260 resultados para Instabilité génomique
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Questa tesi di laurea è uno studio magmatologico, sedimentologico e morfostrutturale dei depositi dell’eruzione del Vesuvio del 1944, con particolare riferimento ai depositi di valanghe ardenti associati ad essa. Lo studio è stato affrontato utilizzando metodologie petrografiche, di chimica dei minerali e geotermo-barometriche al fine di ricavare informazioni sul sistema magmatico e sulla dinamica eruttiva nel corso dell’eruzione. I dati petrochimici e l’utilizzo di modelli geotermo-barometrici, unitamente alle informazioni dalla letteratura, indicano che il fattore di trigger che ha determinato il passaggio dalla iniziale effusione di colate laviche alle successive intense fasi di attività esplosiva ultrastromboliana è rappresentato dalla risalita di magma meno evoluto e più ricco in volatili dalla camera magmatica profonda (11-22 km) verso quella più superficiale (circa 3 km) dove ha interagito con il magma lì presente. Durante queste fasi a maggiore esplosività si è avuto sulla parte sommitale del cono un rapido accumulo di materiale ad elevata temperatura e l’instaurarsi di condizioni di overloading dei fianchi con aumento dell’angolo di pendio e conseguente instabilità. Ciò ha verosimilmente determinato la generazione di flussi di valanghe ardenti per rimobilizzazione sin-deposizionale del materiale piroclastico da caduta, probabilmente in seguito ad eventi sismici come elementi di innesco. I flussi di valanghe ardenti del 1944 sono stati interpretati come flussi granulari secchi, in base ai dati sedimentologici e vulcanologici raccolti nel corso dell’attività di terreno, rendendo possibile l’applicazione dei modelli elaborati da Castioni (2015) per la stima della velocità massima del flusso e degli assi maggiore e minore del deposito corrispondente. Sono state ricavate velocità che variano da un minimo di circa 4 m/s ad un massimo di circa 16 m/s in un range che è tipico di flussi granulari in ambiente vulcanico. Le variazioni della velocità sono state messe in relazione con la morfologia del pendio, il tipo di materiale coinvolto nel processo di rimobilizzazione e l’organizzazione interna del flusso, evidenziando in particolare come le maggiori lunghezze siano raggiunte dai flussi che hanno la possibilità di scorrere su pendii più omogenei e con più ridotte variazioni dell'angolo di pendio. La definizione di valori di velocità per i flussi di valanghe ardenti dell'eruzione del 1994 fornisce un ulteriore elemento utile per la valutazione della pericolosità vulcanica del Vesuvio.
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Il presente lavoro di tesi riguarda l’analisi della vulnerabilità sismica di serbatoi atmosferici in acciaio. I serbatoi sono strutture di varie forme e dimensioni, utilizzate per lo stoccaggio di liquidi come l’acqua, il petrolio e il gas naturale. La loro importanza non deriva solamente dal loro valore economico e da quello della sostanza contenuta, ma anche dalle conseguenze disastrose causate da un loro collasso strutturale. Risulta quindi fondamentale progettare sistemi che siano efficienti ed affidabili, soprattutto nei confronti di azioni sismiche. In questo campo, in particolare negli ultimi decenni, sono state condotte numerose campagne sperimentali, grazie alle quali si è compreso meglio il comportamento dei serbatoi. Le normative, inoltre, hanno introdotto al loro interno indicazioni riguardo all’analisi dinamica, fornendo un valido strumento per i progettisti. In questo lavoro di tesi si è analizzata la vulnerabilità sismica di varie tipologie di serbatoi e si sono confrontati i risultati ottenuti. Sono stati studiati in particolare due modelli: il primo considera il serbatoio come rigido, il secondo, invece, come deformabile. L’analisi è stata automatizzata creando degli script che permettono, variando solamente alcuni parametri (caratteristiche del serbatoio, del liquido contenuto e del terreno presente), di giungere in tempi rapidi ad una soluzione accettabile per verificare le possibili rotture. Per modellare il problema si è scelto di seguire l’approccio fornito dalle raccomandazioni neozelandesi NZSEE, mentre per le verifiche di instabilità sono state prese in considerazione anche le normative europee. L’obiettivo è dunque quello di analizzare, attraverso un modello semplificato ed automatizzato, la vulnerabilità di serbatoi cilindrici in acciaio contenenti liquido sottoposti ad un’azione sismica.
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L'obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare la stabilità di uno spettro raggi X emesso da un tubo usurato per analisi cardiovascolari, in modo da verificare il suo comportamento. Successivamente questo tipo di analisi sarà effettuata su tubi CT. Per raggiungere questo scopo è stato assemblato un particolare set-up con un rivelatore al germanio criogenico in modo da avere la miglior risoluzione energetica possibile ed alcuni particolari collimatori così da ridurre il flusso fotonico per evitare effetti di pile-up. Il set-up è stato costruito in modo da avere il miglior allineamento possibile nel modo più veloce possibile, e con l'obiettivo di rendere l'intero sistema portabile. Il tubo usato è un SRM Philips tube per analisi cardiovascolari; questa scelta è stata fatta in modo da ridurre al minimo i fattori esterni (ottica elettromagnetica, emettitori) e concentrare l'attenzione solo sugli effetti, causati dalle varie esposizioni, sull'anodo (roughness e bending) e sul comportamento di essi durante il surriscaldamento e successivo raffreddamento del tubo. I risultati mostrano come durante un'esposizione alcuni fattori di usura del tubo possono influire in maniera sostanziale sullo spettro ottenuto e quindi alterare il risultato. Successivamente, nell'elaborato, mediante il software Philips di ricostruzione e simulazione dello spettro si è cercato di riprodurre, variando alcuni parametri, la differenza riscontrata sperimentalmente in modo da poter simulare l'instabilità e correggere i fattori che la causano. I risultati sono interessanti non solo per questo esperimento ma anche in ottica futura, per lo sviluppo di applicazioni come la spectral CT. Il passo successivo sarà quello di spostare l'attenzione su un CT tube e verificare se l'instabilità riscontrata in questo lavoro è persiste anche in una analisi più complessa come quella CT.
