855 resultados para parametri cosmologici


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Fra le varie ragioni della crescente pervasività di Internet in molteplici settori di mercato del tutto estranei all’ICT, va senza dubbio evidenziata la possibilità di creare canali di comunicazione attraverso i quali poter comandare un sistema e ricevere da esso informazioni di qualsiasi genere, qualunque distanza separi controllato e controllore. Nel caso specifico, il contesto applicativo è l’automotive: in collaborazione col Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Bologna, ci si è occupati del problema di rendere disponibile a distanza la grande quantità di dati che i vari sotto-sistemi componenti una automobile elettrica si scambiano fra loro, sia legati al tipo di propulsione, elettrico appunto, come i livelli di carica delle batterie o la temperatura dell’inverter, sia di natura meccanica, come i giri motore. L’obiettivo è quello di permettere all’utente (sia esso il progettista, il tecnico riparatore o semplicemente il proprietario) il monitoraggio e la supervisione dello stato del mezzo da remoto nelle sue varie fasi di vita: dai test eseguiti su prototipo in laboratorio, alla messa in strada, alla manutenzione ordinaria e straordinaria. L’approccio individuato è stato quello di collezionare e memorizzare in un archivio centralizzato, raggiungibile via Internet, tutti i dati necessari. Il sistema di elaborazione a bordo richiede di essere facilmente integrabile, quindi di piccole dimensioni, e a basso costo, dovendo prevedere la produzione di molti veicoli; ha inoltre compiti ben definiti e noti a priori. Data la situazione, si è quindi scelto di usare un sistema embedded, cioè un sistema elettronico di elaborazione progettato per svolgere un limitato numero di funzionalità specifiche sottoposte a vincoli temporali e/o economici. Apparati di questo tipo sono denominati “special purpose”, in opposizione ai sistemi di utilità generica detti “general purpose” quali, ad esempio, i personal computer, proprio per la loro capacità di eseguire ripetutamente un’azione a costo contenuto, tramite un giusto compromesso fra hardware dedicato e software, chiamato in questo caso “firmware”. I sistemi embedded hanno subito nel corso del tempo una profonda evoluzione tecnologica, che li ha portati da semplici microcontrollori in grado di svolgere limitate operazioni di calcolo a strutture complesse in grado di interfacciarsi a un gran numero di sensori e attuatori esterni oltre che a molte tecnologie di comunicazione. Nel caso in esame, si è scelto di affidarsi alla piattaforma open-source Arduino; essa è composta da un circuito stampato che integra un microcontrollore Atmel da programmare attraverso interfaccia seriale, chiamata Arduino board, ed offre nativamente numerose funzionalità, quali ingressi e uscite digitali e analogici, supporto per SPI, I2C ed altro; inoltre, per aumentare le possibilità d’utilizzo, può essere posta in comunicazione con schede elettroniche esterne, dette shield, progettate per le più disparate applicazioni, quali controllo di motori elettrici, gps, interfacciamento con bus di campo quale ad esempio CAN, tecnologie di rete come Ethernet, Bluetooth, ZigBee, etc. L’hardware è open-source, ovvero gli schemi elettrici sono liberamente disponibili e utilizzabili così come gran parte del software e della documentazione; questo ha permesso una grande diffusione di questo frame work, portando a numerosi vantaggi: abbassamento del costo, ambienti di sviluppo multi-piattaforma, notevole quantità di documentazione e, soprattutto, continua evoluzione ed aggiornamento hardware e software. È stato quindi possibile interfacciarsi alla centralina del veicolo prelevando i messaggi necessari dal bus CAN e collezionare tutti i valori che dovevano essere archiviati. Data la notevole mole di dati da elaborare, si è scelto di dividere il sistema in due parti separate: un primo nodo, denominato Master, è incaricato di prelevare dall’autovettura i parametri, di associarvi i dati GPS (velocità, tempo e posizione) prelevati al momento della lettura e di inviare il tutto a un secondo nodo, denominato Slave, che si occupa di creare un canale di comunicazione attraverso la rete Internet per raggiungere il database. La denominazione scelta di Master e Slave riflette la scelta fatta per il protocollo di comunicazione fra i due nodi Arduino, ovvero l’I2C, che consente la comunicazione seriale fra dispositivi attraverso la designazione di un “master” e di un arbitrario numero di “slave”. La suddivisione dei compiti fra due nodi permette di distribuire il carico di lavoro con evidenti vantaggi in termini di affidabilità e prestazioni. Del progetto si sono occupate due Tesi di Laurea Magistrale; la presente si occupa del dispositivo Slave e del database. Avendo l’obiettivo di accedere al database da ovunque, si è scelto di appoggiarsi alla rete Internet, alla quale si ha oggi facile accesso da gran parte del mondo. Questo ha fatto sì che la scelta della tecnologia da usare per il database ricadesse su un web server che da un lato raccoglie i dati provenienti dall’autovettura e dall’altro ne permette un’agevole consultazione. Anch’esso è stato implementato con software open-source: si tratta, infatti, di una web application in linguaggio php che riceve, sotto forma di richieste HTTP di tipo GET oppure POST, i dati dal dispositivo Slave e provvede a salvarli, opportunamente formattati, in un database MySQL. Questo impone però che, per dialogare con il web server, il nodo Slave debba implementare tutti i livelli dello stack protocollare di Internet. Due differenti shield realizzano quindi il livello di collegamento, disponibile sia via cavo sia wireless, rispettivamente attraverso l’implementazione in un caso del protocollo Ethernet, nell’altro della connessione GPRS. A questo si appoggiano i protocolli TCP/IP che provvedono a trasportare al database i dati ricevuti dal dispositivo Master sotto forma di messaggi HTTP. Sono descritti approfonditamente il sistema veicolare da controllare e il sistema controllore; i firmware utilizzati per realizzare le funzioni dello Slave con tecnologia Ethernet e con tecnologia GPRS; la web application e il database; infine, sono presentati i risultati delle simulazioni e dei test svolti sul campo nel laboratorio DIE.

