992 resultados para orientamento :: 481 :: Scelta guidata 2 (sistemi e segnali biologici)


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This thesis was aimed at verifying the role of the superior colliculus (SC) in human spatial orienting. To do so, subjects performed two experimental tasks that have been shown to involve SC’s activation in animals, that is a multisensory integration task (Experiment 1 and 2) and a visual target selection task (Experiment 3). To investigate this topic in humans, we took advantage of neurophysiological finding revealing that retinal S-cones do not send projections to the collicular and magnocellular pathway. In the Experiment 1, subjects performed a simple reaction-time task in which they were required to respond as quickly as possible to any sensory stimulus (visual, auditory or bimodal audio-visual). The visual stimulus could be an S-cone stimulus (invisible to the collicular and magnocellular pathway) or a long wavelength stimulus (visible to the SC). Results showed that when using S-cone stimuli, RTs distribution was simply explained by probability summation, indicating that the redundant auditory and visual channels are independent. Conversely, with red long-wavelength stimuli, visible to the SC, the RTs distribution was related to nonlinear neural summation, which constitutes evidence of integration of different sensory information. We also demonstrate that when AV stimuli were presented at fixation, so that the spatial orienting component of the task was reduced, neural summation was possible regardless of stimulus color. Together, these findings provide support for a pivotal role of the SC in mediating multisensory spatial integration in humans, when behavior involves spatial orienting responses. Since previous studies have shown an anatomical asymmetry of fibres projecting to the SC from the hemiretinas, the Experiment 2 was aimed at investigating temporo-nasal asymmetry in multisensory integration. To do so, subjects performed monocularly the same task shown in the Experiment 1. When spatially coincident audio-visual stimuli were visible to the SC (i.e. red stimuli), the RTE depended on a neural coactivation mechanism, suggesting an integration of multisensory information. When using stimuli invisible to the SC (i.e. purple stimuli), the RTE depended only on a simple statistical facilitation effect, in which the two sensory stimuli were processed by independent channels. Finally, we demonstrate that the multisensory integration effect was stronger for stimuli presented to the temporal hemifield than to the nasal hemifield. Taken together, these findings suggested that multisensory stimulation can be differentially effective depending on specific stimulus parameters. The Experiment 3 was aimed at verifying the role of the SC in target selection by using a color-oddity search task, comprising stimuli either visible or invisible to the collicular and magnocellular pathways. Subjects were required to make a saccade toward a target that could be presented alone or with three distractors of another color (either S-cone or long-wavelength). When using S-cone distractors, invisible to the SC, localization errors were similar to those observed in the distractor-free condition. Conversely, with long-wavelength distractors, visible to the SC, saccadic localization error and variability were significantly greater than in either the distractor-free condition or the S-cone distractors condition. Our results clearly indicate that the SC plays a direct role in visual target selection in humans. Overall, our results indicate that the SC plays an important role in mediating spatial orienting responses both when required covert (Experiments 1 and 2) and overt orienting (Experiment 3).

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Fino ad un recente passato, le macchine elettriche di tipo trifase costituivano l’unica soluzione in ambito industriale per la realizzazione di azionamenti di grande potenza. Da quando i motori sono gestiti da convertitori elettronici di potenza si è ottenuto un notevole passo in avanti verso l’innovazione tecnologica. Infatti, negli ultimi decenni, le tecnologie sempre più all’avanguardia e l’aumento dell’utilizzo dell’elettronica, sia in campo civile quanto in quello industriale, hanno contribuito a una riduzione dei costi dei relativi componenti; questa situazione ha permesso di utilizzare tecnologie elaborate che in passato avevano costi elevati e quindi risultavano di scarso interesse commerciale. Nel campo delle macchine elettriche tutto questo ha permesso non solo la realizzazione di azionamenti alimentati e controllati tramite inverter, in grado di garantire prestazioni nettamente migliori di quelle ottenute con i precedenti sistemi di controllo, ma anche l’avvento di una nuova tipologia di macchine con un numero di fasi diverso da quello tradizionale trifase, usualmente impiegato nella generazione e distribuzione dell’energia elettrica. Questo fatto ha destato crescente interesse per lo studio di macchine elettriche multifase. Il campo di studio delle macchine multifase è un settore relativamente nuovo ed in grande fermento, ma è già possibile affermare che le suddette macchine sono in grado di fornire prestazioni migliori di quelle trifase. Un motore con un numero di fasi maggiore di tre presenta numerosi vantaggi: 1. la possibilità di poter dividere la potenza su più fasi, riducendo la taglia in corrente degli interruttori statici dell’inverter; 2. la maggiore affidabilità in caso di guasto di una fase; 3. la possibilità di sfruttare le armoniche di campo magnetico al traferro per ottenere migliori prestazioni in termini di coppia elettromagnetica sviluppata (riduzione dell’ampiezza e incremento della frequenza della pulsazione di coppia); 4. l’opportunità di creare azionamenti elettrici multi-motore, collegando più macchine in serie e comandandole con un unico convertitore di potenza; 5. Maggiori e più efficaci possibilità di utilizzo nelle applicazioni Sensorless. Il presente lavoro di tesi, ha come oggetto lo studio e l’implementazione di una innovativa tecnica di controllo di tipo “sensorless”, da applicare in azionamenti ad orientamento di campo per macchine asincrone eptafase. Nel primo capitolo vengono illustrate le caratteristiche e le equazioni rappresentanti il modello della macchina asincrona eptafase. Nel secondo capitolo si mostrano il banco di prova e le caratteristiche dei vari componenti. Nel terzo capitolo sono rappresentate le tecniche di modulazione applicabili per macchine multifase. Nel quarto capitolo vengono illustrati il modello del sistema implementato in ambiente Simulink ed i risultati delle simulazioni eseguite. Nel quinto capitolo viene presentato il Code Composer Studio, il programma necessario al funzionamento del DSP. Nel sesto capitolo, sono presentati e commentati i risultati delle prove sperimentali.

