842 resultados para 390109 Civil Law
Resumo:
E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta. Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa, efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva. Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della ricerca della forma di mercato più “efficiente”. Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime di concorrenza perfetta. Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il criterio della rule of reason. Capitolo 2 Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri. Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al criterio di efficacia). Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti. Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di Impatto della Regolazione Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale, quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza, Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello sviluppatosi nella cultura cinese. Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì, più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione. Capitolo 3 Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia. L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d. teorie “Post-Chicago”. Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics. Capitolo 4 Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito sull’applicazione del criterio di efficienza. Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione. Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi, contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea. Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato rilevante. Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3). Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto, prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente Regolamento 4064/89. Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese, suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3). Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti. Capitolo 5 L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile. Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in termini di sistema giuridico, nel quale esse operano. Capitolo 6 Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le è stato affidato dall’ordinamento. In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al potere esecutivo né a quello giurisdizionale. Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico. Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea, istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del criterio di efficienza. Capitolo 7 Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza. A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle analisi empiriche svolte dalla letteratura. 6 Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni. Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli utilizzati dagli organi comunitari. Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete. Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della rule of law sulla rule of reason. Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue. Capitolo 8 Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore. La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta, d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico. Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti, suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato fenomeno del trasporto multimodale. Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto; il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di un sistema. Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente, tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo di un network ben più ampio Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale. Capitolo 9. Conclusioni L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza. Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria, non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua legittimazione, che in questa sede non affrontiamo. Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al diritto antitrust. Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze, nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche. Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e giuridico), essendo esse nodi e non reti. E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza. Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai singoli mercati nazionali. Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà, sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli. Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.
Resumo:
La ricerca oggetto della tesi dottorale ha riguardato l’analisi della problematica relativa ai cambiamenti provocati dalla diversificazione delle attività aziendali bancarie nell'ottica tributaria. Si è individuato nella composizione del reddito imponibile il fulcro centrale del lavoro. Data la grande importanza del mercato finanziario la presente ricerca si è proposta una valutazione dell’attività bancaria tradizionale, facendo un’analisi della relativa fiscalità. In particolare si è cercato di evidenziare il momento in cui la banca è diventata un’azienda molto più complessa e moderna di quella che era originariamente. Tale cambiamento ha così richiesto un corrispondente sviluppo della tecnica giuridica tributaria di riferimento. Si sono altresì analizzate le fasi della implementazione e dello sviluppo nell’ordinamento tributario italiano ed europeo (analizzando così le difficoltà di adattamento per i modelli di Civil Law e Common Law) dell'armonizzazione giuridico/contabile europea e dell’adozione dei principi IAS/IFRS. A tal fine si sono ripercorse le fasi anteriori all’adozione dei menzionati principi e la loro evoluzione e, nel farlo, si sono fissati i punti ove sembra sia necessario un ripensamento da parte del legislatore comunitario. Il tutto è stato sviluppato senza trascurare la giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia europea, in modo tale da tentare di individuare le soluzioni alle nuove sfide che il diritto tributario comunitario si trova a fronteggiare.
