1000 resultados para Oratorio della Madonna delle Grazie (Church).
Resumo:
Il presente lavoro di tesi è stato stilato dopo aver svolto un tirocinio curriculare presso l’azienda Robopac S.p.A. nello stabilimento di Villa Verucchio (Rn). Sono partito dal lavoro di raccolta e sintesi degli indici di produzione e delle scorte di magazzino fatto nel periodo di tirocinio, focalizzandomi poi sull’aspetto della gestione delle scorte. Da quest’ultima analisi è emerso che la gestione delle merci ha portato ad avere un alto valore economico del magazzino per cui l’obbiettivo di questo lavoro di tesi è stato fornire un modello per la determinazione della scorta ottimale che porti ad una riduzione del valore totale del magazzino. Inizialmente è stato affrontato il tema generale della logistica industriale, in particolare analizzando il sistema logistico attraverso le sue caratteristiche e funzioni e sono state descritte le tipologie di magazzini industriali secondo i diversi sistemi di stoccaggio. Successivamente è stato introdotto l’argomento principale, ossia i problemi e i modelli di gestione delle scorte. E' stata dapprima descritta e classificata la scorta, per poi analizzarne i modelli di gestione come il modello di Wilson, utilizzato per il questo lavoro, con particolare attenzione alla scorta di sicurezza. Infine è stato formulato l’indice di rotazione e l’analis ABC di Lorentz-Pareto. L'ultimo capitolo descrive l’azienda Robopac con attenzione sul magazzino, attraverso la rappresentazione del percorso delle merci all’interno dello stabilimento e della fase di estrazione del materiale, aprendo una finestra sulla gestione degli approvvigionamenti dell’azienda Robopac. Nella seconda parte si arriva ad affrontare l’argomento centrale di tale elaborato, la definizione di un modello per determinare la scorta ottimale a magazino e vengono evidenziati i risultati ottenuti.
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Dal 1949 al 1989 la Germania dovette fare i conti con le conseguenze della 2^ guerra mondiale e della guerra fredda, che portarono alla spaccatura ideologica e geografica del paese. La Repubblica Democratica Tedesca, costruita su modello del socialismo dell’Urss, era guidata dal partito della SED, che esercitò il proprio predominio sociale, politico ed economico sulla popolazione e sull’opinione pubblica, servendosi di mezzi sottili di influenza e di controllo e, non da ultimo, del linguaggio. Il progetto di questa tesi si basa sull’analisi e il sottotitolaggio di un notiziario del telegiornale della Germania Est, Aktuelle Kamera, e di un documentario prodotto dalla DEFA, l’impresa tedesco-orientale addetta alla produzione di film, con l’obiettivo di approfondire lo studio della propaganda degli ultimi anni di vita della RDT, che, grazie al controllo di tutti i mezzi di comunicazione, indottrinava i cittadini a una visione socialista del mondo e giustificava le scelte del governo. Attraverso il filtro cinematografico si possono delineare le caratteristiche della società tedesca orientale, che, pur sotto l’influenza sovietica, presentava una propria identità e cultura. Nel primo capitolo di questo elaborato verrà presentato il quadro storico di riferimento, ripercorrendo le tappe salienti che portarono alla formazione delle due Germanie e l’evoluzione sociale e politica della RDT; nel secondo capitolo ci si concentrerà sul sistema della propaganda creato dal regime con particolare attenzione al ruolo delle istituzioni, dei media e degli intellettuali. Inoltre si farà accenno all’opera di censura, al delicato mondo del consenso/dissenso e al Ministero della Sicurezza di Stato. Infine, nel terzo e ultimo capitolo verranno presentati i due documenti sottotitolati (il notiziario “1. Mai 1989” e il documentario “Berlin – die Hauptstadt der DDR”) e, basandosi su esempi concreti, verranno analizzate le strategie traduttive messe in atto durante la fase di traduzione.