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Da 25 anni la letteratura scientifica internazionale riporta studi su varie specie di microcrostacei copepodi ciclopoidi dei generi Macrocyclops, Megacyclops e Mesocyclops predatori di larve di 1a e 2a età di culicidi. Si tratta di prove di predazione in laboratorio e in pieno campo, in diverse aree del pianeta nessuna delle quali riguarda l’Italia o il resto d’Europa, contro principalmente Aedes aegypti (L.), Ae. albopictus (Skuse) e altre specie del genere Anopheles e Culex. L’allevamento massale di copepodi ciclopoidi appare praticabile e questo, assieme alle buone prestazioni predatorie, rende tali ausiliari candidati assai interessanti contro le due principali specie di zanzare, Culex pipiens L. e Ae. albpopictus, che nelle aree urbane e periurbane italiane riescono a sfruttare raccolte d’acqua artificiali di volume variabile e a regime idrico periodico o permanente. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di arrivare a selezionare una o più specie di copepodi candidati per la lotta biologica e valutarne la possibilità applicativa nell’ambito dei programmi di controllo delle zanzare nocive dell’ambiente urbano. L’argomento del tutto nuovo per il nostro paese, è stato sviluppato attraverso varie fasi ciascuna delle quali propedeutica a quella successiva. •Indagine faunistica nell’area di pianura e costiera sulle specie di ciclopoidi associate a varie tipologie di raccolte d’acqua naturali e artificiali (fossi, scoline, canali, risaie e pozze temporanee). I campionamenti sono stati condotti con l’obiettivo di ottenere le specie di maggiori dimensioni (≥1 mm) in ristagni con diverse caratteristiche in termini di qualità dell’acqua e complessità biocenotica. •Prove preliminari di predazione in laboratorio con alcune specie rinvenute negli ambienti campionati, nei confronti delle larve di Ae. albopictus e Cx. pipiens. Le prestazioni di predazione sono state testate sottoponendo ai copepodi larve giovani di zanzare provenienti da allevamento e calcolato il numero giornaliero di larve attaccate. •Implementazione di un allevamento pilota della specie valutata più interessante, Macrocyclops albidus (Jurine) (Cyclopoida, Cyclopidae, Eucyclopinae), per i risultati ottenuti in laboratorio in termini di numero di larve predate/giorno e per le caratteristiche biologiche confacenti agli ambienti potenzialmente adatti ai lanci. Questa parte della ricerca è stata guidata dalla finalità di mettere a punto una tecnica di allevamento in scala in modo da disporre di stock di copepodi dalla primavera, nonchè da criteri di economicità nell’impianto e nella sua gestione. •Prove di efficacia in condizioni di semicampo e di campo in raccolte d’acqua normalmente colonizzate dai culicidi in ambito urbano: bidoni per lo stoccaggio di acqua per l’irrigazione degli orti e tombini stradali. In questo caso l’obiettivo principale è stato quello di ottenere dati sull’efficienza del controllo di M. albidus nei confronti della popolazione culicidica selvatica e sulla capacità del copepode di colonizzare stabilmente tali tipologie di focolai larvali. Risultati e conclusioni Indagine faunistica e prove di predazione in laboratorio L’indagine faunistica condotta nell’area costiera ferrarese, in quella ravennate e della pianura bolognese ha portato al rinvenimento di varie specie di ciclopoidi mantenuti in laboratorio per la conduzione delle prove di predazione. Le specie testate sono state: Acanthocyclops robustus (G. O. Sars), Macrocyclops albidus (Jurine), Thermocyclops crassus (Fischer), Megacyclops gigas (Claus). La scelta delle specie da testare è stata basata sulla loro abbondanza e frequenza di ritrovamento nei campionamenti nonché sulle loro dimensioni. Ciascuna prova è stata condotta sottoponendo a un singolo copepode, oppure a gruppi di 3 e di 5 esemplari, 50 larve di 1a età all’interno di contenitori cilindrici in plastica con 40 ml di acqua di acquedotto declorata e una piccola quantità di cibo per le larve di zanzara. Ciascuna combinazione “copepode/i + larve di Ae. albopictus”, è stata replicata 3-4 volte, e confrontata con un testimone (50 larve di Ae. albopictus senza copepodi). A 24 e 48 ore sono state registrate le larve sopravvissute. Soltanto per M. albidus il test di predazione è stato condotto anche verso Cx. pipiens. Messa a punto della tecnica di allevamento La ricerca è proseguita concentrando l’interesse su M. albidus, che oltre ad aver mostrato la capacità di predare a 24 ore quasi 30 larve di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, dalla bibliografia risulta tollerare ampi valori di temperatura, di pH e alte concentrazioni di vari inquinanti. Dalla ricerca bibliografica è risultato che i ciclopoidi sono facilmente allevabili in contenitori di varia dimensione e foggia somministrando agli stadi di preadulto alghe unicellulari (Chlorella, Chilomonas), protozoi ciliati (Paramecium, Euplotes), rotiferi e cladoceri. Ciò presuppone colture e allevamenti in purezza di tali microrganismi mantenuti in parallelo, da utilizzare come inoculo e da aggiungere periodicamente nell’acqua di allevamento dei ciclopoidi. Nel caso di utilizzo di protozoi ciliati, occorre garantirne lo sviluppo che avviene a carico di flora batterica spontanea a sua volta cresciuta su di un substrato organico quale latte, cariossidi bollite di grano o soia, foglie di lattuga, paglia di riso bollita con cibo secco per pesci, lievito di birra. Per evitare il notevole impegno organizzativo e di manodopera nonché il rischio continuo di perdere la purezza della colonia degli organismi da utilizzare come cibo, le prove comparative di allevamento hanno portato ad un protocollo semplice ed sufficientemente efficiente in termini di copepodi ottenibili. Il sistema messo a punto si basa sull’utilizzo di una popolazione mista di ciliati e rotiferi, mantenuti nell'acqua di allevamento dei copepodi mediante la somministrazione periodica di cibo standard e pronto all’uso costituito da cibo secco per gatti. Prova di efficacia in bidoni da 220 l di capacità La predazione è stata studiata nel biennio 2007-2008 in bidoni da 220 l di capacità inoculati una sola volta in aprile 2007 con 100 e 500 esemplari di M. albidus/bidone e disposti all’aperto per la libera ovideposizione della popolazione culicidica selvatica. L’infestazione preimmaginale culicidica veniva campionata ogni due