Resumo:
La materia della responsabilità medico-sanitaria è stata interessata nell’ultimo decennio da significative innovazioni, innescate da diversi fattori, quali gli eccezionali progressi scientifici e tecnologici, l’influenza dei diritti stranieri e, in particolare, quello di fonte comunitaria. Tale fenomeno trascende il rapporto diretto medico-paziente e coinvolge la struttura sanitaria e la dimensione organizzativa della stessa. Sintomatica di tali innovazioni è la profonda evoluzione terminologica. Attualmente, infatti, si fa riferimento alla responsabilità medica o medico-sanitaria e non più alla responsabilità del medico, in quanto non può trascurarsi l’indispensabile apporto del personale infermieristico, delle ostetriche, degli assistenti sanitari e dei tecnici delle diverse branche della medicina. Si assiste, pertanto, ad un fenomeno di «spersonalizzazione» ed aggravamento della complessità dell’attività sanitaria: al trattamento propriamente diagnostico e terapeutico, si affiancano altre attività, di tipo informativo, alberghiero, assistenziale, così come nuove tipologie di trattamenti, quali la chirurgia estetica e ricostruttiva, il potenziamento fisico e muscolare, la sterilizzazione, la modificazione dei caratteri sessuali esterni. Ultimamente, poi, l’attenzione si è spostata sul destinatario dell’attività medica e, in particolar modo, sul consenso informato ai trattamenti sanitari e, soprattutto, alle modalità in cui lo stesso viene prestato. Al contempo, sono emersi aspetti di diritto costituzionale, attinenti alla tutela della persona, dei dati personali e sensibili, al diritto alla salute, concepito come diritto dell’essere umano in quanto tale, a prescindere dal requisito della cittadinanza, di diritto amministrativo, riguardanti l’organizzazione delle strutture sanitarie, di diritto penale e di deontologia professionale. All’incedere dei progressi scientifici e tecnologici raggiunti, tuttavia, corrisponde l’accanito desiderio di rivalsa in caso di fallimento delle cure e dei trattamenti o di esiti nefasti degli stessi, la quale ha condotto ad una sensibile accentuazione dei giudizi di responsabilità in campo medico. Basti pensare che, nell’ultimo decennio, i processi civili sono addirittura triplicati per il concatenarsi di molteplici concause: l’aumento delle patologie curate, l’evoluzione qualitativa dei mezzi di cura, la sensibilizzazione delle associazioni a difesa dei diritti del malato, l’allungamento della vita media dell’uomo, la pressione dei mass-media, la maggior consapevolezza dei propri diritti da parte del cittadino, la stessa evoluzione della responsabilità civile e delle sue funzioni. Ciò ha comportato, tra l’altro, un certo grado di uniformità nella disciplina applicabile agli illeciti, a prescindere dal titolo contrattuale o extracontrattuale della responsabilità.
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Le profonde trasformazioni che hanno interessato l’industria alimentare, unitamente alle accresciute capacità delle scienze mediche ed epidemiologiche di individuare nessi causali tra il consumo di determinate sostanze e l’insorgere di patologie, hanno imposto al legislatore di intervenire nella materia della c.d. sicurezza alimentare mettendo in atto sistemi articolati e complessi tesi a tutelare la salute dei consociati. Quest’ultimo obiettivo viene perseguito, da un lato, mediante disposizioni di natura pubblicistica e di carattere preventivo e, dall’altro lato, dallo strumento della responsabilità civile. Le due prospettive di tutela della salute delle persone costituiscono parti distinte ma al tempo stesso fortemente integrate in una logica unitaria. Questa prospettiva emerge chiaramente nel sistema statunitense: in quel ordinamento la disciplina pubblicistica della sicurezza degli alimenti – definita dalla Food and Drug Administration – costituisce un punto di riferimento imprescindibile anche quando si tratta di stabilire se un prodotto alimentare è difettoso e se, di conseguenza, il produttore è chiamato a risarcire i danni che scaturiscono dal suo utilizzo. L’efficace sinergia che si instaura tra la dimensione pubblicistica del c.d. Public Enforcement e quella risarcitoria (Private Enforcement) viene ulteriormente valorizzata dalla presenza di efficaci strumenti di tutela collettiva tra i quali la class action assume una importanza fondamentale. Proprio muovendo dall’analisi del sistema statunitense, l’indagine si appunta in un primo momento sull’individuazione delle lacune e delle criticità che caratterizzano il sistema nazionale e, più in generale quello comunitario. In un secondo momento l’attenzione si focalizza sull’individuazione di soluzioni interpretative e de iure condendo che, anche ispirandosi agli strumenti di tutela propri del diritto statunitense, contribuiscano a rendere maggiormente efficace la sinergia tra regole preventive sulla sicurezza alimentare e regole risarcitorie in materia di responsabilità del produttore.
