318 resultados para Mali


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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Protective immunity against Plasmodium falciparum may be obtained after repeated exposure to infection. Several studies indicate that immunity against the blood stages of the P. Falciparum infection is mainly antibody mediated. Protective antibodies may act either on their own, mediate antibody-dependent phagocytosis and/or cell-mediated neutralization of parasites. This thesis describes several aspects of humoral immune responses to P. falciparum infection in individuals of different age groups, different genetic background and with different degrees of malaria exposure. Several target antigens for antibody-mediated inhibition of parasite growth or invasion have been identified. One such antigen is Pf332, which appears on the surface of parasitized erythrocytes at late trophozoite and schizont stage. This surface exposure makes the antigen a possible target for opsonizing antibodies. We optimized an in vitro assay for studying cellmediated parasite neutralization in the presence of Pf332-reactive antibodies. Our data demonstrate that, Pf332 specific antibodies are able to inhibit parasite growth on their own and in cooperation with human monocytes. The P. falciparum parasites have evolved several mechanisms to evade the host neutralizing immune responses. In this thesis, we show that freshly isolated P. falciparum parasites from children living in a malaria endemic area of Burkina Faso were less sensitive for growth inhibition in vitro by autologous immunoglobulins (Ig) compared with heterologous ones. Analyses of two consecutive isolates taken 14 days apart, with regard to genotypes and sensitivity to growth inhibition in vitro, did not give any clear-cut indications on possible mechanisms leading to a reduced inhibitory activity in autologous parasite/antibody combinations. The frequent presence of persisting parasite clones in asymptomatic children indicates that the parasite possesses as yet undefined mechanisms to evade neutralizing immune responses. Transmission reducing measures such insecticide treated nets (ITNs) have been shown to be effective in reducing morbidity and mortality from malaria. However, concerns have been raised that ITNs usage could affect the acquisition of malaria immunity. We studied the effect of the use of insecticide treated curtains (ITC) on anti-malarial immune responses of children living in villages with ITC since birth. The use of ITC did neither affect the levels of parasite neutralizing immune responses nor the multiplicity of infection. These results indicate that the use of ITC does not interfere with the acquisition of anti-malarial immunity in children living in a malaria hyperendemic area. There is substantial evidence that the African Fulani tribe is markedly less susceptible to malaria infection compared to other sympatrically living ethnic tribes. We investigated the isotypic humoral responses against P. falciparum asexual blood stages in different ethnic groups living in sympatry in two countries exhibiting different malaria transmission intensities, Burkina Faso and Mali. We observed higher levels of the total malaria-specific-IgG and its cytophilic subclasses in individuals of the Fulani tribe as compared to non-Fulani individuals. Fulani individuals also showed higher levels of antibodies to measles antigen, indicating that the intertribal differences are not specific for malaria and might reflect a generally activated immune system in the Fulani.