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Grazie alla costante evoluzione tecnologica, negli ultimi anni sempre più oggetti di vita quotidiana stanno accedendo ad Internet. Il proliferare dei dispositivi “smart” ha dato il via ad una nuova rivoluzione tecnologica: quella di Internet of Things (IoT), che sta portando nelle mani degli utenti un elevatissimo numero di informazioni in grado di offrire notevoli benefici alla vita di ogni giorno. Per poter accedere ai dati messi a disposizione risulterà necessario realizzare un servizio in grado di consentire la scoperta, l’accesso e l’interazione con i nodi della rete che si occuperanno della gestione delle informazioni. In letteratura sono già disponibili alcuni di questi meccanismi, ma essi presentano dei difetti che verrebbero ancor più accentuati dalle ridotte capacità computazionali dei terminali IoT. In questo progetto di tesi verrà presentato un servizio di discovery per gateway IoT Kura-based, pensato, grazie all’utilizzo del protocollo di messaggistica MQTT, per operare con terminali dalle performance limitate ed in situazioni di scarsa connettività. Il servizio realizzato prevede che degli smartphone Android richiedano a tutti i gateway in una determinata località i parametri per entrare nel loro network. La richiesta verrà inviata mediante un messaggio MQTT pubblicato in un topic location-specific su un broker remoto. I gateway che riceveranno il messaggio, se interessati alle caratteristiche del client, gli risponderanno comunicando i dati di accesso al network in modo che il dispositivo possa auto-configurarsi per accedervi. Ad accesso avvenuto client e gateway comunicheranno in modo diretto attraverso un broker locale. In fase di testing si valuteranno le performance del servizio analizzando i tempi di risposta e l’utilizzo di risorse lato gateway, e l’assorbimento di potenza lato client.
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Nell'elaborato presentato vengono analizzati ed elaborati i dati raccolti nei monitoraggi effettuati in alcune sezioni della tangenziale delle biciclette nel periodo di fine settembre 2015.
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Il cervello umano è composto da una rete complessa, formata da fasci di assoni, che connettono le diverse aree cerebrali. Il fascio arcuato collega l’area imputata alla com- prensione del linguaggio con quella dedicata alla sua produzione. Il fascio arcuato è presente in entrambi gli emisferi cerebrali, anche se spesso è utilizzato prevalente- mente il sinistro. In questa tesi sono state valutate, in un campione di soggetti sani, le differenze tra fascio arcuato destro e sinistro, utilizzando la trattografia, metodica avanzata e non invasiva che permette la ricostruzione della traiettoria delle fibre con immagini RM (Risonanza Magnetica) pesate in diffusione. A questo scopo ho utilizzato un algoritmo probabilistico, che permette la stima di probabilità di connessione della fibra in oggetto con le diverse aree cerebrali, anche nelle sedi di incrocio con fibre di fasci diversi. Grazie all’implementazione di questo metodo, è stato possibile ottenere una ricostruzione accurata del fascio arcuato, an- che nell’emisfero destro dove è spesso critica, tanto da non essere possibile con altri algoritmi trattografici. Parametrizzando poi la geometria del tratto ho diviso il fascio arcuato in venti seg- menti e ho confrontato i parametri delle misure di diffusione, valutate nell’emisfero destro e sinistro. Da queste analisi emerge un’ampia variabilità nella geometria dell’arcuato, sia tra diversi soggetti che diversi emisferi. Nell’emisfero destro l’arcuato incrocia maggiormente fibre appartenenti ad altri fasci. Nell’emisfero sinistro le fibre dell’arcuato sono più compatte e si misura anche una maggiore connettività con altre aree del cervello coinvolte nelle funzioni linguistiche. Nella seconda fase dello studio ho applicato la stessa metodica in due pazienti con lesioni cerebrali, con l’obiettivo di testare il danno del fascio arcuato ipsilaterale alla lesione e stimare se nell’emisfero controlaterale si innescassero meccanismi di plastic- ità strutturale. Questa metodica può essere implementata, in un gruppo di pazienti omogenei, per identificare marcatori RM diagnostici nella fase di pianificazione pre- chirurgica e marcatori RM prognostici di recupero funzionale del linguaggio.