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L’ubiquitination est une modification post-traductionnelle qui joue un rôle majeur dans la régulation d’une multitude de processus cellulaires. Dans cette thèse, je discuterai de la caractérisation de deux protéines, BRCA1 et BAP1, soit deux suppresseurs de tumeurs fonctionnellement reliés. BRCA1, une ubiquitine ligase qui catalyse la liaison de l’ubiquitine à une protéine cible, est mutée dans les cancers du sein et de l'ovaire. Il est bien établi que cette protéine aide à maintenir la stabilité génomique suite à un bris double brin de l’ADN (BDB), et ce, à l’aide d’un mécanisme de réparation bien caractérisé appelé recombinaison homologue. Cependant, les mécanismes de régulation de BRCA1 suite à des stresses génotoxiques n’impliquant pas directement un BDB ne sont pas pleinement élucidés. Nous avons démontré que BRCA1 est régulée par dégradation protéasomale suite à une exposition des cellules à deux agents génotoxiques reconnus pour ne pas directement générer des BDBs, soit les rayons UV, qui provoquent la distorsion de l’hélice d’ADN, et le méthyle méthanesulfonate (MMS), qui entraîne l’alkylation de l’ADN. La dégradation de BRCA1 est réversible et indépendante des kinases associées à la voie des PI3 kinase, soit ATM, ATR et DNA-PK, protéines qui sont rapidement activées par les dommages à l’ADN. Nous proposons que la dégradation de BRCA1 prévienne son recrutement intempestif, ainsi que celui des facteurs qui lui sont associés, à des sites de dommages d’ADN qui ne sont pas des BDBs, et que cette régulation coordonne la réparation de l’ADN. L’enzyme de déubiquitination BAP1 a initialement été identifiée comme une protéine capable d’interagir avec BRCA1 et de réguler sa fonction. Elle est également connue pour sa capacité à se lier avec les protéines du groupe Polycomb, ASXL1 et ASXL2. Cependant, l’importance de ces interactions n’a toujours pas été établie. Nous avons démontré que BAP1 forme deux complexes protéiques mutuellement exclusifs avec ASXL1 et ASXL2. Ces interactions sont critiques pour la liaison de BAP1 à l’ubiquitine ainsi que pour la stimulation de son activité enzymatique envers l’histone H2A. Nous avons également identifié des mutations de BAP1 dérivées de cancers qui empêchent à la fois son interaction avec ASXL1 et AXSL2, et son activité de déubiquitinase, ce qui fournit un lien mécanistique direct entre la déubiquitination de H2A et la tumorigenèse. Élucider les mécanismes de régulation de BRCA1 et BAP1 menera à une meilleure compréhension de leurs rôles de suppresseurs de tumeurs, permettant ainsi d’établir de nouvelles stratégies de diagnostic et traitement du cancer.
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L'activité électrique du coeur est initiée par la génération spontanée de potentiels d'action venant des cellules pacemaker du noeud sinusal (SN). Toute dysfonction au niveau de cette région entraîne une instabilité électrique du coeur. La majorité des patients souffrant d'un noeud sinusal déficient nécessitent l'implantation chirurgicale d'un pacemaker électronique; cependant, les limitations de cette approche incitent à la recherche d'une alternative thérapeutique. La base moléculaire des courants ioniques jouant un rôle crucial dans l'activité du noeud sinusal sont de plus en plus connues. Une composante importante de l'activité des cellules pacemakers semble être le canal HCN, responsable du courant pacemaker If. Le facteur T-box 3 (Tbx3), un facteur de transcription conservé durant le processus de l'évolution, est nécessaire au développement du système de conduction cardiaque. De précédentes études ont démontré que dans différentes lignées cellulaires le Phorbol 12-myristate 13-acetate (PMA) active l'expression du gène codant Tbx3 via des réactions en cascade partant de la protéine kinase C (PKC). L'objectif principal de cette étude est de tester si le PMA peut augmenter la fréquence et la synchronisation de l'activité spontanée du pacemaker biologique en culture. Plus précisément, nous avons étudié les effets de l'exposition chronique au PMA sur l'expression du facteur de transcription Tbx3, sur HCN4 et l'activité spontanée chez des monocouches de culture de myocytes ventriculaires de rats néonataux (MVRN). Nos résultats démontrent que le PMA augmente significativement le facteur transcription de Tbx3 et l'expression ARNm de HCN4, favorisant ainsi l'augmentation du rythme et de la stabilité de l'activité autonome. De plus, une diminution significative de la vitesse de conduction a été relevée et est attribuée à la diminution du couplage intercellulaire. La diminution de la vitesse de conduction pourrait expliquer l'effet négatif du PMA sur la synchronisation de l'activité autonome du pacemaker biologique. Ces résultats ont été confirmés par un modèle mathématique multicellulaire suggérant que des fréquences et résistances intercellulaires plus élevée pourraient induire une activité plus stable et moins synchrone. Cette étude amène de nouvelles connaissances très importantes destinées à la production d'un pacemaker biologique efficient et robuste.
