905 resultados para porosità, PME, termodinamica del non equilibrio, modello iperbolico e propagazione ondosa, secondo suono


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Il presente studio ha come obbiettivo lo sviluppo di composti di origine naturale come potenziali farmaci antitumorali, attraverso la definizione dei loro specifici target cellulari e molecolari su diversi modelli cellulari ad alta predittività. Gli isotiocianati, contenuti nei vegetali appartenenti alla famiglia delle Crucifereae, sono dotati di una comprovata capacità di inibire la formazione di tumori in modelli animali preventivamente trattati con cancerogeni. Questa attività è riconducibile principalmente alla modulazione degli enzimi coinvolti nell’attivazione/detossificazione di xenobiotici e ad effetti citostatici e citossici, osservati su numerose linee cellulari. Un isotiocianato particolarmente promettente è il sulforafane (SFN). La ricerca condotta durante il periodo di dottorato si è, quindi, focalizzata sull’isotiocianato SFN e in particolare sulla sua capacità di modulare specifici eventi cellulari e molecolari coinvolti nel processo di leucemogenesi. Inizialmente è stato indagato il potenziale citostatico e citotossico del SFN su una linea cellulare T linfoblastoide (cellule Jurkat), con particolare attenzione agli effetti sulla proliferazione cellulare, all’induzione di apoptosi/necrosi e all’analisi di alcuni dei meccanismi molecolari coinvolti negli effetti citostatici e citotossici dell’isotiocianato ( livelli proteici di p53, bax e bcl-2). Successivamente, poiché requisiti fondamentali di un antitumorale sono selettività d’azione e scarsa tossicità, è stato indagato il potenziale citostatico e citotossico dell’isotiocianato SFN sulla controparte non trasformata delle cellule leucemiche T linfoblastoidi, analizzando gli stessi eventi studiati su cellule tumorali e alcuni dei meccanismi molecolari coinvolti (livelli proteici di ciclina D2, ciclina D3, chinasi ciclina dipendente (CDK) 4 e CDK6 ). Il SFN si è dimostrato in grado di indurre apoptosi sulle cellule Jurkat e di inibirne la proliferazione, mediante un blocco in fase G2/M del ciclo cellulare e un incremento dei livelli di p53 e bax. Il SFN è in grado di indurre effetti citostatici e citotossici anche su linfociti T non trasformati. Tuttavia, le dosi necessarie per esibire tali effetti sono ben più elevate di quelle attive su cellule leucemiche. Una tappa importante nello sviluppo di un farmaco antitumorale è, la definizione, dove possibile, dei suoi effetti in un modello ex vivo, altamente predittivo di quella che sarà la risposta farmacologica in vivo. Sono stati quindi valutati gli effetti del SFN su colture primarie di blasti provenienti da pazienti affetti da diversi tipi di leucemia , sia mieloide che linfoblastica. Il SFN non sembra possedere alcuna attività su campioni da pazienti affetti da LLC, mentre un importante attività proapoptotica si registra nei campioni da pazienti affetti da LMA, dove l’effetto del SFN è sorprendentemente marcato anche su campioni da pazienti multiresistenti. L’attività dell’isotiocianato sui campioni da pazienti affetti da LLA è decisamente più marcata sul campione da paziente affetto da LLA a cellule B, mentre sul campione di Leucemia Acuta Bifenotipica l’effetto proapoptotico del SFN si registra dopo tempi di trattamento brevi piuttosto che dopo tempi di trattamento più lunghi. In conclusione, i risultati ottenuti evidenziano che il SFN possiede un’interessante attività antileucemica in vitro e, dato di particolare rilevanza, anche ex vivo.