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La ricerca ha perseguito l’obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi. Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella amministrativa e quella legislativa, a seconda dell’attività giuridica nella quale il sostituto interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali. I presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un’indagine volta a individuare e classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un’attività complessa, è sembrata risultare di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l’evoluzione del menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l’attività sostitutiva. Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all’interno dell’ordinamento italiano, l’istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che regolavano l’esercizio della funzione amministrativa indiretta. La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli. La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo dell’effettualità giuridica, quell’energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo. Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all’interno di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all’interno dell’organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato. Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno. Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4 febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923. Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò, come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti organi nominati direttamente o indirettamente dall’Amministrazione centrale. In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni (Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all’amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il sostituito. Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica, come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi dell’accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell’Unità di Italia avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l’esigenza dell’istituzione di un ente intermedio tra Stato e Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto. Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l’evoluzione del diritto pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive. Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il sistema delle autonomie nell’evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell’indagine, ed in particolare dai punti di contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell’analisi dell’istituto. Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni, al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire l’ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971 sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito per stabilire un vero e proprio “statuto” della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988, individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente gli interventi del legislatore. Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari, ed in particolare con l’art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per il rispetto dell’autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del 1976. Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l’art. 6 c. 3°, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all’art. 4 c. 3°) una disciplina generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato. Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986. Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei confronti di attività prive di discrezionalità nell’an e presentare idonee garanzie procedimentali in conformità al principio di leale collaborazione. Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta nell’indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale attuazione del principio di sussidiarietà. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all’interno della Costituzione ben due fattispecie di poteri sostitutivi all’art. 117 comma 5 e all’art. 120 comma 2. La “lacuna” del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l’art. 58 del progetto di revisione costituzionale presentato dalla commissione D’Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture. Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione. Con particolare riferimento all’art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà definitorie siano state dovute all’indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all’art. 120 capoverso la disciplina di un potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18 ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura. Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale avrebbe dovuto prevedere, un’obiezione (più delle altre) pare spingere verso l’accoglimento della tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente abbia consentito all’Esecutivo, tosto che al Parlamento, l’adozione di leggi statali in sostituzione di quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell’assetto costituzionale vigente. Le difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell’art. 8, il quale ha mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando genericamente che il potere sostitutivo si adotta “Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120” Cost. Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art. 8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte in materia. Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e definite dal giudice della costituzionalità. In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha tra l’altro fugato i dubbi di chi, all’indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l’illegittimità di tutte quelle previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito “straordinario” il potere di surrogazione attribuito dall’art. 120 Cost. allo Stato, considerando “ordinare” tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale). Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze. In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa della scarsa “forza” degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente sostituito. Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art. 120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari regionali la competenza a promuovere l’“esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 120 della Costituzione”. Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto, sembra rappresentare la conferma della “straordinarietà” della fattispecie sostitutiva costituzionalizzata. Infatti, in via “ordinaria” lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri “le funzioni di Commissario delegato per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007”. Spesso l’aspetto interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione d’urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere l’intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304 del 1987. Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché meno approfonditi in letteratura, ma per l’ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti locali. La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi dell’Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale all’assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l’ente locale della possibile sostituzione. In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo dell’iniziativa dei privati, sembra dimostrare l’attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei singoli. I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a tali strumenti nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall’indagine dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest’ultimo che sembra rappresentare – assieme ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà sostitutiva di funzioni amministrative. In tal senso, come detto, pare emergere dall’analisi di casi concreti come il principio di sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l’art. 118 cost. sembra mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all’ente sovraordinato di intervenire laddove l’ente più vicino ai cittadini non riesca. Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell’altra categoria della sostituzione legislativa statale. L’impossibilità di trascurare o eliminare l’interesse nazionale, all’interno di un ordinamento regionale fondato sull’art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte costituzionale ad individuare una sorta di “potere sostitutivo legislativo”, attraverso il (seppur criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta “chiamata i sussidiarietà”. Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell’art. 117 Cost. ed ingerenza dello stato nelle competenze della regioni. Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi. I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un punto di arrivo, bensì solo di partenza. I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta (recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato in gazzetta ufficiale n. 269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni” con “Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118”. Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti che lo Stato avrebbe dovuto rispettare? Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione espressa dell’interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l’autonomia regionale? Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli sviluppi dell’istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l’ulteriore punto di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il regionalismo italiano.

