484 resultados para 1514


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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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La tesi esamina il codice musicale Gr. Rés Vm7 676 della Biblioteca Nazionale di Parigi, che rappresenta una fonte di grande interesse per lo studio della musica vocale italiana tra Quattro e Cinquecento. Compilato nel 1502, il codice è stato oggetto di analisi da parte di vari studiosi, che ne hanno preso in esame singoli brani o intere sezioni, allo scopo di attestare procedimenti compositivi particolari (Torrefranca) o caratteri stilistici locali, in particolare relativi alla frottola mantovana e ferrarese (Prizer). Un’accurata ricognizione sul repertorio è stata effettuata da Nanie Bridgman in un saggio degli anni Cinquanta del secolo scorso, ma non è mai stato realizzato uno studio organico sul manoscritto. Pertanto la ricerca si è proposta di riconsiderare l’intero repertorio italiano tramandato dal codice, per proporre un plausibile inquadramento stilistico nella cultura della poesia per musica coeva. La trascrizione dei testi e delle musiche, supportata dal confronto con le fonti manoscritte e a stampa, letterarie e musicali, ha consentito di formulare alcune ipotesi in merito alla circolazione del repertorio tramandato e all’ambiente di produzione del documento. L’inconsueta varietà di forme musicali riscontrate nel codice consente inoltre di assumere questo manoscritto come una delle principali fonti della tradizione musicale che precede immediatamente la ‘sistemazione’ del repertorio frottolistico effettuata da Ottaviano Petrucci, a partire dal 1504, con la pubblicazione dei suoi undici libri di frottole (1501-1514).

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The Environmental Health (EH) program of Peace Corps (PC) Panama and a non-governmental organization (NGO) Waterlines have been assisting rural communities in Panama gain access to improved water sources through the practice of community management (CM) model and participatory development. Unfortunately, there is little information available on how a water system is functioning once the construction is complete and the volunteer leaves the community. This is a concern when the recent literature suggests that most communities are not able to indefinitely maintain a rural water system (RWS) without some form of external assistance (Sara and Katz, 1997; Newman et al, 2002; Lockwood, 2002, 2003, 2004; IRC, 2003; Schweitzer, 2009). Recognizing this concern, the EH program director encouraged the author to complete a postproject assessment of the past EH water projects. In order to carry out the investigation, an easy to use monitoring and evaluation tool was developed based on literature review and the author’s three years of field experience in rural Panama. The study methodology consists of benchmark scoring systems to rate the following ten indicators: watershed, source capture, transmission line, storage tank, distribution system, system reliability, willingness to pay, accounting/transparency, maintenance, and active water committee members. The assessment of 28 communities across the country revealed that the current state of physical infrastructure, as well as the financial, managerial and technical capabilities of water committees varied significantly depending on the community. While some communities are enjoying continued service and their water committee completing all of its responsibilities, others have seen their water systems fall apart and be abandoned. Overall, the higher score were more prevalent for all ten indicators. However, even the communities with the highest scores requested some form of additional assistance. The conclusion from the assessment suggests that the EH program should incorporate an institutional support mechanism (ISM) to its sector policy in order to systematically provide follow-up support to rural communities in Panama. A full-time circuit rider with flexible funding would be able to provide additional technical support, training and encouragement to those communities in need.

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The relationship of different types of grassland use with plant species richness and composition (functional groups of herbs, legumes, and grasses) has so far been studied at small regional scales or comprising only few components of land use. We comprehensively studied the relationship between abandonment, fertilization, mowing intensity, and grazing by different livestock types on plant diversity and composition of 1514 grassland sites in three regions in North-East, Central and South-West Germany. We further considered environmental site conditions including soil type and topographical situation. Fertilized grasslands showed clearly reduced plant species diversity (−15% plant species richness, −0.1 Shannon diversity on fertilized grasslands plots of 16 m2) and changed composition (−3% proportion of herb species), grazing had the second largest effects and mowing the smallest ones. Among the grazed sites, the ones grazed by sheep had higher than average species richness (+27%), and the cattle grazed ones lower (−42%). Further, these general results were strongly modulated by interactions between the different components of land use and by regional context: land-use effects differed largely in size and sometimes even in direction between regions. This highlights the importance of comparing different regions and to involve a large number of plots when studying relationships between land use and plant diversity. Overall, our results show that great caution is necessary when extrapolating results and management recommendations to other regions.