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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione
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SUMMARY The Porcine Reproductive and Respiratory Syndrome (PRRS) virus is one of the most spread pathogens in swine herds all over the world and responsible for a reproductive and respiratory syndrome that causes severe heath and economical problems. This virus emerged in late 1980’s but although about 30 years have passed by, the knowledge about some essential facets related to the features of the virus (pathogenesis, immune response, and epidemiology) seems to be still incomplete. Taking into account that the development of modern vaccines is based on how innate and acquire immunity react, a more and more thorough knowledge on the immune system is needed, in terms of molecular modulation/regulation of the inflammatory and immune response upon PRRSV infection. The present doctoral thesis, which is divided into 3 different studies, is aimed to increase the knowledge about the interaction between the immune system and the PRRS virus upon natural infection. The objective of the first study entitled “Coordinated immune response of memory and cytotoxic T cells together with IFN-γ secreting cells after porcine reproductive and respiratory syndrome virus (PRRSV) natural infection in conventional pigs” was to evaluate the activation and modulation of the immune response in pigs naturally infected by PRRSV compared to an uninfected control group. The course of viremia was evaluated by PCR, the antibody titres by ELISA, the number of IFN-γ secreting cells (IFN- SC) by an ELISPOT assay and the immunophenotyping of some lymphocyte subsets (cytotoxic cells, memory T lymphocytes and cytotoxic T lymphocytes) by flow cytometry. The results showed that the activation of the cell-mediated immune response against PRRSV is delayed upon infection and that however the levels of IFN-γ SC and lymphocyte subsets subsequently increase over time. Furthermore, it was observed that the course of the different immune cell subsets is time-associated with the levels of PRRSV-specific IFN-γ SC and this can be interpreted based on the functional role that such lymphocyte subsets could have in the specific production/secretion of the immunostimulatory cytokine IFN-γ. In addition, these data support the hypothesis that the age of the animals upon the onset of infection or the diverse immunobiological features of the field isolate, as typically hypothesized during PRRSV infection, are critical conditions able to influence the qualitative and quantitative course of the cell-mediated immune response during PRRSV natural infection. The second study entitled “Immune response to PCV2 vaccination in PRRSV viremic piglets” was aimed to evaluate whether PRRSV could interfere with the activation of the immune response to PCV2 vaccination in pigs. In this trial, 200 pigs were divided into 2 groups: PCV2-vaccinated (at 4 weeks of age) and PCV2-unvaccinated (control group). Some piglets of both groups got infected by PRRSV, as determined by PRRSV viremia detection, so that 4 groups were defined as follows: PCV2 vaccinated - PRRSV viremic PCV2 vaccinated - PRRSV non viremic PCV2 unvaccinated - PRRSV viremic PCV2 unvaccinated - PRRSV non viremic The following parameters were evaluated in the 4 groups: number of PCV2-specific IFN-γ secreting cells, antibody titres by ELISA and IPMA. Based on the immunological data analysis, it can be deduced that: 1) The low levels of antibodies against PCV2 in the PCV2-vaccinated – PRRSV-viremic group at vaccination (4 weeks of age) could be related to a reduced colostrum intake influenced by PRRSV viremia. 2) Independently of the viremia status, serological data of the PCV2-vaccinated group by ELISA and IPMA does not show statistically different differences. Consequently, it can be be stated that, under the conditions of the study, PRRSV does not interfere with the antibody response induced by the PCV2 vaccine. 3) The cell-mediated immune response in terms of number of PCV2-specific IFN-γ secreting cells in the PCV2-vaccinated – PRRSV-viremic group seems to be compromised, as demonstrated by the reduction of the number of IFN-γ secreting cells after PCV2 vaccination, compared to the PCV2-vaccinated – PRRSV-non-viremic group. The data highlight and further support the inhibitory role of PRRSV on the development and activation of the immune response and highlight how a natural infection at early age can negatively influence the immune response to other pathogens/antigens. The third study entitled “Phenotypic modulation of porcine CD14+ monocytes, natural killer/natural killer T cells and CD8αβ+ T cell subsets by an antibody-derived killer peptide (KP)” was aimed to determine whether and how the killer peptide (KP) could modulate