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Le traumatisme craniocérébral léger (TCCL) a des effets complexes sur plusieurs fonctions cérébrales, dont l’évaluation et le suivi peuvent être difficiles. Les problèmes visuels et les troubles de l’équilibre font partie des plaintes fréquemment rencontrées après un TCCL. En outre, ces problèmes peuvent continuer à affecter les personnes ayant eu un TCCL longtemps après la phase aiguë du traumatisme. Cependant, les évaluations cliniques conventionnelles de la vision et de l’équilibre ne permettent pas, la plupart du temps, d’objectiver ces symptômes, surtout lorsqu’ils s’installent durablement. De plus, il n’existe pas, à notre connaissance, d’étude longitudinale ayant étudié les déficits visuels perceptifs, en tant que tels, ni les troubles de l’équilibre secondaires à un TCCL, chez l’adulte. L’objectif de ce projet était donc de déterminer la nature et la durée des effets d’un tel traumatisme sur la perception visuelle et sur la stabilité posturale, en évaluant des adultes TCCL et contrôles sur une période d’un an. Les mêmes sujets, exactement, ont participé aux deux expériences, qui ont été menées les mêmes jours pour chacun des sujets. L’impact du TCCL sur la perception visuelle de réseaux sinusoïdaux définis par des attributs de premier et de second ordre a d’abord été étudié. Quinze adultes diagnostiqués TCCL ont été évalués 15 jours, 3 mois et 12 mois après leur traumatisme. Quinze adultes contrôles appariés ont été évalués à des périodes identiques. Des temps de réaction (TR) de détection de clignotement et de discrimination de direction de mouvement ont été mesurés. Les niveaux de contraste des stimuli de premier et de second ordre ont été ajustés pour qu’ils aient une visibilité comparable, et les moyennes, médianes, écarts-types (ET) et écarts interquartiles (EIQ) des TR correspondant aux bonnes réponses ont été calculés. Le niveau de symptômes a également été évalué pour le comparer aux données de TR. De façon générale, les TR des TCCL étaient plus longs et plus variables (plus grands ET et EIQ) que ceux des contrôles. De plus, les TR des TCCL étaient plus courts pour les stimuli de premier ordre que pour ceux de second ordre, et plus variables pour les stimuli de premier ordre que pour ceux de second ordre, dans la condition de discrimination de mouvement. Ces observations se sont répétées au cours des trois sessions. Le niveau de symptômes des TCCL était supérieur à celui des participants contrôles, et malgré une amélioration, cet écart est resté significatif sur la période d’un an qui a suivi le traumatisme. La seconde expérience, elle, était destinée à évaluer l’impact du TCCL sur le contrôle postural. Pour cela, nous avons mesuré l’amplitude d’oscillation posturale dans l’axe antéropostérieur et l’instabilité posturale (au moyen de la vitesse quadratique moyenne (VQM) des oscillations posturales) en position debout, les pieds joints, sur une surface ferme, dans cinq conditions différentes : les yeux fermés, et dans un tunnel virtuel tridimensionnel soit statique, soit oscillant de façon sinusoïdale dans la direction antéropostérieure à trois vitesses différentes. Des mesures d’équilibre dérivées de tests cliniques, le Bruininks-Oseretsky Test of Motor Proficiency 2nd edition (BOT-2) et le Balance Error Scoring System (BESS) ont également été utilisées. Les participants diagnostiqués TCCL présentaient une plus grande instabilité posturale (une plus grande VQM des oscillations posturales) que les participants contrôles 2 semaines et 3 mois après le traumatisme, toutes conditions confondues. Ces troubles de l’équilibre secondaires au TCCL n’étaient plus présents un an après le traumatisme. Ces résultats suggèrent également que les déficits affectant les processus d’intégration visuelle mis en évidence dans la première expérience ont pu contribuer aux troubles de l’équilibre secondaires au TCCL. L’amplitude d’oscillation posturale dans l’axe antéropostérieur de même que les mesures dérivées des tests cliniques d’évaluation de l’équilibre (BOT-2 et BESS) ne se sont pas révélées être des mesures sensibles pour quantifier le déficit postural chez les sujets TCCL. L’association des mesures de TR à la perception des propriétés spécifiques des stimuli s’est révélée être à la fois une méthode de mesure particulièrement sensible aux anomalies visuomotrices secondaires à un TCCL, et un outil précis d’investigation des mécanismes sous-jacents à ces anomalies qui surviennent lorsque le cerveau est exposé à un traumatisme léger. De la même façon, les mesures d’instabilité posturale se sont révélées suffisamment sensibles pour permettre de mesurer les troubles de l’équilibre secondaires à un TCCL. Ainsi, le développement de tests de dépistage basés sur ces résultats et destinés à l’évaluation du TCCL dès ses premières étapes apparaît particulièrement intéressant. Il semble également primordial d’examiner les relations entre de tels déficits et la réalisation d’activités de la vie quotidienne, telles que les activités scolaires, professionnelles ou sportives, pour déterminer les impacts fonctionnels que peuvent avoir ces troubles des fonctions visuomotrice et du contrôle de l’équilibre.