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L’uso frequente dei modelli predittivi per l’analisi di sistemi complessi, naturali o artificiali, sta cambiando il tradizionale approccio alle problematiche ambientali e di rischio. Il continuo miglioramento delle capacità di elaborazione dei computer facilita l’utilizzo e la risoluzione di metodi numerici basati su una discretizzazione spazio-temporale che permette una modellizzazione predittiva di sistemi reali complessi, riproducendo l’evoluzione dei loro patterns spaziali ed calcolando il grado di precisione della simulazione. In questa tesi presentiamo una applicazione di differenti metodi predittivi (Geomatico, Reti Neurali, Land Cover Modeler e Dinamica EGO) in un’area test del Petén, Guatemala. Durante gli ultimi decenni questa regione, inclusa nella Riserva di Biosfera Maya, ha conosciuto una rapida crescita demografica ed un’incontrollata pressione sulle sue risorse naturali. L’area test puó essere suddivisa in sotto-regioni caratterizzate da differenti dinamiche di uso del suolo. Comprendere e quantificare queste differenze permette una migliore approssimazione del sistema reale; é inoltre necessario integrare tutti i parametri fisici e socio-economici, per una rappresentazione più completa della complessità dell’impatto antropico. Data l’assenza di informazioni dettagliate sull’area di studio, quasi tutti i dati sono stati ricavati dall’elaborazione di 11 immagini ETM+, TM e SPOT; abbiamo poi realizzato un’analisi multitemporale dei cambi uso del suolo passati e costruito l’input per alimentare i modelli predittivi. I dati del 1998 e 2000 sono stati usati per la fase di calibrazione per simulare i cambiamenti nella copertura terrestre del 2003, scelta come data di riferimento per la validazione dei risultati. Quest’ultima permette di evidenziare le qualità ed i limiti per ogni modello nelle differenti sub-regioni.

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Il Lavoro si inserisce nel quadro complesso del settore Energy & Utilities e si propone l’obiettivo di analizzare l’attuale mercato dell’energia per individuarne i driver al cambiamento e presentare un innovativo modello di business per le aziende di vendita di energia, con lo scopo di recuperare efficienza nella gestione del Cliente finale, cercando di quantificarne i vantaggi potenziali. L’attività di studio e progettuale è stata svolta nell’ambito di un periodo di tirocinio formativo della durata di sei mesi, effettuato presso Engineering Ingegneria Informatica S.p.A., in particolare nella sede di viale Masini di Bologna, a seguito della candidatura autonoma dello studente e del suo immediato inserimento nei processi di business della divisione Utilities dell’azienda. Il Lavoro si suddivide in 9 capitoli: dopo una breve introduzione sul settore Energy&Utilities, nei primi quattro capitoli sono descritte le filiere produttive dei principali servizi, i principali attori del mercato e gli aspetti normativi e tariffari che caratterizzano l’intero settore, valutando in particolare la formazione del prezzo del gas e dell’energia elettrica. I capitoli cinque e sei descrivono invece le principali tendenze, le strategie competitive in atto nel mercato delle Utilities e l’importanza del Cliente, in un’ottica di CRM che segue i dettami del modello “Customer Centric”. Gli ultimi capitoli mostrano invece, dopo una breve presentazione dell’azienda in cui lo studente ha svolto l’attività, l’intero lavoro di analisi realizzato, input del modello di business a chiusura del Lavoro, volto a quantificare gli impatti del processo di liberalizzazione che ha radicalmente modificato il settore delle Utilities negli ultimi anni, valutando a proposito la profittabilità per un cliente medio in base ad un’opportuna pre-analisi di segmentazione. Il modello di business che occupa l’ultimo capitolo costituisce una soluzione originale e innovativa per incrementare tale profittabilità.

