889 resultados para Modernity and civility


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O artigo apresenta uma perspectiva sintética da concepção de criança, pontuando questões relacionadas à pós-modernidade e ao problema da violência sexual intrafamiliar, o que faz parte da revisão bibliográfica para a elaboração de dissertação do Mestrado em Psicologia Clínica e Social da UFPA. As reflexões são articuladas através dos pontos de vista da Psicologia e da terapia ocupacional, pois a primeira é a base do nosso mestrado, e a segunda, do campo de atuação. O pensamento pós-moderno valoriza o singular e o idiossincrático, assim, apreender o discurso sobre a criança nos remete à importância de compreender o que elas próprias pensam e sentem sobre a sua condição infantil. A Psicologia da qual nos valemos oferece, para as análises, o conceito de nutrição psicológica, que diz respeito ao provimento, pelos cuidadores, de alimentos positivos capazes de permitir à criança desenvolver-se de modo criativo e saudável; além desse conceito, a terapia ocupacional apresenta o de atividades expressivas.

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Our thesis entitled The Invention of Orthodoxy. Religion and Modernity in Romanian nationalist discourse from the XIXth to the XXth century is intended to be a history of the idea of “Romanianess” which brings together, in a structural as well as in a conceptual dimension, three major themes: Romanian Orthodoxy, Modernity and the Political. Having as premise for the study of the Romanian case the simultaneous genesis of the religious and political communities, from the Middle Ages to Modernity, the purpose of our inquiry is to formulate a theologico-political definition of ‘’Romanian Orthodoxy’’. Thus, within a main theoretical framework that values the contributions of Carl Schmitt, Michel Foucault and Reinhart Koselleck, our analysis of selected texts that go from the 1860’s to the 1940’s tries to answer the question regarding the relationship between Romanian Orthodoxy and Modernity, as well as its reflection upon the political identity and organisation of the Romanian society. Considering the political context of the events that underline our conceptual focus, we consider that the proper answer to our investigation lies within the logic of multiplicity; namely, we refer to a plural Romania which is divided, at the beginning of the XXth century, between Traditionalism and Modernity, between a massive rural, agrarian society and an urban minority elite, striving to single out, in an phenomenological approach, the “Romanian way”. Secondly, we refer to a plural Modernity, which is at the same time social, cultural, religious and political. Thirdly, the logic of multiplicity applies as well in the interpretation of the fractures present within the religious nationalist discourse; namely, the rejection of Orthodoxy during the XIXth century, as it was considered an impediment in Romania’s path to adopting western modernity and later on, starting with the 1930, the restoration of the “Orthodox ethos” as a source of cultural and political values of the Romanian nation.

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Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale. Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria.

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Leggere il progetto del Moderno e le sue culture costruttive in relazione alla storia e allo sviluppo della tecnologia, consente di esplorare alcuni aspetti dell’Architettura Moderna in Europa. Oltre alla più famosa, e maggiormente studiata, triade dei materiali ‘moderni’ – l’acciaio, il calcestruzzo e il vetro – la pietra ha svolto un importante ruolo nella definizione sia dello stile che della costruzione moderna. La costruzione in pietra è stata sempre associata alla tradizione e quindi deliberatamente dimenticata dal Movimento Moderno, durante la fase cruciale della modernizzazione della società e quindi dell’architettura e della costruzione. La pietra tuttavia testimonia la delicata transizione dalla tradizionale arte del costruire alle nuove tecnologie. La ricerca ha studiato l’evoluzione delle tecniche costruttive in pietra in Francia ed in Italia, durante gli anni ’20 e ’30, in relazione alle nuove tecniche industrializzate e i linguaggi delle avanguardie. La ricerca è partita dallo studio dei manuali, delle riviste e dei progetti presentati sulle loro pagine. In Italia e in Francia il rivestimento in pietra si afferma come un sistema costruttivo ‘razionale’, dove la costruzione moderna converge lentamente verso nuove soluzioni; questo sistema ha avuto negli anni ’20 e ’30 un ruolo centrale, nel quale è stato possibile un dialogo, senza contraddizioni, tra i materiali ‘moderni’ e la pietra. L’evoluzione dalle tradizionali tecniche costruttive verso i nuovi sistemi tecnologici, ha determinato una nuova costruzione in pietra che è alla base di una modernità che non rifiuta questo materiale tradizionale, ma lo trasforma secondo i nuoci principi estetici.

