U1 snDNA clusters in grasshoppers: chromosomal dynamics and genomic organization

Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

Conformational changes in a hyperthermostable glycoside hydrolase: enzymatic activity is a consequence of the loop dynamics and protonation balance

Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

Connection between x-ray and radio properties of cool-core galaxy clusters hosting radio mini-halos

Gli ammassi di galassie sono gli oggetti gravitazionalmente legati più grandi dell’Universo. Questi emettono principalmente in banda X tramite bremsstrahlung. Una frazione mostra anche emissione radio diffusa da parte di elettroni relativistici che spiraleggiano nel campo magnetico. Si possono classificare tre tipi di emissione: alon, relitti e mini-aloni radio (MH). I MH sono sorgenti radio su scale di ≥ 200 – 500 kpc, osservate al centro di ammassi caratterizzati dalla presenze di cool-core (CC). L’origine dei MH non è ancora chiara. Gli elettroni relativistici che emettono in banda radio hanno tempi di vita radiativi di molto inferiori a quelli necessari per diffondere sulle scale dell’emissione diffusa. Quindi non sono semplicemente iniettati dalle galassie presenti negli ammassi ed è necessario un meccanismo di accelerazione “in-situ” nell’ICM. I MH testimoniano la presenza di meccanismi che canalizzano parte del budget energetico disponibile nei CC nell’ICM.Quindi lo studio è importante per comprendere la fisica dell’ICM e l’interazione fra le componenti non termiche e termiche. I MH si formano attraverso la riaccelerazione delle particelle relativistiche ad opera della turbolenza del gas. L’origine di questa turbolenza tuttavia non è ancora ben compresa. Gli ammassi CC sono caratterizzati da un picco della brillanza X nelle regioni centrali e da un drop della temperatura verso il centro accompagnata da aumento della densità del gas. Si ritiene che questo sia dovuto al raffreddamento del gas che quindi fluisce nelle zone centrali. Recenti osservazioni in X risultan inconsistenti con il modello classico di CF, suggerendo la presenza di una sorgente di riscaldamento del gas su scale del core degli ammassi. Recentemente Zhuravleva (2014) hanno mostrato che il riscaldamento dovuto alla turbolenza prodotta dall'AGN centrale è in grado di bilanciare il processo di raffreddamento. Abbiamo assunto che la turbolenza responsabile del riscaldamento del gas è anche responsabile dell’accelerazione delle particelle nei MH. Nell’ambito di questo scenario ci si aspetta una correlazione tra la potenza del cooling flow, PCF, che è una misura del tasso di energia emessa dal gas che raffredda nei CC, e la luminosità radio, che è una frazione dell’energia della turbolenza che è canalizzata nell’accelerazione delle particelle. In questo lavoro di tesi abbiamo utilizzato il più grande campione disponibile di MH, allo scopo di studiare la connessione fra le proprietà dei MH e quelle del gas termico nei core degli ammassi che li ospitano. Abbiamo analizzato i dati di 21 ammassi e ricavato i parametri fisici all’interno del raggio di cooling e del MH. Abbiamo ricavato la correlazione fra luminosità radio, e PCF. Abbiamo trovato che le due quantità correlano in modo quasi-lineare confermando i risultati precedenti. Tale correlazione suggerisce uno stretto legame fra le proprietà del gas nei CC e l’origine dei MH.