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La ricerca oggetto di questa tesi, come si evince dal titolo stesso, è volta alla riduzione dei consumi per vetture a forte carattere sportivo ed elevate prestazioni specifiche. In particolare, tutte le attività descritte fanno riferimento ad un ben definito modello di vettura, ovvero la Maserati Quattroporte. Lo scenario all’interno del quale questo lavoro si inquadra, è quello di una forte spinta alla riduzione dei cosiddetti gas serra, ossia dell’anidride carbonica, in linea con quelle che sono le disposizioni dettate dal protocollo di Kyoto. La necessità di ridurre l’immissione in atmosfera di CO2 sta condizionando tutti i settori della società: dal riscaldamento degli edifici privati a quello degli stabilimenti industriali, dalla generazione di energia ai processi produttivi in senso lato. Nell’ambito di questo panorama, chiaramente, sono chiamati ad uno sforzo considerevole i costruttori di automobili, alle quali è imputata una percentuale considerevole dell’anidride carbonica prodotta ogni giorno e riversata nell’atmosfera. Al delicato problema inquinamento ne va aggiunto uno forse ancor più contingente e diretto, legato a ragioni di carattere economico. I combustibili fossili, come tutti sanno, sono una fonte di energia non rinnovabile, la cui disponibilità è legata a giacimenti situati in opportune zone del pianeta e non inesauribili. Per di più, la situazione socio politica che il medio oriente sta affrontando, unita alla crescente domanda da parte di quei paesi in cui il processo di industrializzazione è partito da poco a ritmi vertiginosi, hanno letteralmente fatto lievitare il prezzo del petrolio. A causa di ciò, avere una vettura efficiente in senso lato e, quindi, a ridotti consumi, è a tutti gli effetti un contenuto di prodotto apprezzato dal punto di vista del marketing, anche per i segmenti vettura più alti. Nell’ambito di questa ricerca il problema dei consumi è stato affrontato come una conseguenza del comportamento globale della vettura in termini di efficienza, valutando il miglior compromesso fra le diverse aree funzionali costituenti il veicolo. Una parte consistente del lavoro è stata dedicata alla messa a punto di un modello di calcolo, attraverso il quale eseguire una serie di analisi di sensibilità sull’influenza dei diversi parametri vettura sul consumo complessivo di carburante. Sulla base di tali indicazioni, è stata proposta una modifica dei rapporti del cambio elettro-attuato con lo scopo di ottimizzare il compromesso tra consumi e prestazioni, senza inficiare considerevolmente queste ultime. La soluzione proposta è stata effettivamente realizzata e provata su vettura, dando la possibilità di verificare i risultati ed operare un’approfondita attività di correlazione del modello di calcolo per i consumi. Il beneficio ottenuto in termini di autonomia è stato decisamente significativo con riferimento sia ai cicli di omologazione europei, che a quelli statunitensi. Sono state inoltre analizzate le ripercussioni dal punto di vista delle prestazioni ed anche in questo caso i numerosi dati rilevati hanno permesso di migliorare il livello di correlazione del modello di simulazione per le prestazioni. La vettura con la nuova rapportatura proposta è stata poi confrontata con un prototipo di Maserati Quattroporte avente cambio automatico e convertitore di coppia. Questa ulteriore attività ha permesso di valutare il differente comportamento tra le due soluzioni, sia in termini di consumo istantaneo, che di consumo complessivo rilevato durante le principali missioni su banco a rulli previste dalle normative. L’ultima sezione del lavoro è stata dedicata alla valutazione dell’efficienza energetica del sistema vettura, intesa come resistenza all’avanzamento incontrata durante il moto ad una determinata velocità. Sono state indagate sperimentalmente le curve di “coast down” della Quattroporte e di alcune concorrenti e sono stati proposti degli interventi volti alla riduzione del coefficiente di penetrazione aerodinamica, pur con il vincolo di non alterare lo stile vettura.

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Il modello afflussi-deflussi e di erosione Kineros2, fisicamente basato, distribuito e a scala di evento, è stato applicato a due bacini idrografici montani della provincia di Bologna (Italia) al fine di testare e valutare il suo funzionamento in ambiente appenninico. Dopo la parametrizzazione dei due bacini, Kineros2 è stato calibrato e validato utilizzando dati sperimentali di portata e di concentrazione dei solidi sospesi, collezionati alla chiusura dei bacini grazie alla presenza di due stazioni di monitoraggio idrotorbidimetrico. La modellazione ha consentito di valutare la capacità del modello di riprodurre correttamente le dinamiche idrologiche osservate, nonchè di trarre conclusioni sulle sue potenzialità e limitazioni.