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Oggetto di indagine del lavoro è il movimento ambientalista e culturale delle Città in Transizione che rappresentano esperimenti di ri-localizzazione delle risorse volte a preparare le comunità (paesi, città, quartieri) ad affrontare la duplice sfida del cambiamento climatico e del picco del petrolio. A partire dal Regno Unito, la rete delle Transition Towns si è in pochi anni estesa significativamente e conta oggi più di mille iniziative. L’indagine di tale movimento ha richiesto in prima battuta di focalizzare l’attenzione sul campo disciplinare della sociologia dell’ambiente. L’attenzione si è concentrata sul percorso di riconoscimento che ha reso la sociologia dell’ambiente una branca autonoma e sul percorso teorico-concettuale che ha caratterizzato la profonda spaccatura paradigmatica proposta da Catton e Dunlap, che hanno introdotto nel dibattito sociologico il Nuovo Paradigma Ecologico, prendendo le distanze dalla tradizionale visione antropocentrica della sociologia classica. Vengono poi presentate due delle più influenti prospettive teoriche della disciplina, quella del Treadmill of Production e la più attuale teoria della modernizzazione ecologica. La visione che viene adottata nel lavoro di tesi è quella proposta da Spaargaren, fautore della teoria della modernizzazione ecologica, secondo il quale la sociologia dell’ambiente può essere collocata in uno spazio intermedio che sta tra le scienze ambientali e la sociologia generale, evidenziando una vocazione interdisciplinare richiamata anche dal dibattito odierno sulla sostenibilità. Ma le evidenze empiriche progressivamente scaturite dallo studio di questo movimento che si autodefinisce culturale ed ambientalista hanno richiesto una cornice teorica più ampia, quella della modernità riflessiva e della società del rischio, in grado di fornire categorie concettuali spendibili nella descrizione dei problemi ambientali e nell’indagine del mutamento socio-culturale e dei suoi attori. I riferimenti empirici dello studio sono tre specifiche realtà locali in Transizione: York in Transition per il Regno Unito, Monteveglio (Bo) e Scandiano (Re) in Transizione per l’Italia.

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In many schools of architecture the 1970s have been an important watershed for the way in which architecture was taught. For example, recent studies have stressed the importance of Aldo Rossi for the changes in the teaching of architec-ture at the ETH in Zürich that before was based on orthodox modern principles. A similar struggle between an orthodox conception of modernity and its criticism took place at the architectural faculty of Delft, in the Netherlands. Although Delft is an important European school of architecture, the theoretical work produced during this period is not largely known outside the Netherlands. This is perhaps due to the fact that most studies were published in Dutch. With this article, I intend to make the architectural theory developed during this period known to a larger public. The article describes the intellectual journey made by Dutch stu-dents of architecture in the 1970s and 1980s. This was the quest to receive recognition for the intellectual substance of architecture: the insight architecture could be a discourse and a form of knowledge and not only a method of building. Specifically, the work of the architectural theoretician Wim Nijenhuis is highlight-ed. However, as I point out in this article, the results of this journey also had its problematic sides. This becomes clear from the following sentence taken from the dissertation of Wim Nijenhuis: "The search for metaphysical fiction and the tendency towards a technological informed absolute through fully transparent and simultaneous information, should be contested by a fantasy dimension, that does not wish to 'overcome' a given situation and that does not rely on 'creativi-ty' (that would still be historical and humanistic)." Texts like this have a hermet-ic quality that is not easy to comprehend for an architectural public. Even more, there is an important debate looming behind these sentences. As an important outcome of their quest the architectural students in Delft asked themselves: how do we give form to architectural theory once its claim to truth is exposed as an illusion? For Nijenhuis, the discourse about architecture is a mere 'artful game with words': a fiction, besides other forms of fiction like poetry or literature. The question is then if we have not entered the realm of total subjectivity and relativ-ism with this position. From what can the discourse of architecture derive its authority after the death of God?