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La déficience intellectuelle est la cause d’handicap la plus fréquente chez l’enfant. De nombreuses évidences convergent vers l’idée selon laquelle des altérations dans les gènes synaptiques puissent expliquer une fraction significative des affections neurodéveloppementales telles que la déficience intellectuelle ou encore l’autisme. Jusqu’à récemment, la majorité des mutations associées à la déficience intellectuelle a été liée au chromosome X ou à la transmission autosomique récessive. D’un autre côté, plusieurs études récentes suggèrent que des mutations de novo dans des gènes à transmission autosomique dominante, requis dans les processus de la plasticité synaptique peuvent être à la source d’une importante fraction des cas de déficience intellectuelle non syndromique. Par des techniques permettant la capture de l’exome et le séquençage de l’ADN génomique, notre laboratoire a précédemment reporté les premières mutations pathogéniques dans le gène à transmission autosomique dominante SYNGAP1. Ces dernières ont été associées à des troubles comportementaux tels que la déficience intellectuelle, l’inattention, des problèmes d’humeur, d’impulsivité et d’agressions physiques. D’autres patients sont diagnostiqués avec des troubles autistiques et/ou des formes particulières d’épilepsie généralisée. Chez la souris, le knock-out constitutif de Syngap1 (souris Syngap1+/-) résulte en des déficits comme l’hyperactivité locomotrice, une réduction du comportement associée à l’anxiété, une augmentation du réflexe de sursaut, une propension à l’isolation, des problèmes dans le conditionnement à la peur, des troubles dans les mémoires de travail, de référence et social. Ainsi, la souris Syngap1+/- représente un modèle approprié pour l’étude des effets délétères causés par l’haploinsuffisance de SYNGAP1 sur le développement de circuits neuronaux. D’autre part, il est de première importance de statuer si les mutations humaines aboutissent à l’haploinsuffisance de la protéine. SYNGAP1 encode pour une protéine à activité GTPase pour Ras. Son haploinsuffisance entraîne l’augmentation des niveaux d’activité de Ras, de phosphorylation de ERK, cause une morphogenèse anormale des épines dendritiques et un excès dans la concentration des récepteurs AMPA à la membrane postsynaptique des neurones excitateurs. Plusieurs études suggèrent que l’augmentation précoce de l’insertion des récepteurs AMPA au sein des synapses glutamatergiques contribue à certains phénotypes observés chez la souris Syngap1+/-. En revanche, les conséquences de l’haploinsuffisance de SYNGAP1 sur les circuits neuronaux GABAergiques restent inconnues. Les enjeux de mon projet de PhD sont: 1) d’identifier l’impact de mutations humaines dans la fonction de SYNGAP1; 2) de déterminer si SYNGAP1 contribue au développement et à la fonction des circuits GABAergiques; 3) de révéler comment l’haploinsuffisance de Syngap1 restreinte aux circuits GABAergiques affecte le comportement et la cognition. Nous avons publié les premières mutations humaines de type faux-sens dans le gène SYNGAP1 (c.1084T>C [p.W362R]; c.1685C>T [p.P562L]) ainsi que deux nouvelles mutations tronquantes (c.2212_2213del [p.S738X]; c.283dupC [p.H95PfsX5]). Ces dernières sont toutes de novo à l’exception de c.283dupC, héritée d’un père mosaïque pour la même mutation. Dans cette étude, nous avons confirmé que les patients pourvus de mutations dans SYNGAP1 présentent, entre autre, des phénotypes associés à des troubles comportementaux relatifs à la déficience intellectuelle. En culture organotypique, la transfection biolistique de l’ADNc de Syngap1 wild-type dans des cellules pyramidales corticales réduit significativement les niveaux de pERK, en fonction de l’activité neuronale. Au contraire les constructions plasmidiques exprimant les mutations W362R, P562L, ou celle précédemment répertoriée R579X, n’engendre aucun effet significatif sur les niveaux de pERK. Ces résultats suggèrent que ces mutations faux-sens et tronquante résultent en la perte de la fonction de SYNGAP1 ayant fort probablement pour conséquences d’affecter la régulation du développement cérébral. Plusieurs études publiées suggèrent que les déficits cognitifs associés à l’haploinsuffisance de SYNGAP1 peuvent émerger d’altérations dans le développement des neurones excitateurs glutamatergiques. Toutefois, si, et auquel cas, de quelle manière ces mutations affectent le développement des interneurones GABAergiques résultant en un déséquilibre entre l’excitation et l’inhibition et aux déficits cognitifs restent sujet de controverses. Par conséquent, nous avons examiné la contribution de Syngap1 dans le développement des circuits GABAergiques. A cette fin, nous avons généré une