settimane fino ad ottobre, mediante un retino immanicato a maglia fitta e confrontata con quella dei bidoni testimone (senza copepodi). Nel 2007 il tasso di riduzione medio delle infestazioni di Ae. albopictus nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è del 99,90% e del 100,00% rispettivamente alle dosi iniziali di inoculo di 100 e 500 copepodi/bidone; per Cx. pipiens L. tale percentuale media è risultata di 88,69% e di 84,65%. Similmente, nel 2008 si è osservato ad entrambe le dosi iniziali di inoculo una riduzione di Ae. albopictus del 100,00% e di Cx. pipiens del 73,3%. La dose di inoculo di 100 copepodi per contenitore è risultata sufficiente a garantire un rapido incremento numerico della popolazione che ha raggiunto la massima densità in agosto-settembre e un eccellente controllo delle popolazioni di Ae. albopictus. Prova di efficacia in campo in serbatoi per l’acqua irrigua degli orti La prova è stata condotta a partire dalla metà di agosto 2008 interessando 15 serbatoi di varia foggia e capacità, variabile tra 200 e 600 l, utilizzati per stoccare acqua orti famigliari nel comune di Crevalcore (BO). Ai proprietari dei serbatoi era chiesto di gestire il prelievo dell’acqua e i rifornimenti come da abitudine con l’unica raccomandazione di non svuotarli mai completamente. In 8 contenitori sono stati immessi 100 esemplari di M.albidus e una compressa larvicida a base di Bacillus thuringiensis var. israelensis (B.t.i.); nei restanti 7 è stata soltanto immessa la compressa di B.t.i.. Il campionamento larvale è stato settimanale fino agli inizi di ottobre. Dopo l’introduzione in tutti i serbatoi sono stati ritrovati esemplari di copepodi, nonostante il volume di acqua misurato settimanalmente sia variato da pochi litri, in qualche bidone, fino a valori della massima capacità, per effetto del prelievo e dell’apporto dell’acqua da parte dei gestori degli orti. In post-trattamento sono state osservate differenze significative tra le densità larvali nelle due tesi solo al 22 settembre per Ae.albopictus Tuttavia in termini percentuali la riduzione media di larve di 3a-4a età e pupe nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è stata de 95,86% per Ae. albopictus e del 73,30% per Cx. pipiens. Prova di efficacia in tombini stradali Sono state condotte due prove in due differenti località, interessando 20 tombini (Marano di Castenaso in provincia di Bologna nel 2007) e 145 tombini (San Carlo in provincia di Ferrara nel 2008), quest’ultimi sottoposti a spurgo e pulizia completa nei precedenti 6 mesi l’inizio della prova. L’introduzione dei copepodi nei tombini è stata fatta all’inizio di luglio nella prova di Marano di Castenaso e alla fine di aprile e giugno in quelli di San Carlo, a dosi di 100 e 50 copepodi/tombino. Prima dell’introduzione dei copepodi e successivamente ogni 2 settimane per due mesi, in ogni tombino veniva campionata la presenza culicidica e dei copepodi con dipper immanicato. Nel 2007 dopo l’introduzione dei copepodi e per tutto il periodo di studio, mediamente soltanto nel 77% dei tombini i copepodi sono sopravvissuti. Nel periodo di prova le precipitazioni sono state scarse e la causa della rarefazione dei copepodi fino alla loro scomparsa in parte dei tombini è pertanto da ricercare non nell’eventuale dilavamento da parte della pioggia, quanto dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Tra queste innanzitutto la concentrazione di ossigeno che è sempre stata molto bassa (0÷1,03 mg/l) per tutta la durata del periodo di studio. Inoltre, a questo fattore probabilmente è da aggiungere l’accumulo, a concentrazioni tossiche per M. albidus, di composti organici e chimici dalla degradazione e fermentazione dell’abbondante materiale vegetale (soprattutto foglie) in condizioni di ipossia o anossia. Nel 2008, dopo il primo inoculo di M. albidus la percentuale di tombini che al campionamento presentano copepodi decresce in modo brusco fino a raggiungere il 6% a 2 mesi dall’introduzione dei copepodi. Dopo 40 giorni dalla seconda introduzione, la percentuale di tombini con copepodi è del 6,7%. Nell’esperienza 2008 è le intense precipitazioni hanno avuto probabilmente un ruolo determinante sul mantenimento dei copepodi nei tombini. Nel periodo della prova infatti le piogge sono state frequenti con rovesci in varie occasioni di forte intensità per un totale di 342 mm. Sotto questi livelli di pioggia i tombini sono stati sottoposti a un continuo e probabilmente completo dilavamento che potrebbe aver impedito la colonizzazione stabile dei copepodi. Tuttavia non si osservano influenze significative della pioggia nella riduzione percentuale dei tombini colonizzati da copepodi e ciò fa propendere all’ipotesi che assieme alla pioggia siano anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua a impedire una colonizzazione stabile da parte di M. albidus. In definitiva perciò si è dimostrato che i tombini stradali sono ambienti ostili per la sopravvivenza di M. albidus, anche se, dove il ciclopoide si è stabilito permanentemente, ha dimostrato un certo impatto nei confronti di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, che tuttavia è risultato non statisticamente significativo all’analisi della varianza. Nei confronti delle larve di Culex pipiens il copepode non permette livelli di controllo soddisfacente, confermando i dati bibliografici. Nei confronti invece di Ae. albopictus la predazione raggiunge buoni livelli; tuttavia ciò non è compensato dalla percentuale molto alta di tombini che, dopo periodi di pioggia copiosa o singoli episodi temporaleschi o per le condizioni di anossia rimangono senza i copepodi. Ciò costringerebbe a ripetute introduzioni di copepodi i cui costi attualmente non sono inferiori a quelli per trattamenti con prodotti larvicidi. In conclusione la ricerca ha portato a considerare Macrocyclops albidus un interessante ausiliario applicabile anche nelle realtà urbane del nostro paese nell’ambito di programmi integrati di contrasto alle infestazioni di Aedes albopictus. Tuttavia il suo utilizzo non si presta a tutti i focolai larvali ma soltanto a raccolte di acqua artificiali di un certo volume come i bidoni utilizzati per stoccare acqua da impiegare per l’orto e il giardino familiare nelle situazioni in cui non è garantita la copertura ermetica, lo svuotamento completo settimanale o l’utilizzo di sostanze ad azione larvozanzaricida.