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Il contributo di questo scritto è stato quello di delineare attraverso l’esame comparatistico del principio dell'affidamento quel particolare fil rouge che differenzia e che unisce, gli ordinamenti di common law e di civil law nell’approcciarsi a questo principio. In questo studio lo sviluppo del principio dell’affidamento nel diritto inglese,l’influenza della Corte di Giustizia, ed recepimento da parte dei giudici di common law di quei principi di armonizzazione indicati dalla Corte di Giustizia che ha estremamente modificato e razionalizzato il contenzioso inglese e quello italiano. Questa ricerca si propone di valutare in chiave comparatistica le possibili lesioni che possono aver tratto il contribuente in inganno attraverso comportamenti difformi dalla P.A. Rispetto a quanto promesso ed i possibili effetti risarcitori che potrebbero dare luogo nei confronti della Pubblica Amministrazione fiscale.
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La ricerca conduce un’indagine sull’azione di classe, introdotta nell’ordinamento italiano in epoca recente e foriera di numerose incertezze ed ambiguità interpretative, con riferimento sia allo specifico contenuto delle singole disposizioni normative che si sono alternate nel corso del tempo (determinate, sovente, dalla necessità di elidere le- di volta in volta riscontrate- anomalie e contraddizioni del tessuto normativo), sia alle possibili incongruenze tra taluni profili della disciplina oggi prevista dall’art. 140-bis del Codice del consumo e taluni principi generali dell’ordinamento, anche in materia di risarcimento del danno. Viene esaminato, anzitutto, il tema della legittimazione ad agire e del rapporto tra consumatore e l’ente rappresentativo cui questi, eventualmente, si rivolga, tentando la riconduzione di tale relazione alle ordinarie categorie privatistiche. Parimenti, è in termini di qualificazione secondo le tradizionali categorie del diritto civile che si tenta di apprezzare la natura dell’atto di adesione del soggetto che si vanti detentore di un diritto omogeneo a quello della classe cui pretende di appartenere. Vengono, quindi, esaminate le condizioni di ammissibilità dell’azione di classe e le caratteristiche peculiari della fase preliminare del giudizio di ammissibilità dell’azione. La ricerca indaga, quindi, la natura ed i possibili contenuti della sentenza che definisce il processo di classe, e conduce, nell’ultimo capitolo, una disamina relativa alle situazioni giuridiche tutelate.
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In the last decades, medical malpractice has been framed as one of the most critical issues for healthcare providers and health policy, holding a central role on both the policy agenda and public debate. The Law and Economics literature has devoted much attention to medical malpractice and to the investigation of the impact of malpractice reforms. Nonetheless, some reforms have been much less empirically studied as in the case of schedules, and their effects remain highly debated. The present work seeks to contribute to the study of medical malpractice and of schedules of noneconomic damages in a civil law country with a public national health system, using Italy as case study. Besides considering schedules and exploiting a quasi-experimental setting, the novelty of our contribution consists in the inclusion of the performance of the judiciary (measured as courts’ civil backlog) in the empirical analysis. The empirical analysis is twofold. First, it investigates how limiting compensations for pain and suffering through schedules impacts on the malpractice insurance market in terms of presence of private insurers and of premiums applied. Second, it examines whether, and to what extent, healthcare providers react to the implementation of this policy in terms of both levels and composition of the medical treatments offered. Our findings show that the introduction of schedules increases the presence of insurers only in inefficient courts, while it does not produce significant effects on paid premiums. Judicial inefficiency is attractive to insurers for average values of schedules penetration of the market, with an increasing positive impact of inefficiency as the territorial coverage of schedules increases. Moreover, the implementation of schedules tends to reduce the use of defensive practices on the part of clinicians, but the magnitude of this impact is ultimately determined by the actual degree of backlog of the court implementing schedules.