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L’analisi condotta nella tesi mira ad indagare le determinanti del debito delle piccole e medie imprese italiane: la domanda di ricerca è indirizzata a capire se la struttura finanziaria di queste ultime segue i modelli teorici sviluppati nell’ambito della letteratura di Corporate Finance o se, d’altro canto, non sia possibile prescindere dalle peculiarità delle piccole e medie imprese per spiegare il ricorso alle diverse fonti di finanziamento. La ricerca empirica effettuata nella dissertazione vuole essere un tentativo di coniugare le teorie di riferimento e le evidenze empiriche relative alle piccole e medie imprese italiane, analizzandone il comportamento attraverso lo studio del campione di dati fornito da Capitalia, relativo alla Nona Indagine per il periodo 2001-2003. Il campione in oggetto fa riferimento a circa 4000 imprese con più di 10 addetti, prevalentemente del settore manifatturiero. Per indagare le determinanti del debito nelle sue componenti più tradizionali, si sono prese in considerazione il debito commerciale e il debito bancario a breve termine come forme di finanziamento correnti mentre, tra le forme di finanziamento di medio-lungo periodo, le variabili usate sono state il ricorso al debito bancario a lungo termine e a strumenti obbligazionari. Inoltre, si è ricorso anche a misure più tradizionali di leva finanziaria, quali il rapporto di indebitamento, la proporzione tra debiti bancari, sia di breve che di lungo periodo, e l’ammontare dei finanziamenti esterni rispetto al valore dell’impresa, distinguendo anche qui, tra finanziamenti a breve e a lungo termine. L’analisi descrittiva ha mostrato il massiccio ricorso al debito bancario e, in generale, alle forme di indebitamento a breve. Le imprese di dimensioni minori, più giovani e opache tendono a ricorrere alle fonti interne e a forme di indebitamento a breve, mentre le imprese maggiormente dimensionate mostrano una struttura del debito più articolata. Questo ha suggerito la definizione di una diversa misura di debito, che tiene conto della complessità della sua struttura all’interno delle imprese, in base ad un ricorso di tipo gerarchico alle fonti di finanziamento: il grado di complessità dipende dalle tipologie e dalla quantità dei contratti di debito conclusi dall’impresa . E’ plausibile pensare che le imprese ricorrano prima alle fonti interne di finanziamento, perché prive di costi, e poi all’indebitamento nei confronti di diversi stakeholders: rispetto alla prossimità e alla facilità dell’ottenimento del finanziamento, è sembrato naturale pensare che un’impresa ricorra dapprima al debito commerciale, poi al debito bancario e solo infine all’emissione di obbligazioni, in un ordine gerarchico. Ne consegue che se un’impresa (non) ha contratto debiti con fornitori, banche e mercato, la complessità della struttura del suo debito è massima (nulla). L’analisi econometrica successiva è stata indirizzata in tre direzioni. In primis, l’analisi longitudinale dei dati è stata volta ad evidenziare se la struttura finanziaria delle PMI risponde ad un particolare modello teorico, in accordo con le teoria tradizionali di riferimento. In secondo luogo, l’analisi delle determinanti si è allargata allo studio degli aspetti peculiari delle imprese medio-piccole. Infine, si è indagato se, nell’ambito delle imprese di dimensioni minori, si osservano comportamenti omogenei oppure se determinate scelte nelle fonti di finanziamento sono da ricondurre all’esistenza di alcuni vincoli. Quindi, partendo dalla rassegna dei principali riferimenti nella letteratura, costituiti dalla Trade-off theory (Modigliani e Miller, 1963, De Angelo e Masulis, 1980, Miller, 1977), dalla Pecking order theory (Myers 1984, Myers e Majluf, 1984) e dalla Financial growth cycle theory (Berger e Udell, 1998), una prima serie di analisi econometriche è stata rivolta alla verifica empirica delle teorie suddette. Una seconda analisi mira, invece, a capire se il comportamento delle imprese possa essere spiegato anche da altri fattori: il modello del ciclo di vita dell’impresa, mutuato dalle discipline manageriali, così come il contesto italiano e la particolarità del rapporto bancaimpresa, hanno suggerito l’analisi di altre determinanti al ricorso delle diverse fonti di debito. Di conseguenza, si sono usate delle opportune analisi econometriche per evidenziare se la struttura proprietaria e di controllo dell’impresa, il suo livello di complessità organizzativa possano incidere sulla struttura del debito delle imprese. Poi, si è indagato se il massiccio ricorso al debito bancario è spiegato dalle peculiarità del rapporto banca-impresa nel nostro Paese, rintracciabili nei fenomeni tipici del relationship lending e del multiaffidamento. Ancora, si sono verificati i possibili effetti di tale rapporto sulla complessità della struttura del debito delle imprese. Infine, l’analisi della letteratura recente sulla capital structure delle imprese, l’approccio sviluppato da Fazzari Hubbard e Petersen (1988) e Almeida e Campello (2006 , 2007) ha suggerito un ultimo livello di analisi. La presenza di vincoli nelle decisioni di finanziamento, legati essenzialmente alla profittabilità, alla dimensione delle imprese, alle sue opportunità di crescita, e