souris mutante knockout conditionnelle dans laquelle un allèle de Syngap1 est spécifiquement excisé dans les interneurones GABAergiques issus de l’éminence ganglionnaire médiale (souris Tg(Nkx2.1-Cre);Syngap1flox/+). En culture organotypique, nous avons démontré que la réduction de Syngap1 restreinte aux interneurones inhibiteurs résulte en des altérations au niveau de leur arborisation axonale et dans leur densité synaptique. De plus, réalisés sur des coupes de cerveau de souris Tg(Nkx2.1-Cre);Syngap1flox/+, les enregistrements des courants inhibiteurs postsynaptiques miniatures (mIPSC) ou encore de ceux évoqués au moyen de l’optogénétique (oIPSC) dévoilent une réduction significative de la neurotransmission inhibitrice corticale. Enfin, nous avons comparé les performances de souris jeunes adultes Syngap1+/-, Tg(Nkx2.1-Cre);Syngap1flox/+ à celles de leurs congénères contrôles dans une batterie de tests comportementaux. À l’inverse des souris Syngap1+/-, les souris Tg(Nkx2.1-Cre);Syngap1flox/+ ne présentent pas d’hyperactivité locomotrice, ni de comportement associé à l’anxiété. Cependant, elles démontrent des déficits similaires dans la mémoire de travail et de reconnaissance sociale, suggérant que l’haploinsuffisance de Syngap1 restreinte aux interneurones GABAergiques dérivés de l’éminence ganglionnaire médiale récapitule en partie certains des phénotypes cognitifs observés chez la souris Syngap1+/-. Mes travaux de PhD établissent pour la première fois que les mutations humaines dans le gène SYNGAP1 associés à la déficience intellectuelle causent la perte de fonction de la protéine. Mes études dévoilent, également pour la première fois, l’influence significative de ce gène dans la régulation du développement et de la fonction des interneurones. D’admettre l’atteinte des cellules GABAergiques illustre plus réalistement la complexité de la déficience intellectuelle non syndromique causée par l’haploinsuffisance de SYNGAP1. Ainsi, seule une compréhension raffinée de cette condition neurodéveloppementale pourra mener à une approche thérapeutique adéquate.
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Problématique : Les prématurés évoluent dans l’unité néonatale qui présente une intensité lumineuse parfois forte et variable, ce qui a pour effet de provoquer une instabilité physiologique, ainsi qu’une augmentation du niveau d’activité motrice chez ces derniers. Par ailleurs, le contrôle de l’éclairage à l’unité néonatale favorise la stabilité physiologique et réduit le niveau d’activité motrice des prématurés. Deux méthodes de contrôle de l’éclairage ont été étudiées, soit l’éclairage tamisé constant et l’éclairage cyclique. Or, la méthode de contrôle de l’éclairage la plus appropriée au système nerveux immature des prématurés est inconnue et il y a ambivalence en ce qui concerne les résultats des études ayant évalué ces deux modes de contrôle de l’éclairage. But : Le but de cette étude était de mesurer les effets de l’éclairage cyclique versus l’éclairage tamisé constant sur la stabilité physiologique et le niveau d’activité motrice de prématurés nés entre 28 et 32 semaines d’âge gestationnel. Méthode : Un essai clinique randomisé a été réalisé. Les 38 prématurés recrutés dans une unité néonatale de niveaux II et III d’un hôpital universitaire, ont été randomisés dans l’un des deux groupes d’intervention, soit le groupe exposé à l’éclairage tamisé constant ou celui exposé à l’éclairage cyclique. Ces deux types d’éclairage ont été appliqués pendant 24 heures. La stabilité physiologique a été mesurée par le score Stability of the Cardio Respiratory System in Premature Infants (SCRIP) et le niveau d’activité motrice a été mesuré avec un accéléromètre (Actiwatch®). L’intensité lumineuse à laquelle les prématurés ont été exposés a été mesurée de façon continue à l’intérieur de l’incubateur à l’aide d’un photomètre. Résultats : L’analyse des données révèle qu’il n’y aucune différence significative entre les deux groupes d’intervention en ce qui a trait à la stabilité physiologique (valeur-p du score SCRIP de 0,54 à 0,96) et au niveau d’activité motrice (valeur-p de 0,09 à 0,88). Les participants des deux groupes ont manifesté une stabilité physiologique et un niveau d’activité motrice comparables. Conclusion : Des interventions de contrôle de l’éclairage doivent être adoptées à l’unité néonatale, que ce soit des interventions qui permettent la mise en œuvre de l’éclairage cyclique ou de l’éclairage tamisé constant, dans le but de favoriser l’adaptation du prématuré à l’environnement de l’unité néonatale. Des recherches additionnelles sont requises afin d’identifier la méthode de contrôle de l’éclairage (éclairage cyclique ou éclairage tamisé constant) qui doit être implantée à l’unité néonatale.