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L’ordinamento giuridico cinese contemporaneo si è, recentemente, impegnato in una riforma che ha interessato le norme vigenti in materia di registrazione immobiliare con l’intento di realizzare un sistema unitario dell’istituto. Dal momento che la modernizzazione del diritto civile cinese è iniziata - a partire dalla fine del XIX secolo – tramite il recepimento del diritto civile occidentale, la disamina delle esperienze europee in materia di pubblicità immobiliare assume una notevole importanza, al fine di esaminare le norme vigenti in Cina e i cambiamenti scaturenti dalla riforma. Pertanto, l’obiettivo della mia ricerca è stato quello di avanzare una tesi che possa rivelarsi quale strumento utile per la riforma in Cina, attraverso uno studio comparato dei modelli europei in materia di registrazione immobiliare. A tal fine, il lavoro è stato suddiviso in due parti: nella prima si è presentata un’analisi dettagliata del diritto di proprietà, del dualismo delle proprietà fondiarie e relative problematiche, del sistema dei diritti reali costituito dalla Legge sui diritti reali del 2007, da cui è partita la riforma dell’istituto della registrazione immobiliare. Un approfondimento particolare è dedicato al pluralismo dei regimi di registrazione immobiliare vigenti nel diritto cinese contemporaneo e all’introduzione dei cambiamenti apportati dal nuovo regolamento del 2015. Nella seconda parte dell’elaborato, attraverso lo studio comparato dei diversi modelli Europei (Francese, Tedesco e Inglese), si è tentato di illustrare le esperienze europee in materia di pubblicità immobiliare maturate nei tre temi maggiormente rappresentativi e concreti, quali la tutela degli interessi privatistici, l’autenticità dei titoli e il ruolo del notaio, la procedura della pubblicità immobiliare, al fine di individuare una via percorribile per il perfezionamento del sistema unitario della registrazione nell’ordinamento cinese. Nelle conclusioni, infine, sono state inserite anche alcune riflessioni circa l’importanza dello studio del diritto comparato per l’esperienza Cinese.
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Il presente lavoro mira a una ricostruzione della condizione giuridica del fondo comune di investimento, definito come “patrimonio autonomo e distinto”, su cui il legislatore non ha preso alcuna posizione espressa sul piano della titolarità, lasciando all’interprete il relativo (e tormentato) compito. A tal fine, l’esame critico della disciplina, alla luce di ulteriori forme di separazione patrimoniale rinvenibili nell’ordinamento giuridico, richiede un approccio metodologico teso sì a una ricostruzione in retrospettiva della questione ma anche a una sua analisi sistematica. La prima parte prende avvio dall’analisi della disciplina dei fondi comuni di investimento e della gestione collettiva del risparmio, ripercorrendo i tratti salienti della normativa al fine di acclararne la ratio. Rifuggendo da una redazione meramente compilativa, tale analisi risulta necessaria ai fini dell’esame degli aspetti problematici concernenti la natura giuridica dei fondi comuni di investimento, che non può essere avulso dal relativo contesto normativo. La seconda parte è dedicata al tema della qualificazione giuridica del fondo e della relativa titolarità alla luce della risalente dottrina, dell’evoluzione normativa e della giurisprudenza pronunciatasi sul punto. Sotto questo profilo, la prospettiva di indagine mira ad approfondire alcuni degli spunti emergenti dalle riflessioni teoriche concernenti la natura e la titolarità del fondo, avendo riguardo non solo alla classiche categorie civilistiche ma anche alla reale essenza della struttura e della disciplina dei fondi comuni di investimento e alle specifiche finalità di tutela degli interessi degli investitori perseguite dalla disciplina. Seguendo questo percorso, l’ultima parte volge uno sguardo doveroso alle tematiche concernenti le funzioni della separazione dei patrimoni nell'ambito dei mercati finanziari e del diritto positivo, senza pretermettere le categorie civilistiche, di diritto interno e di diritto straniero, sottese alle fattispecie considerate.