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Nonostante l’oggettiva constatazione dei risultati positivi riscontrati a seguito dei trattamenti radioterapici a cui sono sottoposti i pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore, al giorno d’oggi i processi biologici responsabili di tali effetti non sono ancora perfettamente compresi. Inseguendo l’obbiettivo di riuscire a definire tali processi è nata la branca delle scienze biomediche denominata radiobiologia, la quale appunto ha lo scopo di studiare gli effetti provocati dalle radiazioni quando esse interagiscono con un sistema biologico. Di particolare interesse risulta essere lo studio degli effetti dei trattamenti radioterapici nei pazienti con tumore del polmone che rappresentano la principale causa di morte dei paesi industrializzati. Purtroppo per via della scarsa reperibilità di materiale, non è stato finora possibile studiare nel dettaglio gli effetti delle cure radioterapiche nel caso di questo specifico tumore. Grazie alle ricerche di alcuni biologi dell’IRST sono stati creati in-vitro sferoidi composti da cellule staminali e tumorali di polmone, chiamate broncosfere, permettendo così di avere ottimi modelli tridimensionali di tessuto umano allo stato solido su cui eseguire esperimenti al fine di regolare i parametri dei trattamenti radioterapici, al fine di massimizzarne l’effetto di cura. In questo lavoro di Tesi sono state acquisite sequenze di immagini relative a broncosfere sottoposte a differenti tipologie di trattamenti radioterapici. Le immagini acquisite forniscono importanti indicazioni densitomorfometriche che correlate a dati clinoco-biologico potrebbero fornire importanti indicazioni per regolare parametri fondamentali dei trattamenti di cura. Risulta però difficile riuscire a confrontare immagini cellulari di pre e post-trattamento, e poter quindi effettuare delle correlazioni fra modalità di irraggiamento delle cellule e relative caratteristiche morfometriche, in particolare se le immagini non vengono acquisite con medesimi parametri e condizioni di cattura. Inoltre, le dimensioni degli sferoidi cellulari da acquisire risultano essere tipicamente maggiori del parametro depth of focus del sistema e questo implica che non è possibile acquisire una singola immagine completamente a fuoco di essi. Per ovviare a queste problematiche sono state acquisite sequenze di immagini relative allo stesso oggetto ma a diversi piani focali e sono state ricostruite le immagini completamente a fuoco utilizzando algoritmi per l’estensione della profondità di campo. Sono stati quindi formulati due protocolli operativi per fissare i procedimenti legati all’acquisizione di immagini di sferoidi cellulari e renderli ripetibili da più operatori. Il primo prende in esame le metodiche seguite per l’acquisizione di immagini microscopiche di broncosfere per permettere di comparare le immagini ottenute in diverse acquisizioni, con particolare attenzione agli aspetti critici di tale operazione. Il secondo è relativo alla metodica seguita nella archiviazione di tali immagini, seguendo una logica di classificazione basata sul numero di trattamenti subiti dal singolo sferoide. In questo lavoro di Tesi sono stati acquisiti e opportunamente archiviati complessivamente circa 6500 immagini di broncosfere riguardanti un totale di 85 sferoidi. I protocolli elaborati permetteranno di espandere il database contenente le immagini di broncosfere con futuri esperimenti, in modo da disporre di informazioni relative anche ai cambiamenti morfologici subiti dagli sferoidi in seguito a varie tipologie di radiotrattamenti e poter quindi studiare come parametri di frazionamento di dose influenzano la cura. Infine, grazie alle tecniche di elaborazioni delle immagini che stiamo sviluppando sarà inoltre possibile disporre di una ricostruzione della superficie degli sferoidi in tempo reale durante l’acquisizione.

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La Muay Thai, comunemente detta “Boxe Thailandese” è un'arte marziale che rientra nella classificazione delle attività intermittenti con entrambi i sistemi energetici reclutati, aerobico e anaerobico, è inoltre caratterizzata dal fatto che il combattimento alla distanza si alterna alla lotta, denominata “clinch”. Nonostante la popolarità della Muay Thai, in ambito mondiale, stia progressivamente aumentando così come è in aumento il numero di atleti che la praticano, le ricerche incentrate su questa arte marziale e gli studi relativi agli aggiustamenti cardiometabolici nonché alle modalità temporali con cui gli specifici gesti atletici si possono succedere nel tempo durante un match, sono ancora estremamente esigui. L’oggetto del nostro studio è stato l’analisi della struttura temporale del combattimento, tramite la Match Analysis off line (analisi visiva del combattimento), con comparazione dei dati ottenuti tra il vincitore (winner) e il perdente (loser) e la valutazione dell’andamento di alcuni importanti parametri metabolici attraverso la misurazione del lattato e della HR, durante un incontro reale di Boxe Thailandese. La sperimentazione è stata condotta su un gruppo di dieci soggetti di sesso maschile, praticanti la disciplina ad un alto livello nazionale, la cui media ± deviazione standard (DS), di età, peso e altezza è di 24,6 ±4,01 anni, 69,4 ±7 kg e 174,1 ±4,3 cm. Gli atleti sono stati sottoposti, in due diverse giornate separate da almeno tre giorni, a due test; durante una prima seduta sperimentale preliminare abbiamo determinato il massimo consumo di ossigeno (VO2max) nel corso di un test sul nastro trasportare, con concomitante stima della Soglia anaerobica (SA) e misura della massima frequenza cardiaca (HR max). In una seconda seduta sperimentale abbiamo effettuato i test di combattimento in palestra e infine abbiamo analizzato i video degli incontri attraverso la Match Analysis. Dai risultati della Match - Analysis è scaturito che i vincitori hanno eseguito un numero più elevato di azioni efficaci (p < 0,05) rispetto ai non-vincitori, grazie ad un numero maggiore di combinazioni (C ) e di attacchi singoli (A) e un numero minore di difese (D) e di tecniche inefficaci. È così emerso come il livello delle realizzazioni sia quasi esclusivamente dovuto all’efficacia della tecnica e alla tattica delle azioni. Abbiamo quindi focalizzato la nostra attenzione sul clinch e sulle azioni di attacco perché si ipotizzava che potessero essere attività dispendiose e probabilmente responsabili dell’incremento di lattato durante il combattimento, dall’ analisi dei dati però non è stata riscontrata nessuna significativa correlazione tra l’andamento dei dati metabolici e le fasi di attacco e di lotta. Dai nostri risultati emerge in maniera interessante come durante le fasi attive del combattimento si siano raggiunti alti valori di lattato ematico e di frequenza cardiaca, rispettivamente di 12,55 mmol/L e di 182,68 b/min, ben oltre la SA rilevata nel test incrementale dove la HR si posizionava a 168,2 b/min. In conclusione si evidenzia come la Boxe Thailandese sia una disciplina caratterizzata da un considerevole impegno energetico-metabolico, sia aerobico che anaerobico. La predominanza del metabolismo lattacido è dimostrata dagli elevati valori di lattato osservati nel presente studio e dalla frequenza degli attacchi (8,6 ± 3,5 sec.). Questo studio potrà essere utilizzato dagli allenatori per la predisposizione di allenamenti specifici che inducano gli adattamenti propri della Muay Thai.

