990 resultados para indirizzo :: 790 :: Curriculum D: Fisica della terra


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Succeeded by Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell'Oriente francescano. Nuova serie-documenti, diretta dal p. Girolamo Golubovich.

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Negli ultimi anni la teoria dei network è stata applicata agli ambiti più diversi, mostrando proprietà caratterizzanti tutti i network reali. In questo lavoro abbiamo applicato gli strumenti della teoria dei network a dati cerebrali ottenuti tramite MRI funzionale “resting”, provenienti da due esperimenti. I dati di fMRI sono particolarmente adatti ad essere studiati tramite reti complesse, poiché in un esperimento si ottengono tipicamente più di centomila serie temporali per ogni individuo, da più di 100 valori ciascuna. I dati cerebrali negli umani sono molto variabili e ogni operazione di acquisizione dati, così come ogni passo della costruzione del network, richiede particolare attenzione. Per ottenere un network dai dati grezzi, ogni passo nel preprocessamento è stato effettuato tramite software appositi, e anche con nuovi metodi da noi implementati. Il primo set di dati analizzati è stato usato come riferimento per la caratterizzazione delle proprietà del network, in particolare delle misure di centralità, dal momento che pochi studi a riguardo sono stati condotti finora. Alcune delle misure usate indicano valori di centralità significativi, quando confrontati con un modello nullo. Questo comportamento `e stato investigato anche a istanti di tempo diversi, usando un approccio sliding window, applicando un test statistico basato su un modello nullo pi`u complesso. Il secondo set di dati analizzato riguarda individui in quattro diversi stati di riposo, da un livello di completa coscienza a uno di profonda incoscienza. E' stato quindi investigato il potere che queste misure di centralità hanno nel discriminare tra diversi stati, risultando essere dei potenziali bio-marcatori di stati di coscienza. E’ stato riscontrato inoltre che non tutte le misure hanno lo stesso potere discriminante. Secondo i lavori a noi noti, questo `e il primo studio che caratterizza differenze tra stati di coscienza nel cervello di individui sani per mezzo della teoria dei network.

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La VMAT (Volumetric Modulated Arc Therapy) è una delle più recenti tecniche radioterapiche, in cui, oltre alla modulazione geometrica della fluenza del campo di radiazione come avviene nell’IMRT (Intensity Modulated Radiotherapy), sono variati durante il trattamento anche la velocità del gantry e il rateo di dose. La radiazione è erogata senza interruzioni lungo uno o più archi continui della testata dell’acceleratore, così da ridurre i tempi di trattamento in modo sostanziale rispetto all’IMRT. Nelle tecniche ad intensità modulata, ed in particolare nella VMAT, il lettino porta paziente modifica la distribuzione di dose durante gli irraggiamenti posteriori, riducendo quella al target e aumentando quella superficiale. Il presente lavoro di tesi, che ha proprio l’obiettivo di valutare questi aspetti dosimetrici in un’ottica pre-clinica, è stato svolto presso il Servizio di Fisica Sanitaria del Policlinico S.Orsola–Malpighi, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna. Le misure sono state effettuate presso le U.O. Radioterapia-Morganti e Radioterapia-Frezza f.f. della medesima Azienda Sanitaria, al fine di caratterizzare dal punto di vista dosimetrico il lettino di trattamento iBEAM evo dell’acceleratore lineare Synergy Elekta. L’attenuazione misurata in caso di incidenza perpendicolare del fascio sul lettino, in buon accordo con gli articoli di riferimento, è stata: (2.81±0.06)% per fotoni di energia di 6 MV, (1.81±0.10)% a 10 MV e (1.38±0.05)% a 15 MV. L’attenuazione massima misurata con fotoni di energia di 6 MV si è avvicinata al 4% negli irraggiamenti obliqui. Infine, è stato analizzato il confronto con statistica gamma fra distribuzione di dose pianificata e misurata prima e dopo aver modellizzato le caratteristiche del lettino nel software per l’elaborazione del piano di trattamento. Solo dopo tale operazione, i due casi VMAT analizzati (tumore dell’orofaringe e prostatico) superano i criteri più restrittivi e affidabili utilizzati nella pratica clinica.