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La circulación de la escritura de Frantz Fanon en medios intelectuales y políticos de los años sesenta y setenta en la Argentina, ofrece la oportunidad de analizar dos dimensiones centrales de sus tesis sobre el colonialismo: por un lado, el carácter revisionista que ellas tienen con respecto a visiones eurocéntricas de la modernidad y, por otro, las formas específicas en que se articularon con algunas posiciones intelectuales del período. Recorremos algunos aspectos de tres lecturas de Fanon: las de Francisco Delich, José Sazbón y Carlos Fernández Pardo y las ponemos en relación con los debates poscoloniales y descoloniales acerca de la colonialidad del saber y la diferencia colonial.

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Las ciencias sociales en su versión clásica -adoptando como modelo a las ciencias naturales- se centraron en el estudio de los hechos empíricos con la pretensión de arribar a un conocimiento objetivo de la realidad. Desde este enfoque la ciencia deviene una representación teórica de la naturaleza, mientras lo real se constituye con independencia de la mente humana. Pero, durante el pasado siglo, los fundamentos mismos del conocimiento - el estatuto ontológico y epistemológico, tanto del objeto como el sujeto- serán cuestionados. En este nuevo enfoque, el lenguaje -y la comunicación- devienen los recursos a través de los cuales los individuos y los grupos construyen su vida cotidiana en tanto el interés se orienta a develar los procesos de construcción de sentido. Esta perspectiva modifica radicalmente el paradigma prevaleciente en las ciencias sociales; sin embargo, la discusión acerca de su validez no ha sido resuelta, en particular porque en ella se encuentran involucradas algunas de las principales cuestiones de la modernidad y la posmodernidad. Así, el artículo se propone considerar los principales elementos que configuran este enfoque, identificando las distintas corrientes que conviven en su interior, las principales críticas y específicamente, las consecuencias que se derivan tanto desde la perspectiva de la producción del conocimiento como en relación al estudio de la sociedad

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Las ciencias sociales en su versión clásica -adoptando como modelo a las ciencias naturales- se centraron en el estudio de los hechos empíricos con la pretensión de arribar a un conocimiento objetivo de la realidad. Desde este enfoque la ciencia deviene una representación teórica de la naturaleza, mientras lo real se constituye con independencia de la mente humana. Pero, durante el pasado siglo, los fundamentos mismos del conocimiento - el estatuto ontológico y epistemológico, tanto del objeto como el sujeto- serán cuestionados. En este nuevo enfoque, el lenguaje -y la comunicación- devienen los recursos a través de los cuales los individuos y los grupos construyen su vida cotidiana en tanto el interés se orienta a develar los procesos de construcción de sentido. Esta perspectiva modifica radicalmente el paradigma prevaleciente en las ciencias sociales; sin embargo, la discusión acerca de su validez no ha sido resuelta, en particular porque en ella se encuentran involucradas algunas de las principales cuestiones de la modernidad y la posmodernidad. Así, el artículo se propone considerar los principales elementos que configuran este enfoque, identificando las distintas corrientes que conviven en su interior, las principales críticas y específicamente, las consecuencias que se derivan tanto desde la perspectiva de la producción del conocimiento como en relación al estudio de la sociedad