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Water flow and solute transport through soils are strongly influenced by the spatial arrangement of soil materials with different hydraulic and chemical properties. Knowing the specific or statistical arrangement of these materials is considered as a key toward improved predictions of solute transport. Our aim was to obtain two-dimensional material maps from photographs of exposed profiles. We developed a segmentation and classification procedure and applied it to the images of a very heterogeneous sand tank, which was used for a series of flow and transport experiments. The segmentation was based on thresholds of soil color, estimated from local median gray values, and of soil texture, estimated from local coefficients of variation of gray values. Important steps were the correction of inhomogeneous illumination and reflection, and the incorporation of prior knowledge in filters used to extract the image features and to smooth the results morphologically. We could check and confirm the success of our mapping by comparing the estimated with the designed sand distribution in the tank. The resulting material map was used later as input to model flow and transport through the sand tank. Similar segmentation procedures may be applied to any high-density raster data, including photographs or spectral scans of field profiles.

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Switzerland has a complex human immunodeficiency virus (HIV) epidemic involving several populations. We examined transmission of HIV type 1 (HIV-1) in a national cohort study. Latent class analysis was used to identify socioeconomic and behavioral groups among 6,027 patients enrolled in the Swiss HIV Cohort Study between 2000 and 2011. Phylogenetic analysis of sequence data, available for 4,013 patients, was used to identify transmission clusters. Concordance between sociobehavioral groups and transmission clusters was assessed in correlation and multiple correspondence analyses. A total of 2,696 patients were infected with subtype B, 203 with subtype C, 196 with subtype A, and 733 with recombinant subtypes (mainly CRF02_AG and CRF01_AE). Latent class analysis identified 8 patient groups. Most transmission clusters of subtype B were shared between groups of gay men (groups 1-3) or between the heterosexual groups "heterosexual people of lower socioeconomic position" (group 4) and "injection drug users" (group 8). Clusters linking homosexual and heterosexual groups were associated with "older heterosexual and gay people on welfare" (group 5). "Migrant women in heterosexual partnerships" (group 6) and "heterosexual migrants on welfare" (group 7) shared non-B clusters with groups 4 and 5. Combining approaches from social and molecular epidemiology can provide insights into HIV-1 transmission and inform the design of prevention strategies.

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Recent studies in laying hens have shown that feather peckers eat more feathers than nonpeckers. We hypothesized that food pellets containing feathers would decrease the birds' appetite for feathers and thereby also decrease feather pecking. To separate the effect of feathers from that of insoluble fiber per se, additional control groups were fed pellets containing similar amounts of cellulose. Sixty (experiment 1) and 180 (experiment 2) 1-d-old Lohmann-Selected Leghorn birds were divided into 12 groups of 5 (experiment 1) and 15 (experiment 2) birds, respectively, and kept on slatted floors. During the rearing period, 4 groups each had ad libitum access to either a commercial pelleted diet, a pelleted diet containing 5% (experiment 1) or 10% (experiment 2) of chopped feathers, respectively, or a pelleted diet containing 5% (experiment 1) or 10% (experiment 2) of cellulose, respectively. In the consecutive laying period, all groups received a commercial pelleted diet. In experiment 1, feather pecking was recorded weekly from wk 5 to wk 16. In the laying period, observations were made in wk 18, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, and 30. In experiment 2, feather pecking was recorded weekly from wk 5 to 11, in wk 16 to wk 18, and in wk 20 and 21. At the end of the rearing period, plumage condition per individual hen was scored. Scores from 1 (denuded) to 4 (intact) were given for each of 6 body parts. The addition of 10% of feathers to the diet reduced the number of severe feather-pecking bouts (P < 0.0129) and improved plumage condition of the back area (P < 0.001) significantly compared with control diets. The relationship between feather pecking/eating and the gastrointestinal consequences thereof, which alter feather pecking-behavior, are unclear. Understanding this relationship might be crucial for understanding the causation of feather pecking in laying hens.