285 resultados para patronage


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L’attività nel teatro della Villa medicea di Pratolino, presso Firenze, giunse al culmine nel primo decennio del ’700, quando il principe Ferdinando de’ Medici commissionò e vi fece rappresentare, una per anno, opere in musica di Alessandro Scarlatti e di Giacomo Antonio Perti. Benché le partiture siano perdute, sopravvive un’ingente quantità di materiale documentario, in massima parte inedito, il quale dà un eccezionale resoconto sul mecenatismo del Principe e sul funzionamento della macchina teatrale. La dissertazione si concentra sulle sei opere poste in musica da Perti ("Lucio Vero", 1700, in collaborazione con Martino Bitti; "Astianatte", 1701; "Dionisio re di Portogallo", 1707; "Ginevra principessa di Scozia", 1708; "Berenice regina d’Egitto", 1709; "Rodelinda regina de’ Longobardi", 1710), sui rapporti del compositore col Principe, col librettista Antonio Salvi, col rivale Scarlatti, coi cantanti e con la corte medicea, sullo stile da lui perseguito e – per quanto è dato sapere o lecito ipotizzare – sulla fisionomia dei suoi lavori (strutture e risorse letterarie, teatrali e musicali).

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La tesi di dottorato La committenza artistica dei Templari e degli Ospitalieri in Emilia Romagna cerca attraverso un approccio metodologico multidisciplinare di ricostruire il patrimonio artistico delle commende dei due ordini religioso cavallereschi in regione. La tesi è stata concepita per riflettere anche a livello strutturale la metodologia d’indagine, così un primo capitolo è dedicato all’analisi storica dei due ordini, con particolare attenzione alla comprensione del rapporto tra gli ordini e il mondo dell’arte. Una secondo capitolo invece è incentrato sulla storiografia artistica relativa e sulle impegnative indagini d’archivio, che, soprattutto attraverso l’utilizzo di una vasta documentazione inedita, hanno permesso di fornire nuovi elementi alla definizione della rete degli insediamenti e della loro decorazione. Lo studio prosegue con la specifica ricostruzione storica e storico artistica delle commende attraverso l’indagine sui singoli insediamenti, dove si è cercato di dar conto delle vicende artistiche e della storia dei suoi protagonisti. Contestualmente alla redazione di questo capitolo, riconoscendo la storia, il senso e l’importanza della scuola stilistico-filologica, si procede alla redazione delle schede di catalogo delle opere superstiti, sia di quelle ancora nelle ex-commende sia di quelle che oggi hanno altre collocazioni. Successivamente, senza necessariamente trarre conclusioni definitive su un lavoro di ricerca che per sua natura è in divenire, si argomentano alcune riflessioni sulla natura, i limiti, i caratteri e l’evoluzione della committenza dei due ordini cavallereschi in regione. Si è così riscoperto un patrimonio artistico vasto e articolato che coniuga capolavori con opere di cultura assai più corsiva, ma comunque sempre capace di raccontare la storia dei suoi artefici (alcuni - come Aristotele Fioravanti, Girolamo da Treviso, Pietro Bembo o Ranuccio Farnese - veri e propri protagonisti del loro tempo), in continuo e sostanziale dialogo con le culture artistiche che hanno attraversato la regione, e non solo, tra Medioevo e Modernità.