the immune response in terms of activation of specific lymphocyte subsets. This is a preliminary approach also aimed to subsequently evaluate such KP with a potential antivural role or as adjuvant. In this work, pig peripheral blood mononuclear cells (PBMC) were stimulated with three KP concentrations (10, 20 and 40 g/ml) for three time points (24, 48 and 72 hours). TIME POINTS (hours) KP CONCENTRATIONS (g/ml) 24 0-10-20-40 48 0-10-20-40 72 0-10-20-40 By using flow cytometry, the qualitative and quantitative modulation of the following immune subsets was evaluated upon KP stimulation: monocytes, natural killer (NK) cells, natural killer T (NKT) cells, and CD4+ and CD8α/β+ T lymphocyte subsets. Based on the data, it can be deduced that: 1) KP promotes a dose-dependent activation of monocytes, particularly after 24 hours of stimulation, by inducing a monocyte phenotypic and maturation shift mainly involved in sustaining the innate/inflammatory response. 2) KP induces a strong dose-dependent modulation of NK and NKT cells, characterized by an intense increase of the NKT cell fraction compared to NK cells, both subsets involved in the antibody-dependent cell cytotoxicity (ADCC). The increase is observed especially after 24 hours of stimulation. 3) KP promotes a significant activation of the cytotoxic T lymphocyte subset (CTL). 4) KP can modulate both the T helper and T cytotoxic phenotype, by inducing T helper cells to acquire the CD8α thus becoming doube positive cells (CD4+CD8+) and by inducing CTL (CD4-CD8+high) to acquire the double positive phenotype (CD4+CD8α+high). Therefore, KP may induce several effects on different immune cell subsets. For this reason, further research is needed aimed at characterizing each “effect” of KP and thus identifying the best use of the decapeptide for vaccination practice, therapeutic purposes or as vaccine adjuvant. RIASSUNTO Il virus della PRRS (Porcine Reproductive Respiratory Syndrome) è uno dei più diffusi agenti patogeni negli allevamenti suini di tutto il mondo, responsabile di una sindrome riproduttiva e respiratoria causa di gravi danni ad impatto sanitario ed economico. Questo virus è emerso attorno alla fine degli anni ’80 ma nonostante siano passati circa una trentina di anni, le conoscenze su alcuni punti essenziali che riguardano le caratteristiche del virus (patogenesi, risposta immunitaria, epidemiologia) appaiono ancora spesso incomplete. Considerando che lo sviluppo dei vaccini moderni è basato sui principi dell’immunità innata e acquisita è essenziale una sempre più completa conoscenza del sistema immunitario inteso come modulazione/regolazione molecolare della risposta infiammatoria e immunitaria in corso di tale infezione. Questo lavoro di tesi, suddiviso in tre diversi studi, ha l’intento di contribuire all’aumento delle informazioni riguardo l’interazione del sistema immunitario, con il virus della PRRS in condizioni di infezione naturale. L’obbiettivo del primo studio, intitolato “Associazione di cellule memoria, cellule citotossiche e cellule secernenti IFN- nella risposta immunitaria in corso di infezione naturale da Virus della Sindrome Riproduttiva e Respiratoria del Suino (PRRSV)” è stato di valutare l’attivazione e la modulazione della risposta immunitaria in suini naturalmente infetti da PRRSV rispetto ad un gruppo controllo non infetto. I parametri valutati sono stati la viremia mediante PCR, il titolo anticorpale mediante ELISA, il numero di cellule secernenti IFN- (IFN- SC) mediante tecnica ELISPOT e la fenotipizzazione di alcune sottopopolazioni linfocitarie (Cellule citotossiche, linfociti T memoria e linfociti T citotossici) mediante citofluorimetria a flusso. Dai risultati ottenuti è stato possibile osservare che l’attivazione della risposta immunitaria cellulo-mediata verso PRRSV appare ritardata durante l’infezione e che l’andamento, in termini di IFN- SC e dei cambiamenti delle sottopopolazioni linfocitarie, mostra comunque degli incrementi seppur successivi nel tempo. E’ stato inoltre osservato che gli andamenti delle diverse sottopopolazioni immunitarie cellulari appaiono temporalmente associati ai livelli di IFN- SC PRRSV-specifiche e ciò potrebbe essere interpretato sulla base del ruolo funzionale che tali sottopopolazioni linfocitarie potrebbero avere nella produzione/secrezione specifica della citochina immunoattivatrice IFN-. Questi dati inoltre supportano l’ipotesi che l’età degli animali alla comparsa dell’infezione o, come tipicamente ipotizzato nell’infezione da PRRSV, le differenti caratteristiche immunobiologiche dell’isolato di campo, sia condizioni critiche nell’ influenzare l’andamento qualitativo e quantitativo della risposta cellulo-mediata durante l’infezione naturale da PRRSV. Il secondo studio, dal titolo “Valutazione della risposta immunitaria nei confronti di una vaccinazione