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It was decided to carry out a morphological and molecular characterization of the Italian Alternaria isolatescollected from apple , and evaluate their pathogenicity and subsequently combining the data collected. The strain collection (174 isolates) was constructed by collecting material (received from extension service personnel) between June and August of 2007, 2008, and 2009. A Preliminary bioassays were performed on detached plant materials (fruit and leaf wounded and unwounded), belonging to the Golden cultivar, with two different kind of inoculation (conidial suspension and conidial filtrate). Symptoms were monitored daily and a value of pathogenicity score (P.S.) was assigned on the basis of the diameter of the necrotic area that developed. On the basis of the bioassays, the number of isolates to undergo further molecular analysis was restricted to a representative set of single spore strains (44 strains). Morphological characteristics of the colony and sporulation pattern were determined according to previous systematic work on small-spored Alternaria spp. (Pryor and Michaelides, 2002 and Hong et al., 2006). Reference strains (Alternaria alternata, Alternaria tenuissima, Alternaria arborescens and four Japanese strains of Alternaria alternata mali pathotype), used in the study were kindly provided by Prof. Barry Pryor, who allows a open access to his own fungal collection. Molecular characterization was performed combining and comparing different data sets obtained from distinct molecular approach: 1) investigation of specific loci and 2) fingerprinting based on diverse randomly selected polymorphic sites of the genome. As concern the single locus analysis, it was chosen to sequence the EndoPG partial gene and three anonymous region (OPA1-3, OPA2- and OPa10-2). These markers has revealed a powerful tool in the latter systematic works on small-spored Alternaria spp. In fact, as reported in literature small-spored Alternaria taxonomy is complicated due to the inability to resolve evolutionary relationships among the taxa because of the lack of variability in the markers commonly used in fungi systematic. The three data set together provided the necessary variation to establish the phylogenetic relationships among the Italian isolates of Alternaria spp. On Italian strains these markers showed a variable number of informative sites (ranging from 7 for EndoPg to 85 for OPA1-3) and the parsimony analysis produced different tree topologies all concordant to define A. arborescens as a mophyletic clade. Fingerprinting analysis (nine ISSR primers and eight AFLP primers combination) led to the same result: a monophyleic A. arborescens clade and one clade containing both A. tenuissima and the A. alternata strains. This first attempt to characterize Italian Alternaria species recovered from apple produced concordant results with what was already described in a similar phylogenetic study on pistachio (Pryor and Michaelides, 2002), on walnut and hazelnut (Hong et al., 2006), apple (Kang et al., 2002) and citurus (Peever et al., 2004). Together with these studies, this research demonstrates that the three morphological groups are widely distributed and occupy similar ecological niches. Furthermore, this research suggest that these Alternaria species exhibit a similar infection pattern despite the taxonomic and pathogenic differences. The molecular characterization of the pathogens is a fundamental step to understanding the disease that is spreading in the apple orchards of the north Italy. At the beginning the causal agent was considered as Alteraria alternata (Marshall and Bertagnoll, 2006). Their preliminary studies purposed a pathogenic system related to the synthesis of toxins. Experimental data of our bioassays suggest an analogous hypothesis, considering that symptoms could be induced after inoculating plant material with solely the filtrate from pathogenic strains. Moreover, positive PCR reactions using AM-toxin gene specific primers, designed for identification of apple infecting Alternaria pathovar, led to a hypothesis that a host specific toxin (toxins) were involved. It remains an intriguing challenge to discover or not if the agent of the “Italian disease” is the same of the one previously typified as Alternaria mali, casual agent of the apple blotch disease.

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Salif Keita; Mali; moderne afrikanische Musik;Weltmusik; Albinismus;"Tradition"; Mande; Jeliw; Horonw; Musik und Politik; Rail Band ; Les Ambassadeurs ; Ambassadeurs Internationaux ; Film "Destiny of a Noble Outcast"