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Die Großherzog Wilhelm Ernst Ausgabe deutscher Klassiker wurde seit 1904 bis in die Zwanziger Jahre hinein im Insel Verlag in Leipzig publiziert. Die Buchreihe hat nicht nur für den Verlag und die Druckerei Poeschel in der sie gedruckt wurde eine ganze Reihe von Neuerungen nach sich gezogen, auch für den deutschen Buchmarkt hat die Klassikerausgabe einen Meilenstein bedeutet. Sie hat einige Eigenschaften des Taschenbuches vorweggenommen. Sie orientierte sich an der Qualität bibliophiler Buchpublikationen, aber war dennoch preislich erschwinglich. Zeitgenössische Klassikerausgaben erschienen zumeist mit einem Kommentar. Nicht so die Großherzog Wilhelm Ernst Ausgabe. Der Text wurde zwar von führenden Wissenschaftlern editiert, aber sie war dennoch unkommentiert. Der Text war in einer Jenson-Antiqua gesetzt obwohl die Debatte um individuell gestaltete Künstlerschriften und die Diskussion um die als deutsche Schrift begriffene Fraktur unter den wichtigsten Protagonisten des deutschen Buchgewerbes ihren Höhepunkt noch nicht erreicht hatte. Ziel für die Klassikerausgabe war darüber hinaus, das zur Jahrhundertwende leicht angestaubte Image der Stadt Weimar aufzupolieren. Über das Patronat des Großherzogs hinaus hätte man die Gewinne aus dem Verkauf der Bücher der Permanenten Ausstellung für die Anschaffung von modernen Kunstobjekten zur Verfügung stellen wollen, die unter der Leitung von Harry Graf Kessler stand. Sieht man den Inhalt der Werke der in der Klassikerreihe erschienen Dichter Goethe, Schiller und Körner in einem ästhetischen Kontext mit dem der Philosophen Schopenhauer und Kant, wird im Spiegel der Formalästhetik der Klassikerausgabe Graf Kesslers Bildungs- und Kulturbegriff erkennbar, der sich in den Jahren nach der Jahrhundertwende zu seinem Lebenskunstideal verdichtete. Der zerrütteten Existenz der Zeitgenossen, wie Friedrich Nietzsche sie beschrieben hatte, sollte der Inhalt der Ausgabe in seiner modernen Form eine moderne Wertehaltung entgegensetzen. Die Lektüre der Klassiker sollte den deutschen Philister „entkrampfen“ und ihm ein Stück der verloren geglaubten Lebensfreude wieder zurück bringen, in dem dieser auch die Facetten des Lebensleids als normal hinnehmen und akzeptieren lernte. Die Klassikerausgabe repräsentierte aus diesem Grund auch den kulturellen und politischen Reformwillen und die gesellschaftlichen Vorstellungen die der Graf für ein modernes Deutschland als überfällig erachtete. Die Buchreihe war aus diesem Grund auch ein politisches Statement gegen die Beharrungskräfte im deutschen Kaiserreich. Die Klassikerreihe wurde in der buchhistorischen Forschung zwar als bedeutender Meilenstein charakterisiert und als „wichtiges“ oder gar „revolutionäres“ Werk der Zeit hervorgehoben, die Ergebnisse der Forschung kann man überspitzt aber in der Aussage zusammenfassen, dass es sich bei der Großherzog Wilhelm Ernst Ausgabe um einen „zufälligen Glückstreffer“ deutscher Buchgestaltung zu handeln scheint. Zumindest lassen die Aussagen, die bisher in dieser Hinsicht gemacht wurden, keine eindeutige Einordnung zu, außer vielleicht der, dass die Klassiker von der englischen Lebensreform inspiriert wurden und Henry van de Velde und William Morris einen Einfluss auf ihre äußere Form hatten. Gerade die Gedankenansätze dieser Beiden nutzte Graf Kessler aber für eigene Überlegungen, die ihn schließlich auch zu eigenen Vorstellungen von idealer Buchgestaltung brachten. Da für Kessler auch Gebrauchsgegenstände Kunst sein konnten, wird das Konzept der Klassikerausgabe bis zur Umsetzung in ihrer `bahnbrechenden´ Form in das ideengeschichtliche und ästhetische Denken des Grafen eingeordnet. Die Klassiker werden zwar in buchhistorischen Einzeluntersuchungen bezüglich ihrer Komponenten, dem Dünndruckpapier, ihrem Einband oder der Schrifttype exponiert. In buchwissenschaftlichen Überblicksdarstellungen wird ihr Einfluss hingegen weniger beachtet, denn verschiedene Kritiker bezogen sie seit ihrem ersten Erscheinen nicht als deutsches Kulturgut mit ein, denn sie lehnten sowohl die englischen Mitarbeiter Emery Walker, Edward Johnston, Eric Gill und Douglas Cockerell wie auch ihre Gestaltung als „welsche“ Buchausgabe ab. Richtig ist, die Großherzog Wilhelm Ernst Ausgabe hatte dieselbe Funktion wie die von Graf Kessler in Weimar konzipierten Kunstausstellungen und die dortige Kunstschule unter der Leitung seines Freundes Henry van de Velde. Auch das für Weimar geplante Theater, das unter der Leitung von Hugo von Hofmannsthal hätte stehen sollen und die Großherzog Wilhelm Ernst Schule, hätten dieselben Ideen der Moderne mit anderen Mitteln transportieren sollen, wie die Großherzog Wilhelm Ernst Ausgabe deutscher Klassiker.