The velocity dispersion profile of the globular cluster 47Tucanae

Gli ammassi globulari rappresentano i laboratori ideali nei quali studiare la dinamica di sistemi ad N-corpi ed i suoi effetti sull’evoluzione stellare. Infatti, gli ammassi globulari sono gli unici sistemi astrofisici che, entro il tempo scala dell’età dell’Universo, sperimentano quasi tutti i processi di dinamica stellare noti. Questo lavoro di tesi si inserisce in un progetto a lungo termine volto a fornire una dettagliata caratterizzazione delle proprietà dinamiche degli ammassi globulari galattici. In questa ricerca, strumenti di fondamentale importanza sono il profilo di dispersione di velocità del sistema e la sua curva di rotazione. Per determinare le componenti radiali di questi profili cinematici in ammassi globulari galattici è necessario misurare la velocità lungo la linea di vista di un ampio campione di stelle membre, a differenti distanze dal centro. Seguendo un approccio multi-strumentale, è possibile campionare l’intera estensione radiale dell’ammasso utilizzando spettrografi multi-oggetto ad alta risoluzione spettrale nelle regioni intermedie/esterne, e spettrografi IFU con ottiche adattive per le regioni centrali (pochi secondi d’arco dal centro). Questo lavoro di tesi è volto a determinare il profilo di dispersione di velocità dell’ammasso globulare 47 Tucanae, campionando un’estensione radiale compresa tra circa 20'' e 13' dal centro. Per questo scopo sono state misurate le velocità radiali di circa un migliaio di stelle nella direzione di 47 Tucanae, utilizzando spettri ad alta risoluzione ottenuti con lo spettrografo multi-oggetto FLAMES montato al Very Large Telescope dell’ESO. Le velocità radiali sono state misurate utilizzando la tecnica di cross-correlazione tra gli spettri osservati e appropriati spettri teorici, e sono state ottenute accuratezze inferiori a 0.5km/s. Il campione così ottenuto (complementare a quello raccolto con strumenti IFU nelle regioni centrali) è fondamentale per costruire il profilo di dispersione di velocità dell’ammasso e la sua eventuale curva di rotazione. Questi dati, combinati col profilo di densità dell’ammasso precedentemente determinato, permetteranno di vincolare opportunamente modelli teorici come quelli di King (1966) o di Wilson (1975), e di arrivare così alla prima solida determinazione dei parametri strutturali e dinamici (raggi di core e di metà massa, tempo di rilassamento, parametro collisionale, etc.) e della massa totale e distribuzione di massa del sistema.

Structure and thermodynamics of H3O+(H2O)8 clusters: A combined molecular dynamics and quantum mechanics approach

We have studied the structure and stability of (H3O+)(H2O)8 clusters using a combination of molecular dynamics sampling and high-level ab initio calculations. 20 distinct oxygen frameworks are found within 2 kcal/mol of the electronic or standard Gibbs free energy minimum. The impact of quantum zero-point vibrational corrections on the relative stability of these isomers is quite significant. The box-like isomers are favored in terms of electronic energy, but with the inclusion of zero-point vibrational corrections and entropic effects tree-like isomers are favored at higher temperatures. Under conditions from 0 to 298.15 K, the global minimum is predicted to be a tree-like structure with one dangling singly coordinated water molecule. Above 298.15 K, higher entropy tree-like isomers with two or more singly coordinated water molecules are favored. These assignments are generally consistent with experimental IR spectra of (H3O+)(H2O)8 obtained at 150 K.

Dynamics of vessel wall changes following the implantation of the Absorb everolimus-eluting bioresorbable vascular scaffold: a multi-imaging modality study at 6, 12, 24 and 36 months

Aims: To assess observations with multimodality imaging of the Absorb bioresorbable everolimus-eluting vascular scaffold performed in two consecutive cohorts of patients who were serially investigated either at 6 and 24 months or at 12 and 36 months. Methods and results: In the ABSORB multicentre single-arm trial, 45 patients (cohort B1) and 56 patients (cohort B2) underwent serial invasive imaging, specifically quantitative coronary angiography (QCA), intravascular ultrasound (IVUS), radiofrequency backscattering (IVUS-VH) and optical coherence tomography (OCT). Between one and three years, late luminal loss remained unchanged (6 months: 0.19 mm, 1 year: 0.27 mm, 2 years: 0.27 mm, 3 years: 0.29 mm) and the in-segment angiographic restenosis rate for the entire cohort B (n=101) at three years was 6%. On IVUS, mean lumen, scaffold, plaque and vessel area showed enlargement up to two years. Mean lumen and scaffold area remained stable between two and three years whereas significant reduction in plaque behind the struts occurred with a trend toward adaptive restrictive remodelling of EEM. Hyperechogenicity of the vessel wall, a surrogate of the bioresorption process, decreased from 23.1% to 10.4% with a reduction of radiofrequency backscattering for dense calcium and necrotic core. At three years, the count of strut cores detected on OCT increased significantly, probably reflecting the dismantling of the scaffold; 98% of struts were covered. In the entire cohort B (n=101), the three-year major adverse cardiac event rate was 10.0% without any scaffold thrombosis. Conclusions: The current investigation demonstrated the dynamics of vessel wall changes after implantation of a bioresorbable scaffold, resulting at three years in stable luminal dimensions, a low restenosis rate and a low clinical major adverse cardiac events rate.