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Questa tesi si prefigge di analizzare le condizioni di stabilità di un argine inferiore del fiume Po situato presso il comune di Viadana (MN), più volte interessato da eventi franosi che si sono ripetuti con una certa frequenza nel corso degli ultimi anni. L'argomento proposto nella tesi prende spunto dall’esperienza presso il Polo Scientifico e Tecnologico di AIPO a Boretto (RE), nell’ambito del tirocinio formativo, durante il quale ho portato a termine un programma di prove geotecniche su campioni indisturbati prelevati nel sito interessato da fenomeni di instabilità, allo scopo di migliorare le conoscenze sulla risposta meccanica dei terreni arginali e del substrato di fondazione. Utilizzando i risultati delle prove di laboratorio, unitamente alle informazioni provenienti dai sondaggi e dalle prove penetrometriche (CPT/CPTU), è stato possibile innanzitutto identificare le unità stratigrafiche presenti nel sistema arginale e determinarne i parametri meccanici, per poi procedere alla costruzione del modello geotecnico di riferimento per le analisi di stabilità. Pertanto la tesi si pone come obiettivi principali la messa a punto di un modello geotecnico affidabile dell'argine, la verifica della stabilità globale delle scarpate lato fiume e l'individuazione dei fattori scatenanti i fenomeni di scorrimento osservati, nonché la scelta di possibili interventi per la messa in sicurezza delle sponde, valutandone i benefici in termini del fattore di sicurezza ed i relativi costi. L'insieme dei risultati conseguiti in questo studio permette di fornire utili indicazioni a coloro che sono preposti alla manutenzione e messa in sicurezza delle strutture arginali del fiume Po.
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Nell’Ottobre 2015, a seguito di alcuni fenomeni di instabilità avvenuti in corrispondenza delle scarpate lato fiume in sponda sinistra del Po, nel tratto compreso tra Casalmaggiore (CR) e Dosolo (MN), l'Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO) ha commissionato un' estesa campagna di indagini geognostiche. L'ampio database reso disponibile è stato utilizzato in questa tesi di laurea con l'obiettivo di sviluppare, in collaborazione con i tecnici AIPO, una valida procedura per analizzare i dissesti delle scarpate lato fiume in questo tratto del Po e per identificare gli eventuali interventi di messa in sicurezza più idonei. Lo studio proposto si prefigge i seguenti obiettivi: • La caratterizzazione geotecnica dei terreni costituenti le strutture arginali in esame ed il relativo substrato; • La definizione del modello geotecnico del sistema arginale; • La valutazione della stabilità dell'argine; • La individuazione degli interventi di messa in sicurezza delle scarpate. Attraverso l’elaborazione delle prove CPTU è stato possibile determinare la stratigrafia e i parametri geotecnici delle diverse unità stratigrafiche presenti nelle sezioni considerate significative. Sono state quindi effettuate una serie di analisi con il metodo all'equilibrio limite, verificando la stabilità delle scarpate in condizioni di magra ordinaria e in condizioni di rapido svaso. Tenendo conto che la maggior parte dei tratti analizzati aveva già manifestato segni di instabilità o comunque indicava condizioni prossime al limite dell’equilibrio, si è proceduto in "back analysis" alla individuazione dei parametri di resistenza al taglio operativi, tenendo conto della variabilità degli stessi nell'ambito di una stessa unità stratigrafica. Infine tenendo presente i criteri di progetto degli interventi normalmente adottati sulle sponde, è stato possibile procedere alla modellazione di interventi mirati ad aumentare il fattore di sicurezza, analizzandone i relativi vantaggi e svantaggi.
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L’épaule est l’articulation la plus mobile et la plus instable du corps humain dû à la faible quantité de contraintes osseuses et au rôle des tissus mous qui lui confèrent au moins une dizaine de degrés de liberté. La mobilité de l’épaule est un facteur de performance dans plusieurs sports. Mais son instabilité engendre des troubles musculo-squelettiques, dont les déchirures de la coiffe des rotateurs sont fréquentes et les plus handicapantes. L’évaluation de l’amplitude articulaire est un indice commun de la fonction de l’épaule, toutefois elle est souvent limitée à quelques mesures planaires pour lesquelles les degrés de liberté varient indépendamment les uns des autres. Ces valeurs utilisées dans les modèles de simulation musculo-squelettiques peuvent amener à des solutions non physiologiques. L’objectif de cette thèse était de développer des outils pour la caractérisation de la mobilité articulaire tri-dimensionnelle de l’épaule, en passant par i) fournir une méthode et son approche expérimentale pour évaluer l’amplitude articulaire tridimensionnelle de l’épaule incluant des interactions entre les degrés de liberté ; ii) proposer une représentation permettant d’interpréter les données tri-dimensionnelles obtenues; iii) présenter des amplitudes articulaires normalisées, iv) implémenter une amplitude articulaire tridimensionnelle au sein d’un modèle de simulation numérique afin de générer des mouvements sportifs optimaux plus réalistes; v) prédire des amplitudes articulaires sécuritaires et vi) des exercices de rééducation sécuritaires pour des patients ayant subi une réparation de la coiffe des rotateurs. i) Seize sujets ont été réalisé séries de mouvements d’amplitudes maximales actifs avec