conclusivamente, l'autore rileva che la disciplina della vicenda successoria, così come consegnata dalla tradizione e sancita ancora nelle norme della codificazione del 1942, non è più caratterizzata dall’assoluto dominio del principio di unità della successione, anche perché non si è rivelata, nella esperienza giuridica successiva alla codificazione, del tutto adeguata, in relazione a determinate categorie di beni e ad alcune categorie di soggetti coinvolti. Il legislatore ha infatti ritenuto di introdurre deroghe, via via maggiori al principio, con riferimento sia ai beni d’impresa sia alla particolare posizione – ed agli interessi tutelati – dei soggetti più vicini al de cuius, come il coniuge ed i parenti che vivessero a suo carico.
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Oggetto della ricerca sono l’esame e la valutazione dei limiti posti all’autonomia privata dal divieto di abuso della posizione dominante, come sancito, in materia di tutela della concorrenza, dall’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, a sua volta modellato sull’art. 82 del Trattato CE. Preliminarmente, si è ritenuto opportuno svolgere la ricognizione degli interessi tutelati dal diritto della concorrenza, onde individuare la cerchia dei soggetti legittimati ad avvalersi dell’apparato di rimedi civilistici – invero scarno e necessitante di integrazione in via interpretativa – contemplato dall’art. 33 della legge n. 287/1990. È così emerso come l’odierno diritto della concorrenza, basato su un modello di workable competition, non possa ritenersi sorretto da ragioni corporative di tutela dei soli imprenditori concorrenti, investendo direttamente – e rivestendo di rilevanza giuridica – le situazioni soggettive di coloro che operano sul mercato, indipendentemente da qualificazioni formali. In tal senso, sono stati esaminati i caratteri fondamentali dell’istituto dell’abuso di posizione dominante, come delineatisi nella prassi applicativa non solo degli organi nazionali, ma anche di quelli comunitari. Ed invero, un aspetto importante che caratterizza la disciplina italiana dell’abuso di posizione dominante e della concorrenza in generale, distinguendola dalle normative di altri sistemi giuridici prossimi al nostro, è costituito dal vincolo di dipendenza dal diritto comunitario, sancito dall’art. 1, quarto comma, della legge n. 287/1990, idoneo a determinare peculiari riflessi anche sul piano dell’applicazione civilistica dell’istituto. La ricerca si è quindi spostata sulla figura generale del divieto di abuso del diritto, onde vagliarne i possibili rapporti con l’istituto in esame. A tal proposito, si è tentato di individuare, per quanto possibile, i tratti essenziali della figura dell’abuso del diritto relativamente all’esercizio dell’autonomia privata in ambito negoziale, con particolare riferimento all’evoluzione del pensiero della dottrina e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema, che hanno valorizzato il ruolo della buona fede intesa in senso oggettivo. Particolarmente interessante è parsa la possibilità di estendere i confini della figura dell’abuso del diritto sì da ricomprendere anche l’esercizio di prerogative individuali diverse dai diritti soggettivi. Da tale estensione potrebbero infatti discendere interessanti ripercussioni per la tutela dei soggetti deboli nel contesto dei rapporti d’impresa, intendendosi per tali tanto i rapporti tra imprenditori in posizione paritaria o asimmetrica, quanto i rapporti tra imprenditori e consumatori. È stato inoltre preso in considerazione l’aspetto dei rimedi avverso le condotte abusive, alla luce dei moderni contributi sull’eccezione di dolo generale, sulla tutela risarcitoria e sull’invalidità negoziale, con i quali è opportuno confrontarsi qualora si intenda cercare di colmare – come sembra opportuno – i vuoti di disciplina della tutela civilistica avverso l’abuso di posizione dominante. Stante l’evidente contiguità con la figura in esame, si è poi provveduto ad esaminare, per quanto sinteticamente, il divieto di abuso di dipendenza economica, il quale si delinea come figura ibrida, a metà strada tra il diritto dei contratti e quello della concorrenza. Tale fattispecie, pur inserita in una legge volta a disciplinare il settore della subfornitura industriale (art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192), ha suscitato un vasto interessamento della dottrina. Si sono infatti levate diverse voci favorevoli a riconoscere la portata applicativa generale del divieto, quale principio di giustizia contrattuale valevole per tutti i rapporti tra imprenditori. Nel tentativo di verificare tale assunto, si è cercato di individuare la ratio sottesa all’art. 9 della legge n. 192/1998, anche in considerazione dei suoi rapporti con il divieto di abuso di posizione dominante. Su tale aspetto è d’altronde appositamente intervenuto il legislatore con la legge 5 marzo 2001, n. 57, riconoscendo la competenza dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato a provvedere, anche d’ufficio, sugli abusi di dipendenza economica con rilevanza concorrenziale. Si possono così prospettare due fattispecie normative di abusi di dipendenza economica, quella con effetti circoscritti al singolo rapporto interimprenditoriale, la cui disciplina è rimessa al diritto civile, e quella con effetti negativi per il mercato, soggetta anche – ma non solo – alle regole del diritto antitrust; tracciare una netta linea di demarcazione tra i reciproci ambiti non appare comunque agevole. Sono stati inoltre dedicati brevi cenni ai rimedi avverso le condotte di abuso di dipendenza economica, i quali involgono problematiche non dissimili a quelle che si delineano per il divieto di abuso di posizione dominante. Poste tali basi, la ricerca è proseguita con la ricognizione dei rimedi civilistici esperibili contro gli abusi di posizione dominante. Anzitutto, è stato preso in considerazione il rimedio del risarcimento dei danni, partendo dall’individuazione della fonte della responsabilità dell’abutente e vagliando criticamente le diverse ipotesi proposte in dottrina, anche con riferimento alle recenti elaborazioni in tema di obblighi di protezione. È stata altresì vagliata l’ammissibilità di una visione unitaria degli illeciti in questione, quali fattispecie plurioffensive e indipendenti dalla qualifica