449 resultados para apprendimento, automatico, dimostrazione, rinforzo, robotica


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Celebrado el 24 de mayo en el Edificio de Informática y Matemáticas de la ULPGC

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L’obiettivo della tesi riguarda l’utilizzo di immagini aerofotogrammetriche e telerilevate per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa di ecosistemi forestali e della loro evoluzione. Le tematiche affrontate hanno riguardato, da una parte, l’aspetto fotogrammetrico, mediante recupero, digitalizzazione ed elaborazione di immagini aeree storiche di varie epoche, e, dall’altra, l’aspetto legato all’uso del telerilevamento per la classificazione delle coperture al suolo. Nel capitolo 1 viene fatta una breve introduzione sullo sviluppo delle nuove tecnologie di rilievo con un approfondimento delle applicazioni forestali; nel secondo capitolo è affrontata la tematica legata all’acquisizione dei dati telerilevati e fotogrammetrici con una breve descrizione delle caratteristiche e grandezze principali; il terzo capitolo tratta i processi di elaborazione e classificazione delle immagini per l’estrazione delle informazioni significative. Nei tre capitoli seguenti vengono mostrati tre casi di applicazioni di fotogrammetria e telerilevamento nello studio di ecosistemi forestali. Il primo caso (capitolo 4) riguarda l’area del gruppo montuoso del Prado- Cusna, sui cui è stata compiuta un’analisi multitemporale dell’evoluzione del limite altitudinale degli alberi nell’arco degli ultimi cinquant’anni. E’ stata affrontata ed analizzata la procedura per il recupero delle prese aeree storiche, definibile mediante una serie di successive operazioni, a partire dalla digitalizzazione dei fotogrammi, continuando con la determinazione di punti di controllo noti a terra per l’orientamento delle immagini, per finire con l’ortorettifica e mosaicatura delle stesse, con l’ausilio di un Modello Digitale del Terreno (DTM). Tutto ciò ha permesso il confronto di tali dati con immagini digitali più recenti al fine di individuare eventuali cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo intercorso. Nel secondo caso (capitolo 5) si è definita per lo studio della zona del gruppo del monte Giovo una procedura di classificazione per l’estrazione delle coperture vegetative e per l’aggiornamento della cartografia esistente – in questo caso la carta della vegetazione. In particolare si è cercato di classificare la vegetazione soprasilvatica, dominata da brughiere a mirtilli e praterie con prevalenza di quelle secondarie a nardo e brachipodio. In alcune aree sono inoltre presenti comunità che colonizzano accumuli detritici stabilizzati e le rupi arenacee. A questo scopo, oltre alle immagini aeree (Volo IT2000) sono state usate anche immagini satellitari ASTER e altri dati ancillari (DTM e derivati), ed è stato applicato un sistema di classificazione delle coperture di tipo objectbased. Si è cercato di definire i migliori parametri per la segmentazione e il numero migliore di sample per la classificazione. Da una parte, è stata fatta una classificazione supervisionata della vegetazione a partire da pochi sample di riferimento, dall’altra si è voluto testare tale metodo per la definizione di una procedura di aggiornamento automatico della cartografia esistente. Nel terzo caso (capitolo 6), sempre nella zona del gruppo del monte Giovo, è stato fatto un confronto fra la timberline estratta mediante segmentazione ad oggetti ed il risultato di rilievi GPS a terra appositamente effettuati. L’obiettivo è la definizione del limite altitudinale del bosco e l’individuazione di gruppi di alberi isolati al di sopra di esso mediante procedure di segmentazione e classificazione object-based di ortofoto aeree in formato digitale e la verifica sul campo in alcune zone campione dei risultati, mediante creazione di profili GPS del limite del bosco e determinazione delle coordinate dei gruppi di alberi isolati. I risultati finali del lavoro hanno messo in luce come le moderne tecniche di analisi di immagini sono ormai mature per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissi nelle tre applicazioni considerate, pur essendo in ogni caso necessaria una attenta validazione dei dati ed un intervento dell’operatore in diversi momenti del processo. In particolare, le operazioni di segmentazione delle immagini per l’estrazione di feature significative hanno dimostrato grandi potenzialità in tutti e tre i casi. Un software ad “oggetti” semplifica l’implementazione dei risultati della classificazione in un ambiente GIS, offrendo la possibilità, ad esempio, di esportare in formato vettoriale gli oggetti classificati. Inoltre dà la possibilità di utilizzare contemporaneamente, in un unico ambiente, più sorgenti di informazione quali foto aeree, immagini satellitari, DTM e derivati. Le procedure automatiche per l’estrazione della timberline e dei gruppi di alberi isolati e per la classificazione delle coperture sono oggetto di un continuo sviluppo al fine di migliorarne le prestazioni; allo stato attuale esse non devono essere considerate una soluzione ottimale autonoma ma uno strumento per impostare e semplificare l’intervento da parte dello specialista in fotointerpretazione.