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Sorto alla fine degli anni ottanta del Novecento, il teatro di narrazione ha raggiunto un notevole successo di pubblico a partire dagli anni Novanta. I suoi legami con il giornalismo d'inchiesta hanno condotto questo genere teatrale verso la narrazione di alcuni tra gli eventi pi controversi della storia dell'Italia repubblicana; eventi non ancora risolti sul piano processuale o al centro di una memoria storica fortemente divisa. Marco Baliani, Marco Paolini e Ascanio Celestini sono i tre autori che abbiamo scelto per affrontare un'analisi delle loro narrazioni in merito, rispettivamente, all'omicidio di Aldo Moro, alla strage di Ustica e all'eccidio delle Fosse Ardeatine. Oggetto della ricerca l'analisi dell'utilizzo delle fonti da dichiarate o comunque utilizzate dai narratori per la costruzione delle loro performances la loro selezione, la loro interpretazione e la loro disposizione nel testo e la messa in evidenza del problema della verità e del suo rapporto con il verosimile nelle narrazioni teatrali di eventi storici. Particolare attenzione viene inoltre posta al grande dibattito internazionale tra storia e fiction, alle strategie di coinvolgimento dell'opinione pubblica su temi morali e politici nonché all'analisi dei fattori economici e delle committenze che sono alla base di tali narrazioni.

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The Encyclopedia of the Medieval Chronicle brings together the latest research in chronicle studies from a variety of disciplines and scholarly traditions. Chronicles are the history books written and read in educated circles throughout Europe and the Middle East in the Middle Ages. For the modern reader, they are important as sources for the history they tell, but equally they open windows on the preoccupations and self-perceptions of those who tell it. Interest in chronicles has grown steadily in recent decades, and the foundation of a Medieval Chronicle Society in 1999 is indicative of this. Indeed, in many ways the Encyclopedia has been inspired by the emergence of this Society as a focus of the interdisciplinary chronicle community. The Encyclopedia fills an important gap especially for historians, art historians and literary scholars. It is the first reference work on medieval chronicles to attempt this kind of coverage of works from Europe, North Africa and the Middle East over a period of twelve centuries. 2564 entries and 65 illustrations describe individual anonymous chronicles or the historical oeuvre of particular chroniclers, covering the widest possible selection of works written in Latin, English, French, Spanish, German, Dutch, Norse, Irish, Hebrew, Arabic, Greek, Syriac, Church Slavonic and other languages. Leading articles give overviews of genres and historiographical traditions, and thematic entries cover particular features of medieval chronicles and such general issues as authorship and patronage, as well as questions of art history. Textual transmission is emphasized, and a comprehensive manuscript index makes a useful contribution to the codicology of chronicles.

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The Qing emperors, who ruled over China from 1644-1911, managed to bring large parts of Inner Asia under their control and extended the territory of China to an unprecedented degree. This paper maintains that the political technique of patronage with its formalized language, its emphasis on gift exchange and expressions of courtesy is a useful concept for explaining the integration of Inner Asian confederations into the empire. By re-interpreting the obligations of gift exchange, the Qing transformed the network of personal relationships, which had to be reinforced and consolidated permanently into a system with clearly defined rules. In this process of formalization, the Lifanyuan, the Court for the Administration of the Outer Regions, played a key role. While in the early years of the dynasty, it was responsible for collecting and disseminating information concerning the various patronage relationships with Inner Asian leaders, over the course of the 17th and 18th centuries its efforts were directed at standardizing and streamlining the contacts between ethnic minorities and the state. Through the Lifanyuan, the rules and principles of patronage were maintained in a modified form even in the later part of the dynasty, when the Qing exercised control in the outer regions more directly. The paper provides an explanation for the longevity and cohesiveness of the multi-ethnic Qing empire. Based on recently published Manchu and Mongolian language archival material and the Maussian concept of gift exchange the study sheds new light on the changing self-conception of the Qing emperors.