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La Tomografia Computerizzata (TC) perfusionale rappresenta attualmente una importante tecnica di imaging radiologico in grado di fornire indicatori funzionali di natura emodinamica relativi alla vascolarizzazione dei tessuti investigati. Le moderne macchine TC consentono di effettuare analisi funzionali ad una elevata risoluzione spaziale e temporale, provvedendo ad una caratterizzazione più accurata di zone di interesse clinico attraverso l’analisi dinamica della concentrazione di un mezzo di contrasto, con dosi contenute per il paziente. Tale tecnica permette potenzialmente di effettuare una valutazione precoce dell’efficacia di trattamenti antitumorali, prima ancora che vengano osservate variazioni morfologiche delle masse tumorali, con evidenti benefici prognostici. I principali problemi aperti in questo campo riguardano la standardizzazione dei protocolli di acquisizione e di elaborazione delle sequenze perfusionali, al fine di una validazione accurata e consistente degli indicatori funzionali nella pratica clinica. Differenti modelli matematici sono proposti in letteratura al fine di determinare parametri di interesse funzionale a partire dall’analisi del profilo dinamico del mezzo di contrasto in differenti tessuti. Questa tesi si propone di studiare, attraverso l’analisi e l’elaborazione di sequenze di immagini derivanti da TC assiale perfusionale, due importanti modelli matematici di stima della perfusione. In particolare, vengono presentati ed analizzati il modello del massimo gradiente ed il modello deconvoluzionale, evidenziandone tramite opportune simulazioni le particolarità e le criticità con riferimento agli artefatti più importanti che influenzano il protocollo perfusionale. Inoltre, i risultati ottenuti dall’analisi di casi reali riguardanti esami perfusionali epatici e polmonari sono discussi al fine di valutare la consistenza delle misure quantitative ottenute tramite i due metodi con le considerazioni di natura clinica proposte dal radiologo.

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Il presente lavoro di tesi è frutto di una collaborazione fra il Dipartimento di Chimica Fisica ed Inorganica (gruppo del Prof. Valerio Zanotti – Mattia Vaccari, Dr. Rita Mazzoni) ed il Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali (gruppo del Prof. Angelo Vaccari – Dr. Thomas Pasini, Dr. Stefania Albonetti, Prof. Fabrizio Cavani) e si inserisce il un progetto volto a valutare l’attività e la selettività del catalizzatore di idrogenazione di Shvo 1, verso l’idrogenazione selettiva del doppio legame polare del 5-idrossimetilfurfurale (HMF) in fase omogenea. L’HMF è un composto di natura organica facilmente ottenibile dalle biomasse, il quale può essere impiegato come building block per ottenere prodotti ad alto valore aggiunto per la chimica fine o additivi per biocarburanti aventi un elevato potere calorifico. In particolare la nostra attenzione si è rivolta alla produzione del 2,5-diidrossimetilfurano (BHMF), un importante building block per la produzione di polimeri e schiume poliuretaniche. Il lavoro di tesi da me svolto ha riguardato la messa a punto di una nuova metodologia sintetica per la preparazione del catalizzatore di Shvo e lo studio della sua attività catalitica nella riduzione di HMF a BHMF. Il comportamento del catalizzatore è stato monitorato studiando la resa in BHMF in funzione di tutti i parametri di reazione: temperatura, pressione di H2, solvente, rapporto molare substrato/catalizzatore, concentrazione, tempo. Successivamente è stata valutata la possibilità di riciclare il catalizzatore recuperando il prodotto di estrazione con acqua, per precipitazione o eseguendo la reazione in miscela bifasica (toluene/H2O). The present work is a collaboration between the Department of Physics and Inorganic Chemistry (group of Prof. Valerio Zanotti - Mattia Vaccari, Dr. Rita Mazzoni) and the Department of Industrial Chemistry and Materials (Group of Prof. Angelo Vaccari - Dr. Thomas Pasini, Dr. Stefania Albonetti, Prof. Fabrizio Cavani), and it’s a project devoted to evaluate the activity and selectivity of the Shvo catalyst, in the selective hydrogenation of polar double bond of 5 -hydroxymethylfurfural (HMF) in homogeneous phase. The HMF is an organic compound easily obtained from biomass, which can be used as a building block for fine chemicals abd polymer production or additives for biofuels with a high calorific value. In particular, our attention turned to the production of 2.5-bishydroxymethylfuran (BHMF), an important building block for the production of polymers and polyurethane foams. This thesis has involved the development of a new synthetic methodology for the preparation of Shvo’s catalyst and the study of its catalytic activity in the reduction of HMF to BHMF. The behavior of the catalyst was monitored by studying the yield in BHMF as a function of all the reaction parameters: temperature, pressure of H2, solvent, substrate to catalyst molar ratio, concentration, time. Subsequently it was evaluated the possibility of recycling the catalyst recovering the product of extraction with water, by precipitation or performing the reaction in biphasic mixture (toluene/H2O).