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Las ciencias sociales en su versión clásica -adoptando como modelo a las ciencias naturales- se centraron en el estudio de los hechos empíricos con la pretensión de arribar a un conocimiento objetivo de la realidad. Desde este enfoque la ciencia deviene una representación teórica de la naturaleza, mientras lo real se constituye con independencia de la mente humana. Pero, durante el pasado siglo, los fundamentos mismos del conocimiento - el estatuto ontológico y epistemológico, tanto del objeto como el sujeto- serán cuestionados. En este nuevo enfoque, el lenguaje -y la comunicación- devienen los recursos a través de los cuales los individuos y los grupos construyen su vida cotidiana en tanto el interés se orienta a develar los procesos de construcción de sentido. Esta perspectiva modifica radicalmente el paradigma prevaleciente en las ciencias sociales; sin embargo, la discusión acerca de su validez no ha sido resuelta, en particular porque en ella se encuentran involucradas algunas de las principales cuestiones de la modernidad y la posmodernidad. Así, el artículo se propone considerar los principales elementos que configuran este enfoque, identificando las distintas corrientes que conviven en su interior, las principales críticas y específicamente, las consecuencias que se derivan tanto desde la perspectiva de la producción del conocimiento como en relación al estudio de la sociedad

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Esta tesis se basa en la hipótesis de que la modernidad arquitectónica en México no es, como se ha pretendido, una historia homogénea, centrada en un puñado de figuras clave, sino una multiplicidad de narrativas complejas en las cuales el arte y los medios impresos juegan un papel esencial. Por tanto, se propone una nueva mirada sobre la arquitectura del siglo XX en México a partir de la relación con la fotografía, el dibujo, las ideas y los medios. La tesis se plantea con el fin de vincular la arquitectura con los movimientos artísticos relevantes, los autores con las publicaciones, las formas con los manifiestos. Asímismo, uno de los principales intereses es explorar los conceptos de modernidad y de identidad, como parte de la construcción misma de la arquitectura de dicha época y del concepto de “lo mexicano”. A pesar del énfasis que se ha dado en la construcción de un canon, muchas veces ligado a la noción de monumentalidad, regionalismo, y mestizaje, este trabajo parte de una mirada puesta no en las formas sino en los procesos. A partir de las conexiones entre distintas capas de información, se buscan nuevas maneras de abordar el proyecto arquitectónico. El crítico de arquitectura brasileño Hugo Segawa ha descrito la investigación sobre la arquitectura latinoamericana como “una tarea más de índole arqueológica que historiográfica”, sin embargo, también ha calificado a México como “el más vigoroso centro de debates teóricos en Latinoamérica a lo largo del siglo XX.” Ese descompas entre la ruina y el vigor, entre la abundancia de producción y la precariedad de su conservación, ha definido no solo el estudio de la arquitectura sino las propias formas de creación. Por tanto, la tesis se plantea como una nueva plataforma desde la cual sea posible reformular la arquitectura, lejos de su condición amnésica, pensada en cambio, como un sistema basado en una misma voluntad por indagar y crear. Se busca, siguiendo al crítico británico Anthony Vidler, “relacionar” la historia con el proyecto. Con el fin de quitarle lo escurridizo a una historia incompleta y sobre todo de poder entender la manera en que las ideas se convierten en forma o en objeto, la tesis se estructura a partir de 22 líneas de tiempo organizadas en tres recorridos que se cruzan: arquitectura; arte y pensamiento. A partir de referencias como el Atlas Mnemosyne de Aby Wargurg o la serie Asterisms del artista Gabriel Orozco, se crean nuevos dispositivos para ver. De tal manera, se desdoblan los distintos temas para trazar relaciones entre la ciudad, los edificios, las utopías, las publicaciones y la publicidad. El trabajo se construye como un nuevo instrumento de exploración articulado por medio de capas, como un mapa genealógico evolutivo. El objetivo es abarcar aquella arquitectura construida no sólo en la ciudad sino también en el papel. Iniciando con el trabajo de la generación que llevó la arquitectura al siglo XX, el estudio se extiende a manera de epílogo hasta la primera década del siglo XXI, reuniendo obras que normalmente se han visto de manera