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Theoretical studies of the problems of the securities markets in the Russian Federation incline to one or other of the two traditional approaches. The first consists of comparing the definition of "valuable paper" set forth in the current legislation of the Russian Federation, with the theoretical model of "Wertpapiere" elaborated by German scholars more than 90 years ago. The problem with this approach is, in Mr. Pentsov's opinion, that any new features of the definition of "security" that do not coincide with the theoretical model of "Wertpapiere" (such as valuable papers existing in non-material, electronic form) are claimed to be incorrect and removed from the current legislation of the Russian Federation. The second approach works on the basis of the differentiation between the Common Law concept of "security" and the Civil Law concept of "valuable paper". Mr. Pentsov's research, presented in an article written in English, uses both methodological tools and involves, firstly, a historical study of the origin and development of certain legal phenomena (securities) as they evolved in different countries, and secondly, a comparative, synchronic study of equivalent legal phenomena as they exist in different countries today. Employing the first method, Mr. Pentsov divided the historical development of the conception of "valuable paper" in Russia into five major stages. He found that, despite the existence of a relatively wide circulation of valuable papers, especially in the second half of the 19th century, Russian legislation before 1917 (the first stage) did not have a unified definition of valuable paper. The term was used, in both theoretical studies and legislation, but it covered a broad range of financial instruments such as stocks, bonds, government bonds, promissory notes, bills of exchange, etc. During the second stage, also, the legislation of the USSR did not have a unified definition of "valuable paper". After the end of the "new economic policy" (1922 - 1930) the stock exchanges and the securities markets in the USSR, with a very few exceptions, were abolished. And thus during the third stage (up to 1985), the use of valuable papers in practice was reduced to foreign economic relations (bills of exchange, stocks in enterprises outside the USSR) and to state bonds. Not surprisingly, there was still no unified definition of "valuable paper". After the beginning of Gorbachev's perestroika, a securities market began to re-appear in the USSR. However, the successful development of securities markets in the USSR was retarded by the absence of an appropriate regulatory framework. The first effort to improve the situation was the adoption of the Regulations on Valuable Papers, approved by resolution No. 590 of the Council of Ministers of the USSR, dated June 19, 1990. Section 1 of the Regulation contained the first statutory definition of "valuable paper" in the history of Russia. At the very beginning of the period of transition to a market economy, a number of acts contained different definitions of "valuable paper". This diversity clearly undermined the stability of the Russian securities market and did not achieve the goal of protecting the investor. The lack of unified criteria for the consideration of such non-standard financial instruments as "valuable papers" significantly contributed to the appearance of numerous fraudulent "pyramid" schemes that were outside of the regulatory scheme of Russia legislation. The situation was substantially improved by the adoption of the new Civil Code of the Russian Federation. According to Section 1 of Article 142 of the Civil Code, a valuable paper is a document that confirms, in compliance with an established form and mandatory requisites, certain material rights whose realisation or transfer are possible only in the process of its presentation. Finally, the recent Federal law No. 39 - FZ "On the Valuable Papers Market", dated April 22 1996, has also introduced the term "emission valuable papers". According to Article 2 of this Law, an "emission valuable paper" is any valuable paper, including non-documentary, that simultaneously has the following features: it fixes the composition of material and non-material rights that are subject to confirmation, cession and unconditional realisation in compliance with the form and procedure established by this federal law; it is placed by issues; and it has equal amount and time of realisation of rights within the same issue regardless of when the valuable paper was purchased. Thus the introduction of the conception of "emission valuable paper" became the starting point in the Russian federation's legislation for the differentiation between the legal regimes of "commercial papers" and "investment papers" similar to the Common Law approach. Moving now to the synchronic, comparative method of research, Mr. Pentsov notes that there are currently three major conceptions of "security" and, correspondingly, three approaches to its legal definition: the Common Law concept, the continental law concept, and the concept employed by Japanese Law. Mr. Pentsov proceeds to analyse the differences and similarities of all three, concluding that though the concept of "security" in the Common Law system substantially differs from that of "valuable paper" in the Continental Law system, nevertheless the two concepts are developing in similar directions. He predicts that in the foreseeable future the existing differences between these two concepts will become less and less significant. On the basis of his research, Mr. Pentsov arrived at the conclusion that the concept of "security" (and its equivalents) is not a static one. On the contrary, it is in the process of permanent evolution that reflects the introduction of new financial instruments onto the capital markets. He believes that the scope of the statutory definition of "security" plays an extremely important role in the protection of investors. While passing the Securities Act of 1933, the United States Congress determined that the best way to achieve the goal of protecting investors was to define the term "security" in sufficiently broad and general terms so as to include within the definition the many types of instruments that in the commercial world fall within the ordinary concept of "security' and to cover the countless and various devices used by those who seek to use the money of others on the promise of profits. On the other hand, the very limited scope of the current definition of "emission valuable paper" in the Federal Law of the Russian Federation entitled "On the Valuable Papers Market" does not allow the anti-fraud provisions of this law to be implemented in an efficient way. Consequently, there is no basis for the protection of investors. Mr. Pentsov proposes amendments which he believes would enable the Russian markets to become more efficient and attractive for both foreign and domestic investors.