contro PCV2 in suini riscontrati PRRSV viremici e non viremici alla vaccinazione” ha avuto lo scopo di valutare se il virus della PRRS potesse andare ad interferire sull’attivazione della risposta immunitaria indotta da vaccinazione contro PCV2 nel suino. In questo lavoro sono stati arruolati 200 animali divisi in due gruppi, PCV2 Vaccinato (a 4 settimane di età) e PCV2 Non Vaccinato (controllo negativo). Alcuni suinetti di entrambi i gruppi, si sono naturalmente infettati con PRRSV, come determinato con l’analisi della viremia da PRRSV, per cui è stato possibile creare quattro sottogruppi, rispettivamente: PCV2 vaccinato - PRRSV viremico PCV2 vaccinato - PRRSV non viremico PCV2 non vaccinato - PRRSV viremico PCV2 non vaccinato - PRRSV non viremico Su questi quattro sottogruppi sono stati valutati i seguenti parametri: numero di cellule secernenti IFN- PCV2 specifiche, ed i titoli anticorpali mediante tecniche ELISA ed IPMA. Dall’analisi dei dati immunologici derivati dalle suddette tecniche è stato possibile dedurre che: I bassi valori anticorpali nei confronti di PCV2 del gruppo Vaccinato PCV2-PRRSV viremico già al periodo della vaccinazione (4 settimane di età) potrebbero essere messi in relazione ad una ridotta assunzione di colostro legata allo stato di viremia da PRRSV Indipendentemente dallo stato viremico, i dati sierologici del gruppo vaccinato PCV2 provenienti sia da ELISA sia da IPMA non mostrano differenze statisticamente significative. Di conseguenza è possibile affermare che in questo caso PRRSV non interferisce con la risposta anticorpale promossa dal vaccino PCV2. La risposta immunitaria cellulo-mediata, intesa come numero di cellule secernenti IFN- PCV2 specifiche nel gruppo PCV2 vaccinato PRRS viremico sembra essere compromessa, come viene infatti dimostrato dalla diminuzione del numero di cellule secernenti IFN- dopo la vaccinazione contro PCV2, comparata con il gruppo PCV2 vaccinato- non viremico. I dati evidenziano ed ulteriormente sostengono il ruolo inibitorio del virus della PRRSV sullo sviluppo ed attivazione della risposta immunitaria e come un infezione naturale ad età precoci possa influenzare negativamente la risposta immunitaria ad altri patogeni/antigeni. Il terzo studio, intitolato “Modulazione fenotipica di: monociti CD14+, cellule natural killer (NK), T natural killer (NKT) e sottopopolazioni linfocitarie T CD4+ e CD8+ durante stimolazione con killer peptide (KP) nella specie suina” ha avuto come scopo quello di stabilire se e come il Peptide Killer (KP) potesse modulare la risposta immunitaria in termini di attivazione di specifiche sottopopolazioni linfocitarie. Si tratta di un approccio preliminare anche ai fini di successivamente valutare tale KP in un potenziale ruolo antivirale o come adiuvante. In questo lavoro, periferal blood mononuclear cells (PBMC) suine sono state stimolate con KP a tre diverse concentrazioni (10, 20 e 40 g/ml) per tre diversi tempi (24, 48 e 72 ore). TEMPI DI STIMOLAZIONE (ore) CONCENTRAZIONE DI KP (g/ml) 24 0-10-20-40 48 0-10-20-40 72 0-10-20-40 Mediante la citometria a flusso è stato dunque possibile analizzare il comportamento qualitativo e quantitativo di alcune sottopopolazioni linfocitarie sotto lo stimolo del KP, tra cui: monociti, cellule Natural Killer (NK), cellule T Natural Killer (NKT) e linfociti T CD4 e CD8+. Dai dati ottenuti è stato possibile dedurre che: 1) KP promuove un’attivazione dei monociti dose-dipendente in particolare dopo 24 ore di stimolazione, inducendo uno “shift” fenotipico e di maturazione monocitaria maggiormente coinvolto nel sostegno della risposta innata/infiammatoria. 2) KP induce una forte modulazione dose-dipendente di cellule NK e NKT con un forte aumento della frazione delle cellule NKT rispetto alle NK, sottopopolazioni entrambe coinvolte nella citotossicità cellulare mediata da anticorpi (ADCC). L’aumento è riscontrabile soprattutto dopo 24 ore di stimolazione. 3) KP promuove una significativa attivazione della sottopopolazione del linfociti T citotossici (CTL). 4) Per quanto riguarda la marcatura CD4+/CD8+ è stato dimostrato che KP ha la capacità di modulare sia il fenotipo T helper che T citotossico, inducendo le cellule T helper ad acquisire CD8 diventando quindi doppio positive (CD4+CD8+) ed inducendo il fenotipo CTL (CD4-CD8+high) ad acquisire il fenotipo doppio positivo (CD4+CD8α+high). Molti dunque potrebbero essere gli effetti che il decapeptide KP potrebbe esercitare sulle diverse sottopopolazioni del sistema immunitario, per questo motivo va evidenziata la necessità di impostare e attuare nuove ricerche che portino alla caratterizzazione di ciascuna “abilità” di KP e che conducano successivamente alla scoperta del migliore utilizzo che si possa fare del decapeptide sia dal punto di vista vaccinale, terapeutico oppure sotto forma di adiuvante vaccinale.