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introduzione degli argomenti teorici del corso

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L’utilizzo degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) nel campo dell’ingegneria civile riguarda essenzialmente il settore del restauro delle strutture degradate o danneggiate e quello dell’adeguamento statico delle strutture edificate in zona sismica; in questi settori è evidente la difficoltà operativa alla quale si va in contro se si volessero utilizzare tecniche di intervento che sfruttano materiali tradizionali. I motivi per cui è opportuno intervenire con sistemi compositi fibrosi sono: • l’estrema leggerezza del rinforzo, da cui ne deriva un incremento pressoché nullo delle masse sismiche ed allo stesso tempo un considerevole aumento della duttilità strutturale; • messa in opera senza l’ausilio di particolari attrezzature da un numero limitato di operatori, da cui un minore costo della mano d’opera; • posizionamento in tempi brevi e spesso senza interrompere l’esercizio della struttura. Il parametro principale che definisce le caratteristiche di un rinforzo fibroso non è la resistenza a trazione, che risulta essere ben al di sopra dei tassi di lavoro cui sono soggette le fibre, bensì il modulo elastico, di fatti, più tale valore è elevato maggiore sarà il contributo irrigidente che il rinforzo potrà fornire all’elemento strutturale sul quale è applicato. Generalmente per il rinforzo di strutture in c.a. si preferiscono fibre sia con resistenza a trazione medio-alta (>2000 MPa) che con modulo elastico medio-alto (E=170-250 GPa), mentre per il recupero degli edifici in muratura o con struttura in legno si scelgono fibre con modulo di elasticità più basso (E≤80 GPa) tipo quelle aramidiche che meglio si accordano con la rigidezza propria del supporto rinforzato. In questo contesto, ormai ampliamente ben disposto nei confronti dei compositi, si affacciano ora nuove generazioni di rinforzi. A gli ormai “classici” FRP, realizzati con fibre di carbonio o fibre di vetro accoppiate a matrici organiche (resine epossidiche), si affiancano gli FRCM (Fiber Reinforced Cementitious Matrix), i TRM (Textile Reinforced Mortars) e gli SRG (Steel Reinforced Grout) che sfruttano sia le eccezionali proprietà di fibre di nuova concezione come quelle in PBO (Poliparafenilenbenzobisoxazolo), sia un materiale come l’acciaio, che, per quanto comune nel campo dell’edilizia, viene caratterizzato da lavorazioni innovative che ne migliorano le prestazioni meccaniche. Tutte queste nuove tipologie di compositi, nonostante siano state annoverate con nomenclature così differenti, sono però accomunate dell’elemento che ne permette il funzionamento e l’adesione al supporto: la matrice cementizia

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Il progresso nella tecnica di recupero e di rinforzo nelle strutture metalliche con i polimeri fibro-rinforzati FRP (fibre reinforced polymers). 1.1 Introduzione nelle problematiche ricorrenti delle strutture metalliche. Le strutture moderne di una certa importanza, come i grattacieli o i ponti, hanno tempi e costi di costruzione molto elevati ed è allora di importanza fondamentale la loro durabilità, cioè la lunga vita utile e i bassi costi di manutenzione; manutenzione intesa anche come modo di restare a livelli prestazionali predefiniti. La definizione delle prestazioni comprende la capacità portante, la durabilità, la funzionalità e l’aspetto estetico. Se il livello prestazionale diventa troppo basso, diventa allora necessario intervenire per ripristinare le caratteristiche iniziali della struttura. Strutture con una lunga vita utile, come per la maggior parte delle strutture civili ed edilizie, dovranno soddisfare esigenze nuove o modificate: i mezzi di trasporto ad esempio sono diventati più pesanti e più diffusi, la velocità dei veicoli al giorno d'oggi è aumentata e ciò comporta anche maggiori carichi di tipo dinamico.