formale del soggetto leso, sia esso imprenditore concorrente, distributore o intermediario – o meglio, in generale, imprenditore complementare – oppure consumatore. L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni risarcitorie sembra comunque dipendere in ampia misura dalla risposta al quesito preliminare sulla natura – extracontrattuale, precontrattuale ovvero contrattuale – della responsabilità conseguente alla violazione del divieto. Pur non sembrando prospettabili soluzioni di carattere universale, sono apparsi meritevoli di approfondimento i seguenti profili: quanto all’individuazione dei soggetti legittimati, il problema della traslazione del danno, o passing-on; quanto al nesso causale, il criterio da utilizzare per il relativo accertamento, l’ammissibilità di prove presuntive e l’efficacia dei provvedimenti amministrativi sanzionatori; quanto all’elemento soggettivo, la possibilità di applicare analogicamente l’art. 2600 c.c. e gli aspetti collegati alla colpa per inosservanza di norme di condotta; quanto ai danni risarcibili, i criteri di accertamento e di prova del pregiudizio; infine, quanto al termine di prescrizione, la possibilità di qualificare il danno da illecito antitrust quale danno “lungolatente”, con le relative conseguenze sull’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. In secondo luogo, è stata esaminata la questione della sorte dei contratti posti in essere in violazione del divieto di abuso di posizione dominante. In particolare, ci si è interrogati sulla possibilità di configurare – in assenza di indicazioni normative – la nullità “virtuale” di detti contratti, anche a fronte della recente conferma giunta dalla Suprema Corte circa la distinzione tra regole di comportamento e regole di validità del contratto. È stata inoltre esaminata – e valutata in senso negativo – la possibilità di qualificare la nullità in parola quale nullità “di protezione”, con una ricognizione, per quanto sintetica, dei principali aspetti attinenti alla legittimazione ad agire, alla rilevabilità d’ufficio e all’estensione dell’invalidità. Sono poi state dedicate alcune considerazioni alla nota questione della sorte dei contratti posti “a valle” di condotte abusive, per i quali non sembra agevole configurare declaratorie di nullità, mentre appare prospettabile – e, anzi, preferibile – il ricorso alla tutela risarcitoria. Da ultimo, non si è trascurata la valutazione dell’esperibilità, avverso le condotte di abuso di posizione dominante, di azioni diverse da quelle di nullità e risarcimento, le sole espressamente contemplate dall’art. 33, secondo comma, della legge n. 287/1990. Segnatamente, l’attenzione si è concentrata sulla possibilità di imporre a carico dell’impresa in posizione dominante un obbligo a contrarre a condizioni eque e non discriminatorie. L’importanza del tema è attestata non solo dalla discordanza delle pronunce giurisprudenziali, peraltro numericamente scarse, ma anche dal vasto dibattito dottrinale da tempo sviluppatosi, che investe tuttora taluni aspetti salienti del diritto delle obbligazioni e della tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà di iniziativa economica.
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La presente Tesi di Laurea Specialistica considera, partendo da un'analisi della normativa vigente e delle procedure aziendali interne, il Sistema di Gestione Integrato Qualità Sicurezza Ambiente (SGI QSA) di HERA SpA con particolare attenzione alle tematiche relative alla Prevenzione e Protezione sul luogo di lavoro in riferimento al Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/2008) . Nello specifico, l'elaborato si basa sull'esperienza maturata durante cinque mesi di stage effettuati presso l'ufficio "Servizio Prevenzione e Protezione" della Struttura Operativa Territoriale (SOT) Bologna. Durante la mia permanenza in HERA SpA, ho avuto modo di osservare e prendere parte alle attività quotidianamente svolte sia in ufficio che presso gli impianti dislocati nel territorio della provincia di Bologna con particolare riguardo alla raccolta, gestione e fruibilità dei dai inerenti la sicurezza dei luoghi di lavoro. Nell'ambito dello stage, ho avuto anche la possibilità , estremamente formativa, di prendere visione dei processi, delle tecnologie e delle modalità operative sottostanti l'erogazione di servizi da parte di una Multiutility; acquisire consapevolezza e know how in merito alle energie messe in campo per effettuare attività quali la raccolta e lo smaltimento di rifiuti piuttosto che rendere disponibile alle utenze la fornitura di acqua e gas. Ritengo che questo possa darmi un valore aggiunto sia da un punto di vista professionale che da un punto di vista umano. Scopo primario di questa trattazione è effettuare l'istantanea di un'azienda complessa e in rapida evoluzione come HERA a partire della Salute e Sicurezza dei Lavoratori con l'obiettivo di indicare le attività eseguite durante lo stage e il contributo fornito allo sviluppo e al mantenimento del SGS (Sistema di Gestione per la Salute e la sicurezza). Per meglio evidenziare la diversa natura delle informazioni riportate, l'elaborato risulta diviso in due parti fondamentali: La I PARTE riguarda lo studio della normativa che regola il settore con particolare riferimento al TUSL Testo Unico per la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro (norma vigente in Italia) e allo standard britannico OHSAS 18001 a cui possono fare riferimento le organizzazioni che intendono certificare il proprio sistema di gestione in materia di sicurezza. In seguito si andranno ad analizzare le norme ISO 9001e ISO14001 che riguardano rispettivamente la possibilità di certificare il proprio sistema di gestione in merito a Qualità del servizio e tutela dell'Ambiente. Infine saranno proposte alcune riflessioni riguardanti la necessità di sviluppare un sistema di gestione integrato e certificato che permetta di avere una visione unitaria di Qualità Sicurezza e Ambiente. Nella II PARTE si entrerà nel merito delle attività svolte dall'ufficio Prevenzione e Protezione: a partire dalle procedure aziendali che fungono da punto di contatto fra gli obblighi normativi e la necessità di regolare l'operatività dei lavoratori, saranno descritte le mansioni che mi sono state affidate e le attività svolte durante lo stage.