alla reputazione verso l’esterno, secondo la letteratura recente, è cruciale nell’analisi delle differenze sistematiche di comportamento delle imprese. Per di più, all’interno del lavoro di tesi, così come in Almeida e Campello (2007), si è ipotizzato che la propensione agli investimenti possa essere considerata un fattore endogeno rispetto alla struttura del debito delle imprese, non esogeno come la letteratura tradizionale vuole. Per questo motivo, si è proceduto ad un ultimo tipo di analisi econometrica, volta a rilevare possibili differenze significative nel comportamento delle imprese rispetto al ricorso alle fonti di finanziamento a titolo di debito: nel caso in cui esse presentino una dimensione contenuta, una bassa redditività e una scarsa reputazione all’esterno infatti, vi dovrebbe essere un effetto di complementarietà tra fonti interne ed esterne. L’effetto sarebbe tale per cui non sussisterebbe, o per lo meno non sarebbe significativa, una relazione negativa tra fonti interne ed esterne. Complessivamente, i risultati delle analisi empiriche condotte, supportano sia le teorie classiche di riferimento nell’ambito della disciplina della Corporate finance, sia la teoria proposta da Berger e Udell (1998): le variabili che risultano significative nella spiegazione della struttura del debito sono principalmente quelle relative alla dimensione, all’età, al livello e alla qualità delle informazioni disponibili. Inoltre, il ricorso a fonti interne risulta essere la primaria fonte di finanziamento, seguita dal debito. Il ricorso a fonti esterne, in particolare al debito bancario, aumenta quanto più l’impresa cresce, ha una struttura solida e la capacità di fornire delle garanzie, e ha una reputazione forte. La struttura del debito, peraltro, diventa più complessa all’aumentare della dimensione, dell’età e del livello di informazioni disponibili. L’analisi della struttura proprietaria e della componente organizzativa all’interno delle imprese ha evidenziato principalmente che la struttura del debito aumenta di complessità con maggiore probabilità se la proprietà è diffusa, se vi è un management indipendente e se la piramide organizzativa è ben definita. Relativamente al rapporto banca-impresa, i principali risultati mostrano che l’indebitamento bancario sembra essere favorito dai fenomeni di relationship lending e dal multiaffidamento. Tali peculiarità assumono tratti diversi a seconda della fase del ciclo di vita delle imprese della Nona Indagine. Infine, per quanto attiene all’ultima tipologia di analisi condotta, le evidenze empiriche suggeriscono che le piccole e medie imprese possano essere soggette a delle restrizioni che si riflettono nell’ambito delle loro politiche di investimento. Tali vincoli, relativi alla dimensione, ai profitti conseguiti e alla reputazione all’esterno, aiutano a spiegare le scelte di finanziamento delle PMI del campione.

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In Italia, il contesto legislativo e l’ambiente competitivo dei Confidi è profondamente mutato negli ultimi anni a seguito dell’emanazione di due nuove normative: la “Legge Quadro” sui Confidi e la nuova regolamentazione del capitale di vigilanza nelle banche (c.d. "Basilea 2"). la Legge Quadro impone ai Confidi di adottare uno dei seguenti status societari: i) ente iscritto all’albo di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario (TUB); ii) ente iscritto all’albo di cui all’art. 107 del Testo Unico Bancario; iii) banca cooperativa di garanzia collettiva dei fidi. Fermi restando i requisiti soggettivi sui garanti ammessi da Basilea 2, la modalità tecnica finora utilizzata dai Confidi non risponde ai requisiti oggettivi. Il pensiero strategico si enuclea nelle seguenti domande: A) qual è la missione del Confidi (perché esistono i Confidi)? B) Quali prodotti e servizi dovrebbero offrire per raggiungere la loro missione? C) Quale modello organizzativo e di governance si conforma meglio per l'offerta dei prodotti e servizi individuati come necessari per il raggiungimento della missione? Le riflessioni condotte nell’ambito di un quadro di riferimento delineato dal ruolo delle garanzie nel mercato del credito bancario, dalle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, dalla “Legge Quadro” sui e, infine, dall’assetto istituzionale ed operativo dei Confidi si riassumono nelle seguenti deduzioni: Proposizione I: segmentare la domanda prima di adeguare l’offerta; Proposizione II: le operazioni tranched cover sono un'alternativa relativamente efficiente per l'operatività dei Confidi, anche per quelli non vigilati; Proposizione III: solo i Confidi‐banca hanno la necessità di dotarsi di un rating esterno; Proposizione IV: le banche sono nuovi Clienti dei Confidi: offrire servizi di outsourcing (remunerati), ma non impieghi di capitale; Proposizione V: le aggregazioni inter settoriali nel medesimo territorio sono da preferirsi alle aggregazioni inter territoriali fra Confidi del medesimo settore. Alle future ricerche è affidato il compito di verificare: quali opzioni strategiche nel concreato siano state applicate; quali siano state le determinati di tali scelte; il grado di soddisfacimento dei bisogni degli stakeholder dei Confidi; misurare i benefici conseguiti nell'efficienza allocativa del credito.