aislada para entenderlas en su contexto más amplio. Como escenario de búsquedas, esta tesis intenta provocar el cruce de significados, creyendo imprescindible una nueva reflexión en torno a la disciplina y a los escenarios en los cuales se inscribe. La arquitectura de México –un país que en el siglo XX pasó de tener 13 millones de habitantes a 100 millonescorresponde esencialmente a una producción anónima, o bien, fabricada a partir de estereotipos. Pero entre la mancha de desarrollo informal y el hito reconocible está un trabajo tan amplio como inexplorado. Por tanto, se ofrece una serie de nuevas constelaciones que comprenden desde la Revolución de 1910 a los Juegos Olímpicos de 1968; del terremoto de la ciudad de México en 1985 a los concursos internacionales de las últimas décadas. This thesis’ hypothesis states that architectural modernity in Mexico is not, as sometimes pretended, a homogeneous history, focused on some key figures, but rather a multiple and complex narrative, in which art and print media have played an essential role. Therefore, it proposes a new perspective on 20th century architecture in Mexico analized through the relationship between architecture and photography, art, theory and media. Its aim is to link architecture and artistic movements, authors and publications, forms and manifestos. What is intended here is to explore the concepts of ‘modernityand ‘identity’ as part of the construction of architecture and the concept of ‘Mexicanity’. Despite the emphasis that has been given to the construction of an architectural canon —mostly related to the notions of monumentality, regionalism and mestizaje/métissage— this thesis’ approach is focused mainly in processes and not in forms. Through connections between diverse layers of information, new ways of dealing with the architectural project are explored. Brazilian architecture critic Hugo Segawa has described the research on Latin American architecture as «more a task of archaeology than of historiography». Nonetheless, he has also described Mexico as «the most vigorous center of theoretical debates in Latin America throughout the 20th century». This acute discrepancy between decay and vigor, between abundance of production and precarious state of conservation has determined not only the ways in which architecture is studied and understood but also the process of architectural creation. This work is therefore outlined as a new platform in order to reformulate the discipline as a system based on a common will to research and create, far from the existing amnesiac attitude. Following British critic Anthony Vidler, the interest relies in the attempt to ‘relate’ History to project. In order to reduce the elusiveness of an incomplete history and, specially, to understand how ideas become forms and objects, this thesis is composed of 22 timelines organized in three intersecting itineraries: Architecture, Art and Theory. Drawing inspiration from Aby Warburg’s Atlas Mnemosyne and Gabriel Orozco’s series Asterisms, new exploration devices are created. In such a way, diverse topics unfold to draw connections between built environment, utopian projects, publications, photography and publicity. This work is developed as a new tool for exploration, articulated by layers, like an evolutionary genealogy map. Its objective is to analyze not only the architecture build in cities, but produced on paper. Starting with the work of the generation that led Mexican architecture into the 20th century, this research extends until the first decade of the 21st century (the epilogue), gathering together works which have been usually seen in isolation, and therefore making possible its understanding in a broader context. As a scenario for exploration, this work tries to prompt the crossing of meanings, in the belief that new approaches on the discipline and its context are needed. Architecture in Mexico — a country whose population grew in the 20th century form 13 to 100 million— is related essentially with an anonymous production, or else made from stereotypes. However, between the sprawl of informal urban developments and landmark buildings there is an architectural production as extensive as it is unexamined. This essay introduces a series of new constellations, ranging from the Revolution in 1910 to the Olympic Games in 1968; from the earthquake in Mexico City in 1985 to the international competitions of the last decade. These myriad perspectives present buildings that were never built, forgotten writings, iconic images and unpublished material.