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Uno dei principali ambiti di ricerca dell’intelligenza artificiale concerne la realizzazione di agenti (in particolare, robot) in grado di aiutare o sostituire l’uomo nell’esecuzione di determinate attività. A tal fine, è possibile procedere seguendo due diversi metodi di progettazione: la progettazione manuale e la progettazione automatica. Quest’ultima può essere preferita alla prima nei contesti in cui occorra tenere in considerazione requisiti quali flessibilità e adattamento, spesso essenziali per lo svolgimento di compiti non banali in contesti reali. La progettazione automatica prende in considerazione un modello col quale rappresentare il comportamento dell’agente e una tecnica di ricerca (oppure di apprendimento) che iterativamente modifica il modello al fine di renderlo il più adatto possibile al compito in esame. In questo lavoro, il modello utilizzato per la rappresentazione del comportamento del robot è una rete booleana (Boolean network o Kauffman network). La scelta di tale modello deriva dal fatto che possiede una semplice struttura che rende agevolmente studiabili le dinamiche tuttavia complesse che si manifestano al suo interno. Inoltre, la letteratura recente mostra che i modelli a rete, quali ad esempio le reti neuronali artificiali, si sono dimostrati efficaci nella programmazione di robot. La metodologia per l’evoluzione di tale modello riguarda l’uso di tecniche di ricerca meta-euristiche in grado di trovare buone soluzioni in tempi contenuti, nonostante i grandi spazi di ricerca. Lavori precedenti hanno gia dimostrato l’applicabilità e investigato la metodologia su un singolo robot. Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire prova di principio relativa a un insieme di robot, aprendo nuove strade per la progettazione in swarm robotics. In questo scenario, semplici agenti autonomi, interagendo fra loro, portano all’emergere di un comportamento coordinato adempiendo a task impossibili per la singola unità. Questo lavoro fornisce utili ed interessanti opportunità anche per lo studio delle interazioni fra reti booleane. Infatti, ogni robot è controllato da una rete booleana che determina l’output in funzione della propria configurazione interna ma anche dagli input ricevuti dai robot vicini. In questo lavoro definiamo un task in cui lo swarm deve discriminare due diversi pattern sul pavimento dell’arena utilizzando solo informazioni scambiate localmente. Dopo una prima serie di esperimenti preliminari che hanno permesso di identificare i parametri e il migliore algoritmo di ricerca, abbiamo semplificato l’istanza del problema per meglio investigare i criteri che possono influire sulle prestazioni. E’ stata così identificata una particolare combinazione di informazione che, scambiata localmente fra robot, porta al miglioramento delle prestazioni. L’ipotesi è stata confermata applicando successivamente questo risultato ad un’istanza più difficile del problema. Il lavoro si conclude suggerendo nuovi strumenti per lo studio dei fenomeni emergenti in contesti in cui le reti booleane interagiscono fra loro.

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Descrizione dell'applicazione di tecniche di progettazione robusta, robust design, ad un motore Stirling per generazione di corrente elettrica. La progettazione robusta è una tecnica che permette lo sviluppo di prodotti cercando di minimizzare gli effetti negativi dovuti a variazioni inaspettate nei parametri di progetto, interessante, quindi, perchè in ambito industriale accade spesso che i valori nominali dei parametri per cui si progetta un dispositivo od una macchina siano diversi da quelli che si presentano nel suo reale funzionamento.