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Many efforts have been devoting since last years to reduce uncertainty in hydrological modeling predictions. The principal sources of uncertainty are provided by input errors, for inaccurate rainfall prediction, and model errors, given by the approximation with which the water flow processes in the soil and river discharges are described. The aim of the present work is to develop a bayesian model in order to reduce the uncertainty in the discharge predictions for the Reno river. The ’a priori’ distribution function is given by an autoregressive model, while the likelihood function is provided by a linear equation which relates observed values of discharge in the past and hydrological TOPKAPI model predictions obtained by the rainfall predictions of the limited-area model COSMO-LAMI. The ’a posteriori’ estimations are provided throw a H∞ filter, because the statistical properties of estimation errors are not known. In this work a stationary and a dual adaptive filter are implemented and compared. Statistical analysis of estimation errors and the description of three case studies of flood events occurred during the fall seasons from 2003 to 2005 are reported. Results have also revealed that errors can be described as a markovian process only at a first approximation. For the same period, an ensemble of ’a posteriori’ estimations is obtained throw the COSMO-LEPS rainfall predictions, but the spread of this ’a posteriori’ ensemble is not enable to encompass observation variability. This fact is related to the building of the meteorological ensemble, whose spread reaches its maximum after 5 days. In the future the use of a new ensemble, COSMO–SREPS, focused on the first 3 days, could be helpful to enlarge the meteorogical and, consequently, the hydrological variability.

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Oggetto di studio del dottorato sono stati i suoli forestali in ambiente litoraneo della Regione Emilia-Romagna. In particolare sono state considerate quattro zone di studio in Provincia di Ravenna: Pineta di San Vitale, aree boscate di Bellocchio, Pineta di Classe e Pineta di Pinarella di Cervia. Lo studio in una prima fase si è articolato nella definizione dello stato del sistema suolo, mediante la caratterizzazione pedologica delle zone di studio. A tale scopo è stata messa a punto un’adeguata metodologia d’indagine costituita da un’indagine ambientale e successivamente da un’indagine pedologica. L’indagine ambientale, mediante fotointerpretazione ed elaborazione di livelli informativi in ambito GIS, ha permesso di individuare ambiti pedogenetici omogenei. L’indagine pedologica in campo ha messo in luce l’elevata variabilità spaziale di alcuni fattori della pedogenesi, in particolar modo l’andamento microtopografico tipico dei sistemi dunali costieri e la profondità della falda freatica del piano campagna. Complessivamente sono stati aperti descritti e campionati 40 profili pedologici. Sugli orizzonti diagnostici di questi sono state eseguite le seguenti analisi: tessitura, pH, calcare totale, carbonio organico, azoto kjeldahl, conduttività elettrica (CE), capacità di scambio cationico (CSC) e calcare attivo. I suoli presentano, ad eccezione della tessitura (generalmente grossolana), un’elevata variabilità delle proprietà chimico fisiche in funzione della morfologia, della profondità e della vicinanza della falda freatica. Sono state riscontrate diverse correlazioni, tra le più significative quelle tra carbonio organico e calcare totale (coeff. di correlazione R = -0.805 per Pineta di Classe) e tra calcare totale e pH (R = 0.736), dalle quali si è compreso in che misura l’effetto della decarbonatazione agisce nei diversi ambiti pedogenetici e tra suoli con diversa età di formazione. Il calcare totale varia da 0 a oltre 400 g.kg-1 e aumenta dalla superficie in profondità, dall’entroterra verso la costa e da nord verso sud. Il carbonio organico, estremamente variabile (0.1 - 107 g.kg-1), è concentrato soprattutto nel primo orizzonte superficiale. Il rapporto C/N (>10 in superficie e molto variabile in profondità) evidenzia una efficienza di umificazione non sempre ottimale specialmente negli orizzonti prossimi alla falda freatica. I tipi di suoli presenti, classificati secondo la Soil Taxonomy, sono risultati essere Mollic/Sodic/Typic Psammaquents