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Il problema della sicurezza/insicurezza delle città, dalle grandi metropoli sino ai più piccoli centri urbani, ha sollecitato negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte degli studiosi, degli analisti, degli organi di informazione, delle singole comunità. La delinquenza metropolitana viene oggi diffusamente considerata «un aspetto usuale della società moderna»: «un fatto – o meglio un insieme di fatti – che non richiede nessuna speciale motivazione o predisposizione, nessuna patologia o anormalità, e che è iscritto nella routine della vita economica e sociale». Svincolata dagli schemi positivistici, la dottrina criminologica ha maturato una nuova «cultura del controllo sociale» che ha messo in risalto, rispetto ad ogni visione enfatizzante del reo, l’esigenza di pianificare adeguate politiche e pratiche di prevenzione della devianza urbana attraverso «tutto l’insieme di istituzioni sociali, di strategie e di sanzioni, che mirano a ottenere la conformità di comportamento nella sfera normativa penalmente tutelata». Tale obiettivo viene generalmente perseguito dagli organismi istituzionali, locali e centrali, con diverse modalità annoverabili nel quadro degli interventi di: prevenzione sociale in cui si includono iniziative volte ad arginare la valenza dei fattori criminogeni, incidendo sulle circostanze sociali ed economiche che determinano l’insorgenza e la proliferazione delle condotte delittuose negli ambienti urbani; prevenzione giovanile con cui si tende a migliorare le capacità cognitive e relazionali del minore, in maniera tale da controllare un suo eventuale comportamento aggressivo, e ad insegnare a genitori e docenti come gestire, senza traumi ed ulteriori motivi di tensione, eventuali situazioni di crisi e di conflittualità interpersonale ed interfamiliare che coinvolgano adolescenti; prevenzione situazionale con cui si mira a disincentivare la propensione al delitto, aumentando le difficoltà pratiche ed il rischio di essere scoperti e sanzionati che – ovviamente – viene ponderato dal reo. Nella loro quotidianità, le “politiche di controllo sociale” si sono tuttavia espresse in diversi contesti – ed anche nel nostro Paese - in maniera a tratti assai discutibile e, comunque, con risultati non sempre apprezzabili quando non - addirittura – controproducenti. La violenta repressione dei soggetti ritenuti “devianti” (zero tolerance policy), l’ulteriore ghettizzazione di individui di per sé già emarginati dal contesto sociale, l’edificazione di interi quartieri fortificati, chiusi anche simbolicamente dal resto della comunità urbana, si sono rivelate, più che misure efficaci nel contrasto alla criminalità, come dei «cortocircuiti semplificatori in rapporto alla complessità dell’insieme dei problemi posti dall’insicurezza». L’apologia della paura è venuta così a riflettersi, anche fisicamente, nelle forme architettoniche delle nuove città fortificate ed ipersorvegliate; in quelle gated-communities in cui l’individuo non esita a sacrificare una componente essenziale della propria libertà, della propria privacy, delle proprie possibilità di contatto diretto con l’altro da sé, sull’altare di un sistema di controllo che malcela, a sua volta, implacabili contraddizioni. Nei pressanti interrogativi circa la percezione, la diffusione e la padronanza del rischio nella società contemporanea - glocale, postmoderna, tardomoderna, surmoderna o della “seconda modernità”, a seconda del punto di vista al quale si aderisce – va colto l’eco delle diverse concezioni della sicurezza urbana, intesa sia in senso oggettivo, quale «situazione che, in modo obiettivo e verificabile, non comporta l’esposizione a fattori di rischio», che in senso soggettivo, quale «risultante psicologica di un complesso insieme di fattori, tra cui anche indicatori oggettivi di sicurezza ma soprattutto modelli culturali, stili di vita, caratteristiche di personalità, pregiudizi, e così via». Le amministrazioni locali sono direttamente chiamate a garantire questo bisogno primario di sicurezza che promana dagli individui, assumendo un ruolo di primo piano nell’adozione di innovative politiche per la sicurezza urbana che siano fra loro complementari, funzionalmente differenziate, integrali (in quanto parte della politica di protezione integrale di tutti i diritti), integrate (perché rivolte a soggetti e responsabilità diverse), sussidiarie (perché non valgono a sostituire i meccanismi spontanei di prevenzione e controllo della devianza che si sviluppano nella società), partecipative e multidimensionali (perché attuate con il concorso di organismi comunali, regionali, provinciali, nazionali e sovranazionali). Questa nuova assunzione di responsabilità da parte delle Amministrazioni di prossimità contribuisce a sancire il passaggio epocale «da una tradizionale attività di governo a una di governance» che deriva «da un’azione integrata di una molteplicità di soggetti e si esercita tanto secondo procedure precostituite, quanto per una libera scelta di dar vita a una coalizione che vada a vantaggio di ciascuno degli attori e della società urbana nel suo complesso». All’analisi dei diversi sistemi di governance della sicurezza urbana che hanno trovato applicazione e sperimentazione in Italia, negli ultimi anni, e in particolare negli ambienti territoriali e comunitari di Roma e del Lazio che appaiono, per molti versi, esemplificativi della complessa realtà metropolitana del nostro tempo, è dedicata questa ricerca. Risulterà immediatamente chiaro come il paradigma teorico entro il quale si dipana il percorso di questo studio sia riconducibile agli orientamenti della psicologia topologica di Kurt Lewin, introdotti nella letteratura sociocriminologica dall’opera di Augusto Balloni. Il provvidenziale crollo di antichi steccati di divisione, l’avvento di internet e, quindi, la deflagrante estensione delle frontiere degli «ambienti psicologici» in cui è destinata a svilupparsi, nel bene ma anche nel male, la personalità umana non hanno scalfito, a nostro sommesso avviso, l’attualità e la validità della «teoria del campo» lewiniana per cui il comportamento degli individui (C) appare anche a noi, oggi, condizionato dalla stretta interrelazione che sussiste fra le proprie connotazioni soggettive (P) e il proprio ambiente di riferimento (A), all’interno di un particolare «spazio di vita». Su queste basi, il nostro itinerario concettuale prende avvio dall’analisi dell’ambiente urbano, quale componente essenziale del più ampio «ambiente psicologico» e quale cornice straordinariamente ricca di elementi di “con-formazione” dei comportamenti sociali, per poi soffermarsi sulla disamina delle pulsioni e dei sentimenti soggettivi che agitano le persone nei controversi spazi di vita del nostro tempo. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’approfondimento, a tratti anche critico, della normativa vigente in materia di «sicurezza urbana», nella ferma convinzione che proprio nel diritto – ed in special modo nell’ordinamento penale – vada colto il riflesso e la misura del grado di civiltà ma anche delle tensioni e delle contraddizioni sociali che tormentano la nostra epoca. Notevoli spunti ed un contributo essenziale per l’elaborazione della parte di ricerca empirica sono derivati dall’intensa attività di analisi sociale espletata (in collaborazione con l’ANCI) nell’ambito dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, un organismo di supporto della Presidenza della Giunta Regionale del Lazio al quale compete, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 15 del 2001, la funzione specifica di provvedere al monitoraggio costante dei fenomeni criminali nel Lazio.