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I materiali zirconiferi, in particolare i silicati di zirconio e l’ossido di zirconio, vengono ampiamente utilizzati in diverse applicazioni industriali: fra queste, l’industria delle piastrelle ceramiche e di produzione dei materiali refrattari ne consuma quantitativi consistenti. Misure di spettrometria gamma condotte su diversi campioni di materiale zirconifero (farine di zirconio e sabbie zirconifere) utilizzati nell’industria ceramica per la produzione del gres porcellanato e delle piastrelle smaltate, hanno messo in evidenza valori di concentrazione di attività superiori a quelli presenti mediamente sulla crosta terrestre (35, 30 Bqkg-1 per il 238U e il 232Th, rispettivamente [Unscear, 2000]). L’aggiunta del materiale zirconifero nella preparazione delle piastrelle ceramiche in particolare di quelle smaltate (in una percentuale in peso pari al 10-20%) del gres porcellanato (in una percentuale in peso di 1-10%) e delle lamine di gres porcellanato “sottile” (in una percentuale in peso dell’ordine del 30%), conferisce al prodotto finale un alto grado di bianco, buone caratteristiche meccaniche ed un elevato effetto opacizzante, ma comporta anche un arricchimento in radionuclidi naturali. L’obiettivo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di mettere a punto una metodologia (teorica e sperimentale) per valutare l’incremento di esposizione che possono ricevere un lavoratore standard di una industria ceramica ed una persona del pubblico che soggiorna in un ambiente rivestito con piastrelle. Da un lato, la presenza di radioattività nelle sabbie zirconifere, utilizzate come materie prime per la produzione di piastrelle, porta a considerare il problema dell’incremento di esposizione che può subire un lavoratore impiegato in ambiente di lavoro dove sono stoccati e manipolati consistenti quantitativi di materiale, dall’altro il contenuto di radioattività nel prodotto finito porta a considerare l’esposizione per una persona della popolazione che soggiorna in una stanza rivestita con materiale ceramico. Le numerose misure effettuate, unitamente allo sviluppo dei modelli necessari per valutare le dosi di esposizione per le persone del pubblico e dei lavoratori impiegati nel processo di produzione di piastrelle ceramiche, hanno permesso di mettere a punto una procedura che fornisce le garanzie necessarie per dichiarare accettabili le condizioni di lavoro nelle industrie ceramiche e più in generale il rispetto delle norme radioprotezionistiche per gli occupanti di ambienti rivestiti con piastrelle italiane.
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Porous materials are widely used in many fields of industrial applications, to achieve the requirements of noise reduction, that nowadays derive from strict regulations. The modeling of porous materials is still a problematic issue. Numerical simulations are often problematic in case of real complex geometries, especially in terms of computational times and convergence. At the same time, analytical models, even if partly limited by restrictive simplificative hypotheses, represent a powerful instrument to capture quickly the physics of the problem and general trends. In this context, a recently developed numerical method, called the Cell Method, is described, is presented in the case of the Biot's theory and applied for representative cases. The peculiarity of the Cell Method is that it allows for a direct algebraic and geometrical discretization of the field equations, without any reduction to a weak integral form. Then, the second part of the thesis presents the case of interaction between two poroelastic materials under the context of double porosity. The idea of using periodically repeated inclusions of a second porous material into a layer composed by an original material is described. In particular, the problem is addressed considering the efficiency of the analytical method. A analytical procedure for the simulation of heterogeneous layers based is described and validated considering both conditions of absorption and transmission; a comparison with the available numerical methods is performed. ---------------- I materiali porosi sono ampiamente utilizzati per diverse applicazioni industriali, al fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione del rumore, che sono resi impegnativi da norme al giorno d'oggi sempre più stringenti. La modellazione dei materiali porori per applicazioni vibro-acustiche rapprensenta un aspetto di una certa complessità. Le simulazioni numeriche sono spesso problematiche quando siano coinvolte geometrie di pezzi reali, in particolare riguardo i tempi computazionali e la convergenza. Allo stesso tempo, i modelli analitici, anche se parzialmente limitati a causa di ipotesi semplificative che ne restringono l'ambito di utilizzo, rappresentano uno strumento molto utile per comprendere rapidamente la fisica del problema e individuare tendenze generali. In questo contesto, un metodo numerico recentemente sviluppato, il Metodo delle Celle, viene descritto, implementato nel caso della teoria di Biot per la poroelasticità e applicato a casi rappresentativi. La peculiarità del Metodo delle Celle consiste nella discretizzazione diretta algebrica e geometrica delle equazioni di campo, senza alcuna riduzione a forme integrali deboli. Successivamente, nella seconda parte della tesi viene presentato il caso delle interazioni tra due materiali poroelastici a contatto, nel contesto dei materiali a doppia porosità. Viene descritta l'idea di utilizzare inclusioni periodicamente ripetute di un secondo materiale poroso all'interno di un layer a sua volta poroso. In particolare, il problema è studiando il metodo analitico e la sua efficienza. Una procedura analitica per il calcolo di strati eterogenei di materiale viene descritta e validata considerando sia condizioni di assorbimento, sia di trasmissione; viene effettuata una comparazione con i metodi numerici a disposizione.