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Il lavoro sperimentale condotto nell’ambito della presente tesi è stato svolto su un impianto pilota a flusso continuo con schema predenitro/nitro in scala di laboratorio, alimentato con refluo sintetico ed installato presso i laboratori della Sezione ACS PROT IDR - Gestione Risorse Idriche dell’ENEA (sede di Bologna). Le finalità della sperimentazione erano mirate ad una verifica preliminare sull’utilizzo di segnali indiretti, quali pH, ORP, DO, nel monitoraggio in tempo reale dei processi biologici, mirata alla possibilità di implementare un sistema di controllo automatico di un impianto di depurazione, capace di minimizzare i costi di gestione e in grado di garantire, in ogni caso, elevate efficienze depurative. Nel presente studio sono stati esaminati gli aspetti metodologici e tecnologici alla base dell’automazione di un impianto di trattamento di acque reflue, avendo il duplice obiettivo di garantire una buona qualità dell’effluente e un contestuale risparmio energetico. In particolare si è studiato un problema molto diffuso: il controllo della rimozione dell’azoto in un sistema a fanghi attivi con predenitrificazione per l’ossidazione congiunta di carbonio ed azoto, ponendolo in relazione con la variazione dei tempi di commutazione in un processo SBR. L’obiettivo primario della sperimentazione effettuata è stato quello di portare il sistema in un regime di equilibrio stazionario, in modo da poter definire delle condizioni di regime per le quali, ad un ingresso costante e noto, corrispondesse un’uscita altrettanto costante che mantenesse tali condizioni fino a quando non fosse cambiato l’ingresso e/o le condizioni al contorno. A questo scopo si è provveduto, in primo luogo, allo studio di un influente sintetico con cui alimentare l’impianto, di composizione tale da simulare in tutte le sue caratteristiche un refluo civile reale e, successivamente, alla valutazione di una configurazione impiantistica idonea per il raggiungimento dell’equilibrio dei processi. La prima parte della sperimentazione è stata dedicata all’avviamento dell’impianto, effettuando un monitoraggio continuo dell’intero sistema allo scopo di impostare i parametri operativi e in modo da ottenere condizioni stabili per effettuare le successive sperimentazioni.