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The author examines whether and by which means the decisions handed down by the State judge giving his support to the arbitral proceeding (juge d'appui) may be appealed. Every relevant Article in the PILA (Private International Law Act) is addressed and analyzed in this regard (Art. 179(2) and (3), Art. 180(3), Art. 183(2), Art. 184(3) and Art. 185) by reference to the present legal doctrine and case law. Concerning the stages of appeal, the view is held that by direct or analogous application of Art. 356(2) CPC (Civil Procedure Code) the juge d'appui has jurisdiction as the sole instance of the Canton to render decisions in support of the arbitral tribunal. On the federal level however, the parties shall have the right to appeal against these decisions by filing a civil law appeal before the Swiss Federal Supreme Court, with the exception of most decisions given by juge d'appui within the meaning of Art. 180(3) PILA. As to this federal appeal, it is established that the case law of the Swiss Federal Supreme Court under the FTA (Act on the Federal Tribunal) indicates the Court's inclination to qualify both negative and positive decisions issued by the juge d'appui as final decisions in terms of Art. 90 FTA. In reference to the upcoming revision of the PILA's 12th Chapter the author concludes that the legislator might implement some clarifications in the current legal framework. It seems particularly advisable to ensure that all relevant Articles in the PILA regarding decisions of the juge d'appui explicitly reference to Art. 356(2) CPC. Moreover, the author is of the opinion that it would also be expedient to specify the
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El litoral ha constituido a lo largo de la historia una importante fuente de recursos económicos además de un punto estratégico para la defensa del territorio. El comercio, la pesca o la industria de la sal han propiciado la formación de poblaciones y ciudades al borde del mar. La costa funcionó como un ámbito defensivo, peligroso e insalubre durante siglos donde el mar modulaba el frente costero sin grandes interacciones con un entorno prácticamente deshabitado. A mediados del siglo XIX, las innovaciones técnicas y la pacificación definitiva del Mediterráneo permiten poner en valor sus características naturales y de oportunidad. Sin perder del todo su valor defensivo, el litoral resurge como recurso productivo y como lugar de ocio y disfrute de la población. El valor estratégico de la costa quedará también reflejado en el marco normativo. El derecho civil moderno recuperará el concepto de Dominio público Marítimo Terrestre a través de la Ley de Aguas de 1866 que regulará también los usos y las limitaciones en la propiedad privada litoral. Desde ese momento, las transformaciones económicas, sociales, jurídicas y ambientales van a provocar un cambio significativo en la relación entre la sociedad y la costa que dará paso a la construcción del espacio litoral que hemos heredado. Desde la triple perspectiva del litoral como sistema físico ambiental, sistema económico, productivo y cultural, y sistema administrativo y legal, el principal objetivo de la tesis será reconstruir el proceso de transformación del litoral consecuencia de la evolución en la forma de producción del espacio, de área defensiva a recurso productivo, y desde mediados del siglo XIX hasta principios del siglo XXI. Sin embargo, la construcción del litoral no ha sido homogénea ni constante a lo largo del tiempo. Ha estado sujeta a los distintos vaivenes económicos y sociales pero también a los cambios en el modelo territorial definido por el marco legal vigente, así como a los reajustes del propio sistema físico. Como instrumento sociopolítico, el marco legal regula las presiones del sistema económico sobre el medio, apostando por una visión frente a otra, y posibilitando el grado de transformación final. Así, el conocimiento sobre el territorio en el que se interviene y la definición del modelo de litoral por parte de los poderes públicos irán configurando el espacio físico, económico y social desarrollado en la costa. Para la reconstrucción del proceso de construcción del litoral, la tesis define cuatro fases diferentes y aplica las hipótesis y la metodología a la costa de Cartagena. Se presenta gráficamente la evolución en los tres sistemas en cada una de las fases, y se recompone el relato histórico a través de los hitos más relevantes para el proceso. En cada una de las fases, el nuevo modelo intentará dar respuesta a todo aquello que no funcionó o se quedó a medias en el periodo anterior. Las crisis económicas provocan la ralentización de la actividad productiva y, consecuentemente, de