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Le vesti e le insegne degli imperatori nonché degli alti dignitari, sono ornate e “appesantite” da pietre preziose, lì disposte non a caso. Esse spesso divengono emblemi dei personaggi che le portano e offrono loro virtù e qualità che spesso si ricollegano anche a caratteristiche di alto valore ideologico. Già dai tempi pre-biblici le pietre sono considerate creature vive, messe in corrispondenza con gli astri, secondo la dottrina della simpathia. Questa concezione perdura anche nel Medioevo: infatti, nei vari lapidari vi sono pietre capaci di generare, e pietre “incinte”; esistono pietre dalle virtù talismaniche e taumaturgiche; altre guariscono, allontanano i mali, ottengono il favore dei potenti, consentono di portare a felice compimento tutto quel che si intraprende; rendono eloquenti, simpatici, graditi. Tornando all’ambito imperiale, l’imperatore per governare deve manifestare qualità che vengono condivise anche da Dio, quali la filantrophia, l’eunomia; rispettare la taxis; essere capace di autocontrollo; mostrare pietà; essere filocristos, vittorioso, misericordioso; essere temperante e giusto. Alcune di queste qualità gli vengono offerte anche dall’uso delle pietre preziose; così ad esempio il diamante dà forza e coraggio: preserva l’integrità del carattere e la buona fede; il rubino allude alla fiamma della carità; lo zaffiro è simbolo della ricchezza e dei cieli, custode dell’innocenza e della verità; lo smeraldo è anche esso simbolo della fede e allude simbolicamente alla capacità di intuire e trasmettere il messaggio divino propria del personaggio che ne è adornato. Le fonti prese in esame anche se vengono separate da un’arco di tempo grande e non rispecchiano un limite cronologico fisso, neccessario per ogni ricerca, tuttavia permettono di delineare il percorso evolutivo delle virtù delle gemme attraverso i secoli; e quindi di avere un’ idea molto più chiara sulla concezione delle pietre stesse, e su come, col passare degli anni, queste virtù si evolvono o svaniscono.

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The primary goal of this work is related to the extension of an analytic electro-optical model. It will be used to describe single-junction crystalline silicon solar cells and a silicon/perovskite tandem solar cell in the presence of light-trapping in order to calculate efficiency limits for such a device. In particular, our tandem system is composed by crystalline silicon and a perovskite structure material: metilammoniumleadtriiodide (MALI). Perovskite are among the most convenient materials for photovoltaics thanks to their reduced cost and increasing efficiencies. Solar cell efficiencies of devices using these materials increased from 3.8% in 2009 to a certified 20.1% in 2014 making this the fastest-advancing solar technology to date. Moreover, texturization increases the amount of light which can be absorbed through an active layer. Using Green’s formalism it is possible to calculate the photogeneration rate of a single-layer structure with Lambertian light trapping analytically. In this work we go further: we study the optical coupling between the two cells in our tandem system in order to calculate the photogeneration rate of the whole structure. We also model the electronic part of such a device by considering the perovskite top cell as an ideal diode and solving the drift-diffusion equation with appropriate boundary conditions for the silicon bottom cell. We have a four terminal structure, so our tandem system is totally unconstrained. Then we calculate the efficiency limits of our tandem including several recombination mechanisms such as Auger, SRH and surface recombination. We focus also on the dependence of the results on the band gap of the perovskite and we calculare an optimal band gap to optimize the tandem efficiency. The whole work has been continuously supported by a numerical validation of out analytic model against Silvaco ATLAS which solves drift-diffusion equations using a finite elements method. Our goal is to develop a simpler and cheaper, but accurate model to study such devices.

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OBJECTIVES: Hypoglycaemia (glucose <2.2 mmol/l) is a defining feature of severe malaria, but the significance of other levels of blood glucose has not previously been studied in children with severe malaria. METHODS: A prospective study of 437 consecutive children with presumed severe malaria was conducted in Mali. We defined hypoglycaemia as <2.2 mmol/l, low glycaemia as 2.2-4.4 mmol/l and hyperglycaemia as >8.3 mmol/l. Associations between glycaemia and case fatality were analysed for 418 children using logistic regression models and a receiver operator curve (ROC). RESULTS: There was a significant difference between blood glucose levels in children who died (median 4.6 mmol/l) and survivors (median 7.6 mmol/l, P < 0.001). Case fatality declined from 61.5% of the hypoglycaemic children to 46.2% of those with low glycaemia, 13.4% of those with normal glycaemia and 7.6% of those with hyperglycaemia (P < 0.001). Logistic regression showed an adjusted odds ratio (AOR) of 0.75 (0.64-0.88) for case fatality per 1 mmol/l increase in baseline blood glucose. Compared to a normal blood glucose, hypoglycaemia and low glycaemia both significantly increased the odds of death (AOR 11.87, 2.10-67.00; and 5.21, 1.86-14.63, respectively), whereas hyperglycaemia reduced the odds of death (AOR 0.34, 0.13-0.91). The ROC [area under the curve at 0.753 (95% CI 0.684-0.820)] indicated that glycaemia had a moderate predictive value for death and identified an optimal threshold at glycaemia <6.1 mmol/l, (sensitivity 64.5% and specificity 75.1%). CONCLUSIONS: If there is a threshold of blood glucose which defines a worse prognosis, it is at a higher level than the current definition of 2.2 mmol/l.