nelle zone interdunali, Typic Ustipsamments sulle sommità dunali e Oxiaquic/Aquic Ustipsamments negli ambienti morfologici intermedi. Come sintesi della caratterizzazione pedologica sono state prodotte due carte dei suoli, rispettivamente per Pineta di San Vitale (scala 1:20000) e per le aree boscate di Bellocchio (scala 1:10000), rappresentanti la distribuzione dei pedotipi osservati. In una seconda fase si è focalizzata l’attenzione sugli impatti che le principali pressioni naturali ed antropiche, possono esercitare sul suolo, condizionandone la qualità in virtù delle esigenze del soprasuolo forestale. Si è scelta la zona sud di Pineta San Vitale come area campione per monitorarne mensilmente, su quattro siti rappresentativi, le principali caratteristiche chimico-fisiche dei suoli e delle acque di falda, onde evidenziare possibili correlazioni. Le principali determinazioni svolte sia nel suolo in pasta satura che nelle acque di falda hanno riguardato CE, Ca2+, Mg2+, K+, Na+, Cl-, SO4 2-, HCO3 - e SAR (Sodium Adsorption Ratio). Per ogni sito indagato sono emersi andamenti diversi dei vari parametri lungo i profili, correlabili in diversa misura tra di loro. Si sono osservati forti trend di aumento di CE e degli ioni solubili verso gli orizzonti profondi in profili con acqua di falda più salina (19 – 28 dS.m-1) e profonda (1 – 1.6 m dalla superficie), mentre molto significativi sono apparsi gli accumuli di sali in superficie nei mesi estivi (CE in pasta satura da 17.6 a 28.2 dS.m-1) nei profili con falda a meno di 50 cm dalla superficie. Si è messo successivamente in relazione la CE nel suolo con diversi parametri ambientali più facilmente monitorabili quali profondità e CE di falda, temperatura e precipitazioni, onde trovarne una relazione statistica. Dai dati di tre dei quattro siti monitorati è stato possibile definire tali relazioni con equazioni di regressione lineare a più variabili. Si è cercato poi di estendere l’estrapolabilità della CE del suolo per tutte le altre casistiche possibili di Pineta San Vitale mediante la formulazione di un modello empirico. I dati relativi alla CE nel suolo sia reali che estrapolati dal modello, sono stati messi in relazione con le esigenze di alcune specie forestali presenti nelle zone di studio e con diverso grado di tolleranza alla salinità ed al livello di umidità nel suolo. Da tali confronti è emerso che per alcune specie moderatamente tolleranti la salinità (Pinus pinea, Pinus pinaster e Juniperus communis) le condizioni critiche allo sviluppo e alla sopravvivenza sono da ricondursi, per la maggior parte dei casi, alla falda non abbastanza profonda e non tanto alla salinità che essa trasmette sull’intero profilo del suolo. Per altre specie quali Quercus robur, Populus alba, Fraxinus oxycarpa e Ulmus minor moderatamente sensibili alla salinità, ma abituate a vivere in suoli più umidi, la salinità di una falda troppo prossima alla superficie può ripercuotersi su tutto il profilo e generare condizioni critiche di sviluppo. Nei suoli di Pineta San Vitale sono stati inoltre studiati gli aspetti relativi all’inquinamento da accumulo di alcuni microtossici nei suoli quali Ag, Cd, Ni e Pb. In alcuni punti di rilievo sono stati osservati moderati fattori di arricchimento superficiale per Pb e Cd riconducibili all’attività antropica, mentre le aliquote biodisponibili risultano maggiori in superficie, ma all’interno dei valori medi dei suoli italiani. Lo studio svolto ha permesso di meglio conoscere gli impatti sul suolo, causati dalle principali pressioni esistenti, in un contesto dinamico. In particolare, si è constatato come i suoli delle zone studiate abbiano un effetto tampone piuttosto ridotto sulla mitigazione degli effetti indotti dalle pressioni esterne prese in esame (salinizzazione, sodicizzazione e innalzamento della falda freatica). Questo è dovuto principalmente alla ridotta presenza di scambiatori sulla matrice solida atti a mantenere un equilibrio dinamico con le frazioni solubili. Infine le variabili ambientali considerate sono state inserite in un modello concettuale DPSIR (Driving forces, Pressures, States, Impacts, Responces) dove sono stati prospettati, in via qualitativa, alcuni scenari in funzione di possibili risposte gestionali verosimilmente attuabili, al fine di modificare le pressioni che insistono sul sistema suolo-vegetazione delle pinete ravennati.