las transformaciones en el territorio. Servirán para establecer, en principio, un cambio de paradigma en la lectura y gestión del litoral que acabará traduciéndose en un nuevo texto legislativo en materia de costas (1969, 1988 y 2013). La reforma de la normativa responde a una nueva forma de entender, ordenar, gestionar e intervenir en el territorio, donde se modulan las pautas pero también la intensidad en la intervención. Pero nace condicionada por el litoral heredado: los derechos generados durante la vigencia del marco legal anterior; el modelo económico y sus presiones y expectativas sobre el litoral; y el medio físico en el que se acumulan los procesos de degradación no resueltos y los nuevos riesgos. Así, las conclusiones de la tesis ponen de manifiesto la necesidad de una visión compleja e integral sobre el litoral, en la que el urbanismo y la ordenación del territorio serán fundamentales para afrontar los nuevos retos en su construcción a futuro. ABSTRACT The littoral has been throughout history an important source of economic resources and a strategic point for the defense of territory. Trade, fishing or salt industry have led to the formation of towns and cities on the edge of the sea. The coast served as a defensive, dangerous and unhealthy place where the sea modulated for centuries the waterfront without major interactions with a virtually uninhabited environment. In the mid-nineteenth century, technical innovations and the final pacification of the Mediterranean allowed to value its natural features and opportunities. Without entirely losing its defensive value, the coast emerges as a productive resource and as a place of leisure and enjoyment of people. The strategic value of the coast will also be reflected in the legal framework. The concept of maritime-terrestrial public domain will be recovered by the modern civil law and the law of waters of 1866 governs the uses and limitations of private ownership of the coast. Since then, the economic, social, legal and environmental changes will to cause a significant change in the relationship between society and the coast that will give way to the construction of littoral space inherited. From the triple perspective of the littoral as a physical environmental system, an economic, productive and cultural system, and an administrative and legal system, the main objective of the thesis is to rebuild its process of transformation, as a result of the evolution in the way that space is produced, from defensive zone to productive resource, and from the middle of the nineteenth century until the beginning of the twenty-first century. However, the construction of the coast has not been uniform nor constant over time. It has been subject to different economic and social fluctuations and also to changes in the territorial model defined by the legal framework in force, as well as to readjustments of the physical system itself. As socio-political instrument, the legal framework regulates the pressure of the economic system on the environment, it bets on a vision over another and facilitates the final degree of transformation. Thus, the knowledge on the territory that is being intervened and the definition of the model of shoreline by public authorities will configure the physical, economic and social space developed on the coast. For the reconstruction of the littoral building process, the thesis defines four different phases and applies the hypothesis and methodology to the coast of Cartagena. It introduces graphically the evolution of the three systems in each of the phases and it recomposes the historical account through of the most important milestones for the process. In each phase, the new model will attempt to answer everything that did not work or was half in the previous period. Economic crises cause a slowdown in productive activity and, consequently, in the changes of territory. They serve to establish, in principle, a paradigm shift for reading and managing the littoral, eventually resulting in new legal texts on coasts matter (1969, 1988 and 2013). The reform of legislation responds to a new way for understanding, arranging, managing and intervening on the territory, where the guidelines and also the intervention intensity are modulated. But it is born conditioned by the inherited coast: the rights generated under previous legal framework; the economic model and its pressures and expectations on the littoral; and the physical environment which accumulates degradation processes unresolved and new risks. Thus, the thesis conclusions highlight the need for a complex and comprehensive view on the littoral, where urban planning and land-use planning will be key to meet the future challenges in its construction.