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L’imballaggio alimentare si può definire come un sistema coordinato per disporre i beni per il trasporto, la distribuzione, la conservazione, la vendita e l’utilizzo. Uno dei materiali maggiormente impiegati, nell’industria alimentare, per la produzione di imballaggi sono le materie plastiche. Esse sono sostanze organiche derivanti da petrolio greggio, sono composti solidi allo stato finito, ma possono essere modellate allo stato fluido. Un imballaggio alimentare deve svolgere determinate funzioni tra cui: - contenimento del prodotto - protezione del prodotto da agenti esterni - logistica - comunicativa - funzionale - ecologica L'ultimo punto sopracitato è il principale problema delle materie plastiche derivanti dal petrolio greggio. Questi materiali sono difficilmente riciclabili perché spesso un imballaggio è composto da più materiali stratificati o perché si trova a diretto contatto con gli alimenti. Inoltre questi materiali hanno un lungo tempo di degradazione (da 100 a 1000 anni) che ne rendono difficile e costoso lo smaltimento. Per questo nell’ultimo decennio è cominciata la ricerca di un materiale plastico, flessibile alle esigenze industriali e nel contempo biodegradabile. Una prima idea è stata quella di “imitare la natura” cercando di replicare macromolecole già esistenti (derivate da amido e zuccheri) per ottenere una sostanza plastico-simile utilizzabile per gli stessi scopi, ma biodegradabile in circa sei mesi. Queste bioplastiche non hanno preso piede per l’alto costo di produzione e perché risulta impossibile riconvertire impianti di produzione in tutto il mondo in tempi brevi. Una seconda corrente di pensiero ha indirizzato i propri sforzi verso l’utilizzo di speciali additivi aggiunti in minima misura (1%) ai classici materiali plastici e che ne permettono la biodegradazione in un tempo inferiore ai tre anni. Un esempio di questo tipo di additivi è l’ECM Masterbatch Pellets che è un copolimero di EVA (etilene vinil acetato) che aggiunto alle plastiche tradizionali rende il prodotto finale completamente biodegradabile pur mantenendo le proprie caratteristiche. Scopo di questo lavoro di tesi è stato determinare le modificazioni di alcuni parametri qualitativi di nettarine di Romagna(cv.-Alexa®) confezionate-con-film-plastici-tradizionali-e-innovativi. I campioni di nettarine sono stati confezionati in cestini in plastica da 1 kg (sigillati con un film flow-pack macroforato) di tipo tradizionale in polipropilene (campione denominato TRA) o vaschette in polipropilene additivato (campione denominato BIO) e conservati a 4°C e UR 90-95% per 7 giorni per simulare un trasporto refrigerato successivamente i campioni sono stati posti in una camera a 20°C e U.R. 50% per 4 giorni al fine di simulare una conservazione al punto vendita. Al tempo 0 e dopo 4, 7, 9 e 11 giorni sono state effettuate le seguenti analisi: - coefficiente di respirazione è stato misurata la quantità di CO2 prodotta - indice di maturazione espresso come rapporto tra contenuto in solidi solubili e l’acidità titolabile - analisi di immagine computerizzata - consistenza della polpa del frutto è stata misurata attraverso un dinamometro Texture Analyser - contenuto in solidi totali ottenuto mediante gravimetria essiccando i campioni in stufa sottovuoto - caratteristiche sensoriali (Test Accettabilità) Conclusioni In base ai risultati ottenuti i due campioni non hanno fatto registrare dei punteggi significativamente differenti durante tutta la conservazione, specialmente per quanto riguarda i punteggi sensoriali, quindi si conclude che le vaschette biodegradabili additivate non influenzano la conservazione delle nettarine durante la commercializzazione del prodotto limitatamente ai parametri analizzati. Si ritiene opportuno verificare se il processo di degradazione del polimero additivato si inneschi già durante la commercializzazione della frutta e soprattutto verificare se durante tale processo vengano rilasciati dei gas che possono accelerare la maturazione dei frutti (p.e. etilene), in quanto questo spiegherebbe il maggiore tasso di respirazione e la più elevata velocità di maturazione dei frutti conservati in tali vaschette. Alimentary packaging may be defined as a coordinate system to dispose goods for transport, distribution, storage, sale and use. Among materials most used in the alimentary industry, for the production of packaging there are plastics materials. They are organic substances deriving from crude oil, solid compounds in the ended state, but can be moulded in the fluid state. Alimentary packaging has to develop determinated functions such as: - Product conteniment - Product protection from fieleders agents - logistic - communicative - functional - ecologic This last term is the main problem of plastic materials deriving from crude oil. These materials are hardly recyclable because a packaging is often composed by more stratified materials or because it is in direct contact with aliments. Beside these materials have a long degradation time(from 100 to 1000 years) that make disposal difficult and expensive. For this reason in the last decade the research for a new plastic material is begin, to make industrial demands more flexible and, at the same time, to make this material biodegradable: At first, the idea to “imitate the nature” has been thought, trying to reply macromolecules already existents (derived from amid and sugars) to obtain a similar-plastic substance that can be used for the same purposes, but it has to be biodegradable in about six months. These bioplastics haven’t more success bacause of the high production cost and because reconvert production facilities of all over the wolrd results impossible in short times. At second, the idea to use specials addictives has been thought. These addictives has been added in minim measure (1%) to classics plastics materials and that allow the biodegradation in a period of time under three years. An example of this kind of addictives is ECM Masterbatch Pellets which is a coplymer of EVA (Ethylene vinyl acetate) that, once it is added to tradizional plastics, make final product completely biodegradable however maintaining their own attributes. The objective of this thesis work has been to determinate modifications of some Romagna’s Nectarines’ (cv. Alexa®) qualitatives parameters which have been packaged-with traditional and innovative-plastic film. Nectarines’ samples have been packaged in plastic cages of 1 kg (sealed with a macro-drilled flow-pack film) of traditional type in polypropylene (sample named TRA) or trays in polypropylene with addictives (sample named BIO) and conservated at 4°C and UR 90-95% for 7 days to simulate a refrigerated transport. After that, samples have been put in a camera at 20°C and U.R. 50% for 4 days to simulate the conservation in the market point. At the time 0 and after 4, 7, 9 and 11 days have been done the following analaysis: - Respiration coefficient wherewith the amount CO2 producted has been misurated - Maturation index which is expressed as the ratio between solid soluble content and the titratable acidity - Analysis of computing images - Consistence of pulp of the fruit that has been measured through Texture Analyser Dynanometer - Content in total solids gotten throught gravimetry by the drying of samples in vacuum incubator - Sensorial characteristic (Panel Test) Consequences From the gotten results, the two samples have registrated no significative different scores during all the conservation, expecially about the sensorial scores, so it’s possible to conclude that addictived biodegradable trays don’t influence the Nectarines’ conservation during the commercialization of the product qualifiedly to analized parameters. It’s advised to verify if the degradation process of the addicted polymer may begin already during the commercialization of the fruit and in particular to verify if during this process some gases could be released which can accelerate the maturation of fruits (p.e. etylene), because all this will explain the great respiration rate and the high speed of the maturation of fruits conservated in these trays.

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Negli ultimi anni la ricerca nella cura dei tumori si è interessata allo sviluppo di farmaci che contrastano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) per l’apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti tumorali, necessari per l’accrescimento e la sopravvivenza del tumore. Per valutare l’efficacia di questi farmaci antiangiogenesi esistono tecniche invasive: viene prelevato tramite biopsia un campione di tessuto tumorale, e tramite analisi microscopica si quantifica la densità microvascolare (numero di vasi per mm^2) del campione. Stanno però prendendo piede tecniche di imaging in grado di valutare l’effetto di tali terapie in maniera meno invasiva. Grazie allo sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni, la tomografia computerizzata è tra le tecniche di imaging più utilizzate per questo scopo, essendo in grado di offrire un’alta risoluzione sia spaziale che temporale. Viene utilizzata la tomografia computerizzata per quantificare la perfusione di un mezzo di contrasto all’interno delle lesioni tumorali, acquisendo scansioni ripetute con breve intervallo di tempo sul volume della lesione, a seguito dell’iniezione del mezzo di contrasto. Dalle immagini ottenute vengono calcolati i parametri perfusionali tramite l’utilizzo di differenti modelli matematici proposti in letteratura, implementati in software commerciali o sviluppati da gruppi di ricerca. Al momento manca un standard per il protocollo di acquisizione e per l’elaborazione delle immagini. Ciò ha portato ad una scarsa riproducibilità dei risultati intra ed interpaziente. Manca inoltre in letteratura uno studio sull’affidabilità dei parametri perfusionali calcolati. Il Computer Vision Group dell’Università di Bologna ha sviluppato un’interfaccia grafica che, oltre al calcolo dei parametri perfusionali, permette anche di ottenere degli indici sulla qualità dei parametri stessi. Questa tesi, tramite l’analisi delle curve tempo concentrazione, si propone di studiare tali indici, di valutare come differenti valori di questi indicatori si riflettano in particolari pattern delle curve tempo concentrazione, in modo da identificare la presenza o meno di artefatti nelle immagini tomografiche che portano ad un’errata stima dei parametri perfusionali. Inoltre, tramite l’analisi delle mappe colorimetriche dei diversi indici di errore si vogliono identificare le regioni delle lesioni dove il calcolo della perfusione risulta più o meno accurato. Successivamente si passa all’analisi delle elaborazioni effettuate con tale interfaccia su diversi studi perfusionali, tra cui uno studio di follow-up, e al confronto con le informazioni che si ottengono dalla PET in modo da mettere in luce l’utilità che ha in ambito clinico l’analisi perfusionale. L’intero lavoro è stato svolto su esami di tomografia computerizzata perfusionale di tumori ai polmoni, eseguiti presso l’Unità Operativa di Diagnostica per Immagini dell’IRST (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori) di Meldola (FC). Grazie alla collaborazione in atto tra il Computer Vision Group e l’IRST, è stato possibile sottoporre i risultati ottenuti al primario dell’U. O. di Diagnostica per Immagini, in modo da poterli confrontare con le considerazioni di natura clinica.