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Lo studio sviluppato nella tesi fa riferimento all’ampio database sperimentale raccolto presso il sito campione di Treporti (VE), nell’ambito di un progetto di ricerca finalizzato alla caratterizzazione geotecnica del complesso sottosuolo della Laguna Veneta. Il sottosuolo lagunare è infatti caratterizzato da una fitta alternanza di sedimenti a matrice prevalentemente limosa, dal comportamento intermedio fra sabbie e argille. Il progetto di ricerca prevedeva la realizzazione di una vasta campagna di indagini in sito, articolata in più fasi e integrata da un programma sperimentale di laboratorio; nell’area in esame è stato inoltre costruito un rilevato sperimentale in vera grandezza, continuamente monitorato con una sofisticata strumentazione per circa quattro anni, fino alla sua graduale rimozione. Il lavoro di tesi proposto riguarda l’analisi dei dati provenienti dalle numerose prove dilatometriche (DMT) e con piezocono (CPTU) effettuate a Treporti, con particolare riferimento alle prove di tipo sismico (SDMT e SCPTU) realizzate sia prima della costruzione del rilevato sia a seguito della rimozione dello stesso. Rispetto alla prove “tradizionali”, le prove sismiche permettono anche la misura della velocità delle onde di taglio (Vs), la cui conoscenza è richiesta anche dalle recenti Norme Tecniche delle Costruzioni e della quale è possibile risalire agevolmente al modulo di rigidezza elastico a piccolissime deformazioni (G0). L’enorme database raccolto in questo sito offre tra l’altro l’interessante ed inusuale possibilità di mettere a confronto dati ricavati da prove dilatometriche e con piezocono relative a verticali adiacenti, svolte in diverse fasi della storia di carico imposta al sottosuolo dell’area mediante la costruzione del rilevato. L’interpretazione dei dati penetrometrici e dilatometrici è stata fatta utilizzando i più recenti approcci interpretativi proposti nella letteratura del settore. È importante sottolineare che la possibilità di classificare e stimare i parametri meccanici del sottosuolo lagunare a partire da prove diverse ha permesso una valutazione critica delle procedure interpretative adottate e, in taluni casi, ha messo in evidenza i limiti di alcuni approcci, pur se limitatamente al caso specifico in esame. In alcuni casi, grazie all’uso integrato delle prove dilatometriche e penetrometriche è stato possibile mettere a punto specifiche correlazioni alternative a quelle esistenti, calibrate sui dati sperimentali di Treporti.
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Nonostante la riforma societaria ed i tentativi di rilanciare l’economia nazionale, ancora oggi la principale fonte di ricchezza e di capitalizzazione resta l’investimento immobiliare. Ed ecco perchè si sente sempre più parlare di “Real Estate”, ovvero dei diritti reali sui beni immobili, della loro circolazione, e delle garanzie e tutele ad essa correlate. Dalla vendita immobiliare tipizzata nel codice civile del ’42 ad oggi molto è cambiato. E il mio lavoro parte proprio da un’analisi delle nuove forme e dei nuovi limiti alla circolazione degli immobili. In primis ho affrontato il tema del riconoscimento giurisprudenziale della cessione di cubatura: un esempio tipico del passaggio dal fatto al diritto attraverso la costruzione giurisprudenziale di nuove fattispecie giuridiche già in uso fra gli operatori del mercato. Tecnicamente la stessa espressione “cessione di cubatura” non risulta corretta: non si ha una vera e propria cessione, quanto la costituzione di una servitù ius non edificandi a favore di un terreno e a carico di un altro. La giurisprudenza è ormai concorde nello stabilire che l’accordo delle parti rimane comunque privo di efficacia se ad esso non segue un permesso di costruire della Pubblica Amministrazione che riconosca la maggiore capacità edificatoria al terreno a cui vantaggio è stabilità la servitù. Un’altra nuova forma di circolazione della proprietà, così come degli altri diritti reali minori, è la multiproprietà. La multiproprietà viene disciplinata nel nostro ordinamento, a seguito di una risoluzione del Parlamento Europeo del 13 ottobre 1988, dapprima con il D.lgs. 9 novembre 1998 e da ultimo con il Codice del Consumo, che con gli artt. 69 ss. stabilisce una più puntuale tutela degli acquirenti. Si riconosce qui l’esistenza di uno squilibrio fra le posizioni contrattuali fra venditore ed acquirente/consumatore: vi è una profonda asimmetria informativa fra le parti, che viene colmata prevedendo la consegna al futuro acquirente di un dettagliato prospetto informativo predisposto dal venditore. La mia attenzione si è concentrata proprio sul tema delle tutele che il nostro ordinamento riconosce al consumatore multiproprietario: un prospetto informativo dal contenuto minimo legislativamente predeterminato, recesso, fideiussione. Ho dedicato un particolare approfondimento alla normativa sull’acquisto immobiliare sulla carta. Il D.lgs. 122/2005 si inserisce nel contesto di una legislazione, che spesso trova la sua origine nel diritto privato europeo, finalizzata alla regolamentazione di un fenomeno sempre più frequente nella realtà economica contemporanea, rappresentato dalla contrattazione fra soggetti che si trovano in una posizione di squilibrio contrattuale: un “contraente forte” da una parte, ed un “contraente debole” dall’altra. La legislazione nazionale interviene sempre più frequentemente per porre un rimedio a queste situazioni di squilibrio, con interventi di tipo conformativo intesi a rendere effettiva l’autonoma contrattuale delle parti e, conseguentemente, agevolare il corretto funzionamento del mercato. Si parla in tal senso di una ius espansiva del modello europeo di legislazione a tutela del contraente debole, e quindi di una espansione del diritto privato europeo anche in settori dove manca una puntuale normativa comunitaria. Vi è una generale tendenza ad un “neoformalismo”, che consiste nella richiesta espressa della forma scritta e nella conformazione del contenuto del contratto, che solo apparentemente limitano l’autonomia contrattuale delle parti ma che tende ad eliminare le situazioni di squilibrio dando una tutela effettiva al contraente debole. Contraente debole e non “consumatore”. L’art. 1 del decreto parla, infatti, espressamente di “persona fisica”. Secondo gli orientamenti dottrinali maggioritari dalla nuova disciplina resterebbero esclusi, e quindi non rientrerebbero nella definizione di “acquirenti”, le società, le persone giuridiche e gli enti collettivi in generale. Si riconosce la figura del “professionista debole”, giacché si riconosce che l’acquisto di un immobile da costruire sia un’operazione che, in virtù della sua importanza economica, viene gestita con maggiore avvedutezza: l’acquisto di un immobile non è propriamente “atto di consumo”in senso tecnico. L’esigenza di tutela è diversa: si vuole tutelare l’acquirente in considerazione dell’intrinseca rischiosità dell’operazione, stabilendo alcuni profili fondamentali del contenuto del contratto non solo e non tanto a fini informativi, quanto piuttosto per una “tutela sostanziale” dell’acquirente. Il legislatore si preoccupa di predisporre garanzie obbligatorie per il caso di dissesto dell’impresa costruttrice. Le garanzie, quindi, come forma di tutela del contraente debole. Il mio lavoro si concentra, a questo punto, sulle garanzie personali e reali. Poche le novità sulle garanzie, ma alcune significative. Nel campo delle garanzie personali, acquista maggiore rilevanza la fideiussione prestata dal contraente forte a favore del contraente debole, affinché quest’ultimo possa recuperare tutte le somme investite per l’acquisto dell’immobile: sia esso un immobile in multiproprietà, sia esso un immobile ancora da costruire. E ancora le garanzie reali: pegno e ipoteca. Ho posto particolare attenzione al tema della "portabilità" dei mutui e surrogazione ex art. 1202 c.c. ed al tema delle formalità ipotecarie così come previsti dagli artt. 6, 7 e 8 della l. 2 aprile 2007, n. 40 sulla concorrenza. Ma la mia attenzione si è soffermata soprattutto sul tema della nullità ed in particolare sulla nullità relativa. La più recente legislazione speciale, specie quella di derivazione europea, ha dato un grosso scossone alla dogmatica tradizionale della nullità negoziale. Le fattispecie di nullità relativa sono sempre più frequenti, tanto da far parlare di una nuova categoria di nullità c.d. “nullità di protezione”. Quest’ultima risponde ad esigenze profondamente differenti dalla nullità assoluta di stampo codicistico. In luogo della nullità, sembra oggi più corretto parlare delle nullità: diverse categorie di invalidità, ciascuna delle quali soddisfa interessi diversificati, e come tale riceve anche una disciplina differenziata in termini di legittimazione all’azione, rilevabilità d’ufficio, prescrittibilità, sanabilità, opponibilità ai terzi. Ancora una volta partendo da un’analisi critica del D.lgs. 122/2005, ho avuto modo di approfondire il fondamentale tema della nullità nel nostro ordinamento. L’art. 2 del decreto stabilisce espressamente la nullità relativa, e cioè azionabile dal solo acquirente parte debole del contratto, nel caso in cui non sia rilasciata dal venditore la fideiussione. L’art. 6 stabilisce, invece, un contenuto minimo del contratto poste a tutela della parte debole e del corretto funzionamento del mercato immobiliare. Se ad alcune di esse può attribuirsi un valore meramente ordinatorio, altre al contrario rivestono una natura di norme imperative di ordine pubblico attinenti più precisamente al c.d. ordine pubblico di protezione ed al c.d. ordine pubblico di direzione. Nel sistema del nostro codice, la violazione di norma imperative dà luogo, ex art. 1418, alla nullità del contatto salvo che la legge stabilisca diversamente. E’quindi configurabile una nullità virtuale del contratto, ovvero non espressamente e letteralmente stabilita, ma che può essere desunta dal tenore imperativo delle norme. La dottrina prevalente è ormai orientata nel senso di ammettere che anche la nullità relativa possa essere virtuale, nel quadro di un orientamento, ormai dominante, volto al superamento dell’approccio tendente a far rientrare nell’eccezionalità qualsiasi difformità dal modello classico della nullità. Il problema, quindi, si sposta all’individuazione della natura imperativa della norma violata. In linea generale si afferma che perché una norma possa essere definita imperativa debba porre un comando o un divieto espresso, debba essere inderogabile ed indisponibile. Oggetto di dibattiti dottrinali è, poi, il tema della rilevabilità d’ufficio delle nullità relative. A fronte di una prima posizione dottrinale tendente ad escludere tale rilevabilità d’ufficio sul presupposto di una sua inconciliabilità con il regime di legittimazione relativa all’azione di nullità, dottrina e giurisprudenza più recenti appaiono concordi nel ritenere assolutamente conciliabili tali due profili. Si concorda, inoltre, sull’esistenza di limitazioni alla rilevabilità d’ufficio della nullità: la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma tale rilievo deve operare nell’esclusivo interesse del contraente debole, dovendo il giudice bloccarsi davanti ad un concreto interesse della parte a mantenere in vita il contratto. Discorso a sé stante deve poi esser fatto sul rapporto fra nullità relativa e nullità virtuale e responsabilità del notaio rogante. Secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza, nella misura in cui vi sia una violazione di norme imperative, e l’imperatività sia evidente, manifesta, dal tenore delle disposizioni, deve ritenersi che la nullità, sia testuale che virtuale, comporti la responsabilità del notaio ai sensi dell’art. 28 l. not. Ogni qualvolta, viceversa, tale nullità non si configuri, la responsabilità disciplinare sarà esclusa. Si avverte, comunque, una prima apertura verso la sanzionabilità delle nullità relative che siano manifeste. In chiusura del mio lavoro non ho potuto non tenere conto della recente crisi dei mercati internazionali. Crisi che ha avuto inizio proprio con il crollo negli Stati Uniti dei settori immobiliare e finanziario, improntati verso una eccessiva deregolamentazione e valorizzazione dell’autonomia contrattuale delle parti. L’assenza di garanzie sicure e la carenza di controllo di un professionista corrispondente al nostro notaio pubblico ufficiale, ha portato ad investimenti e finanziamenti azzardati da parte delle banche e degli istituti di credito che stanno vivendo un momento di profonda crisi aprendo la strada ad una recessione economica di portata mondiale.