Glacial–interglacial dynamics of Antarctic firn columns: comparison between simulations and ice core air-δ15N measurements

Correct estimation of the firn lock-in depth is essential for correctly linking gas and ice chronologies in ice core studies. Here, two approaches to constrain the firn depth evolution in Antarctica are presented over the last deglaciation: outputs of a firn densification model, and measurements of δ15N of N2 in air trapped in ice core, assuming that δ15N is only affected by gravitational fractionation in the firn column. Since the firn densification process is largely governed by surface temperature and accumulation rate, we have investigated four ice cores drilled in coastal (Berkner Island, BI, and James Ross Island, JRI) and semi-coastal (TALDICE and EPICA Dronning Maud Land, EDML) Antarctic regions. Combined with available ice core air-δ15N measurements from the EPICA Dome C (EDC) site, the studied regions encompass a large range of surface accumulation rates and temperature conditions. Our δ15N profiles reveal a heterogeneous response of the firn structure to glacial–interglacial climatic changes. While firn densification simulations correctly predict TALDICE δ15N variations, they systematically fail to capture the large millennial-scale δ15N variations measured at BI and the δ15N glacial levels measured at JRI and EDML – a mismatch previously reported for central East Antarctic ice cores. New constraints of the EDML gas–ice depth offset during the Laschamp event (~41 ka) and the last deglaciation do not favour the hypothesis of a large convective zone within the firn as the explanation of the glacial firn model–δ15N data mismatch for this site. While we could not conduct an in-depth study of the influence of impurities in snow for firnification from the existing datasets, our detailed comparison between the δ15N profiles and firn model simulations under different temperature and accumulation rate scenarios suggests that the role of accumulation rate may have been underestimated in the current description of firnification models.

Mid-Wisconsin to Holocene permafrost and landscape dynamics based on a drained lake basin core from the northern Seward Peninsula, Northwest Alaska

Permafrost-related processes drive regional landscape dynamics in the Arctic terrestrial system. A better understanding of past periods indicative of permafrost degradation and aggradation is important for predicting the future response of Arctic landscapes to climate change. Here, we used a multi-proxy approach to analyze a ~4 m long sediment core from a drained thermokarst lake basin on the northern Seward Peninsula in western Arctic Alaska (USA). Sedimentological, biogeochemistical, geochronological, micropaleontological (ostracoda, testate amoeba) and tephra analyses were used to determine the long-term environmental Early-Wisconsin to Holocene history preserved in our core for Central Beringia. Yedoma accumulation dominated throughout the Early to Late-Wisconsin but was interrupted by wetland formation from 44.5 to 41.5 ka BP. The latter was terminated by deposition of 1 m of volcanic tephra, most likely originating from the South Killeak Maar eruption at about 42 ka BP. Yedoma deposition continued until 22.5 ka BP and was followed by a depositional hiatus in the sediment core between 22.5 and 0.23 ka BP. We interpret this hiatus as due to intense thermokarst activity in the areas surrounding the site, which served as a sediment source during the Late-Wisconsin to Holocene climate transition. The lake forming the modern basin on the upland initiated around 0.23 ka BP, which drained catastrophically in spring 2005. The present study emphasizes that Arctic lake systems and periglacial landscapes are highly dynamic and permafrost formation as well as degradation in Central Beringia was controlled by regional to global climate patterns and as well as by local disturbances.

Long-term dynamics of adaptive evolution in a globally important coccolithophore to ocean acidification

Recent evolution experiments have revealed that marine phytoplankton may adapt to global change, for example to ocean warming or acidification. Long-term adaptation to novel environments is a dynamic process and phenotypic change can take place thousands of generations after exposure to novel conditions. Using the longest evolution experiment performed in any marine species to date (4 yrs, = 2100 generations), we show that in the coccolithophore Emiliania huxleyi, long-term adaptation to ocean acidification is complex and initial phenotypic responses may revert for important traits. While fitness increased continuously, calcification was restored within the first 500 generations but later reduced in response to selection, enhancing physiological declines of calcification in response to ocean acidification. Interestingly, calcification was not constitutively reduced but revealed rates similar to control treatments when transferred back to present-day CO2 conditions. Growth rate increased with time in controls and adaptation treatments, although the effect size of adaptation assessed through reciprocal assay experiments varied. Several trait changes were associated with selection for higher cell division rates under laboratory conditions, such as reduced cell size and lower particulate organic carbon content per cell. Our results show that phytoplankton may evolve phenotypic plasticity that can affect biogeochemically important traits, such as calcification, in an unforeseen way under future ocean conditions.