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La tesi si occupa della teoria delle ranking functions di W. Spohn, dottrina epistemologica il cui fine è dare una veste logica rigorosa ai concetti di causalità, legge di natura, spiegazione scientifica, a partire dalla nozione di credenza. Di tale teoria manca ancora una esposizione organica e unitaria e, soprattutto, formulata in linguaggio immediatamente accessibile. Nel mio lavoro, che si presenta come introduzione ad essa, è anche messa a raffronto con le teorie che maggiormente l’hanno influenzata o rispetto alle quali si pone come avversaria. Il PRIMO CAPITOLO si concentra sulla teoria di P. Gärdenfors, il più diretto predecessore e ispiratore di Spohn. Questo consente al lettore di acquisire familiarità con le nozioni di base della logica epistemica. La conoscenza, nella teoria del filosofo svedese, è concepita come processo di acquisizione ed espulsione di credenze, identificate con proposizioni, da un insieme. I tre maggiori fenomeni epistemici sono l’espansione, la revisione e la contrazione. Nel primo caso si immagazzina una proposizione in precedenza sconosciuta, nel secondo se ne espelle una a causa dell’acquisizione della sua contraddittoria, nel terzo si cancella una proposizione per amore di ipotesi e si investigano le conseguenze di tale cancellazione. Controparte linguistica di quest’ultimo fenomeno è la formulazione di un condizionale controfattuale. L’epistemologo, così come Gärdenfors concepisce il suo compito, è fondamentalmente un logico che deve specificare funzioni: vale a dire, le regole che deve rispettare ciascun passaggio da un insieme epistemico a un successivo per via di espansione, revisione e contrazione. Il SECONDO CAPITOLO tratta infine della teoria di Spohn, cercando di esporla in modo esauriente ma anche molto semplice. Anche in Spohn evidentemente il concetto fondamentale è quello di funzione: si tratta però in questo caso di quella regola di giudizio soggettivo che, a ciascuna credenza, identificata con una proposizione, associa un grado (un rank), espresso da un numero naturale positivo o dallo zero. Un rank è un grado di non-credenza (disbelief). Perché la non-credenza (che comporta un notevole appesantimento concettuale)? Perché le leggi della credenza così concepite presentano quella che Spohn chiama una “pervasiva analogia” rispetto alle leggi della probabilità (Spohn la chiama persino “armonia prestabilita” ed è un campo su cui sta ancora lavorando). Essenziale è il concetto di condizionalizzazione (analogo a quello di probabilità condizionale): a una credenza si associa un rank sulla base di (almeno) un’altra credenza. Grazie a tale concetto Spohn può formalizzare un fenomeno che a Gärdenfors sfugge, ossia la presenza di correlazioni interdoxastiche tra le credenze di un soggetto. Nella logica epistemica del predecessore, infatti, tutto si riduce all’inclusione o meno di una proposizione nell’insieme, non si considerano né gradi di credenza né l’idea che una credenza sia creduta sulla base di un’altra. Il TERZO CAPITOLO passa alla teoria della causalità di Spohn. Anche questa nozione è affrontata in prospettiva epistemica. Non ha senso, secondo Spohn, chiedersi quali siano i tratti “reali” della causalità “nel mondo”, occorre invece studiare che cosa accade quando si crede che tra due fatti o eventi sussista una correlazione causale. Anche quest’ultima è fatta oggetto di una formalizzazione logica rigorosa (e diversificata, infatti Spohn riconosce vari tipi di causa). Una causa “innalza lo status epistemico” dell’effetto: vale a dire, quest’ultimo è creduto con rank maggiore (ossia minore, se ci si concentra sulla non-credenza) se condizionalizzato sulla causa. Nello stesso capitolo espongo la teoria della causalità di Gärdenfors, che però è meno articolata e minata da alcuni errori. Il QUARTO CAPITOLO è tutto dedicato a David Lewis e alla sua teoria controfattuale della causalità, che è il maggiore avversario tanto di Spohn quanto di Gärdenfors. Secondo Lewis la migliore definizione di causa può essere data in termini controfattuali: la causa è un evento tale che, se non fosse accaduto, nemmeno