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Il carcinoma epatocellulare (HCC) è il più frequente tumore maligno del fegato e rappresenta il sesto tipo di tumore più comune nel mondo. Spesso i pazienti con HCC vengono diagnosticati a stadi piuttosto avanzati, quando le uniche opzioni terapeutiche in grado di migliorarne la sopravvivenza sono la chemoembolizzazione dell'arteria epatica ed il trattamento con l'inibitore multi-cinasico, Sorafenib. In questo contesto, la scoperta del ruolo centrale dei microRNA (miRNA) nella tumorigenesi umana risulta di fondamentale importanza per lo sviluppo di nuovi marcatori diagnostici e bersagli terapeutici. I microRNA (miRNA) sono delle piccole molecole di RNA non codificante, della lunghezza di 19-22 nucleotidi, filogeneticamente molto conservati, ed esercitano un ruolo cruciale nella regolazione di importanti processi fisiologici, quali sviluppo, proliferazione, differenziamento, apoptosi e risposta a numerosi segnali extracellulari e di stress. I miRNA sono inoltre responsabile della fine regolazione dell'espressione di centinaia di geni bersaglio attraverso il blocco della traduzione o la degradazione dell'mRNA target. Studi di profiling hanno evidenziato l'espressione aberrante di specifici miRNA in numerosi tipi di tumore umano. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di individuare un pannello di miRNA deregolati nell'epatocarcinoma umano e di caratterizzare il ruolo biologico di tre miRNA deregolati nell'HCC, al fine di individuare alcuni dei meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna miRNA-associata. La nostra ricerca è stata inoltre focalizzata nell'individuazione di nuovi bersagli e strumenti terapeutici, quali i microRNA, per il trattamento combinato di HCC in stadio intermedio-avanzato.

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Analysis of publicly available genomes of Streptococcus pneumoniae has led to the identification of a new genomic element resembling gram-positive pilus islets (PIs). Here, we demonstrate that this genomic region, herein referred to as PI-2 (containing the genes pitA, sipA, pitB, srtG1, and srtG2) codes for a novel functional pilus in pneumococcus. Therefore, there are two pilus islets identified so far in this pathogen (PI-1 and PI-2). Polymerization of the PI-2 pilus requires the backbone protein PitB as well as the sortase SrtG1 and the signal peptidase-like protein SipA. PI-2 is associated with serotypes 1, 2, 7F, 19A, and 19F, considered to be emerging in both industrialized and developing countries. Interestingly, strains belonging to clonal complex 271 (CC271) contain both PI-1 and PI-2, as revealed by genome analyses. In these strains both pili are surface exposed and independently assembled. Furthermore, in vitro experiments provide evidence that the pilus encoded by PI-2 of S. pneumoniae is involved in adherence. Thus, pneumococci encode at least two types of pili that may play a role in the initial host cell contact to the respiratory tract. In addition, the pilus proteins are potential antigens for inclusion in a new generation of pneumococcal vaccines. Adherence by pili could represent important factor in bacterial community formation, since it has been demonstrated that bacterial community formation plays an important role in pneumococcal otitis media. In vitro quantification of bacterial community formation by S. pneumoniae was performed in order to investigate the possible role of pneumococcal pili to form communities. By using different growth media we were not able to see clear association between pili and community formation. But our findings revealed that strains belonging to MLST clonal complex CC15 efficiently form bacterial communities in vitro in a glucose dependent manner. We compared the genome of forty-four pneumococcal isolates discovering four open reading frames specifically associated with CC15. These four genes are annotated as members of an operon responsible for the biosynthesis of a putative lanctibiotic peptide, described to be involved in bacterial community formation. Our experiments show that the lanctibiotic operon deletion affects glucose mediated community formation in CC 15 strain INV200. Moreover, since glucose consumption during bacterial growth produce an acidic environment, we tested bacterial community formation at different pH and we showed that the lanctibiotic operon deletion affected pH mediated community formation in CC 15 strain INV200. In conclusion, these data demonstrate that the putative lanctibiotic operon is associated with pneumococcal CC 15 strains in vitro bacterial community formation.