des combinaisons entre les différents degrés de liberté de l’épaule. Un système d’analyse du mouvement couplé à un modèle cinématique du membre supérieur a été utilisé pour estimer les cinématiques articulaires tridimensionnelles. ii) L’ensemble des orientations définies par une séquence de trois angles a été inclus dans un polyèdre non convexe représentant l’espace de mobilité articulaire prenant en compte les interactions entre les degrés de liberté. La combinaison des séries d’élévation et de rotation est recommandée pour évaluer l’amplitude articulaire complète de l’épaule. iii) Un espace de mobilité normalisé a également été défini en englobant les positions atteintes par au moins 50% des sujets et de volume moyen. iv) Cet espace moyen, définissant la mobilité physiologiques, a été utilisé au sein d’un modèle de simulation cinématique utilisé pour optimiser la technique d’un élément acrobatique de lâcher de barres réalisée par des gymnastes. Avec l’utilisation régulière de limites articulaires planaires pour contraindre la mobilité de l’épaule, seulement 17% des solutions optimales sont physiologiques. En plus, d’assurer le réalisme des solutions, notre contrainte articulaire tridimensionnelle n’a pas affecté le coût de calculs de l’optimisation. v) et vi) Les seize participants ont également réalisé des séries d’amplitudes articulaires passives et des exercices de rééducation passifs. La contrainte dans l’ensemble des muscles de la coiffe des rotateurs au cours de ces mouvements a été estimée à l’aide d’un modèle musculo-squelettique reproduisant différents types et tailles de déchirures. Des seuils de contrainte sécuritaires ont été utilisés pour distinguer les amplitudes de mouvements risquées ou non pour l’intégrité de la réparation chirurgicale. Une taille de déchirure plus grande ainsi que les déchirures affectant plusieurs muscles ont contribué à réduire l’espace de mobilité articulaire sécuritaire. Principalement les élévations gléno-humérales inférieures à 38° et supérieures à 65°, ou réalisées avec le bras maintenu en rotation interne engendrent des contraintes excessives pour la plupart des types et des tailles de blessure lors de mouvements d’abduction, de scaption ou de flexion. Cette thèse a développé une représentation innovante de la mobilité de l’épaule, qui tient compte des interactions entre les degrés de liberté. Grâce à cette représentation, l’évaluation clinique pourra être plus exhaustive et donc élargir les possibilités de diagnostiquer les troubles de l’épaule. La simulation de mouvement peut maintenant être plus réaliste. Finalement, nous avons montré l’importance de personnaliser la rééducation des patients en termes d’amplitude articulaire, puisque des exercices passifs de rééducation précoces peuvent contribuer à une re-déchirure à cause d’une contrainte trop importante qu’ils imposent aux tendons.
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Problématique : Les prématurés évoluent dans l’unité néonatale qui présente une intensité lumineuse parfois forte et variable, ce qui a pour effet de provoquer une instabilité physiologique, ainsi qu’une augmentation du niveau d’activité motrice chez ces derniers. Par ailleurs, le contrôle de l’éclairage à l’unité néonatale favorise la stabilité physiologique et réduit le niveau d’activité motrice des prématurés. Deux méthodes de contrôle de l’éclairage ont été étudiées, soit l’éclairage tamisé constant et l’éclairage cyclique. Or, la méthode de contrôle de l’éclairage la plus appropriée au système nerveux immature des prématurés est inconnue et il y a ambivalence en ce qui concerne les résultats des études ayant évalué ces deux modes de contrôle de l’éclairage. But : Le but de cette étude était de mesurer les effets de l’éclairage cyclique versus l’éclairage tamisé constant sur la stabilité physiologique et le niveau d’activité motrice de prématurés nés entre 28 et 32 semaines d’âge gestationnel. Méthode : Un essai clinique randomisé a été réalisé. Les 38 prématurés recrutés dans une unité néonatale de niveaux II et III d’un hôpital universitaire, ont été randomisés dans l’un des deux groupes d’intervention, soit le groupe exposé à l’éclairage tamisé constant ou celui exposé à l’éclairage cyclique. Ces deux types d’éclairage ont été appliqués pendant 24 heures. La stabilité physiologique a été mesurée par le score Stability of the Cardio Respiratory System in Premature Infants (SCRIP) et le niveau d’activité motrice a été mesuré avec un accéléromètre (Actiwatch®). L’intensité lumineuse à laquelle les prématurés ont été exposés a été mesurée de façon continue à l’intérieur de l’incubateur à l’aide d’un photomètre. Résultats : L’analyse des données révèle qu’il n’y aucune différence significative entre les deux groupes d’intervention en ce qui a trait à la stabilité physiologique (valeur-p du score SCRIP de 0,54 à 0,96) et au niveau d’activité motrice (valeur-p de 0,09 à 0,88). Les participants des deux groupes ont manifesté une stabilité physiologique et un niveau d’activité motrice comparables. Conclusion : Des interventions de contrôle de l’éclairage doivent être adoptées à l’unité néonatale, que ce soit des interventions qui permettent la mise en œuvre de l’éclairage cyclique ou de l’éclairage tamisé constant, dans le but de favoriser l’adaptation du prématuré à l’environnement de l’unité néonatale. Des recherches additionnelles sont requises afin d’identifier la méthode de contrôle de l’éclairage (éclairage cyclique ou éclairage tamisé constant) qui doit être implantée à l’unité néonatale.