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This study attempts to analyze the underlying factors and motives influencing the allocation of discretionary state expenditures. The fact that some cities receive more money than other cities begs the question of what accounts for this variation. After framing the provision of state money within the theoretical framework of political patronage, a case study of Governor Rowland’s tenure in office and the accompanying expenditures to Connecticut’s 17 largest cities from 1995 to 2004 was conducted to evaluate whether a disproportionate amount of money was given to Rowland’s hometown of Waterbury, Connecticut. Besides employing a statistical analysis that determined that cities with similar characteristics received different amounts of money, interviewing was conducted to identify reasons for such variation. The results indicate that Waterbury received a greater amount of money than was predicted based on the city’s economic and demographic characteristics, and that non-objective and biased factors such as favoritism, the need to reward political support, or the desire to increase political loyalty sometimes take precedence over more objective factors.

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Ethnicity is an important institution and one that impacts on the quality of governance. This paper focuses on the behavior of ethnic groups and specifically on their impact on the provision of public goods. The paper shows that ethnic heterogeneity results in under-provision of non-excludable public goods. On the other hand, such societies associate with provision of patronage goods. The paper proposes some areas of research such the economics of ethnic institutions, empirical evidence of the role ethnic groups on public goods provision, tax compliance and institutional reforms to improve governance.

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En Argentina, las concepciones disciplinarias sobre la política se han visto desafiadas por "el 2001". Las etnografías sobre procesos de estatalización barrial escritas en ese contexto pueden comprenderse como una respuesta singular a este desafío. Especialmente, los análisis etnográficos han discutido los supuestos normativos implícitos en ciertas dicotomías: "movimientos sociales" - "clientelismo", "autonomía" - "cooptación", "resistencia" - "subordinación", "nuevo" - "viejo", "proyecto" - "urgencia". Estas etnografías suelen privilegiar el análisis de los acontecimientos presenciados por el investigador en tiempo presente. Leídas comparativamente, sin embargo, parecen dar cuenta de un cierto orden en las diferencias que propongo interpretar desde una mirada histórica. Más específicamente, me interesa profundizar en la elucidación de los sentidos de "el 2001" (su antes y su después) en las experiencias de la política de las personas descriptas etnográficamente. Dentro de este marco, he trabajado un punto de encuentro entre las etnografías: cómo las personas definen sus prácticas en la relación entre "trabajo", "barrio" y "política"

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El presente articulo analiza las principales transformaciones experimentadas por la identidad política peronista desde los años iniciales de la 'transición a la democracia' hasta la actualidad. En la primera parte reconstruye, a través de las páginas de la revista Unidos, los debates suscitados al interior del peronismo en la década del 80 alrededor de las relaciones y tensiones entre la tradición nacional-popular, el socialismo y la democracia. En la segunda sección se pregunta por las continuidades y rupturas experimentadas por la identidad peronista en los 90, apuntando a captar bajo qué formas seguía presente esta identidad en un contexto marcado por el neoliberalismo y el clientelismo. Finalmente, en la última sección se aventuran algunas hipótesis sobre la recomposición del peronismo bajo el liderazgo kirchnerista en el periodo posterior a la crisis social y política de 2001

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Durante las últimas tres décadas, los métodos de la investigación histórica de las sociedades de la antigua Palestina han experimentado un considerable progreso desde los días en que la Biblia era tomada como fuente primaria y principal de reconstrucción histórica. Las nuevas perspectivas privilegian el aporte de múltiples disciplinas sociales, entre otras, la antropología, la sociología, la etnografía. En la presente comunicación hacemos uso de la información del registro etnográfico contemporáneo junto con perspectivas de la teoría antropológica para tratar de resolver la cuestión de la organización social de Palestina en la antigüedad así como de la práctica del poder político en las sociedades "tribales" de Medio Oriente. La integración de esta información junto con el análisis de fuentes históricas antiguas nos indica que las relaciones de parentesco y, fundamentalmente, las de patronazgo fueron las prácticas sociopolíticas dominantes en estas sociedades. Como resultado, el predominio de estas prácticas constituyó un obstáculo considerable para la aparición de una práctica estatal indígena en esta región. En consecuencia, una aceptación de la primacía analítica del concepto de "sociedades de patronazgo" por sobre el de "sociedades estatales" o "sociedades de clase" nos puede conducir a un mejor entendimiento de la dinámica sociopolítica en la antigua Palestina.