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A livello globale una delle problematiche più urgenti della sanità pubblica umana e veterinaria è rappresentata dal controllo delle infezioni virali. L’emergenza di nuove malattie, la veloce diffusione di patologie finora confinate ad alcune aree geografiche, lo sviluppo di resistenza dei patogeni alle terapie utilizzate e la mancanza di nuove molecole attive, sono gli aspetti che influiscono più negativamente livello socio-economico in tutto il mondo. Misure per limitare la diffusione delle infezioni virali prevedono strategie per prevenire e controllare le infezioni in soggetti a rischio . Lo scopo di questa tesi è stato quello di indagare il possibile utilizzo di prototipi virali utilizzati come modello di virus umani per valutare l’efficacia di due diversi metodi di controllo delle malattie virali: la rimozione mediante filtrazione di substrati liquidi e gli antivirali di sintesi e di origine naturale. Per quanto riguarda la rimozione di agenti virali da substrati liquidi, questa è considerata come requisito essenziale per garantire la sicurezza microbiologica non solo di acqua ad uso alimentare , ma anche dei prodotti utilizzati a scopo farmaceutico e medico. Le Autorità competenti quali WHO ed EMEA hanno redatto delle linee guida molto restrittive su qualità e sicurezza microbiologica dei prodotti biologici per garantire la rimozione di agenti virali che possono essere trasmessi con prodotti utilizzati a scopo terapeutico. Nell'industria biomedicale e farmaceutica c'è l'esigenza di una tecnologia che permetta la rimozione dei virus velocemente, in grande quantità, a costi contenuti, senza alterare le caratteristiche del prodotto finale . La collaborazione con l’azienda GVS (Zola Predosa, Italia) ha avuto come obiettivo lo studio di una tecnologia di filtrazione che permette la rimozione dei virus tramite membrane innovative e/o tessuti-non-tessuti funzionalizzati che sfruttano l’attrazione elettrostatica per ritenere ed asportare i virus contenuti in matrici liquide. Anche gli antivirali possono essere considerati validi mezzi per il controllo delle malattie infettive degli animali e nell’uomo quando la vaccinazione non è realizzabile come ad esempio in caso di scoppio improvviso di un focolaio o di un attacco bioterroristico. La scoperta degli antivirali è relativamente recente ed il loro utilizzo è attualmente limitato alla patologia umana, ma è in costante aumento l’interesse per questo gruppo di farmaci. Negli ultimi decenni si è evidenziata una crescente necessità di mettere a punto farmaci ad azione antivirale in grado di curare malattie ad alta letalità con elevato impatto socio-economico, per le quali non esiste ancora un’efficace profilassi vaccinale. Un interesse sempre maggiore viene rivolto agli animali e alle loro patologie spontanee, come modello di studio di analoghe malattie dell’uomo. L’utilizzo di farmaci ad azione antivirale in medicina veterinaria potrebbe contribuire a ridurre l’impatto economico delle malattie limitando, nel contempo, la disseminazione dei patogeni nell’ambiente e, di conseguenza, il rischio sanitario per altri animali e per l’uomo in caso di zoonosi. Le piante sono sempre state utilizzate dall’industria farmaceutica per l’isolamento dei composti attivi e circa il 40% dei farmaci moderni contengono principi d’origine naturale. Alla luce delle recenti emergenze sanitarie, i fitofarmaci sono stati considerati come una valida per migliorare la salute degli animali e la qualità dei prodotti da essi derivati. L’obiettivo del nostro studio è stato indagare l’attività antivirale in vitro di estratti naturali e di molecole di sintesi nei confronti di virus a RNA usando come prototipo il Canine Distemper Virus, modello di studio per virus a RNA a polarità negativa, filogeneticamente correlato al virus del morbillo umano. La scelta di questo virus è dipesa dal fatto che rispetto ai virus a DNA e ai retrovirus attualmente l’offerta di farmaci capaci di contrastare le infezioni da virus a RNA è molto limitata e legata a molecole datate con alti livelli di tossicità. Tra le infezioni emergenti causate da virus a RNA sono sicuramente da menzionare quelle provocate da arbovirus. Le encefaliti virali da arbovirus rappresentano una emergenza a livello globale ed attualmente non esiste una terapia specifica. Una delle molecole più promettenti in vitro per la terapia delle infezioni da arbovirus è la ribavirina (RBV) che, con il suo meccanismo d’azione pleiotropico, si presta ad essere ulteriormente studiata in vivo per la sua attività antivirale nei confronti delle infezioni da arbovirus. Uno dei fattori limitanti l’utilizzo in vivo di questa molecola è l’incapacità della molecola di oltrepassare la barriera emato-encefalica. Nel nostro studio abbiamo messo a punto una formulazione per la somministrazione endonasale di RBV e ne abbiamo indagato la diffusione dalla cavità nasale all’encefalo attraverso l’identificazione e quantificazione della molecola antivirale nei diversi comparti cerebrali . Infine è stato condotto un esperimento in vivo per valutare l’efficacia di un composto a base di semi di Neem, di cui sono già note le proprietà antimicrobiche, nei confronti dell’infezione da orf virus, una zoonosi a diffusione mondiale, che ha un elevato impatto economico in aree ad alta densità ovi-caprina e può provocare lesioni invalidanti anche nell’uomo.

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Il progetto di tesi ha analizzato i processi erosivi in atto in quattro aree della costa emilianoromagnola settentrionale, situate davanti a importanti foci fluviali: Volano, Reno, F. Uniti e Savio. Il lavoro di tesi si colloca all’interno di un progetto più ampio, che prevede la collaborazione tra la Regione Emilia Romagna, Servizio Geologico, Sismico e dei Suoli e l’Istituto di Scienze Marine ISMAR-CNR, sede di Bologna. Quest’ultimo ha acquisito, durante la campagna ERO2010, 210 km di profili sismici ad alta risoluzione in un’area sotto-costa, posta tra i 2 e gli 8 metri di profondità. Il lavoro di tesi ha usufruito di una nuova strategia di analisi, la sismica ad alta risoluzione (Chirp sonar), che ha permesso di identificare ed esaminare l’architettura geologica riconoscibile nei profili ed approfondire la conoscenza dell’assetto sub-superficiale dei depositi, ampliando le conoscenze di base riguardanti la dinamica dei litorali. L’interpretazione dei dati disponibili è avvenuta seguendo differenti fasi di studio: la prima, più conoscitiva, ha previsto l’identificazione delle evidenze di erosione nelle aree in esame mediante l’analisi della variazione delle linee di riva, l’osservazione delle opere poste a difesa del litorale e lo studio dell’evoluzione delle principali foci. Nella fase successiva le facies identificate nei profili sismici sono state interpretate in base alle loro caratteristiche geometriche ed acustiche, identificando le principali strutture presenti e interpretando, sulla base delle informazioni storiche apprese e delle conoscenze geologiche a disposizione, i corpi sedimentari riconosciuti. I nuovi profili Chirp sonar hanno consentito la ricostruzione geologica mediante la correlazione dei dati a mare (database ISMAR-CNR, Bologna, Carta geologica dei mari italiani 1:250.000) con quelli disponibili a terra, quali Carta dell’evoluzione storica dei cordoni costieri (Servizio Geologico e Sismico dei Suoli, Bo) e Carta geologica 1:50.000 (Servizio Geologico d’Italia e Progetto CARG). La conoscenza dei termini naturali e antropici dello stato fisico dei sistemi costieri è il presupposto necessario per l'esecuzione di studi ambientali atti a una corretta gestione integrata della costa. L’analisi approfondita della geologia superficiale fornisce un’opportunità per migliorare il processo decisionale nella gestione dei litorali e nella scelta degli interventi da attuare sulla costa, che devono essere fatti consapevolmente considerando l’assetto geologico e prevedendo una strategia di manutenzione della costa a medio termine. Un singolo intervento di ripascimento produce effetti di breve durata e non sufficienti a sanare il problema e a mitigare il rischio costiero. Nei tratti costieri scarsamente alimentati, soggetti a persistenti fenomeni erosivi, occorre, pertanto, mettere in atto ripetuti interventi di ripascimento accompagnati da un idoneo piano di monitoraggio.