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Questa relazione finale è stata frutto di un lavoro sperimentale svolto in collaborazione con un’azienda del territorio ed ha avuto come obiettivo principale quello di verificare i parametri qualitativi e compositivi di una nuova tipologia di salume in fase di studio. L’azienda sta studiando una nuova tipologia di “prodotto funzionale” addizionando componenti ad attività nutraceutica al salame ottenuto da sole parti magre di suino. L’intenzione dell’azienda è di arricchire il proprio prodotto con acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 (da olio di semi di lino), noti per gli effetti benefici che possono esercitare sulla salute umana. A questo scopo, sul prodotto di nuova formulazione (ed in parallelo sul prodotto a formulazione classica e su un prodotto del tutto simile commercializzato da un’altra azienda) sono state effettuate sia la determinazione della percentuale lipidica, al fine di individuare il quantitativo totale di grasso, che una caratterizzazione gascromatografica del profilo quali-quantitativo in acidi grassi, analsi fondamentale per verificare la conformità con i requisiti indicati dal Reg. 1924/06, e successive modifiche, previsti per le indicazioni da inserire in etichetta (claims). Inoltre, è stato importante controllare che la concentrazione voluta di acido alfa-linolenico si mantenga tale durante tutto il periodo di shelf-life del prodotto (45 gg), perciò per soddisfare quest’ultima finalità, le analisi sono state eseguite sia all’inizio (T0) che alla fine (T1) della vita commerciale del prodotto. E’ apparso poi fondamentale monitorare un possibile decadimento/modifica della qualità organolettica del prodotto di nuova formulazione, a causa del possibile aumento di ossidabilità della frazione lipidica causata da una maggiore presenza di acidi grassi polinsaturi; ed infine, con l’intento di verificare se la nuova formulazione potesse comportare una variazione significativa delle caratteristiche sensoriali del prodotto, sono stati condotti un test descrittivo quantitativo (QDA), in grado di descrivere il profilo sensoriale del prodotto ed un test discriminante qualitativo (metodo triangolare) capace di valutare l’eventuale comparsa di cambiamenti in seguito alle modifiche apportate al prodotto; per ultimo è stato poi eseguito un test affettivo quantitativo (test di preferenza, condotto su scala di laboratorio) in grado fornire informazioni sul gradimento e di evidenziare i principali vettori che guidano le scelte dei consumatori. I risultati delle analisi chimiche e sensoriali, eseguite per soddisfare tali richieste, hanno evidenziato come il salume presenti un quantitativo di tali acidi grassi polinsaturi in linea con il claim “Alimento fonte di acidi grassi omega-3”, (requisiti indicati dal Reg. 1924/06 e successive modifiche), risultato confermato sia all’inizio che al termine della vita commerciale del prodotto (pari a circa 45 giorni). Inoltre, esso risulta essere piuttosto interessante dal punto di vista nutrizionale, poiché caratterizzato da un contenuto di grasso per la categoria dei salumi, relativamente limitato, pari a circa il 15%, con percentuali più favorevoli in acidi grassi insaturi. L’analisi del profilo sensoriale condotta ad inizio shelf-life ha invece evidenziato come questa tipologia di prodotto sia caratterizzata sia al gusto che all’olfatto da note più sapide e speziate , oltre ad una maggiore consistenza della fetta, rispetto agli altri campioni analizzati, mentre i risultati relativi al termine della shelf-life hanno evidenziato come esso tenda ad essere soggetto ad alterazioni sensoriali rilevabili proprio al termine della fase di conservazione dovute nello specifico alla formazione di composti responsabili dell’odore di rancido. I test discriminanti, condotti con giudici non allenati, non hanno invece fatto registrare differenze sensoriali significative tra il prodotto con formulazione classica e quello di nuova formulazione, confrontati ad inizio e a fine shelf-life. Riassumendo, dai risultati ottenuti da questo lavoro sperimentale, il prodotto di nuova formulazione, arricchito in acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, risulta essere in linea con il claim “Alimento fonte di acidi grassi omega-3”, presenta in generale un contenuto di grasso totale inferiore a quello di altre tipologie di salumi ed un rapporto più favorevole tra acidi grassi insaturi e saturi, per questo può essere considerato un prodotto interessante dal punto di vista della salute e della nutrizione. Proprio per la sua formulazione più ricca in acidi grassi polinsaturi, tende però a fine shelf-life a presentare una leggera nota di rancido, riconducibile ad una maggiore ossidabilità della frazione lipidica. Tale variazione sensoriale è risultata comunque percepita solo da un panel allenato, mentre un test di tipo discriminante, condotto con giudici non allenati, non ha messo in luce differenze significative tra il salume di nuova formulazione e quello con formulazione classica né all’inizio, né al termine della vita commerciale del prodotto.