Resumo:
La presente tesi descrive l’implementazione in Java di un algoritmo per il ragionamento giuridico che cattura due sue importanti peculiarità: la defeasibility del ragionamento normativo e il concetto di tempo. “Defeasible” significa “ritrattabile” e sta ad indicare, appunto, quegli schemi di ragionamento nei quali è possibile rivedere o ritrattare le conclusioni tratte precedentemente. Il tempo è essenziale per un’accurata rappresentazione degli scenari presenti nel mondo reale e in particolare per gli scenari giuridici. I profili temporali delle norme sono essenzialmente due: (i) tempo esterno della norma, cioè il periodo durante il quale la norma è valida cioè appartiene al sistema giuridico; (ii) tempo interno della norma che fa riferimento al periodo in cui la norma si applica. In particolare quest’ultimo periodo di tempo coincide con il periodo in cui le condizioni presenti nella norma devono presentarsi affinché essa produca i suoi effetti. Inoltre, nella tesi viene presentata un’estensione della logica defeasible in grado di distinguere tra regole con effetti persistenti, che valgono non solo per l’istante in cui si verificano le premesse ma anche per ogni istante successivo, e regole con effetti transitori, che valgono per un singolo istante. L’algoritmo presentato in questa tesi presenta una complessità lineare nelle dimensioni della teoria in ingresso e può interagire con le applicazioni del web semantico poiché elabora teorie scritte in Rule-ML, un linguaggio basato su XML per la rappresentazione di regole.
Resumo:
Architettura Alla domanda “cosa fa un architetto?” Non sono mai riuscito a dare una risposta soddisfacente ma leggendo gli scritti dei grandi architetti una cosa mi ha affascinato particolarmente: tutti raccontano di come nel progettare ci sia un equilibrio (scontro?) tra le conoscenze, le regole e la personale visione ed esperienza, in cui tutto si libera. Libeskind afferma di aver disegnato, in preda ad illuminazioni, più su tovagliolini da bar che su carta da disegno; Zumthor parla addirittura di momenti in cui si è come in preda ad un effetto di una droga: intuizioni! L’architetto progetta. Architetto come genio, particolarmente sensibile, quasi illuminato. “L’architettura non è per tutti”; mi chiedo allora non solo se esistono leggi, soluzioni o binari capaci di guidare anche chi è privo di tale estro ma se esiste un’Architettura comprensibile a tutti (anche alle generazioni future). Ancora una volta se penso ad un denominatore comune di benessere, una possibile guida, penso alla natura e ai suoi ritmi, un’Architettura che mantenga i legami con essa può forse ricordarci che siamo tutti ricchi. L’Architettura intesa come scoperta e non come invenzione, dunque onesta. Carcere Lo studio di una realtà come il carcere mi ha permesso di pormi numerose domande sul ruolo dell’Archittura, a partire dalla riflessione su ciò che significa e rappresenta il progetto architettonico. Studiando l’evoluzione delle carceri, legate indissolubilmente all’evoluzione del concetto di pena, è possibile dare molte risposte ai quesiti dovuti alle scelte progettuali. (costantemente stimolato dalle frequenti similitudini tra carcere e metropoli). Una contrapposizione dovuta al significato dell’abitare insieme al concetto di “qualità” rapportati al concetto di pena senza dimenticare le indicazioni delle norme di sicurezza. L’ Architettura intesa come ricerca del maggior benessere abitativo credo che debba comunque essere ricercata, anche nello spazio carcerario. Non vi è nessun paradosso se si pensa che lo scopo ultimo dello Stato è di voler reintegrare il detenuto in modo tale che non rappresenti più un pericolo e di conseguenza non gravi mai più sullo Stato stesso (troppo spesso chi è stato in carcere ci rientra dopo poco e per gli stessi motivi). “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”(art.27 Cost.) è da questa consapevolezza che dipende l’organizzazione della forma dello spazio e di tali strutture. Naturalmente il grande limite è imposto nel non creare situazioni di benessere tale da portare lo sprovveduto più disperato a commettere il crimine per poter godere dei servizi del carcere. Per questo motivo penso che una soluzione possa essere la ricerca di un equilibrio tra libertà degli spazi condivisi e i limiti dello spazio privato. A mio avviso tutte le esperienze positive devono avvenire in spazi collettivi insieme non solo agli altri carcerati ma anche con la società stessa (penso al Giardino degli incontri di Michelucci in cui c’è una attività teatrale gestita dagli enti comunali); mentre i limiti della reclusione penso debbano essere rappresentati dalla cella, da sempre momento di riflessione e di scoperta di sé stessi. Il detenuto impara a conoscere la società, impara a rispettarla ed una volta libero è più logico che sia disposto a ricambiare le attenzioni ricevute. La cella invece, deve rappresentare il momento in cui è forte il distacco con la società, in cui la si può guardare senza poterne fare parte: la cella come momento dell’attesa e non come comodo rifugio(seppur rispettando un livello di comfort ideale). Il disagio percepito non è da considerare una pena psicologica (anch’essa da evitare) o come un momento di purificazione (immaginario cristiano della colpa e dell’espiazione) ma più semplicemente come una fase del processo in grado (si spera) di recuperare il detenuto: è il desiderio e la consapevolezza di poter vivere insieme agli altri che porta al reinserimento. Di conseguenza è possibile dare una ulteriore risposta interessante; il carcere dovrà essere connesso alla città in modo tale che sia possibile l’interazione tra i due, inoltre permetterebbe alle persone in semi-libertà o in attesa di giudizio un più consono trattamento. Mettere in relazione città e carcere significa integrarli e completare le reciproche identità.