l’effetto sarebbe accaduto. Naturalmente questo lo obbliga a specificare una teoria delle condizioni di verità di tale classe di enunciati che, andando contro i fatti per definizione, non possono essere paragonati alla realtà. Lewis ricorre allora alla dottrina dei mondi possibili e della loro somiglianza comparativa, concludendo che un controfattuale è vero se il mondo possibile in cui il suo antecedente e il suo conseguente sono veri è più simile al mondo attuale del controfattuale in cui il suo antecedente è vero e il conseguente è falso. Il QUINTO CAPITOLO mette a confronto la teoria di Lewis con quelle di Spohn e Gärdenfors. Quest’ultimo riduce i controfattuali a un fenomeno linguistico che segnala il processo epistemico di contrazione, trattato nel primo capitolo, rifiutando così completamente la dottrina dei mondi possibili. Spohn non affronta direttamente i controfattuali (in quanto a suo dire sovraccarichi di sottigliezze linguistiche di cui non vuole occuparsi – ha solo un abbozzo di teoria dei condizionali) ma dimostra che la sua teoria è superiore a quella di Lewis perché riesce a rendere conto, con estrema esattezza, di casi problematici di causalità che sfuggono alla formulazione controfattuale. Si tratta di quei casi in cui sono in gioco, rafforzandosi a vicenda o “concorrendo” allo stesso effetto, più fattori causali (casi noti nella letteratura come preemption, trumping etc.). Spohn riesce a renderne conto proprio perché ha a disposizione i rank numerici, che consentono un’analisi secondo cui a ciascun fattore causale è assegnato un preciso ruolo quantitativamente espresso, mentre la dottrina controfattuale è incapace di operare simili distinzioni (un controfattuale infatti è vero o falso, senza gradazioni). Il SESTO CAPITOLO si concentra sui modelli di spiegazione scientifica di Hempel e Salmon, e sulla nozione di causalità sviluppata da quest’ultimo, mettendo in luce soprattutto il ruolo (problematico) delle leggi di natura e degli enunciati controfattuali (a questo proposito sono prese in considerazione anche le famose critiche di Goodman e Chisholm). Proprio dalla riflessione su questi modelli infatti è scaturita la teoria di Gärdenfors, e tanto la dottrina del filosofo svedese quanto quella di Spohn possono essere viste come finalizzate a rendere conto della spiegazione scientifica confrontandosi con questi modelli meno recenti. Il SETTIMO CAPITOLO si concentra sull’analisi che la logica epistemica fornisce delle leggi di natura, che nel capitolo precedente sono ovviamente emerse come elemento fondamentale della spiegazione scientifica. Secondo Spohn le leggi sono innanzitutto proposizioni generali affermative, che sono credute in modo speciale. In primo luogo sono credute persistentemente, vale a dire, non sono mai messe in dubbio (tanto che se si incappa in una loro contro-istanza si va alla ricerca di una violazione della normalità che la giustifichi). In secondo luogo, guidano e fondano la credenza in altre credenze specifiche, che sono su di esse condizionalizzate (si riprendono, con nuovo rigore logico, le vecchie idee di Wittgenstein e di Ramsey e il concetto di legge come inference ticket). In terzo luogo sono generalizzazioni ricavate induttivamente: sono oggettivazioni di schemi induttivi. Questo capitolo si sofferma anche sulla teoria di legge offerta da Gärdenfors (analoga ma embrionale) e sull’analisi che Spohn fornisce della nozione di clausola ceteris paribus. L’OTTAVO CAPITOLO termina l’analisi cominciata con il sesto, considerando finalmente il modello epistemico della spiegazione scientifica. Si comincia dal modello di Gärdenfors, che si mostra essere minato da alcuni errori o comunque caratterizzato in modo non sufficientemente chiaro (soprattutto perché non fa ricorso, stranamente, al concetto di legge). Segue il modello di Spohn; secondo Spohn le spiegazioni scientifiche sono caratterizzate dal fatto che forniscono (o sono finalizzate a fornire) ragioni stabili, vale a dire, riconducono determinati fenomeni alle loro cause e tali cause sono credute in modo persistente. Con una dimostrazione logica molto dettagliata e di acutezza sorprendente