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El propósito de esta tesis era analizar las consecuencias arquitectónicas de la obsesión orientalista en tres autores de finales del XIX, intentando plantear con ello los fundamentos de lo que llamamos “imaginario” orientalista. Las autores estudiados son, un escritor, Pierre Loti, y dos pintores, Sir Frederic Leighton y Claude Monet, exponentes cada uno de un enfoque particular del orientalismo. Los tres casos estudiados incluyen las casas donde vivieron transformadas ahora en museos abiertos a la curiosidad de cualquiera. El estudio de estos casos nos llevó a acometer una serie de temáticas que se perfilan en el transcurso de la escritura como lo mas importante del trabajo. Estas temáticas son: la construcción de la interioridad, el rol del vacío como entidad material y física en esas arquitecturas, el orden de los objetos y su protagonismo en esos interiores, las categorías ontológicas del habitar en esas viviendas. Estas temáticas de alguna manera fueron enfocadas y realizadas por el “orientalismo” como dispositivos que intervienen poderosamente en los imaginarios relacionados con Oriente… con ramificaciones en las problemáticas políticas, sociales y culturales que estaba viviendo el “sujeto europeo culto” en el advenimiento de la modernidad. ABSTRACT The purpose of this thesis in the first instance was to analyze three expressions of Orientalism from the field of architecture , trying to prove through them as these examples constituted a closure of Orientalist discourse , while they complete the Orientalist imaginary that starts its construction through literature and painting finishing in architecture. Because of this, the case studies comprise a writer, Pierre Loti, and two painters, Sir Frederic Leighton and Claude Monet, each one as an exponent of a different facet of Orientalism. In each case the legacy of these artists has included his house , which now transformed into a museum , it is possible to visit and study despite the time of its construction. The study of these cases allowed on a second instance, to present a number of issues that in the end were the most important thing in this work, these issues deal with problems such as the construction of interiority in the late nineteenth century , the role which the vacuum play as a mental and physical entity in this architecture , the order of the objects and their role in the interiors of the time, the political and social control and discipline of housing space , the ontological categories of dwelling , etc. . All these issues somehow were enhanced by Orientalism , which with their devices intervened powerfully in building an imaginary not only related to East, but also with the political, social and cultural issues , that Europeans were living in the transit to the advent of modernity, and that will put under a critical view all these issues.