Resumo:
“Tecnologie sostenibili per il social housing”: la mia tesi affronta il tema dell’edilizia sociale cercando di capire se può ancora diventare un campo di ricerca e sperimentazione architettonica come lo è stato in più occasioni nell’ultimo secolo. La ricerca si è sviluppata in due fasi: una prima attività di studio della vicenda storica dell’abitazione sociale in Italia, con alcuni confronti europei, fino ad analizzare il nuovo quadro che si è andato delineando dalla fine degli anni ’90 e che caratterizza la situazione attuale. Successivamente, la progettazione di un piccolo intervento di edilizia abitativa che si propone di rispondere agli attuali profili della domanda, puntando a scelte tipologiche e costruttive coerenti. Nel trentennio 1950-’80, nell’Europa uscita dalla Seconda guerra mondiale, e in Italia in particolare, l’edilizia popolare ha vissuto un periodo dinamico, ricco di interventi normativi da parte dello Stato, (su tutte la legge Fanfani, e le norme Gescal) che hanno permesso di realizzare molti degli edifici ancora oggi utilizzati, accelerando la ripresa economica e sociale. Dopo gli anni ’80, le ricerche e le sperimentazioni in campo architettonico si spostano verso altri temi; superata la necessità di fornire una casa a milioni di persone, il tema dell’alloggio sembra perdere il forte rilievo sociale che aveva avuto nei decenni precedenti. Fino a ritenere che il tema dell’alloggio e in particolare dell’alloggio sociale, non avesse più la necessità di essere sperimentato e approfondito. Oggi la situazione riguardante la sperimentazione non è molto diversa: sono ancora molto limitati, infatti, gli studi e le ricerche sul tema dell’alloggio sociale. Ciò che è nuovamente mutata, invece, è l’emergenza di una nuova domanda di casa e la drammatica esigenza sociale di fornire un alloggio a milioni di famiglie che non se lo possono permettere. Le dinamiche che guidano questa nuova ondata di richiesta di alloggi sono molteplici, sia di natura sociale che economica. Sul piano sociale: - l’aumento del numero delle famiglie, passate da 22.226.000 nel 200o a 24.642.000 nel 2010, con un aumento del 9,8% in un solo decennio; - la “nuclearizzazione” delle famiglie e la loro contrazione dimensionale, fino agli attuali 2,4 componenti per nucleo; - l’invecchiamento della popolazione; - l’aumento della popolazione straniera, con oltre 3.900.000 di immigrati regolari. Su quello economico: - l’aumento della povertà assoluta: in Italia 1.162.000 famiglie (4,7%) corrispondenti a 3.074.000 individui vivono sotto la soglia di povertà; - l’aumento della povertà relativa, che investe oggi 2.657.000 famiglie (9,3%) e l’aumento delle famiglie a rischio di povertà (920.000 famiglie, pari al 3,7% dei nuclei). Questi dati evidenziano la dimensione del problema abitativo e smentiscono l’opinione che si tratti di una questione marginale: nel 2010 in Italia almeno 1.162.000 non hanno le risorse per pagare un affitto, nemmeno a canone agevolato, e 4.739.000 famiglie non riescono a pagare un affitto ai prezzi del libero mercato, ma non hanno la possibilità di entrare nelle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio sociale. Da questa panoramica sulle dimensioni del disagio abitativo, prende spunto la progettazione del mio sistema costruttivo, che si pone come obiettivo quello di ridurre i costi di costruzione tramite la standardizzazione dei componenti, consentendo di conseguenza, un minor costo di costruzione e quindi la possibilità di canoni di affitto ridotti, mantenendo buoni standard di qualità degli alloggi, sostenibilità ambientale e risparmio energetico. Le linee guida che hanno portato alla progettazione del sistema sono: - modularità degli spazi abitativi - zonizzazione funzionale - razionalizzazione impiantistica - illuminazione naturale - industrializzazione dei sistema costruttivo - standardizzazione dei componenti. Il risultato è un catalogo di alloggi di diverse metrature, aggregabili secondo tre tipologie residenziali. - a ballatoio - in linea - a torre Messo a punto questo sistema costruttivo, è stato progettato un intervento in un contesto specifico, per verificare l’applicabilità delle soluzioni sviluppate ed esplorarne alcune possibilità.
Resumo:
Descrive le caratteristiche chimico fisiche del combustibile derivato dai rifiuti, il suo processo produttivo e i suoi utilizzi. Nella parte finale analizza un impianto di produzione del CDR situato a Cavallino( LE) e una centrale termoelettrica a Massafra (TA) che lo utilizza.