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The surfaces of Bacillus anthracis endospores expose a pentasaccharide containing the monosaccharide anthrose, which has been considered for use as a vaccine or target for specific detection of the spores. In this study B. anthracis strains isolated from cattle carcasses in African countries where anthrax is endemic were tested for their cross-reactivity with monoclonal antibodies (MAbs) specific for anthrose-containing oligosaccharides. Unexpectedly, none of the isolates collected in Chad, Cameroon, and Mali were recognized by the MAbs. Sequencing of the four-gene operon encoding anthrose biosynthetic enzymes revealed the presence of premature stop codons in the aminotransferase and glycosyltransferase genes in all isolates from Chad, Cameroon, and Mali. Both immunological and genetic findings suggest that the West African isolates are unable to produce anthrose. The anthrose-deficient strains from West Africa belong to a particular genetic lineage. Immunization of cattle in Chad with a locally produced vaccine based on anthrose-positive spores of the B. anthracis strain Sterne elicited an anti-carbohydrate IgG response specific for a synthetic anthrose-containing tetrasaccharide as demonstrated by glycan microarray analysis. Competition immunoblots with synthetic pentasaccharide derivatives suggested an immunodominant role of the anthrose-containing carbohydrate in cattle. In West Africa anthrax is highly endemic. Massive vaccination of livestock in this area has taken place over long periods of time using spores of the anthrose-positive vaccine strain Sterne. The spread of anthrose-deficient strains in this region may represent an escape strategy of B. anthracis.

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Recent advances in the identification of susceptibility genes and environmental exposures provide broad support for a post-infectious autoimmune basis for narcolepsy/hypocretin (orexin) deficiency. We genotyped loci associated with other autoimmune and inflammatory diseases in 1,886 individuals with hypocretin-deficient narcolepsy and 10,421 controls, all of European ancestry, using a custom genotyping array (ImmunoChip). Three loci located outside the Human Leukocyte Antigen (HLA) region on chromosome 6 were significantly associated with disease risk. In addition to a strong signal in the T cell receptor alpha (TRA@), variants in two additional narcolepsy loci, Cathepsin H (CTSH) and Tumor necrosis factor (ligand) superfamily member 4 (TNFSF4, also called OX40L), attained genome-wide significance. These findings underline the importance of antigen presentation by HLA Class II to T cells in the pathophysiology of this autoimmune disease.

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Sustainable natural resource use requires that multiple actors reassess their situation in a systemic perspective. This can be conceptualised as a social learning process between actors from rural communities and the experts from outside organisations. A specifically designed workshop oriented towards a systemic view of natural resource use and the enhancement of mutual learning between local and external actors, provided the background for evaluating the potentials and constraints of intensified social learning processes. Case studies in rural communities in India, Bolivia, Peru and Mali showed that changes in the narratives of the participants of the workshop followed a similar temporal sequence relatively independently from their specific contexts. Social learning processes were found to be more likely to be successful if they 1) opened new space for communicative action, allowing for an intersubjective re-definition of the present situation, 2) contributed to rebalance the relationships between social capital and social, emotional and cognitive competencies within and between local and external actors.