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Tra le patologie ossee attualmente riconosciute, l’osteoporosi ricopre il ruolo di protagonista data le sua diffusione globale e la multifattorialità delle cause che ne provocano la comparsa. Essa è caratterizzata da una diminuzione quantitativa della massa ossea e da alterazioni qualitative della micro-architettura del tessuto osseo con conseguente aumento della fragilità di quest’ultimo e relativo rischio di frattura. In campo medico-scientifico l’imaging con raggi X, in particolare quello tomografico, da decenni offre un ottimo supporto per la caratterizzazione ossea; nello specifico la microtomografia, definita attualmente come “gold-standard” data la sua elevata risoluzione spaziale, fornisce preziose indicazioni sulla struttura trabecolare e corticale del tessuto. Tuttavia la micro-CT è applicabile solo in-vitro, per cui l’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di verificare se e in che modo una diversa metodica di imaging, quale la cone-beam CT (applicabile invece in-vivo), possa fornire analoghi risultati, pur essendo caratterizzata da risoluzioni spaziali più basse. L’elaborazione delle immagini tomografiche, finalizzata all’analisi dei più importanti parametri morfostrutturali del tessuto osseo, prevede la segmentazione delle stesse con la definizione di una soglia ad hoc. I risultati ottenuti nel corso della tesi, svolta presso il Laboratorio di Tecnologia Medica dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, mostrano una buona correlazione tra le due metodiche quando si analizzano campioni definiti “ideali”, poiché caratterizzati da piccole porzioni di tessuto osseo di un solo tipo (trabecolare o corticale), incluso in PMMA, e si utilizza una soglia fissa per la segmentazione delle immagini. Diversamente, in casi “reali” (vertebre umane scansionate in aria) la stessa correlazione non è definita e in particolare è da escludere l’utilizzo di una soglia fissa per la segmentazione delle immagini.

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Nella tesi è analizzata nel dettaglio una proposta didattica sulla Fisica Quantistica elaborata dal gruppo di ricerca in Didattica della Fisica dell’Università di Bologna, in collaborazione con il gruppo di ricerca in Fisica Teorica e con ricercatori del CNR di Bologna. La proposta è stata sperimentata in diverse classi V di Liceo scientifico e dalle sperimentazioni sono emersi casi significativi di studenti che non sono riusciti ad accettare la teoria quantistica come descrizione convincente ad affidabile della realtà fisica (casi di non accettazione), nonostante sembrassero aver capito la maggior parte degli argomenti e essersi ‘appropriati’ del percorso per come gli era stato proposto. Da questa evidenza sono state formulate due domande di ricerca: (1) qual è la natura di questa non accettazione? Rispecchia una presa di posizione epistemologica o è espressione di una mancanza di comprensione profonda? (2) Nel secondo caso, è possibile individuare precisi meccanismi cognitivi che possono ostacolare o facilitare l’accettazione della fisica quantistica? L’analisi di interviste individuali degli studenti ha permesso di mettere in luce tre principali esigenze cognitive (cognitive needs) che sembrano essere coinvolte nell’accettazione e nell’apprendimento della fisica quantistica: le esigenze di visualizzabilità, comparabilità e di ‘realtà’. I ‘cognitive needs’ sono stati quindi utilizzati come strumenti di analisi delle diverse proposte didattiche in letteratura e del percorso di Bologna, al fine di metterne in luce le criticità. Sono state infine avanzate alcune proposte per un suo miglioramento.

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Durante i trattamenti radioterapici dei pazienti oncologici testa-collo, le ghiandole parotidee (PGs) possono essere indebitamente irradiate a seguito di modificazioni volumetriche-spaziali inter/intra-frazione causate da fattori quali il dimagrimento, l’esposizione a radiazioni ionizzanti ed il morphing anatomico degli organi coinvolti nelle aree d’irraggiamento. Il presente lavoro svolto presso la struttura di Fisica Medica e di Radioterapia Oncologica dell’A.O.U di Modena, quale parte del progetto di ricerca del Ministero della Salute (MoH2010, GR-2010-2318757) “ Dose warping methods for IGRT and Adaptive RT: dose accumulation based on organ motion and anatomical variations of the patients during radiation therapy treatments ”, sviluppa un modello biomeccanico in grado di rappresentare il processo di deformazione delle PGs, considerandone la geometria, le proprietà elastiche e l'evoluzione durante il ciclo terapeutico. Il modello di deformazione d’organo è stato realizzato attraverso l’utilizzo di un software agli elementi finiti (FEM). Molteplici superfici mesh, rappresentanti la geometria e l’evoluzione delle parotidi durante le sedute di trattamento, sono state create a partire dai contorni dell’organo definiti dal medico radioterapista sull’immagine tomografica di pianificazione e generati automaticamente sulle immagini di setup e re-positioning giornaliere mediante algoritmi di registrazione rigida/deformabile. I constraints anatomici e il campo di forze del modello sono stati definiti sulla base di ipotesi semplificative considerando l’alterazione strutturale (perdita di cellule acinari) e le barriere anatomiche dovute a strutture circostanti. L’analisi delle mesh ha consentito di studiare la dinamica della deformazione e di individuare le regioni maggiormente soggette a cambiamento. Le previsioni di morphing prodotte dal modello proposto potrebbero essere integrate in un treatment planning system per metodiche di Adaptive Radiation Therapy.