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Analisi della vulnerabilità sismica degli aggregati edilizi del centro storico di Castelfranco Emilia, contraddistinti dal numero 5,6,7,8,13,14,15,16. Utilizzo del metodo di analisi speditivo ed analitico, con due modalità distinte di calcolo degli indici. Analisi della vulnerabilità delle vie del centro storico di Castelfranco Emilia, in particolare Corso Martiri, Via ripa Superiore e Inferiore, Via Zanasi-P.zza Garibaldi, Via Bertelli, Via Picciolio-Fasani, Via Zanolini-Del Bagno, via Dalla Vacca-Morandi. Definizione dell'indice di vulnerabilità viaria. Classifica di vulnerabilità degli aggregati e delle vie.
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Il presente lavoro si riferisce alle acque delle fontane a ricircolo. Una fontana a ricircolo è un’opera monumentale le cui acque non sono erogate come potabili; inoltre le persone non vi si immergono ma potendo comunque venirne a contatto tramite schizzi o animali, vanno trattate con una disinfezione mirata ad eliminare gli agenti patogeni pericolosi per l’uomo. Dopo aver inquadrato il problema dal punto di vista normativo, nel primo capitolo, si è passati ad analizzare il problema sanitario, descrivendo microorganismi patogeni e indicatori di rischio. È stato tuttavia necessario tenere conto anche di un altro problema: quello dell’aggressività di certi prodotti disinfettanti sui materiali costituenti la fontana. A tal proposito è stato riportato l’esempio di un caso di studio, il restauro della Fontana delle Tartarughe di Roma. Infine, dopo varie considerazioni volte ad analizzare un adeguato compromesso tra problema sanitario e problema di aggressività/corrosione sui materiali, si è dimostrato come la tecnica di disinfezione a raggi UV sia preferibile per le fontane monumentali a ricircolo.
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Includes bibliographical references (p. 101-105).
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Mode of access: Internet.
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"Estratto dal tomo XVI della Continuazione delle Memorie de Religione di Morale e de Letteratura."
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From: Memorie della Accademia delle scienze di Torino. 2, Classe di scienze morali, storiche e filologiche. 1843. 5: 367-386.
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Dedication signed: Francesco dall'Ongaro.
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Among the Solar System’s bodies, Moon, Mercury and Mars are at present, or have been in the recent years, object of space missions aimed, among other topics, also at improving our knowledge about surface composition. Between the techniques to detect planet’s mineralogical composition, both from remote and close range platforms, visible and near-infrared reflectance (VNIR) spectroscopy is a powerful tool, because crystal field absorption bands are related to particular transitional metals in well-defined crystal structures, e.g., Fe2+ in M1 and M2 sites of olivine or pyroxene (Burns, 1993). Thanks to the improvements in the spectrometers onboard the recent missions, a more detailed interpretation of the planetary surfaces can now be delineated. However, quantitative interpretation of planetary surface mineralogy could not always be a simple task. In fact, several factors such as the mineral chemistry, the presence of different minerals that absorb in a narrow spectral range, the regolith with a variable particle size range, the space weathering, the atmosphere composition etc., act in unpredictable ways on the reflectance spectra on a planetary surface (Serventi et al., 2014). One method for the interpretation of reflectance spectra of unknown materials involves the study of a number of spectra acquired in the laboratory under different conditions, such as different mineral abundances or different particle sizes, in order to derive empirical trends. This is the methodology that has been followed in this PhD thesis: the single factors previously listed have been analyzed, creating, in the laboratory, a set of terrestrial analogues with well-defined composition and size. The aim of this work is to provide new tools and criteria to improve the knowledge of the composition of planetary surfaces. In particular, mixtures composed with different content and chemistry of plagioclase and mafic minerals have been spectroscopically analyzed at different particle sizes and with different mineral relative percentages. The reflectance spectra of each mixture have been analyzed both qualitatively (using the software ORIGIN®) and quantitatively applying the Modified Gaussian Model (MGM, Sunshine et al., 1990) algorithm. In particular, the spectral parameter variations of each absorption band have been evaluated versus the volumetric FeO% content in the PL phase and versus the PL modal abundance. This delineated calibration curves of composition vs. spectral parameters and allow implementation of spectral libraries. Furthermore, the trends derived from terrestrial analogues here analyzed and from analogues in the literature have been applied for the interpretation of hyperspectral images of both plagioclase-rich (Moon) and plagioclase-poor (Mars) bodies.