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Essa dissertação abordou os conflitos que ocorreram no espaço geográfico denominado Norte Pioneiro . A imagem do Bom Jesus, de propriedade da família Pinto, foi expropriada pelo vigário da paróquia do Distrito de Salto do Itararé, padre Alfredo Simon, que reuniu cerca de vinte homens aramados para capturar esse santo. Nesse conflito religioso que ocorreu no dia 26/4/1933 duas pessoas foram mortas: o comerciante do Arraial dos Pintos, João Moreira, e o herdeiro do Bom Jesus, José Pinto de Oliveira. Esse último veio a falecer meses depois do conflito. Ao redor dessa imagem foi sendo criada uma história oficial e vigiada pelos donos do poder simbólico, mantenedora da ordem e da tradição. No entanto, a história do Bom Jesus foi compreendida numa concepção mais ampla, pois na esfera religiosa ocorria um fenômeno denominado de romanização. A Igreja Católica seguia o Código de Direito Canônico de 1917, não reconhecendo o Código de Direito Civil do Estado Nacional Brasileiro. Na esfera política, o governo paranaense colocou em prática o sistema de terras devolutas. No setor dos transportes, a estrada de ferro RVPRSC (Rede Viária Paraná Santa Catarina) já se encontrava na região desde 1919. E nesse ínterim, as novas relações sócio-culturais e econômicas foram introduzidas no campo, isto é, o capitalismo agrário.(AU)
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Essa dissertação abordou os conflitos que ocorreram no espaço geográfico denominado Norte Pioneiro . A imagem do Bom Jesus, de propriedade da família Pinto, foi expropriada pelo vigário da paróquia do Distrito de Salto do Itararé, padre Alfredo Simon, que reuniu cerca de vinte homens aramados para capturar esse santo. Nesse conflito religioso que ocorreu no dia 26/4/1933 duas pessoas foram mortas: o comerciante do Arraial dos Pintos, João Moreira, e o herdeiro do Bom Jesus, José Pinto de Oliveira. Esse último veio a falecer meses depois do conflito. Ao redor dessa imagem foi sendo criada uma história oficial e vigiada pelos donos do poder simbólico, mantenedora da ordem e da tradição. No entanto, a história do Bom Jesus foi compreendida numa concepção mais ampla, pois na esfera religiosa ocorria um fenômeno denominado de romanização. A Igreja Católica seguia o Código de Direito Canônico de 1917, não reconhecendo o Código de Direito Civil do Estado Nacional Brasileiro. Na esfera política, o governo paranaense colocou em prática o sistema de terras devolutas. No setor dos transportes, a estrada de ferro RVPRSC (Rede Viária Paraná Santa Catarina) já se encontrava na região desde 1919. E nesse ínterim, as novas relações sócio-culturais e econômicas foram introduzidas no campo, isto é, o capitalismo agrário.(AU)
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O objetivo da presente dissertação é analisar os efeitos gerados aos garantidores dos devedores em recuperação judicial, quando aprovado e homologado o Plano de Recuperação Judicial destes, diante do fenômeno da novação previsto no art. 59 da Lei nº 11.101/05. Essa análise será feita a partir de um estudo geral do instituto da novação no direito civil, bem como da disciplina legal das garantias pessoais, principalmente o aval e a fiança. Com base nesta visão cível, serão comparadas as duas posições hoje existentes sobre a matéria no âmbito comercial, tanto na doutrina como na jurisprudência nacionais, com o estudo dos argumentos utilizados por aqueles que defendem a manutenção incólume da obrigação dos terceiros garantidores, independentemente da novação, com a possibilidade dos credores prosseguirem normalmente com sua cobrança, bem como por aqueles que acreditam deva ser extinta a obrigação dos garantidores com a novação. Será apontada uma interpretação alternativa, construída pelo autor, de, em um primeiro momento, ocorrer a extinção da obrigação dos garantidores, enquanto estiver sendo adimplido o Plano de Recuperação pelo devedor principal, e retorno as obrigações originais caso descumprida a proposta aprovada pelos credores. Além dos efeitos decorrentes da lei, será analisada a eficácia da cláusula comumente inserida em Planos de Recuperação, de extinção da obrigação dos garantidores com a concessão da recuperação judicial. Ao final, diante do entendimento apresentado pelo autor sobre os efeitos legais da novação para o garantidor e da eficácia da mencionada cláusula, será proposta uma alteração legislativa, nos moldes do direito argentino, para possibilitar que o terceiro garantidor apresente uma proposta de pagamento conjunta com a devedora principal, encerrando-se a divergência interpretativa hoje existente.