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La Piccola e Media Impresa (PMI) ha costituito in Italia e all’estero un fenomeno che ha permesso un’importante crescita economica dal secondo dopoguerra in poi e tutt’oggi rappresenta quasi il 95% delle imprese italiane. L’ambiente di riferimento odierno è molto dinamico ed incerto e la competitività è più difficile da raggiungere a causa delle nuove e crescenti economie emergenti. A rendere l’ambiente competitivo più complesso si è aggiunta la crisi internazionale nata intorno al 2006 negli Stati Uniti e arrivata in Europa un paio di anni dopo, portando l’economia globale in un periodo di recessione. Tutto ciò ha reso necessario ripensare all’approccio delle imprese verso i mercati, soprattutto le PMI, applicando nuovi processi d’innovazione. Questi non dovranno limitarsi alla sola ricerca di nuovi prodotti ma cambiare anche l’impostazione manageriale in modo da avviare innovazioni di mercato. E qui che il tema dell’internazionalizzazione assume ancor più rilevanza diventando, in un periodo di crisi economica, un’importante opportunità di crescita per le PMI. Dagli anni ’70 in poi le imprese multinazionali (MNCs) erano quelle che operavano in più Paesi e Continenti estendendo il proprio business in tutto il mondo. Per le piccole e medie imprese era difficile immaginare nuovi business al di fuori dei confini territoriali per le difficoltà che un processo di internazionalizzazione richiedeva. Oggi, l’internazionalizzazione, è vista come una chance di sopravvivenza ed è spinta da diversi fattori. Questi non si limitano più alla sola ricerca di maggiori ricavi ed abbattimento dei costi ma anche “sourcing” di Know-how e tecnologie, diversificazione del rischio, partecipazione a segmenti di mercato diventati globali e sfruttamento delle opportunità offerte dai governi esteri. Con il seguente lavoro di tesi si vogliono studiare le modalità in cui si svolgono processi di internazionalizzazione e l’origine dell’impulso che induce le piccole e medie imprese ad intraprenderli. A questo proposito si sono fatte ricerche su database e riviste scientifiche volte alla raccolta e analisi dei principali articoli che la letteratura offre su i temi appena citati. Individuate le principali teorie e modelli queste sono confrontate con un caso empirico cercando i punti di contatto tra ciò che è emerso dall’analisi teorica e quella empirica. A tal proposito viene mostrato il caso dell’azienda Sinergia Sistemi S.p.A. in cui ho collaborato e avuto modo di compiere ricerche per un periodo di sei mesi. Il lavoro di tesi è pertanto strutturato in quattro capitoli. Nel primo capitolo è esposta l’analisi della letteratura scientifica andando ad individuare le principali teorie sui processi di internazionalizzazione. Attraverso quest’analisi sarà possibile avere un quadro di riferimento sui possibili processi di internazionalizzazione che le imprese possono intraprendere. Nel secondo capitolo si vuole comprendere come le imprese arrivino alla decisione di internazionalizzarsi e quali fattori, interni ed esterni all’impresa, influenzino tale scelta. Nel terzo capitolo viene esaminato il caso di Sinergia Sistemi S.p.A., società operante nel campo delle energie rinnovabili ed efficienza energetica. Dopo una prima parte che introduce l’azienda ed il mercato delle rinnovabili, sarà analizzata la situazione attuale dell’azienda nel suo processo di internazionalizzazione e la strategia delineata. Nell’ultimo capitolo si effettuerà un confronto tra ciò che la letteratura scientifica propone sui processi di internazionalizzazione ed il caso specifico esaminato. Si cercherà di trovare dei riscontri tra le varie teorie offerte dalla letteratura con la strategia seguita da Sinergia Sistemi. L’obiettivo generale di questo lavoro di tesi è confrontare teorie e modelli di internazionalizzazione con un caso empirico per comprendere l’esistenza di un riscontro con le aziende appartenenti ad un particolare settore, quello delle energie rinnovabili. Vedremo come le peculiarità di questo settore portino le imprese a dare molta rilevanza ai network che si vengono a formare nei vari Paesi più che alla ricerca di innovazioni di prodotto, che resta sempre fondamentale per la crescita. L’appartenenza ai giusti network può semplificare notevolmente il processo di internazionalizzazione, se non diventare perfino indispensabile.

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Il presente lavoro presenta una analisi di sensitività sui parametri progettuali più significativi per i sistemi di ancoraggio di dispositivi di produzione di energia del mare di tipo galleggiante, comunemente conosciuti come Floating Wave Energy Converters (F-WEC). I convertitori di questo tipo sono installati offshore e possono basarsi su diversi principi di funzionamento per la produzione di energia: lo sfruttamento del moto oscillatorio dell’onda (chiamati Wave Active Bodies, gran parte di convertitori appartengono la tecnologia di questo tipo), la tracimazione delle onde (Overtopping Devices), o il principio della colonna d’acqua oscillante (Oscillating Water Columns). La scelta del luogo di installazione dei tali dispositivi implica una adeguata progettazione del sistema di ancoraggio che ha lo scopo di mantenere il dispositivo in un intorno sufficientemente piccolo del punto dove è stato originariamente collocato. Allo stesso tempo, dovrebbero considerarsi come elemento integrato del sistema da progettare al fine di aumentare l’efficienza d’estrazione della potenza d’onda. Le problematiche principali relativi ai sistemi di ancoraggio sono: la resistenza del sistema (affidabilità, fatica) e l’economicità. Le due problematiche sono legate tra di loro in quanto dall’aumento del resistenza dipende l’aumento della complessità del sistema di ancoraggio (aumentano il numero delle linee, si utilizzano diametri maggiori, aumenta il peso per unità di lunghezza per ogni linea, ecc.). E’ però chiaro che sistemi più affidabili consentirebbero di abbassare i costi di produzione e renderebbero certamente più competitiva l’energia da onda sul mercato energetico. I dispositivi individuali richiedono approcci progettuali diversi e l’economia di un sistema di ormeggio è strettamente legata al design del dispositivo stesso. Esistono, ad oggi, una serie di installazioni a scala quasi di prototipo di sistemi WEC che hanno fallito a causa del collasso per proprio sistema di ancoraggio, attirando così l’attenzione sul problema di una progettazione efficiente, affidabile e sicura.