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Il tumore al seno è il più comune tra le donne nel mondo. La radioterapia è comunemente usata dopo la chirurgia per distruggere eventuali cellule maligne rimaste nel volume del seno. Nei trattamenti di radioterapia bisogna cercare di irradiare il volume da curare limitando contemporaneamente la tossicità nei tessuti sani. In clinica i parametri che definiscono il piano di trattamento radioterapeutico sono selezionati manualmente utilizzando un software di simulazione per trattamenti. Questo processo, detto di trial and error, in cui i differenti parametri vengono modificati e il trattamento viene simulato nuovamente e valutato, può richiedere molte iterazioni rendendolo dispendioso in termini di tempo. Lo studio presentato in questa tesi si concentra sulla generazione automatica di piani di trattamento per irradiare l'intero volume del seno utilizzando due fasci approssimativamente opposti e tangenti al paziente. In particolare ci siamo concentrati sulla selezione delle direzioni dei fasci e la posizione dell'isocentro. A questo scopo, è stato investigata l'efficacia di un approccio combinatorio, nel quale sono stati generati un elevato numero di possibili piani di trattamento utilizzando differenti combinazioni delle direzioni dei due fasci. L'intensità del profilo dei fasci viene ottimizzata automaticamente da un algoritmo, chiamato iCycle, sviluppato nel ospedale Erasmus MC di Rotterdam. Inizialmente tra tutti i possibili piani di trattamento generati solo un sottogruppo viene selezionato, avente buone caratteristiche per quel che riguarda l'irraggiamento del volume del seno malato. Dopo di che i piani che mostrano caratteristiche ottimali per la salvaguardia degli organi a rischio (cuore, polmoni e seno controlaterale) vengono considerati. Questi piani di trattamento sono matematicamente equivalenti quindi per selezionare tra questi il piano migliore è stata utilizzata una somma pesata dove i pesi sono stati regolati per ottenere in media piani che abbiano caratteristiche simili ai piani di trattamento approvati in clinica. Questo metodo in confronto al processo manuale oltre a ridurre considerevol-mente il tempo di generazione di un piano di trattamento garantisce anche i piani selezionati abbiano caratteristiche ottimali nel preservare gli organi a rischio. Inizialmente è stato utilizzato l'isocentro scelto in clinica dal tecnico. Nella parte finale dello studio l'importanza dell'isocentro è stata valutata; ne è risultato che almeno per un sottogruppo di pazienti la posizione dell'isocentro può dare un importante contributo alla qualità del piano di trattamento e quindi potrebbe essere un ulteriore parametro da ottimizzare. 

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Si mostra l’evoluzione di un modello fisico-matematico atto alla ricostruzione dei fussi nell’intera regione Emilia Romagna partendo da due sorgenti di dati: dati sparsi con bassa risoluzione spaziale senza errore e dati distribuiti in tutta la regione con percentuale rispetto alla totalità di autoveicoli ignota. Si descrive l’elaborazione dei dati e l’evoluzione del modello nella sua storicità fino ad ottenere un buon risultato nella ricostruzione dei fussi. Inoltre si procede ad analizzare la natura dei dati e la natura del problema per ottenere una buona soluzione in grado di descrivere il sistema e per essere facilmente estesa ad altre regioni. Dopo aver definito un metodo di validazione si confrontano svariati risultati di modelli differenti mostrando un’evoluzione nella ricerca di un modello che risolva il problema con tempi computazionali accettabili in modo da ottenere un sistema real-time.