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In questa tesi di laurea si affronta l’analisi di diversi modelli per il calcolo della capacità di un’intersezione a rotatoria: alcuni di questi sono di tipo empirico, altri invece sono di tipo teorico (teoria del gap acceptance). Innanzitutto si descrivono le caratteristiche di tutti i modelli studiati e si esaminano i risultati ottenuti nel calcolo della capacità al variare del flusso circolante, effettuato su un campione di venti rotatorie. In particolare si cerca di confrontare tra loro i vari modelli e di interpretare il significato dei parametri che compaiono nelle diverse formule. Successivamente si amplia l’analisi, utilizzando i dati raccolti come punto di partenza per una serie di altre elaborazioni ed interpolazioni. Alla base di questa seconda parte dello studio c’è l’idea di provare a vedere se sia possibile ricavare un nuovo modello, derivante da quelli studiati, che possa riassumerli in maniera semplice e aiutare a chiarire quali sono i parametri più importanti dai quali dipende il valore di capacità di una rotatoria. Questo nuovo modello dovrebbe eventualmente servire più che altro per interpretare i modelli studiati e per capire se uno di questi si comporti meglio degli altri in situazioni particolari oppure se sia più adatto in determinate condizioni di traffico piuttosto che in altre. Uno degli obiettivi principali di questo studio è infatti quello di provare a capire se la capacità di una rotatoria è influenzata maggiormente da aspetti geometrici, legati quindi alla forma e alle dimensioni della rotatoria stessa, oppure se un ruolo predominante è svolto da fattori comportamentali, legati quindi all’interazione tra i veicoli e ai processi di scelta degli utenti, che devono decidere se immettersi o meno nella rotatoria.

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Le leghe di alluminio da fonderia rivestono un ruolo fondamentale in ambito industriale e in particolare il settore dei trasporti ha notevolmente incrementato il loro impiego per la realizzazione di componenti strutturali. Al fine di aumentare ulteriormente la resistenza specifica, tali leghe possono essere impiegate come matrici per lo sviluppo di compositi (Metal Matrix Composites, MMCs), le cui fasi di rinforzo possono avere diversa composizione, forma e dimensione. In particolare, nel caso di rinforzo particellare, più le particelle sono piccole e finemente disperse nella matrice, più elevato può essere l’incremento delle prestazioni meccaniche. In quest’ottica, la ricerca ha portato allo sviluppo dapprima di compositi caratterizzati da un rinforzo micrometrico e, in anni recenti, si sta concentrando sul rinforzo nanometrico (Metal Matrix Nano Composites, MMNCs). I nano-compositi possono essere ottenuti attraverso metodologie differenti: tecniche in situ, in cui il rinforzo viene generato all’interno della matrice attraverso opportune reazioni chimiche, e tecniche ex situ, in cui i dispersoidi vengono inseriti nella matrice fusa, una volta già formati. Sebbene l’incremento prestazionale ottenibile da tali materiali sia stato dimostrato, è necessario far fronte ad alcune problematiche connesse a ciascuna tecnologia produttiva quali, ad esempio, il controllo dei parametri di processo, per quanto riguarda le tecniche in situ, e l’ottenimento di una efficace dispersione delle nano-particelle all’interno della matrice, nel caso delle metodologie ex-situ. Lo scopo della presente attività di tesi è lo studio di fattibilità, basato anche su un’ampia indagine bibliografica, e l’implementazione di metodologie produttive, su scala di laboratorio, volte allo sviluppo di MMNCs a matrice in lega di alluminio (A356, Al-Si-Mg). L’interesse è stato posto in primo luogo sul processo in situ di gas bubbling, mirato all’ottenimento di rinforzo d’allumina, indotto dalla reazione tra matrice metallica e gas ossidante (in questo caso aria secca industriale). In secondo luogo, dal punto di vista delle tecniche ex situ, è stato approfondito l’aspetto della dispersione delle particelle di rinforzo nel fuso, prestando particolare attenzione alla tecnica di trattamento ultrasonico del metallo.

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Il patrimonio edilizio italiano è costituito in gran parte da costruzioni che utilizzano la muratura come struttura portante. Le conoscenze acquisite negli ultimi anni nel campo dell’ingegneria hanno reso evidente come le costruzioni in muratura siano state concepite, nel corso dei secoli, senza quegli accorgimenti che l’evoluzione delle tecniche moderne di analisi ha dimostrato essere necessari. Progettare un intervento edilizio su un edificio esistente, correlato anche alla valutazione di rischio sismico, e cercare di migliorare le prestazioni dello stesso edificio, richiede partire sempre dalla conoscenza delle caratteristiche statiche intrinseche che il materiale della muratura possiede. La conoscenza della patologia comporta l'indubbio vantaggio di mettere al corrente di cosa ci si può attendere nel futuro dal punto di vista strutturale, come ad esempio che il fenomeno non sarà eliminabile all'origine e che la fessura o lesione magari si riformerà sempre, a meno d’interventi statici rilevanti e di costi ingenti. Diventa quindi di fondamentale importanza eseguire uno studio approfondito dei fenomeni strutturali anomali di deterioramento, quali lesioni, fessurazioni e simili, legati spesso a fattori ambientali, attraverso specifiche indagini diagnostiche e di monitoraggio dello stato interno delle strutture, per definire le cause responsabili e il metodo più adeguato alla tutela dei beni storici [Mastrodicasa, 1993]. Il monitoraggio dei possibili parametri che influenzano tali processi può essere continuo nel tempo o per mezzo di metodologia discontinua che prevede l’utilizzo e la ripetizione di prove non distruttive. L’elevato costo di un eventuale processo continuo ha limitato significativamente la sua applicazione, riducendo lo studio all’analisi di pochi parametri derivanti dalle prove diagnostiche e spesso non del tutto adatti alla completa analisi della struttura. Il seguente lavoro di tesi è sviluppato all’interno del progetto SmooHS (Smart Monitoring of Historic Structures) nell’ambito del 7° Programma Quadro della Commissione Europea che si pone come obiettivo lo sviluppo di strumenti di monitoraggio innovativi ‘intelligenti’ e poco invasivi e modelli di degrado e la loro sperimentazione sul campo per verificarne l’effettiva efficacia attraverso il confronto con risultati di prove non distruttive. La normativa correlata a questo studio, “Norme Tecniche per le Costruzioni’ (D.M. 14/01/2008), evidenzia come ‘La conoscenza della costruzione storica in muratura è un presupposto fondamentale sia ai fini di un’attendibile valutazione della sicurezza sismica attuale sia per la scelta di un efficace intervento di miglioramento…. Si ha pertanto la necessità di affinare tecniche di analisi e interpretazione dei manufatti storici mediante fasi conoscitive dal diverso grado di attendibilità, anche in relazione al loro impatto. La conoscenza può, infatti, essere conseguita con diversi livelli di approfondimento, in funzione dell’accuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche storiche, e delle indagini sperimentali. Tali operazioni saranno funzione degli obiettivi preposti e andranno a interessare tutto o in parte l’edificio, secondo la tipologia dell’intervento previsto’. L’utilizzo di ‘Tecniche diagnostiche non distruttive di tipo indiretto, quali prove soniche e ultrasoniche’ è preferibile poiché molto promettenti e hanno il pregio di poter essere utilizzate in modo diffuso con un relativo impatto sulla costruzione e costi relativamente contenuti. La non identificazione di una procedura univoca di prove non distruttive per ciascuna tipologia edilizia rende necessario uno studio di fattibilità di diverse tecniche per valutarne l’effettiva efficacia in base al risultato atteso. L’obiettivo di questo lavoro di tesi è stato lo studio sperimentale di valutazione dell’efficacia di alcune tecniche soniche in trasmissione, tomografia e prove soniche dirette, nel monitoraggio di provini precedentemente realizzati ad hoc nei laboratori LISG (Laboratorio di Ingegneria Strutturale e Geotecnica) del DICAM dell’Università di Bologna caratterizzati da presenze di discontinuità (vacui o inclusioni di polistirolo) o materiali differenti in determinate posizioni di geometria e localizzazione nota e diverse tessiture murarie (muratura di laterizio tradizionale, muratura a sacco, inclusioni lapidee). Il capitolo 1 presenta una descrizione generale delle murature, le cause principali di deterioramento e conseguenti dissesti. Presenta inoltre una finestra sulle prove diagnostiche. Nel capitolo 2 sono riportati alcuni esempi di applicazioni di tomografia e prove soniche e sviluppi di ricerca su strutture storiche lignee e murarie eseguite recentemente. Nel capitolo 3 sono presentati i provini oggetto di studio, la loro geometria, i difetti, le sezioni. Il capitolo 4 descrive i principi fisici delle prove soniche e grandezze caratteristiche e presenta la procedura di acquisizione e relative strumentazioni. I capitoli 5 e 6 riguardano lo studio sperimentale vero e proprio ottenuto attraverso l’utilizzo di tomografia sonica e prove dirette, con descrizione delle stazioni di prova, visualizzazione dei dati in tabelle per una semplice interpretazione, loro elaborazione e susseguente analisi approfondita, con valutazione dei risultati ottenuti e debite conclusioni. Il capitolo 7 presenta un confronto delle analisi comuni a entrambe le tipologie di prove soniche, visualizzazioni di istogrammi di paragone e considerazioni deducibili.