Spohn argomenta che simili ragioni, nel lungo periodo, devono essere incontrate. La sua quindi non è solo una teoria della spiegazione scientifica che elabori un modello epistemico di che cosa succede quando un fenomeno è spiegato, ma anche una teoria dello sviluppo della scienza in generale, che incoraggia a perseguire la ricerca delle cause come necessariamente coronata da successo. Le OSSERVAZIONI CONCLUSIVE fanno il punto sulle teorie esposte e sul loro raffronto. E’ riconosciuta la superiorità della teoria di Spohn, di cui si mostra anche che raccoglie in pieno l’eredità costruttiva di Hume, al quale gli avversari si rifanno costantemente ma in modo frammentario. Si analizzano poi gli elementi delle teorie di Hempel e Salmon che hanno precorso l’impostazione epistemica. La teoria di Spohn non è esente però da alcuni punti ancora problematici. Innanzitutto, il ruolo della verità; in un primo tempo Spohn sembra rinunciare, come fa esplicitamente il suo predecessore, a trattare la verità, salvo poi invocarla quando si pone il grave problema dell’oggettivazione delle ranking functions (il problema si presenta poiché di esse inizialmente si dice che sono regole soggettive di giudizio e poi si identificano in parte con le leggi di natura). C’è poi la dottrina dei gradi di credenza che Spohn dice presentarsi “unitamente alle proposizioni” e che costituisce un inutile distacco dal realismo psicologico (critica consueta alla teoria): basterebbe osservare che i gradi di credenza sono ricavati o per condizionalizzazione automatica sulla base del tipo di fonte da cui una proposizione proviene, o per paragone immaginario con altre fonti (la maggiore o minore credenza infatti è un concetto relazionale: si crede di più o di meno “sulla base di…” o “rispetto a…”). Anche la trattazione delle leggi di natura è problematica; Spohn sostiene che sono ranking functions: a mio avviso invece esse concorrono a regole di giudizio, che prescrivono di impiegare le leggi stesse per valutare proposizioni o aspettative. Una legge di natura è un ingranaggio, per così dire, di una valutazione di certezza ma non si identifica totalmente con una legge di giudizio. I tre criteri che Spohn individua per distinguere le leggi poi non sono rispettati da tutte e sole le leggi stesse: la generalizzazione induttiva può anche dare adito a pregiudizi, e non di tutte le leggi si sono viste, individualmente, istanze ripetute tanto da giustificarle induttivamente. Infine, un episodio reale di storia della scienza come la scoperta della sintesi dell’urea da parte di F. Wöhler (1828 – ottenendo carbammide, organico, da due sostanze inorganiche, dimostra che non è vera la legge di natura fini a quel momento presunta tale secondo cui “sostanze organiche non possono essere ricavate da sostanze inorganiche”) è indice che le leggi di natura non sono sempre credute in modo persistente, cosicché per comprendere il momento della scoperta è pur sempre necessario rifarsi a una teoria di tipo popperiano, rispetto alla quale Spohn presenta invece la propria in assoluta antitesi.

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La tesi è uno studio di diversi metodi di rinforzo delle pavimentazioni stradali, diversi per materiali utilizzati e progettazione dell’intervento. Partendo da una ricca Case History fino a giungere al caso specifico dei lavori di rafforzamento e ripristino della sovrastruttura stradale della S.S. n° 67 “Tosco- Romagnola”.

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In questa tesi si effettua lo studio di un azionamento elettrico con motore asincrono eptafase. In particolare si realizza un sistema automatico per il controllo della coppia mediante stimatori con encoder. Si ha così la possibilità di effettuare un controllo accurato della macchina asincrona eptafase anche a bassa velocità, cosa che risulterebbe più complessa se eseguita mediante controlli di tipo sensorless. Inoltre, grazie ad opportune strategie di controllo, è possibile assicurare un funzionamento accettabile degli azionamenti con motori multifase durante una condizione di guasto con una fase aperta, senza alcuna necessità di hardware aggiuntivo.