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A prospective, dose-escalating, quasi-experimental clinical trial was conducted with a traditional healer using a decoction of Argemone mexicana for the treatment of malaria in Mali. The remedy was prescribed in three regimens: once daily for 3 days (Group A; n=23); twice daily for 7 days (Group B; n=40); and four times daily for the first 4 days followed by twice daily for 3 days (Group C; n=17). Thus, 80 patients were included, of whom 80% were aged<5 years and 25% were aged<1 year. All presented to the traditional healer with symptoms of malaria and had a Plasmodium falciparum parasitaemia>2000/microl but no signs of severe malaria. The proportions of adequate clinical response (ACR) at Day 14 were 35%, 73% and 65% in Groups A, B and C, respectively (P=0.011). At Day 14, overall proportions of ACR were lower in children aged<1 year (45%) and higher in patients aged>5 years (81%) (P=0.027). Very few patients had complete parasite clearance, but at Day 14, 67% of patients with ACR had a parasitaemia<2000/microl. No patient needed referral for severe disease. Only minor side effects were observed. Further research should determine whether this local resource could represent a first-aid home treatment in remote areas.

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This report provides an analysis of the thermal performance and emissions characteristics of improved biomass stoves constructed using earthen materials. Commonly referred to as mud stoves, this type of improved stove incorporates high clay content soil with an organic binder in the construction of its combustion chamber and body. When large quantities of the mud material are used to construct the stove body, the stove does not offer significant improvements in fuel economy or air quality relative to traditional open fire cooking. This is partly because a significant amount of heat is absorbed by the mass of the stove reducing combustion efficiency and heat transfer to the cook pot. An analysis of the thermal and mechanical properties of stove materials was also performed. A material mixture containing a one‐to‐one ratio by volume of high content clay soil and straw was found to have thermal properties comparable to fired ceramics used in more advanced improved stove designs. Feedback from mud stove users in Mauritania and Mali, West Africa was also collected during implementation. Suggestions for stove design improvements were developed based on this information and the data collected in the performance, emissions, and material properties analysis. Design suggestions include reducing stove height to accommodate user cooking preferences and limiting overall stove mass to reduce heat loss to the stove body.

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Rapid diagnostic tests (RDT) are sometimes recommended to improve the home-based management of malaria. The accuracy of an RDT for the detection of clinical malaria and the presence of malarial parasites has recently been evaluated in a high-transmission area of southern Mali. During the same study, the cost-effectiveness of a 'test-and-treat' strategy for the home-based management of malaria (based on an artemisinin-combination therapy) was compared with that of a 'treat-all' strategy. Overall, 301 patients, of all ages, each of whom had been considered a presumptive case of uncomplicated malaria by a village healthworker, were checked with a commercial RDT (Paracheck-Pf). The sensitivity, specificity, and positive and negative predictive values of this test, compared with the results of microscopy and two different definitions of clinical malaria, were then determined. The RDT was found to be 82.9% sensitive (with a 95% confidence interval of 78.0%-87.1%) and 78.9% (63.9%-89.7%) specific compared with the detection of parasites by microscopy. In the detection of clinical malaria, it was 95.2% (91.3%-97.6%) sensitive and 57.4% (48.2%-66.2%) specific compared with a general practitioner's diagnosis of the disease, and 100.0% (94.5%-100.0%) sensitive but only 30.2% (24.8%-36.2%) specific when compared against the fulfillment of the World Health Organization's (2003) research criteria for uncomplicated malaria. Among children aged 0-5 years, the cost of the 'test-and-treat' strategy, per episode, was about twice that of the 'treat-all' (U.S.$1.0. v. U.S.$0.5). In older subjects, however, the two strategies were equally costly (approximately U.S.$2/episode). In conclusion, for children aged 0-5 years in a high-transmission area of sub-Saharan Africa, use of the RDT was not cost-effective compared with the presumptive treatment of malaria with an ACT. In older patients, use of the RDT did not reduce costs. The question remains whether either of the strategies investigated can be made affordable for the affected population.