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Per investigare il ruolo del contrasto di densità fra rocce crostali e mantelliche, nell’origine dell’associazione peridotiti-migmatiti-gneiss della Zona d’Ultimo (Austroalpino superiore, Italia), durante l’orogenesi Varisica, sono stati studiati tre diversi litotipi provenienti dall’area in esame. Mediante l’utilizzo del software Perple_X, sono state modellizzate le condizioni P-T di equilibrio di: un paragneiss a granato e staurolite di grado metamorfico medio, un fels a granato prodotto per fusione parziale ed estrazione del fuso dalla roccia sorgente (restite), e una peridotite ad anfibolo rappresentativa del cuneo di mantello. A partire dalle peridotiti, sono state calcolate condizioni metamorfiche di picco per la Zona d’Ultimo di 900 °C e 13 kbar, in facies granulitica, confrontabili con profondità di circa 40-50 km. In queste condizioni, le peridotiti ad anfibolo presentano una densità di 3230 kg/m3, nettamente inferiore rispetto a quanto calcolato per il campione di restite, cioè 3730 kg/m3. In particolare, è stato calcolato che è necessario estrarre dalla roccia sorgente una quantità di fuso pari al 10-12 wt.%, per generare un residuo refrattario di densità equivalente alle peridotiti idrate. La differenziazione fra neosoma e paleosoma, prodotta dalla fusione parziale, può generare quindi una situazione di instabilità fra crosta e mantello, a causa del contrasto di densità fra le rocce poste a contatto. Per effetto di questa instabilità, possono verificarsi meccanismi duttili di trasferimento di massa, con inclusione di lenti di peridotiti all’interno della crosta, all’interfaccia fra lo slab continentale in subduzione ed il cuneo di mantello, ma anche, in caso di crosta inspessita, in corrispondenza della transizione crosta profonda-mantello litosferico (Moho) nella upper plate.
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Il lavoro di tesi consiste nella caratterizzazione, nell’analisi a ritroso e di stabilità attuale di un fenomeno franoso avvenuto a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna. La caratterizzazione è comprensiva di analisi geomorfologica dell’area, indagine sismo-stratigrafica e indagine geotecnica di laboratorio. Quindi è stato definito il meccanismo di rottura della frana e sono stati cartografati gli elementi morfologici costituenti l’area di frana. L’indagine geofisica si basa su tecniche ad onde di superficie e include misure tromografiche di rumore sismico ambientale e misure attive multicanale. Queste forniscono, rispettivamente, le curve H/V e gli spettri di velocità di fase e di gruppo, dalle quali è possibile ricavare informazioni di carattere stratigrafico. La caratterizzazione fisico meccanica del materiale pelitico marnoso, prelevato sul piano di scorrimento basale, include analisi granulometrica, determinazione dei limiti di consistenza e test di taglio anulare per ottenere il valore di angolo di attrito residuo. Le informazioni ottenute dalle indagini hanno consentito di definire il modello geologico tecnico del fenomeno, che viene rappresentato rispetto a quattro sezioni, tre relative alla situazione attuale e una relativa al versante prefrana. Sulla base di questi sono state condotte delle analisi a ritroso, che hanno consentito di ricavare le condizioni idrauliche del versante al momento della rottura, per differenti combinazioni di geometria del cuneo e diagramma di spinta dell’acqua. Grazie ai risultati ottenuti in modalità backward, sono state effettuate le analisi di stabilità della scarpata attuale, aventi lo scopo di determinare la distanza orizzontale tra scarpata e frattura di trazione che determinerebbe una situazione di instabilità. Infine sono state condotte analisi di sensitività rispetto ai parametri geometrici del cuneo, di resistenza del materiale e di riempimento idraulico della frattura dii trazione.
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Il cuore è uno dei principali organi vitali dell’organismo umano e la sua fisiologica attività è indispensabile per sostenere uno stile di vita conforme alle esigenze del singolo individuo. Le aritmie cardiache, alterazioni del ritmo, possono compromettere o limitare la vita di un paziente che ne è affetto. Specifiche aritmie cardiache vengono trattate con l’impianto di dispositivi cardiaci impiantabili, i defibrillatori, che generano una stimolazione elettrica nel tessuto cardiaco allo scopo di ripristinare un ritmo cardiaco fisiologico. Il presente elaborato descrive come tali dispositivi siano in grado di correggere le aritmie cardiache, garantendo la sicurezza del paziente e permettendogli di svolgere le normali attività quotidiane . Il primo capitolo andrà ad analizzare il cuore dal punto di vista anatomico e fisiologico per capirne il funzionamento non affetto da patologie. Il secondo capitolo concentrerà l’analisi sui defibrillatori impiantabili per stimolazione cardiaca (ICD), facendo luce sulla storia, sulle funzioni primarie,sui componenti interni,sulle patologie legate all’utilizzo,sulle tipologie presenti in commercio e sul metodo d’impianto. Il terzo capitolo è incentrato sul monitoraggio remoto degli ICD (home-monitoring), attraverso il quale il paziente può trasmettere per via transtelefonica al centro cardiologico di riferimento i dati tecnici e clinici desumibili dall’interrogazione del dispositivo impiantato, senza necessità di ricorrere al controllo ambulatoriale tradizionale. L’home-monitoring nei pazienti portatori di dispositivo impiantabile si è dimostrato efficace per l’individuazione di malfunzionamenti e di instabilità cliniche in misura sovrapponibile rispetto al controllo ambulatoriale tradizionale, offrendo però significativi vantaggi in termini di qualità della vita e di gestione delle risorse sanitarie. Infine saranno presentate le conclusioni di tale elaborato.