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La tesi di dottorato focalizza su quei fenomeni nei quali è particolarmente visibile una diffusa propensione all’assunzione di responsabilità nei confronti del significato e delle conseguenze del proprio agire di mercato. La tesi esamina le implicazioni connesse ad una nuova etica del consumo sia dal punto di vista del consumatore sia da quello dell’impresa, in particolare indaga l’atteggiamento di consumatori e produttori rispetto a pratiche di responsabilità sociale di impresa. Nel primo capitolo “Dimensioni di un consumo in evoluzione” le griglie concettuali interpretative del fenomeno del consumo vengono distinte da quelle peculiari del sistema produttivo, arrivando all’individuazione di strumenti che svelano le logiche proprie del fenomeno indagato. In questo scenario la società complessa corrisponde alla società dei consumi e il consumo diventa area esperienziale, capace anche di creare senso, orizzonti valoriali e di assumere valenze interattive e simboliche. Nel secondo capitolo “Il cittadino consumatore” è stato rappresentato il variegato mondo del consumatore, quel cittadino che si esprime politicamente non solo con il voto ma anche attraverso le proprie pratiche di consumo che veicolano scelte, ideali, valori. Sono rappresentati i tanti volti del consumatore “responsabile”, “critico” ed “etico”, attraverso lo studio del commercio equo e solidale, i Gas, la finanza etica, tutti significativi segnali di mutamento con cui governi e imprese sono chiamati a confrontarsi. Vengono prese in esame ricerche nazionali e internazionali per meglio comprendere quanto e con quali modalità sono diffuse, nella popolazione, pratiche di consumo responsabile rispetto a ben identificate pratiche di Rsi. Nel terzo capitolo “La Responsabilità Sociale d’Impresa” si approfondisce il concetto di responsabilità sociale di impresa: sono illustrate le evoluzioni che questa prassi ha subito nel corso della storia, le sue differenti declinazioni attuali, gli elementi che la distinguono, i suoi strumenti. Nel quarto capitolo “La responsabilità sociale di impresa e la grande distribuzione” vengono analizzate le relazioni esistenti tra la grande distribuzione (Coop e Conad) e la Rsi, considerando anche il ruolo della grande distribuzione, nella metropoli, nelle scelte di consumo. Nello specifico si vogliono comprendere le strategie aziendali, la struttura organizzativa, i servizi, i prodotti “etici” distribuiti e la loro relazione con il consumatore. Il quinto capitolo “La ricerca” contiene la ricerca empirica, 60 interviste in profondità somministrate a consumatori di Coop e Conad e a elementi rappresentativi (dirigenti) delle aziende in questione; l’elaborazione dei dati avviene con l’analisi di contenuto attraverso la costruzione di frasi chiave. Le conclusioni finali a cui perveniamo cercano di fare luce sul mondo del consumo e su quello dell’impresa nel momento in cui si confrontano con la responsabilità del proprio agire. Emergono diversi elementi per sostenere che la cultura della responsabilità assume un peso tutt’altro che marginale nelle strategie di azione delle imprese e nell’analisi del comportamento dei consumatori. Il sistema impresa assume la responsabilità come elemento qualificante la propria politica industriale, legandolo alla sostenibilità, alla reputazione, al rapporto fiduciario con il cliente. Analizzando il ruolo dei cittadini consumatori nello spazio di riferimento, nell’impegno e nel tentativo di decidere, attraverso determinati consumi, il modo di vivere il proprio territorio, abbiamo forse compreso qualcosa in più. Si veicola attraverso le scelte di consumo un’idea di vivere la città per cui è imprescindibile la qualità della vita, perseguita anche attraverso l’approvazione o, di converso, il disconoscimento delle imprese e dei rispettivi prodotti. Nell’analisi dell’atteggiamento partecipativo del cittadino verso la propria sfera pubblica possiamo sostenere che la dimensione del consumo tracima di gran lunga il mercato prefigurando un differente modello di società.