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Le lesioni cerebrali possono generare danni permanenti e richiedono trattamenti immediati e a lungo termine. L’ipotermia cerebrale di 1 o 2°C inibisce il rilascio di aminoacidi neuro eccitatori e interrompe la risposta infiammatoria. L'effetto è maggiore se il raffreddamento viene eseguito immediatamente dopo il trauma. Oggi il raffreddamento viene effettuato in ospedale, raramente sul luogo dell’incidente (con ghiaccio). Tale soluzione è ostacolata dall’applicazione dei collari cervicali ed è condizionata dagli effetti a breve termine del ghiaccio. In questo studio è stata effettuata un’analisi di fattibilità di un dispositivo che, alle tecnologie per l’immobilizzazione cervicale, associ l'induzione terapeutica controllata e prolungata di una lieve ipotermia cerebrale (2-3°C), tramite raffreddamento transcutaneo del sangue nelle arterie carotidee. Il lavoro è suddiviso in due fasi: 1) modellizzazione teorica del fenomeno in esame; 2) verifica dei modelli teorici mediante test in vitro. Mediante i modelli numerici, sono state calcolate le temperature e i tempi per produrre un raffreddamento di 3°C. Considerando lo scambio di calore attraverso il collo, i vasi sanguigni e i tessuti cerebrali è stato calcolato un tempo minimo di circa 50 minuti per produrre il ΔT richiesto, con l’applicazione all’esterno del collo di un dispositivo che mantenga la temperatura a 5°C. Per la verifica è stata utilizzata una carotide sintetica ed una in tessuto biologico: queste sono state immerse in un contenitore isolato contenente acqua e connesse ad un simulatore dell’apparato circolatorio. Mantenendo costante la temperatura dell’acqua circolante mediante un termostato, sono stati misurati gli abbassamenti di temperatura nel vaso in funzione di quella esterna applicata. Il raffreddamento dei tessuti è stato realizzato con una cella di Peltier. La verifica dei modelli ha evidenziato un ΔT di -2°C. Il valore è inferiore a quello ipotizzato ma può ritenersi già efficace in ambito clinico e può essere migliorato ottimizzando il sistema di raffreddamento.

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Il lavoro di questa tesi riguarda principalmente la progettazione, simulazione e test di laboratorio di tre versioni successive di schede VME, chiamate Read Out Driver (ROD), che sono state fabbricate per l'upgrade del 2014 dell'esperimento ATLAS Insertable B-Layer (IBL) al CERN. IBL è un nuovo layer che diverrà parte del Pixel Detector di ATLAS. Questa tesi si compone di una panoramica descrittiva dell'esperimento ATLAS in generale per poi concentrarsi sulla descrizione del layer specifico IBL. Inoltre tratta in dettaglio aspetti fisici e tecnici: specifiche di progetto, percorso realizzativo delle schede e test conseguenti. Le schede sono state dapprima prodotte in due prototipi per testare le prestazioni del sistema. Queste sono state fabbricate al fine di valutare le caratteristiche e prestazioni complessive del sistema di readout. Un secondo lotto di produzione, composto di cinque schede, è stato orientato alla correzione fine delle criticità emerse dai test del primo lotto. Un'indagine fine e approfondita del sistema ha messo a punto le schede per la fabbricazione di un terzo lotto di altre cinque schede. Attualmente la produzione è finita e complessivamente sono state realizzate 20 schede definitive che sono in fase di test. La produzione sarà validata prossimamente e le 20 schede verranno consegnate al CERN per essere inserite nel sistema di acquisizione dati del rivelatore. Al momento, il Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell'Università di Bologna è coinvolto in un esperimento a pixel solamente attravers IBL descritto in questa tesi. In conclusione, il lavoro di tesi è stato prevalentemente focalizzato sui test delle schede e sul progetto del firmware necessario per la calibrazione e per la presa dati del rivelatore.

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The objective of this dissertation is to study the structure and behavior of the Atmospheric Boundary Layer (ABL) in stable conditions. This type of boundary layer is not completely well understood yet, although it is very important for many practical uses, from forecast modeling to atmospheric dispersion of pollutants. We analyzed data from the SABLES98 experiment (Stable Atmospheric Boundary Layer Experiment in Spain, 1998), and compared the behaviour of this data using Monin-Obukhov's similarity functions for wind speed and potential temperature. Analyzing the vertical profiles of various variables, in particular the thermal and momentum fluxes, we identified two main contrasting structures describing two different states of the SBL, a traditional and an upside-down boundary layer. We were able to determine the main features of these two states of the boundary layer in terms of vertical profiles of potential temperature and wind speed, turbulent kinetic energy and fluxes, studying the time series and vertical structure of the atmosphere for two separate nights in the dataset, taken as case studies. We also developed an original classification of the SBL, in order to separate the influence of mesoscale phenomena from turbulent behavior, using as parameters the wind speed and the gradient Richardson number. We then compared these two formulations, using the SABLES98 dataset, verifying their validity for different variables (wind speed and potential temperature, and their difference, at different heights) and with different stability parameters (zita or Rg). Despite these two classifications having completely different physical origins, we were able to find some common behavior, in particular under weak stability conditions.