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Le più moderne e diffuse applicazioni wireless attuali sono dedicate a sistemi distribuiti in grandi quantità ed il più possibile miniaturizzati. In questa tesi si discute di tecniche di miniaturizzazione delle antenne di questi sistemi. Tradizionalmente tali tecniche si sono basate su substrati ad elevata costante dielettrica che hanno però, come contropartita, un deterioramento delle prestazioni radianti. Un'alternativa molto promettente è offerta da substrati magneto-dielettrici che, pur garantendo analoghe riduzioni degli ingombri, possono offrire migliori opportunità per il comportamento radiante e per l'adattamento dell'antenna al resto del sistema. In questa tesi, partendo dallo stato dell'arte della letteratura scientifica, si è sviluppato un modello che consente di valutare a priori i vantaggi/svantaggi di diverse topologie d'antenne basate su substrati magneto-dielettrici. Il metodo si basa sul teorema di equivalenza. Infine la tesi affronta il problema di sviluppare un metodo per la caratterizzazione dei parametri costitutivi di tali materiali.

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L’ossidazione catalitica parziale (CPO) del metano è un processo di elevato interesse scientifico ed industriale, permettendo la produzione su piccola scala di H2 o la produzione di syngas con un rapporto H2/CO = 2, utile per la produzione di metanolo o la sintesi di Fischer-Tropsch di idrocarburi. Inoltre, si possono raggiungere elevate conversioni del metano e selettività in syngas operando a bassi valori del tempo di contatto, riducendo così le dimensioni dei reattori. Tuttavia, gli elevati flussi e le temperature raggiunte nel letto possono condurre rapidamente alla disattivazione del catalizzatore; pertanto, è necessario lo sviluppo di materiali non soltanto attivi, ma anche stabili nelle condizioni di reazione. Lo scopo di questo lavoro è stato lo sviluppo di catalizzatori a base di Rh e ceria, utilizzati sia come pellets che supportati su una schiuma metallica. In particolare, il lavoro è stato focalizzato sulla sintesi, caratterizzazione ed attività catalitica di materiali Rh-CeO2-Al2O3. La presenza di CeO2 può modificare la dispersione del Rh metallico e la sua stabilità nei confronti della sinterizzazione e della formazione del carbone, mentre la stabilità termica è favorita dalla presenza di Al2O3. Poiché queste proprietà e, di conseguenza, le prestazione catalitiche dipendono dalla dimensioni delle particelle di CeO2 sono stati preparati catalizzatori con diverso contenuto di CeO2 (10 e 20 p/p %) ed utilizzando differenti metodi di preparazione per modularne le proprietà. Le sintesi sono effettuate per coprecipitazione e per sintesi con urea per trattamento micronde-idrotermale. Le prestazione dei catalizzatori in pellets sono state analizzate in un impianto di laboratorio operando a bassi valori del tempo di contatto e modificando la temperatura e la concentrazione della miscela gassosa, i.e. sia in condizioni lontane dall’equilibrio termodinamico che in condizioni prossime a quelle industriali. Un catalizzatore con lo stesso contenuto di Rh ed ottenuto da precursori tipo idrotalcite (HT) è stato utilizzato come riferimento. Per incrementare ulteriormente le prestazioni catalitiche, in particolare il trasferimento del calore lungo il letto catalitico, la migliore composizione individuata delle prove precedenti è stata depositata su pellets di una schiuma metallica (FeCrAlloy). E’ stato utilizzato il metodo dell’elettrosintesi per la deposizione di idrossidi di Rh, Ce e Al, ottenendo dopo calcinazione catalizzatori strutturati. Si è valutato l’effetto dei parametri di sintesi, potenziale applicato e tempo, sulle proprietà catalitiche. Anche in questo caso i risultati sono stati confrontati quelli ottenuti con un catalizzatori di riferimento ottenuti da un precursore HT preparati per elettrosintesi.