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Dopo aver brevemente ricostruito l’evoluzione dell’istituto dell’incompatibilità nel pubblico impiego, tra la sua introduzione nell’Ordinamento italiano nel 1908 e la sua attuale formulazione (attraverso le riforme del 1923 e del 1957), l’autore –contestando un’opinione diffusa nella letteratura giuslavoristica- esclude che l’art. 98 Cost. obblighi il legislatore ordinario ad imporre un dovere di esclusività al lavoratore dipendente dalle pubbliche amministrazioni. Successivamente si osserva come nel corso di più di un secolo la Dottrina, comunque poco interessata al tema, non abbia saputo giustificare in maniera unitaria e coerente la disciplina delle incompatibilità (se non ricorrendo ad argomentazioni di natura etica o sociale); diversamente la Giurisprudenza, soprattutto in epoca repubblicana, ha cercato di ricondurre la ratio dell’istituto alla specificità del rapporto lavorativo, riuscendo a giustificare le previsioni (e a individuarne i confini di applicazione) solo in relazione alla specialità del rapporto di lavoro pubblico. Nel secondo capitolo si evidenzia come, in occasione della riforma di fine XX secolo, la scelta di riservare alla legge la disciplina delle incompatibilità nel pubblico impiego non sia necessariamente in contrasto con la privatizzazione del lavoro pubblico. Si descrivono inoltre le linee generali dell’istituto, evidenziandone gli aspetti problematici (in particolare rapporto tra art. 53 del D.Lgvo 165/01 e l’art. 1 commi 57 e ss. della L. 662/96) e la collocazione nell’ambito complessivo della riforma di privatizzazione (con particolare attenzione al tema della natura degli atti). Nell’ultimo capitolo, si evidenziano le criticità della disciplina vigente, anche alla luce della discutibile interpretazione datane dalla Corte di Cassazione. In particolare si sottolinea come il sistema sanzionatorio non sia coerente con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro e mantenga una forte connotazione pubblicistica. Si rileva quindi come le critiche all’istituto si possano sostanzialmente ricondurre al fatto che il legislatore, mantenendo in vita un istituto risalente e riconducibile a esigenze di varia natura, non ha individuato univocamente nè il fine ultimo delle norme nè quale sia il bene che si intende proteggere; in tal modo si è disegnato un sistema che vieta irragionevolmente le sole attività remunerative, implica una profonda differenziazione pubblico/privato, comporta un sacrificio significativo per il lavoratore pubblico. Dopo aver negato la possibilità di ricondurre l’istituto alle previsioni di cui all’art. 2105 c.c., l’autore, riflettendo sulle ragioni fondanti l’esistenza di tale ultima previsione e in considerazione del dato incontrovertibile che oggi l’ordinamento fonda sul contratto sia i rapporti di impiego pubblico sia quelli di impiego privato, giunge ad individuare un unitario principio secondo il quale è illecito lo svolgimento, da parte del lavoratore, di attività inconciliabili con gli interessi che costituiscono la giustificazione profonda dell’attività del datore di lavoro. Si tratterebbe, insomma, di “un generale principio di tutela dell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività del datore, che si concretizza in entrambi i casi nel sorgere di obbligazioni negative (di non fare/di astenersi) in capo al lavoratore, riferite alle attività concorrenziali e a quelle incompatibili”(Cap III, 3.3) rispettivamente nel privato e nel pubblico Alla luce della esposta conclusione, l’autore auspica che tutto il sistema delle incompatibilità venga ridisegnato in una prospettiva che tenga conto dell’esigenza di uniformare al massimo le regole che governano il lavoro, indipendentemente dalla soggettività (pubblica o privata) dei datori. Un simile obiettivo, in termini di coerenza ed efficacia, appare perseguibile a partire dal modello disegnato dall’art. 53 del D.Lgvo 165/01 in materia di incarichi autorizzabili.
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Il progetto prevede l’applicazione dell’analisi del ciclo di vita al sistema integrato di raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. La struttura di una LCA (Life Cycle Assessment) è determinata dalla serie di norme UNI EN ISO 14040 e si può considerare come “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. Questa definizione si riassume nella frase “ from cradle to grave” (dalla culla alla tomba). Lo scopo dello studio è l’applicazione di una LCA alla gestione complessiva dei rifiuti valutata in tre territori diversi individuati presso tre gestori italiani. Due di questi si contraddistinguono per modelli di raccolta con elevati livelli di raccolta differenziata e con preminenza del sistema di raccolta domiciliarizzato, mentre sul territorio del terzo gestore prevale il sistema di raccolta con contenitori stradali e con livelli di raccolta differenziata buoni, ma significativamente inferiori rispetto ai Gestori prima descritti. Nella fase iniziale sono stati individuati sul territorio dei tre Gestori uno o più Comuni con caratteristiche abbastanza simili come urbanizzazione, contesto sociale, numero di utenze domestiche e non domestiche. Nella scelta dei Comuni sono state privilegiate le realtà che hanno maturato il passaggio dal modello di raccolta a contenitori stradali a quello a raccolta porta a porta. Attuata l’identificazione delle aree da sottoporre a studio, è stato realizzato, per ognuna di queste aree, uno studio LCA dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, dalla raccolta allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti urbani e assimilati. Lo studio ha posto anche minuziosa attenzione al passaggio dal sistema di raccolta a contenitori al sistema di raccolta porta a porta, evidenziando il confronto fra le due realtà, nelle fasi pre e post passaggio, in particolare sono stati realizzati tre LCA di confronto attraverso i quali è stato possibile individuare il sistema di gestione con minori impatti ambientali.
Resumo:
Nel corso del presente studio si è cercato di capire quale potesse essere la normativa applicabile ai vari tipi di contratto elettronici analizzati, sia dal punto di vista del diverso modello contrattuale e sia dal punto di vista del soggetto, come parte del contratto. Infatti, proprio la peculiare logica delle norme poste a tutela del consumatore giustifica un separato approfondimento degli aspetti riguardanti i contratti conclusi tra operatori professionali, contratti business to business e quelli di cui sia parte un consumatore, contratti business to consumer. Sulla base di questi aspetti soggettivi e contrattuali, è stata analizzate la normativa comunitaria di riferimento, dal regolamento n. 44 del 2001 alla direttiva comunitaria 2000/31/CE. Si sono affrontati anche gli aspetti relativi alle norme di derivazione Uncitral, dalla Model Law del 1996 alla Convenzione del 2005 sulle comunicazioni elettroniche nella contrattazione internazionale, le norme di soft law, dalla Nuova lex mercatoria ai Principi Unidroit alle Linee Guida OCSE e la loro interazione con il commercio elettronico. In seguito, si è analizzata la convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali e il regolamento Roma I, le loro differenze e la loro diretta applicabilità, se esiste, con il commercio elettronico. In particolare, il Regolamento Roma I ha, nella maggior parte delle sue disposizioni, riproposto quanto contenuto nella convenzione di Roma, però in chiave moderna, apportando delle innovazioni nel commercio elettronico internazionale.