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La aparición de varias fotografías del Café Samt & Seide no publicadas hasta 2008 en las que se observaba la luz natural de la exposición; los planos a escala de la nave donde se realizó la exposición textil; y los croquis inéditos de la instalación de la seda localizados durante el transcurso de la Tesis Doctoral por el doctorando en el plano de la Sala de Cristal, han sido las principales aportaciones de la búsqueda documental que ha tenido por objeto el conocimiento espacial e interpretación gráfica del proyecto expositivo realizada durante el transcurso de la Tesis Doctoral para poder profundizar en el alcance de la propuesta protoarquitectónica y, a través de ella, en la obra y pensamiento de Mies van der Rohe. Material, espacio y color son elementos propuestos como capítulos que estructuran la disertación y que son empleados por Mies van der Rohe como factores de una nueva expresión espacial en la exposiciones como ensayos identificados con su idea de arquitectura. En el Café Samt & Seide, Mies van der Rohe y Lilly Reich proponen una sensibilidad en el empleo del material y color trasladada al espacio mediante una atmósfera rítmica y en movimiento de superficies abstraídas e iluminadas. La estructura visual de opuestos nace del doble material textil de la exposición desplegándose en un orden espacial y constructivo de elementos independientes iniciado en los apartamentos de la Colonia Weissenhof y Sala de Cristal de Stuttgart 1926-1927, y que será trasladado desde los espacios experimentales de 1927 a las series de mármoles y cristales del Pabellón Alemán 1928-1929. La síntesis intelectual (arte-ciencia-filosofía) guía el proceso de formalización y la técnica en una intención que será trasladada a su arquitectura en el empleo de la tecnología. La creatividad y repercusión de las vanguardias en la instalación muestra la voluntad integradora de la exposición y arquitectura como arte total. Los aspectos interpretativos de las artes plásticas, visuales y musicales se integran como criterios y sensibilidades aplicadas a las estructuras yuxtapuestas material, espacial y de color. Modernidad y tradición tectónica convergen en este espacio construido cuyas superficies cubren un armazón metálico oculto. La construcción mínima textil será incorporada como idea de forma en la futura construcción del pilar metálico, la pared flotante de sus viviendas y pabellones abiertos a la naturaleza, y la gran fachada tecnológica del espacio público de sus agrupaciones en la ciudad. El espacio total del Café Samt & Seide dentro de la gran nave de Berlín anticipa las exposiciones artísticas e industriales realizadas junto a Lilly Reich en el interior de las espaciosas salas de estructura metálica como instalaciones conceptuales de gravedad y luz antecedentes de los pabellones de grandes dimensiones y espacio universal. Arquitectura, construcción y lugar son integrados en la instalación por el principio estructural como propuesta de una idea de arquitectura que es desarrollada en las exposiciones. Oscilador y bastidor son construcciones escaladas dentro de la gran nave iluminada, expresando el conjunto un orden de partes que reflejan un todo integrado en la naturaleza y lo universal. Las múltiples relaciones espaciales, constructivas y conceptuales de la exposición con su arquitectura desvelan al Café Samt & Seide como un exponente y antecedente de su obra e idea a la que definió como una propuesta estructural. La estructura, entendida como un conjunto de valores culturales y medios técnicos, es el concepto con el que Mies van der Rohe identifica la síntesis intelectualtecnológica de su tiempo, constituyendo la finalidad de su expresión material, espacial y de color. ABSTRACT The unpublished pictures of the Café Samt & Seide appeared in 2008 in which the natural light in the exhibition can be seen; the scaled plan of the nave where the textile exhibition was held; and the unpublished sketches of the silk exhibition located by the doctoral candidate while preparing his dissertation have been the main input of the data search aiming at a better understanding of the space and a graphic interpretation of the exhibition project made by the doctoral candidate during the dissertation as a basic requirement to deepen in the scope of this protoarchitectural proposal and, though it, into Mies van der Rohe’s work and thinking. Material, space and colour are the elements put forward as the chapters structuring this dissertation and were used by Mies van der Rohe as factors of a new spatial expression in expositions as tests identified with his idea of architecture. In Café Samt & Seide, Mies van der Rohe and Lilly Reich present material and colour sensitivity transferred to space though a rhythmic and moving atmosphere made up by abstracted and lit surfaces. Such a visual grammar and oppositions unfolds into a space and constructive order of independent elements originated with the apartments of the Weissenhof Colony and Glass Room in Stuttgart 1926-1927, and which were transferred these test spaces 1927 to the series of marble and glass in the German Pavilion 1928-1929. The intellectual and formal will (art-science-philosophy) guides the technical expression, which is transferred to architecture through technology. The creativity and impact of avant-gardes in the installation reflects exhibition and architecture’s will to integrate as a Total Art. The interpretative aspects of plastic, visual and musical arts are part of a sensitivity applied to the overlapped structures of material, space and colour. Tectonic modernity and tradition converge in this space built with surfaces covering a hidden metal framework. The minimal textile construction is integrated as a shape idea in his subsequent construction of the metal pillar, floating wall in his housing and pavilions open to nature, and the great technological façade of the public space of his urban clusters. The total space of the exhibition inside the great nave in Berlin anticipates the artistic and industrial exhibitions done together with Lilly Reich inside the spacious Halls built with exposed metal structures as conceptual installation of gravity and light prior to the big-dimensioned pavilions and universal space. Architecture, construction and place are integrated by the structural principle. Oscillator and framework are scaled constructions integrated inside the great, lit nave, and the whole conveys order of its parts reflecting a whole integrated in nature and the universal. The many conceptual, space and constructive link of the textile exhibition to his European and American architecture add a greater knowledge of the time when Mies van der Rohe stated he gained a “new awareness” 1926, revealing Café Samt & Seide as a valuable example and the experimental precursor of his work and idea defined by himself as a “structural proposal”. The structure, understood as a set of cultural and material values expressed by architecture, is the notion used by Mies van der Rohe to identify the intellectual-technological synthesis as the idea of a time and which is the goal of its material, space and colour expression.