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Oggetto di questa tesi di laurea è la riqualificazione funzionale ed energetica di un'autorimessa per corriere costruita a Forlì nel 1935 dal geom. Alberto Flamigni e di proprietà dell' ATR, Agenzia per la Mobilità della provincia di Forlì-Cesena. Al deposito per corriere sono annessi dei piccoli capanni adibiti a magazzini ed una palazzina per uffici costruita negli anni '50, non facente parte del progetto originale. Oggi l'intero complesso risulta in disuso e la richiesta espressa dall'Amministrazione Comunale di Forlì è quella di adattare il comparto per ospitare funzioni musicali, d'intrattenimento e cultura, pensando anche ad un collegamento col manufatto storico dell'Arena Forlivese; quest'ultima, costruita negli anni '20, è situata ai margini del lotto in esame, risulta di proprietà privata ed oggi versa in condizioni di grave degrado. Uno dei fini del progetto, sul filo conduttore delle richieste dell'Amministrazione, è quello di mantenere l'involucro originale dell'edificio, su cui grava anche un vincolo storico, essendo stato progettato durante il periodo fascista ed avendo forti richiami alle soluzioni architettoniche adottate da Marcello Piacentini. Si è quindi deciso di lavorare al suo interno, al fine di creare dei nuclei indipendenti che ospitano le nuove funzioni di auditorium, mediateca, spazio espositivo, sale prova, camerini, mantenendo invece intatto il perimetro in mattoni facciavista con basamento in travertino. Il fronte esposto a sud, essendo stato originariamente pensato come mero elemento di chiusura, senza basamento e sistema di rivestimento ma semplicemente intonacato, si distacca dal resto dell'involucro ed è stato perciò oggetto di maggiori modifiche, in relazione anche al nuovo orientamento d'ingresso pensato per il comparto: l'Amministrazione Comunale ha infatti espresso il desiderio di modificare il percorso di accesso all'edificio, dal fronte nord su piazza Savonarola al fronte ovest su via Ugo Bassi. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, ponendo particolare attenzione al rispetto e alla valorizzazione della struttura esistente: uno dei punti forti dell'ex deposito è infatti la sua copertura in travi reticolari in c.a. con shed vetrati orientati a nord. Tale sistema di copertura è stato mantenuto per favorire l'illuminazione degli spazi interni, isolato termicamente ed integrato con dei pannelli diffusori che garantiscono una luce uniforme e ben distribuita. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze dell'utenza. Mantenendo la finalità del minimo intervento sull'involucro esistente, nel piano terra si è adottata una tipologia di ambienti open space che delimitano il doppio volume dello spazio espositivo, pensato come un semplice e neutro contenitore, allestibile in base al tipo di mostra ed alla volontà degli organizzatori. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva per l'auditorium ed i volumi adibiti a sale prova, camerini e depositi, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Si sono studiati anche i sistemi impiantistici al fine di garantire un elevato livello di comfort interno e nel contempo un considerevole risparmio dal punto di vista energetico. Durante le varie fasi di avanzamento e messa a punto del progetto è stata posta grande attenzione all'aspetto acustico, dalla scelta della forma della sala al trattamento superficiale per garantire un'ottima resa prestazionale, parametro imprescindibile nella progettazione di un adeguato spazio musicale. Altro elemento preso in considerazione a scala locale e urbana è stato quello della sistemazione del cortile a sud, oggi asfaltato ed utilizzato come semplice parcheggio di autobus, al fine di trasformarlo in parco pubblico fruibile dagli utenti del complesso culturale e nel contempo elemento di connessione con l'Arena, tramite un nuovo sistema di orientamenti e percorsi.

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Oggetto di questa tesi di Laurea è la progettazione di un quartiere residenziale sostenibile a Bertinoro (FC) richiesto dell’Amministrazione Comunale, orientata anche verso la realizzazione di un parcheggio di attestazione multipiano per il borgo e di una risalita meccanizzata al centro. L’area d’intervento costituisce infatti una posizione strategica per l’arrivo e gli accessi alla città alta. Il progetto quindi affronta due scenari: uno a scala urbana e uno a scala architettonica. Fondamentale è stata la definizione delle strategie urbane: consapevoli dell’importanza di una gestione sostenibile del territorio, questa tesi ha cercato di affrontare le problematiche relative alla mobilità del luogo, caratterizzato da forti pendii, ponendosi come obiettivo l’eliminazione di flussi veicolari nel centro storico e nel contempo la completa accessibilità di quest’ultimo attraverso nuovi sistemi meccanizzati di risalita che incentivino la mobilità pedonale. Ciò ha portato ad un studio dei percorsi di Bertinoro e ad una ricerca sulle varie tipologie sia di parcheggio multipiano che di risalita finalizzata alla definizione della soluzione più efficiente e adeguata per il luogo. A scala architettonica la complessità del progetto è stata quella di dare uguale importanza a dati oggettivi e quantificabili, come orientamento, apporti solari, impianti, senza tralasciare i valori storico-paesaggistici, risorsa fondamentale per quest'area. La sfida è stata quindi quella di progettare un quartiere con dei requisiti energetici che vadano ben oltre i confini determinati dalla normativa e di riuscire ad integrare nel contesto, con il minor impatto ambientale e percettivo, l’intero insediamento, compreso il parcheggio multipiano e la risalita. Il titolo “declivi” sintetizza in questo senso la strategia adottata ovvero tutto il progetto nasce da un attento confronto con le caratteristiche topografiche del luogo cercando di ripristinarle dove sono venute a mancare in una logica non di aggiunta del costruito ma di “crescita” dal suolo. La chiave di lettura è stata in particolare l’idea del terrazzamento e degli affacci sul paesaggio. Durante tutto il processo progettuale si è dunque operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico puntando ad un progetto che possa essere definito sostenibile a tutte le sue scale: urbanistica e architettonica.