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La ricerca oggetto di questa tesi, come si evince dal titolo stesso, è volta alla riduzione dei consumi per vetture a forte carattere sportivo ed elevate prestazioni specifiche. In particolare, tutte le attività descritte fanno riferimento ad un ben definito modello di vettura, ovvero la Maserati Quattroporte. Lo scenario all’interno del quale questo lavoro si inquadra, è quello di una forte spinta alla riduzione dei cosiddetti gas serra, ossia dell’anidride carbonica, in linea con quelle che sono le disposizioni dettate dal protocollo di Kyoto. La necessità di ridurre l’immissione in atmosfera di CO2 sta condizionando tutti i settori della società: dal riscaldamento degli edifici privati a quello degli stabilimenti industriali, dalla generazione di energia ai processi produttivi in senso lato. Nell’ambito di questo panorama, chiaramente, sono chiamati ad uno sforzo considerevole i costruttori di automobili, alle quali è imputata una percentuale considerevole dell’anidride carbonica prodotta ogni giorno e riversata nell’atmosfera. Al delicato problema inquinamento ne va aggiunto uno forse ancor più contingente e diretto, legato a ragioni di carattere economico. I combustibili fossili, come tutti sanno, sono una fonte di energia non rinnovabile, la cui disponibilità è legata a giacimenti situati in opportune zone del pianeta e non inesauribili. Per di più, la situazione socio politica che il medio oriente sta affrontando, unita alla crescente domanda da parte di quei paesi in cui il processo di industrializzazione è partito da poco a ritmi vertiginosi, hanno letteralmente fatto lievitare il prezzo del petrolio. A causa di ciò, avere una vettura efficiente in senso lato e, quindi, a ridotti consumi, è a tutti gli effetti un contenuto di prodotto apprezzato dal punto di vista del marketing, anche per i segmenti vettura più alti. Nell’ambito di questa ricerca il problema dei consumi è stato affrontato come una conseguenza del comportamento globale della vettura in termini di efficienza, valutando il miglior compromesso fra le diverse aree funzionali costituenti il veicolo. Una parte consistente del lavoro è stata dedicata alla messa a punto di un modello di calcolo, attraverso il quale eseguire una serie di analisi di sensibilità sull’influenza dei diversi parametri vettura sul consumo complessivo di carburante. Sulla base di tali indicazioni, è stata proposta una modifica dei rapporti del cambio elettro-attuato con lo scopo di ottimizzare il compromesso tra consumi e prestazioni, senza inficiare considerevolmente queste ultime. La soluzione proposta è stata effettivamente realizzata e provata su vettura, dando la possibilità di verificare i risultati ed operare un’approfondita attività di correlazione del modello di calcolo per i consumi. Il beneficio ottenuto in termini di autonomia è stato decisamente significativo con riferimento sia ai cicli di omologazione europei, che a quelli statunitensi. Sono state inoltre analizzate le ripercussioni dal punto di vista delle prestazioni ed anche in questo caso i numerosi dati rilevati hanno permesso di migliorare il livello di correlazione del modello di simulazione per le prestazioni. La vettura con la nuova rapportatura proposta è stata poi confrontata con un prototipo di Maserati Quattroporte avente cambio automatico e convertitore di coppia. Questa ulteriore attività ha permesso di valutare il differente comportamento tra le due soluzioni, sia in termini di consumo istantaneo, che di consumo complessivo rilevato durante le principali missioni su banco a rulli previste dalle normative. L’ultima sezione del lavoro è stata dedicata alla valutazione dell’efficienza energetica del sistema vettura, intesa come resistenza all’avanzamento incontrata durante il moto ad una determinata velocità. Sono state indagate sperimentalmente le curve di “coast down” della Quattroporte e di alcune concorrenti e sono stati proposti degli interventi volti alla riduzione del coefficiente di penetrazione aerodinamica, pur con il vincolo di non alterare lo stile vettura.